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Autore: Return_to_Nibelheim    04/02/2011    5 recensioni
- Usako, io cosa sono per questo regno?
- Tu sei il re Endymion, sovrano della Terra. Sei la sua luce, la sua forza. Sei la mia. Senza di te, senza il tuo potere, non avremmo tutto questo.
- Insomma, sarei un generatore ideale.
- Esatto, amore.
- A volte però questo non mi basta...

Cominciò così la lotta senza esclusione di colpi dei coniugi Tsukino per il divorzio.
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Endymion, Serenity
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO 1:

Le prime questioni legali dei coniugi Tsukino

 

I primi anni di vita coniugale, che aveva preceduto di qualche tempo la cerimonia di incoronazione ufficiosa e quella d’insediamento, Mamoru e Usagi li avevano trascorsi nel vecchio appartamento di lui che era più che sufficiente ad ospitare tra le sue stanze una giovane coppia piena di promesse.

Promesse matrimoniali, cioè.

La cerimonia si era deciso di farla non appena raggiunta la maggiore età di lei: in Chiesa, all’occidentale, perché l’abito bianco tutto veli e svolazzi e campane che suonavano a festa al loro passaggio un sogno che lei si portava dietro fin da bimba e a Mamoru non è che importasse granché il dove e il come. Amava Usagi Tsukino e voleva farne la sua sposa, per cui gli premeva solo che fosse redatto un atto matrimoniale valido, per il resto la sua sposa aveva totale carta bianca per fare tutto ciò che la rendesse felice in quello che definiva nella maniera ottimistica e romantica che la contraddistingueva: “il primo giorno della nostra vita insieme”.

Avevano scritto i loro voti.

Usagi l’aveva visto in un film e la cosa l’aveva affascinata

Li avevano letti ad alta voce in chiesa, davanti a tutti i loro amici e parenti. Lui avrebbe avuto intenzione di attingere a romanzi e opere a lui particolarmente care ma dubitava che la sua sposa l’avrebbe capito e avrebbe odiato l’idea di aprire il suo cuore per ritrovarsi davanti uno sguardo vacuo. Era sicuro che Usako avrebbe bevuto ogni parola che gli uscisse dalle labbra con immenso trasporto, che le guance le si sarebbero colorate di imbarazzo, che gli occhi le sarebbero brillati di gioia e che il cuore le sarebbe scoppiato nel petto ma questo non gli bastava: voleva che capisse realmente, che avesse una chiara percezione di quello che avrebbe voluto dirle, che capisse la forza dei suoi sentimenti e come le fosse grato di averlo salvato da se stesso e da una vita monotona. Ci mise settimane perché la sua intenzione era quella di risultare a dir poco perfetto: si gettò con impegno sui film e sui manga preferiti di lei anche se non erano proprio il suo genere e questo ottenne l’effetto sperato. Usagi si era commossa, e anche se aveva provocato qualche risatina da parte degli inviati non gli era importato.

Quando era stato il turno di lei la cerimonia si era trasformata in un varietà.

Mamoru aveva incominciato a avvertire qualcosa di strano quando aveva notato, dando una rapida occhiata di sottecchi ai foglietti tutti accartocciati che aveva nascosti dietro il bouquet, la presenza di kanji sporadici: ora, chiunque conoscesse un minimo la sposa sapeva che i voti di Usagi in giapponese erano sempre stati troppo scarsi per permetterle di esprimersi al meglio in qualcosa che non fosse alfabeto sillabico e che, anche se l’occasione avrebbe reso necessario l’uso dei kanji lei sarebbe stata troppo pigra per andarli a cercare sul dizionario. Lei stessa nel notare quei simboli complicati aveva sgranato gli occhi, sollevando le sopracciglia per un secondo in un moto di stupore e panico che non era passato certo inosservato al suo futuro marito.

Ma non si era persa d’animo.

Aveva preso i fogli in mano con lentezza e grande attenzione

Gli aveva sorriso gentile anche se il suo viso era sbiancato di almeno due toni.

Poi aveva cominciato a leggere le sue promesse, con qualche incertezza: il sospetto che non fosse farina del suo sacco era cominciato già ai primi accenni di scuse al suo futuro marito per la sua pigrizia, alla sua lentaggine e a alle sue grandi mancanze come fidanzata prima e come moglie da quel momento innanzi. La certezza sull’identità del misterioso autore giunse quando nel leggere la parte in cui Usagi Tsukino dichiarava che se suo marito non fosse rimasto soddisfatto da lei non avrebbe dovuto far altro che guardarsi intorno in cerca di fanciulle più belle, più intelligenti e più maritabili il punto di ebollizione aveva raggiunto il suo massimo e la timida sposina, livida dalla rabbia, aveva sollevato il pugno in direzione delle panche strillando:

- Questa me la paghi, Rei-chan!

