Capitolo 5 – Fare a meno di te
Ilaria
Non posso credere di essermi davvero
lasciata andare con Andrea. È fantastico, senza dubbio, ma
mi sembra
di fare qualcosa di sbagliato. Non voglio prenderlo in giro, gli
voglio bene e se soffrisse a causa mia probabilmente mi sentirei
davvero male, soprattutto ripensando alle sue parole.
Il vicepreside entra in classe e
tutti quanti ci alziamo in piedi, seguendo la regola che ci
è stata
imposta.
“Seduti ragazzi. Allora, sono
venuto qua per portarvi le autorizzazioni per la gita della prossima
settimana. Dovrete consegnarle entro giovedì, compilate e
firmate
dai vostri genitori. Sì, Walter, anche se siete maggiorenni.
Ah, la
scadenza per il bollettino è entro dopodomani,
perciò chi ancora
non ha pagato, veda di sbrigarsi. Ad esempio tu, Riccardo. Devi
muoverti, te l'ho già detto la scorsa settimana. Bene, vi
lascio qui
le autorizzazioni. Buon proseguimento” dice, uscendo dalla
classe e
lasciandoci qui come degli imbecilli.
“Castoldi, distribuiscile” mi
dice la prof, porgendomi i fogli.
Odio consegnare fotocopie, schede e
quant'altro. Non mi dicono mai grazie e non mi guardano nemmeno in
faccia.
Consegno le autorizzazioni e
Alessandro mi rifila un'occhiata da cane bastonato che mi dà
sui
nervi, così cerco di finire il prima possibile per tornare
al mio
posto.
“Pronti per la gita?” chiede la
prof, ma ovviamente Vanessa deve prendere parola.
“Io sono contenta di non andarci.
Non so manco dov'è l'Ungheria, figuriamoci andare fino
lì! Ma che
lingua parlano? L'ungaro?” chiede, guardando la sua vicina di
banco
e sghignazzando.
“L'ungherese, ignorante”
commento.
“Come scusa?” mi chiede,
sfidandomi. Odio quel suo modo di fare!
“Parlano l'ungherese, ma visto che
sei così ignorante da non sapere neanche dov'è
l'Ungheria,
figuriamoci se conosci la lingua e sai che valuta hanno” le
dico,
guardandola negli occhi.
Walter, credendosi simpatico, fa il
verso del gatto, ma cerco di ignorarlo, visto che me la prenderei
volentieri anche con lui.
“Hanno l'euro, no?” mi dice,
facendomi pure il verso.
“No, veramente hanno il fiorino.
Complimenti, hai appena confermato la mia teoria” le dico,
voltandole, poi, le spalle.
“Sta secchiona del cazzo”
commenta, a bassa voce per non farsi sentire.
“Basta ragazze. Come ha detto
Ilaria, in Ungheria c'è il fiorino, perciò vi
porteranno a cambiare
i soldi. Ragazzi, cercate di comportarvi come si deve, ma soprattutto
di adattarvi. Non mangiano quello che mangiamo noi, non parlano come
noi e hanno una cultura diversa dalla nostra. Cercate di rispettarli
come loro rispetteranno voi” ci dice l'insegnante.
Non mi piace il tono
dell'insegnante, andremo in un Paese straniero, non in mezzo ad una
mandria di bufali. Forse ha ragione Walter quando dice che la Bertone
è razzista.
“Prof. ma come saremo divisi?”
chiede Valentina.
“Ma nessuno vi ha dato
l'itinerario e le sistemazioni? In linea di massima sappiate che i
primi giorni saranno in campagna, quindi nelle case, mentre gli
ultimi due saranno a Budapest e dormirete una notte in hotel. Sabato
vi diranno in quale paese sarete, con paese intendo proprio un
piccolo paesino, ma sappiate che ci sarà una sola persona
per ogni
famiglia e solamente due persone per ogni paese. Ad eccezione per
quelli che saranno in città” spiega l'insegnante.
Ecco, questa non la sapevo!
Fantastico, almeno non sarò
costretta a convivere con una delle mie compagne, mi sembra quasi che
stia andando tutto per il verso giusto. Niente Vanessa, niente
coinquilina, niente strana relazione con Alessandro. In fondo sono
solo cinque giorni, no?
***
“Ragazzi, sono qui per comunicarvi
le ultime sulla gita. Allora, Cinzia passami il registro per
favore”
chiede il vicepreside, rivolgendosi alla professoressa di francese.
“Perfetto. Allora... Mmh..
Iniziamo con chi rimarrà in città. Riccardo,
Beatrice, Annarita,
Eleonora, Silvia, voi sarete a Kaposvár, una delle
città più
importanti. Cinzia, segnali. Con la «a» accentata.
Sì, sì, così”
dice, iniziando a stilare una lista.