La risposta dell’amica fu soffocata sul nascere dal pronto intervento all’unisono di Minako e Makoto mentre Ami, che per l’imbarazzo era diventata rossa fino alla punta dei capelli, guardò tutto il tempo verso terra fingendo di accarezzare una Luna più basita del normale.

Era così tipico di Usagi che dopo un primo momento di smarrimento Mamoru non poté far altro che riderne di gusto. E così, in quel modo un po’ strano, agli occhi di dio divennero i coniugi Tsukino.

 

 

*

 

La questione del cognome era sorta quasi per caso.

La sera in cui Mamoru era stato presentato ufficiosamente a casa Tsukino come fidanzato di Usagi, e solo a seguito di ripetute visite informali in presenza di mamma-Ikuko e della raccolta di una considerevole dose di coraggio da parte del giovane, papà-Kenji aveva insistito affinché egli rimanesse a cena. Era stato un invito non particolarmente gentile quanto piuttosto intimidatorio da parte sua, una richiesta che aveva più il sapore della sfida, e Mamoru si era visto obbligato ad accettare ma presa da parte la fidanzata l’aveva supplicata di farlo sedere in corrispondenza della più vicina uscita di sicurezza nel caso in cui le cose si fossero fatte violente.

- Non preoccuparti, Mamoru – si era intromesso Shingo assestandogli una pacca sulla spalla con fare cameratesco. – Quando era fotografo di guerra papà non ha mai imparato le tecniche di combattimento a mani nude. Se non mette mano alla pistola o ai coltelli da sushi che sono in cucina sei salvo. – E con quello si era guadagnato una pacca stizzita sulla nuca dalla sorella, che comunque non aveva detto nulla che bollassero quelle parole come idiozie.

La cena aveva finito per somigliare a un terzo grado.

Kenji aveva sentito il bisogno di affogare nell’alcool il dispiacere per l’imminente perdita della sua bambina: a nulla valsero le ripetute proteste di Ikuko e Usagi, che con rassegnazione tentarono di riportarlo alla ragione rammentandogli che non c’era ancora nessun matrimonio in vista e che tra l’altro Usagi andava ancora al liceo. Aveva passato la serata a svuotare fiaschette su fiaschette di sakè assieme al suo futuro genero, che di bicchiere in bicchiere era riuscito a sopportare tutto con incredibile sangue freddo e rassegnazione mentre l’altro si lasciava andare a canzoni popolari nostalgiche sulla fine dell’estate o a storie imbarazzanti su Usagi che in età prescolare aveva giurato che non avrebbe mai sposato nessuno tranne il suo papà. Il tutto intervallato da:

- Non sono ancora pronto a diventare nonno!

Nulla, nemmeno le raccomandazioni di Ikuko l’avevano preparato a tutto questo.

Un po’ incalzato dal padre di Usagi e un po’ perché l’alcool finiva col rendere più tollerabile e un po’ meno strana l’intera situazione, Mamoru aveva finito col bere un po’ troppo e quando era arrivato il momento di tornare a casa si era ritrovato a non reggersi molto fermamente sulle gambe. Non era troppo tardi e si era insistito per lasciarlo riposare qualche ora sul divano, cassando con vigore l’idea di Usagi che aveva optato per lasciargli usare il suo letto.

Era piuttosto tardi quando si era sentito di nuovo abbastanza in sé. Doveva essersi in qualche modo appisolato senza accorgersene perché gli pareva di aver chiuso gli occhi solo per alcuni istanti ma le luci erano spente: dovevano essere andati tutti a dormire da un pezzo e lui non si era accorto di niente. Quando aveva provato a sollevarsi un peso sul petto lo aveva fatto ripiombare sui cuscini. Usagi, che gli si era appisolata addosso, si era svegliata con un mugugno roco. Si era sollevata a sedere passandosi pigramente i palmi sulle palpebre per strofinarsi via il sonno come i bambini. Mamoru le aveva sorriso intenerito, era stata lì tutto il tempo?

- Ti senti meglio, Mamo-chan?

- Adesso sì. Credo di aver bevuto un po’ troppo.

- E’ che non sei abituato. Tutta colpa di papà, domani gli darò una bella strigliata!

- Non arrabbiarti troppo con lui, ha solo paura di perderti. - Mamoru aveva ridacchiato sommessamente immaginando la scena che si sarebbe prospettata all’indomani e provò pena per Kenji. Tirandosi su a sedere le aveva passato una mano sul viso e lei si era abbandonata con tenerezza al suo calore. – Io lo capisco, sai?

Lei lo aveva fissato seria come non mai.

Sì, anche lei lo capiva, il dolore di perdere qualcuno che ami.

- Tu non mi perderai, Mamo-chan, e neanche papà. Non andrò da nessuna parte.

E quando lo abbracciò, premendosi contro di lui e cingendogli la schiena con le mani non fu solo un gesto d’amore e tenerezza ma un modo di fargli sentire la sua presenza anche lì, nella fitta penombra fumosa di una notte di luna calante. La strinse forte di rimando, avvertendo la determinazione di lei, la sua forza. Mamoru le premette il mento sulla nuca inspirando l’odore dei suoi capelli. Avere accanto Usagi lo faceva sentire così sicuro.

Di se stesso, di loro come coppia.

Del fatto che le cose sarebbero finite sempre al meglio.

Era stata la sua famiglia così unita e allegra a trasmetterle tutto questo?

- Usako, credi che quando ci sposeremo dovrei essere io a entrare nella tua famiglia?

Lei aveva ridacchiato piano, vibrandogli piacevolmente contro il petto: - E’ il sakè che parla, Mamo-chan?

- No, io… Ci pensavo da un po’. – aveva detto anche se non era del tutto vero. L’idea gli era venuta istintivamente in quel momento ma dall’istante in cui gli era uscita dalle labbra era stato come se l’avesse sempre avuta inconsciamente lì, pronta a saltar fuori a tradimento. Forse era davvero l’alcool a parlare. La passeggiata di mezz’ora abbondante che l’attendeva da lì al suo appartamento gli avrebbe fatto passare la sbornia. – Sai, il mio passato… Il fatto che non ricordi nulla… Non ho mai recuperato totalmente la memoria e a volte ho ancora l’impressione che Mamoru Chiba non sia neppure il mio vero nome. Come posso chiederti di appartenere a un qualcosa di così inconsistente?

- Io voglio appartenere solo a te, del resto non m’importa, per cui decidi tu solo in piena libertà e io ti seguirò. – aveva sentenziato lei con sicurezza. – In più quando saremo re e regina il nostro cognome non avrà più molta importanza, no?

Su questo aveva tristemente ragione.

 

 

*

 

 

Serenity aveva accolto con gioia l’arrivo di schiere di domestici e cuochi nel Palazzo di Cristallo a seguito della loro incoronazione, ma soprattutto il suo conseguente esilio a vita dalla cucina e dall’armadio degli spazzoloni.

Endymion un po’ meno.

Nei primi tempi del loro matrimonio Usagi ci aveva tenuto molto a tenere fede a quei voti nuziali pur vistosamente non farina del suo sacco e si era impegnata anima e corpo per lasciarsi alle spalle quasi 2 decenni di inettitudine e diventare il prototipo di moglie di cui il signor Tsukino si sarebbe vantato con gli amici. Una sfida che Mamoru sapeva essere persa in partenza. Lo accettava quietamente come il fatto che il cielo non è giallo e la neve non cade ad agosto.

Poi dopo un po’ aveva finito col trovarlo addirittura bello.

Era l’incognita, il mistero a divertirlo. Il varcare ogni sera la porta di casa dal ritorno dal lavoro e non sapere cosa avrebbe trovato al di là della soglia. Forse un giorno non avrebbe trovato neppure la casa. Divenne un gioco mettersi a tavola e scommettere su quale di quelle cibarie tutte ugualmente carbonizzate all’esterno (anche quelle che di fatto non richiedevano di essere messe su fiamma) e dall’aspetto improponibile fossero sorprendentemente buone e quali gli avrebbero fatto passare la notte tra il gabinetto e il divano. Era il trovare sempre Usagi ad accoglierlo con un sorriso, anche con i capelli impiastricciati di pastella e schizzi di cioccolato a colargli dalla fronte, che si impegnasse tanto per loro, a fargli venire sempre una gran voglia di baciarla appena attraversata la soglia, tra le flebili proteste di lei sul fatto che si sarebbe sporcato tutto e lei non era brava col bucato.

- Non importa – le rispondeva zittendola tra i baci. – Lo farò io.