Va avanti così per un po', finché
non arriva, finalmente, a me. Il paese si chiama Kutas.
“Castoldi con te non sappiamo chi
ci sarà. Barone, mettiamo te a Kutas? Può andarti
bene?” chiede
Andretti, il vicepreside, appunto.
“Ma che mi cambia? Mica devo stare
con lei, no?” chiede Walter, indicandomi.
Speriamo che la risposta sia no.
“No, Walter. Però pensavo di
metterti a Jákó con Valentina. Chi manca
all'appello?” chiede il
prof.
Altri cinque miei compagni di classe
alzano la mano, tra di loro c'è anche Alessandro. Il mio
stomaco
inizia a brontolare, avrei dovuto mangiare durante l'intervallo.
“Sa, chi di voi ci vuole andare?
Non è un brutto posto, un paesino tranquillo, circondato
dalle
pianure. Fate voi” decide infine.
Il silenzio pervade la classe e
capirne il motivo non è poi così difficile. Chi
vorrebbe entrare in
contatto con la sfigata di turno?
“Prof. segni me” sento dire.
No. No, posso contestare?
“D'accordo De Angelis. Anche tu
sarai a Kutas. Quindi Barone ti segno in Jákó.
Lì c'è pure una
famiglia con origini torinesi, magari riuscirai a farti
capire”
scherza il prof., ignaro del mio stato di malessere.
Credo l'abbia fatto apposta. Deve
averlo fatto apposta.
Alessandro
Okay, d'accordo, non so perché ho
chiesto ad Andretti di mettermi nel suo stesso paese.
Quel silenzio era imbarazzante e
giuro di essermi dispiaciuto per lei. In fondo non si merita il
trattamento che le rifilano i nostri compagni, sono esagerati
perché
non la conoscono davvero.
Andretti esce dall'aula e Ilaria si
gira verso di me, guardandomi in modo truce.
Iniziamo bene.
Durante l'ora di italiano mi ignora
come suo solito, ma al suono della campanella mi raggiunge.
È
decisamente seccata.
“Perché lo hai fatto?” mi
chiede, cercando di non farsi notare.
“Fatto cosa?” le chiedo, facendo
il finto tonto.
“Lo sai bene cosa. Cerca di non
rovinarmi la mia unica gita scolastica, per favore” mi dice,
girando gli occhi al cielo.
“Sempre colpa mia, eh?” le
chiedo, uscendo dal portone e prendendo il pacchetto di sigarette.
“Sempre. Always. Toujours” mi
risponde, allontanandosi.
“Ciao, eh!” le grido, mentre mi
avvio verso la macchina. Si gira e scuote la testa, poi sparisce in
mezzo alla folla.
Mi farà diventare pazzo, quella
ragazza.
***
“Hai preso tutto? Sei sicuro?”
mi chiede mia madre.
“Soldi, sigarette, vestiti,
preservativi. Sì ma', ho tutto” le dico,
sorridendo alla sua
brutta faccia.
“Non fare cazzate Ale, non posso
venire a recuperarti in Ungheria. E fai attenzione alle note
disciplinari, per favore” dice, seccata.
“So badare a me stesso” le dico,
chiudendo il borsone.
“Sì, certo” borbotta, uscendo
dalla mia stanza.
Finalmente si parte, sinceramente
non so che cosa aspettarmi da questi giorni, ma dal momento che Alice
non ci sarà, cercherò di riavvicinarmi ad Ilaria.
Mi manca, da morire.
Bacio mia madre e scendo in
macchina, caricando il borsone e il trolley e parto, con un brontolio
nello stomaco.
Sono le cinque e mezzo, si viaggerà
tutta la notte in pullman, ma non credo che potrei reggere tanto
tempo.
Parcheggio di fronte alla scuola e
scendo portandomi i miei bagagli: c'è già qualche
compagno nel
cortile.
“Ehy, Ale!” mi saluta Valentina,
tutta sorridente.
Ma che vuole questa?
“Ciao” dico salutando i
presenti.
“Ci stavamo chiedendo se andrai a
soccorrere la povera Castoldi, se avesse bisogno” dice
Beatrice,
facendo ridere anche gli altri.
Cosa dovrebbe significare la sua
frase?
“Non capisco cosa intendi” le
chiedo, prendendo una sigaretta.
“Ma no, scherzavamo sul fatto che
ti sia proposto per qualcosa che comprendesse lei”
mi dice,
sghignazzando. Manco parlasse Tyra Banks, che cazzo.
“Che cazzo ti ridi. Intanto lei me
la farei, a te non mi ci avvicinerei neanche se mi pagassero”
le
dico, mentre accendo. Rimangono tutti stizziti e mi guardano come
fossi un alieno.
Beatrice, in compenso, mi rifila lo
sguardo più cattivo del suo repertorio. Sembra un carlino,
la razza
più brutta di cane in circolazione.