- No, non devi. – protestava lei. – Imparerò.

- Mi fa piacere aiutarti.

- Sei tanto caro, Mamo-chan…

In realtà spesso e volentieri finiva per fare un po’ tutto lui in casa per rimediare ai pasticci di Usagi ma questo non gli pesava per nulla. Era sempre stato abituato a cavarsela da solo fin dalla più tenera età e, tipo ordinato e preciso per natura, non aveva difficoltà ad occuparsi del caos di una o due persone anche di ritorno dal lavoro. Il fatto è che Usagi non capiva. Non essendo una donna con la vocazione della casalinga non poteva certamente capire lo stato d’animo di un uomo costretto a fare quello che avrebbe dovuto essere il suo lavoro. Una legione di domestici con cui farcire il suo palazzo era stata la sua prima richiesta ufficiosa da regina, e l’aveva fatto solo per sgravare il marito dalle fatiche improbe a cui sentiva di averlo costretto per anni.

Ma non era così.

Lui a tratti lo trovava anche rilassante.

Da sovrano non poteva certo prendere la scopa e darsi da fare, non avrebbe fatto in tempo a formulare il desiderio di pulire le stalle che almeno 4 persone si sarebbero gettate addosso famelicamente all’unica ramazza disponibile per tirare l’ambiente a lucido. Non faceva in tempo a voltarsi lasciando un libro aperto sulla scrivania dello studio che subito veniva teletrasportato al suo scaffale. E che non gli venisse in mente di mettere piede in cucina, le cuoche sapevano essere molto cattive.

 

 

*

 

C’era con Artemis un rapporto di amichevole cameratismo.

Era cominciato come un’istintiva simpatia in gioventù, essendo loro gli unici due rappresentanti di sesso maschile del gruppo, per poi svilupparsi in maniera più profonda in periodo di pace, dopo il matrimonio. Al tempo non c’era stato nemmeno di che discutere. Mamoru sapeva, era scontato al punto che l’argomento non venne neppure introdotto per sbaglio da nessuno dei due, che Luna sarebbe andata ad abitare con loro a seguito del matrimonio nel suo doppio ruolo di guardiana e di animale domestico di Usagi, cosa che aveva messo fin da principio il neo marito in posizione di minoranza. Le frequenti visite di Artemis in qualche modo avevano rappresentato un piacevole diversivo. Passavano le serate sul balcone a chiacchierare e quando tornava in camera trovava Usagi in un marasma caotico di coperte e lenzuola arrotolate in prossimità del viso. Poco avvezza alle coperte leggere dei letti all’occidentale, quando non aveva Mamoru da abbracciare tra le coltri tendeva sempre ad agitarsi e a scoprirsi la pancia, e toccava a lui ripristinare un ordine per non ritrovarsi all’addiaccio.

Adesso non accadeva più.

Andare a letto insieme e risvegliarsi insieme faceva parte delle loro piccole routine regali, e se capitava che uno dei due si attardasse rispetto all’altro, avevano stanze apposite per non disturbare il sonno del coniuge cui però il re preferiva non ricorrere.

Quella sera però la frustrazione aveva raggiunto gli argini e, nonostante fosse l’ora di andare a dormire e la regina non era mai stato tipo da ore piccole aveva deciso di incamminarsi in solitudine attraverso i giardini di sud est, in un piccolo gazebo isolato poco frequentato dagli abitanti del palazzo. Lì si era acceso una sigaretta e lunghi istanti silenziosi erano passati a contemplare i pigri ghirigori di fumo grigiastro ravvoltolarsi verso le stelle. La voce familiare di Artemis non l’aveva nemmeno sorpreso a dispetto del fatto che come al solito il vecchio amico non avesse prodotto il benché minimo rumore.

- Davvero un brutto vizio che credevo si fosse lasciato alle spalle. – disse il felino storcendo il muso in una smorfia. – Ho sentito l’odore dalle mie stanze.

Il re aveva sorriso.

- Credevo che anche tu non riuscissi a dormire.

Con un agile balzo l’altro era saltato sulla balaustra accanto al sovrano.

- Qualcosa la preoccupa?

- Questioni patrimoniali.

Alle parole del sovrano Artemis aveva chinato la testa di lato in un moto di muta curiosità. Chiaramente non aveva capito ma Endymion non fece niente per rendergli più chiare le sue parole: continuava a fissare ipnotizzato il cielo con la sigaretta accesa che si consumava lentamente bruciando di un vivo vermiglio al vento leggero della notte: dava solo sporadiche boccate ogni tanto, ma sembrava che non aspirasse nemmeno.

Non aveva mai fumato per davvero.

Artemis aveva ragione, era davvero un brutto vizio.

Se la regina ne fosse venuta a conoscenza si sarebbe scatenato l’inferno.

In uno sbuffo grigiastro aveva continuato, quasi rivolto a se stesso in elucubrazioni solitarie: - In via ipotetica, Artemis; se un re divorzia dalla moglie i beni vengono divisi in un modo particolare? – aveva chiesto. – Insomma, il regno ereditato a seguito delle nostre nozze è un bene matrimoniale e nel caso visto il mio apporto minimo alle questioni di regno mi toccherebbero, non so, la Papuasia, l’Antartide e l’Isola di Pasqua o potrei rivendicare dei diritti su qualcosa di dignitoso come gli stati dell’America settentrionale e dell’Oceania?

- In via ipotetica?

- In via ipotetica – gli aveva fatto eco il re.

- Beh, in via ipotetica… - E Artemis aveva scandito piano e con attenzione quelle parole, soppesandole molto attentamente perché al sovrano non sfuggisse la loro importanza. – E’ più probabile che la Terra appartenga alla vostra stirpe, che rappresenti quindi un’eredità personale che in caso di divorzio passerebbe interamente a voi.

Endymion aveva incavato il mento tra le spalle in un placido segno d’assenso e la risposta era stato un sospiro indecifrabile: era uno strano miscuglio tra rassegnazione e sollievo che non sarebbe stato in grado di interpretare neppure il diretto interessato.

- Capisco… – aveva replicato, e non aveva aggiunto altro.

Tra i due era calato un silenzio teso e poco piacevole, scandito dal pigro oscillare del fumo a cui faceva eco quello della coda candida del felino, che aveva assottigliato gli occhi azzurri scrutando il profilo assorto del suo sovrano.

No, si era corretto, del suo amico.

- Re Endymion, se posso chiedere cosa…

- No, non puoi. – l’aveva interrotto bruscamente lui schiacciando ciò che restava della cicca contro il cornicione e guatando con occhi impassibili quella brutta ditata nera sulla pietra azzurrina. Ascoltare il proprio tono di voce arrochito dal sonno e dal freddo, così duro e autoritario, l’aveva come risvegliato da un sogno. Si era rivolto verso l’altro, lo sguardo gentile di sempre e un sorriso gentile a incurvargli appena le labbra. - Non preoccuparti Artemis, davvero. – L’aveva rassicurato il sovrano invitandolo a salire sulla propria spalla per tornare dentro. Cominciava a farsi davvero troppo tardi per stare fuori. -  Stavo solo riflettendo di questioni senza importanza. E’ che ho un mucchio di tempo per farlo ultimamente.

 

 

*

 

Era rimasto per qualche tempo davanti alle porte delle loro stanze, indeciso sul da farsi. Era accorso al primo soffocato mugugno che si era fatto strada a fatica attraverso l’uscio massiccio: lo spettacolo era di quelli che risultano improbabili anche dopo averli visti per tanti anni. La regina Serenity, la somma sovrana della terra, modello di grazia virtù e potenza, ravvoltolata scompostamente in un ammasso improbabile di preziose coltri di seta, con la pancia scoperta dal fine tessuto della sua veste da notte e la bocca scoperchiata in un sonoro russare.

Quella notte si addormentò ridacchiando, abbracciato a lei.

 

 

*

 

Tsukino Fusai no Jingi Naki Tatakai

Fine Capitolo 1

 

*

 

 

 

L’angolino di Sophie: Non devo farmi perdonare di mostruosi ritardi stavolta, non devo mettere note strane, non devo buttarmi giù o dire quanto mi faccia schifo questo capitolo per cui saltiamo allegramente l’angolo di Calcifer, lui apprezza, non è mai stato un gran faticatore, più riposa meglio sta. Un capitolo che è venuto liscio liscio come l’olio a parte l’ultima parte che è stata un piccolo parto ma niente di particolarmente osceno come certi paragrafi di Sakura che veramente, gli darei fuoco. Magari è scappato qualche errore di battitura ma ricontrollerò con calma un po’ più in là. Ho risposto alle lettrici nel luogo apposito quindi non devo dilungarmi a parte ringraziamenti generici e bacini di amore e devozione. Non sono scesa in tecnicismi legali ma dovevo dare un senso al titolo del capitolo.

   
 
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