“Bella battuta” dice Riccardo,
scoppiando a ridere.
Inspiro e lo guardo seriamente,
capisce che nessuno stava scherzando e smette subito.
“Oh, guarda, c'è la tua ragazza
laggiù” dice Beatrice, indicando Ilaria al
cancello.
Ha una valigia enorme, azzurra. È
piegata tutta di lato, dev'essere bella pesante. Ma cosa ci devono
mettere le donne in valigia? Probabilmente ha un bazooka, per me
ovviamente.
“Non vai ad aiutarla?” chiede
Valentina, seria.
Le odio ste galline, tutte, dalla
prima all'ultima. Sì che ci vado, ci vado subito.
Mi incammino verso Ilaria che,
appena si accorge che mi sto avvicinando, sbuffa spazientita.
È in
trappola per colpa di quella valigia enorme.
“Ti serve aiuto?” le chiedo,
abbastanza vicino.
“No, grazie” mi risponde
seccamente.
“Dai, dammi sta valigia” le
dico, facendogliela appoggiare.
“Ti stanno guardando e tu stai
parlando con me. Con me, non so se riesco a farmi capire. Io, la
sfigata, la racchia, la bruttona, la secchiona e tutti gli altri
nomignoli che ancora non conosco” mi dice, indicandosi.
“Beh, dopo quello che ho detto
loro, non si meraviglierebbero neanche se ti infilassi la lingua in
bocca, perciò questa la prendo io” le dico,
prendendo la valigia
da terra.
“Ma quanto cazzo pesa?!?”
esclamo, cercando di tirarla su.
“Sei uno smidollato, dalla a me”
mi dice, fermandosi.
“Ma cammina...” commento,
accelerando il passo verso l'autobus, un bel bestione a due piani.
“Ale, cosa hai detto ai nostri
compagni? Perché ci stanno guardando?” mi chiede,
con la voce
acuta.
“Niente di cui ti dovresti
preoccupare” commento, appoggiando quella valigia spacca
schiena a
terra, stiracchiandomi subito dopo.
“No, seriamente, già mi odiano,
non fare in modo che mi rendano la gita un inferno” mi
chiede,
incrociando le braccia.
“Non ti preoccupare, ci sono io
con te, non può essere un inferno” le dico,
accarezzandole una
guancia. Lei si scansa.
“Smettila di comportarti così.
Hai una doppia personalità o mi prendi per il
culo?” mi chiede,
incazzata.
“Ti ho già chiesto scusa, so di
averti detto cose che non stavano né in cielo né
in terra, ma sono
impulsivo, ciò che penso, dico” cerco di scusarmi.
Non sono
convinto neanche io di quello che ho detto.
“Sei troppo grande per dar sfogo
ai tuoi pensieri senza filtrarli, Ale. Se l'hai detto è
perché
volevi dirlo, tutto qui. Dopo avermi messa in imbarazzo di fronte a
tua madre, hai ancora avuto il coraggio di insultarmi” mi
dice,
seria.
Non credo di essermi mai sentito
così stupido in vita mia.
“Hai ragione, che altro ti posso
dire?” le chiedo, allargando le braccia.
“Niente, non c'è più niente da
dire. Comunque non ti aspettare che le cose tornino come prima,
perché esco con un'altra persona e, io, non ferisco le altre
persone, non volontariamente almeno” mi dice, innervosendomi.
Un riccone come lei si è trovata.
Non venitemi a dire che quello non ha un conto corrente almeno uguale
a quello di suo padre. Non ci credo, ma neanche se mi portassero la
dichiarazione dei redditi.
“È un tizio come voi, vero?” le
chiedo, buttando il mozzicone.
“Cosa vuol dire come noi?” mi
chiede, aggrottando le sopracciglia.
“Ricco” commento, guardandola
negli occhi, lei sbuffa.
“Non è una cosa fondamentale”
dice, girandoci intorno.
“Rispondi” le dico,
appoggiandomi contro il fianco del pullman.
“Sì, è ricco, ma non c'entra
niente” dice, guardandomi negli occhi.
“Magari per te non è importante,
ma credo lo sia per i tuoi. Tua madre mi odiava e tuo padre... Credo
che se avesse potuto farmi sparire dalla faccia della Terra, lo
avrebbe fatto” commento, grattandomi il braccio destro.
“Ci avevano visto giusto, eh?”
scherza, calciando una pietrolina.
“Quindi è finita
definitivamente?” le chiedo, quasi a bassa voce.
“Perché c'è mai stato
qualcosa?”
mi chiede, spiazzandomi.
Sì, certo che c'era qualcosa. A
meno che in quel momento lei non fosse presente mentalmente, in
genere c'era qualcosa. Qualcosa di bello.
Sono ufficialmente un coglione.
“Credevo di sì”
“Non era quello che dicevi a me”
mi dice, spostandosi un ciuffo dietro l'orecchio.
La fisso per un momento, ma poi
sorrido amaramente e distolgo lo sguardo.
“Le cose erano cambiate
ultimamente” commento, guardando la mia macchina.
“Lo pensavo anche io, prima che mi
insultassi. Mi hai dato della puttana, poi però mi hai anche
detto
che sarebbe stata meglio una professionista piuttosto che una
rompipalle come me” mi dice, alzando il tono.
“Beh, sappi che non è vero.
D'accordo, i tuoi modi sono esasperanti, ma una prostituta fissa non
me la posso permettere” dico, sorridendo. La sua faccia
diventa
paonazza.
“Tu! Lurido bastardo” sibila e
capisco che non ha capito l'ironia.
“Stavo scherzando, Ilaria!” le
dico, scostandomi dal pullman.
“Ti sembra una battuta da fare?”
mi grida.
“Non urlare, non voglio che
sappiano i cazzi nostri. Dai, scusa, stavo scherzando. No, seriamente
Ila, la smetto” le dico, avvicinandomi.
“Mi dai sempre dell'infantile, ma
non è che tu sia tanto adulto” mi dice, facendo un
passo indietro.
“Già” commento, sentendomi un
idiota. Non vuole che mi avvicini. Perché?
“Non c'è più niente tra di noi,
Ale. Non posso e non voglio. Non più” mi dice, con
gli occhi
lucidi.
“Ma perché?” le chiedo, con
voce esasperata. Devo darmi un contegno.
“Perché ora c'è Andrea e lui mi
vuole davvero bene e non mi tratta come... Come hai fatto tu”
mi
dice, parlando come una bambina indifesa.
“Io non ti ho costretta a fare
nulla, mai. E non puoi dire il contrario” le dico, serio,
calmo.
“Non intendevo questo” mi dice.
Stiamo quasi sussurrando.
“E cosa intendevi allora? Ti sei
sempre, diciamo, concessa? A me sembrava che la situazione ti andasse
bene” dico, confuso.
Le alza gli occhi e inizia a
piangere, un pianto di quelli che si fanno in silenzio, con un
singhiozzo ogni tanto.
“Non l'hai mai capito,
probabilmente. E mi sento di dire che non avevo capito neanche io.
Eri l'unico che si fosse accorto di me, che evitasse di farmi sentire
la persona peggiore del pianeta. Mi sentivo meno sola e speravo
che... Che qualcosa sarebbe cambiato prima o poi” mi dice,
con la
voce leggermente incrinata.
“Speravi mi innamorassi di te?”
le chiedo, infilando le mani in tasca.
“Qualcosa del genere” dice,
voltandosi per asciugarsi le lacrime. Scuote la testa e si
dà della
stupida.
Okay, ho mal di pancia.
Anzi, no, sto male, perché in tutto
questo tempo ho perso tempo a pensare ad altro e, davvero, non me ne
ero reso conto. Cioè, forse ci avevo pensato, ma spesso era
più
rivolto a me stesso il pensiero. Qualcosa tipo “ma mi sto
innamorando?” oppure “perché mi fa
piacere?”, ma non credevo
che lei ci sperasse. Non credevo si aspettasse quello da me.
“Mi dispiace, Ila” le dico,
fissando a terra.
“Non è colpa tua, le cose non
sono andate come speravo. Mi sono sempre sentita una... beh, la tua
puttana, perlomeno. È davvero avvilente, ma da quando le
cose
avevano preso un'altra piega, mi sentivo meglio. Non mi sentivo
usata, cioè, era tutto più bello” dice,
continuando a piangere.
Voglio piangere anche io.
Vedo un gruppo di altri compagni che
arriva con uno dei pullman di linea. Si avvicinano tutti agli altri
nostri compagni, lontani abbastanza da non accorgersi di noi.
Prendo la mano di Ilaria e la porto
dietro il pullman.
“Ale, c'è la valigia lì” mi
dice, mentre si oppone leggermente.
Riesco ad allontanarla da occhi
indiscreti e l'abbraccio, stringendola forte. Questo, forse,
è il
nostro primo vero abbraccio. Niente goffaggine, niente gesti
imbarazzati.
“Mi dispiace. Mi sono spesso
sentito meschino, ma non credevo che tutto questo ti avesse portato
ad avere una bassa stima di te. Non ti ho mai reputata davvero una
facile, se questo può esserti d'aiuto” le dico,
sentendo le
sue unghie sulla schiena.
“Mi ero ripromessa di non
guardarti neanche in faccia. Ti odio, non dovrei essere qui”
mi
dice, mentre singhiozza. Le do un bacio sulla testa e vorrei tornare
indietro. Vorrei non aver mai fatto l'amore con lei, vorrei che
potesse non ricordare nulla.
“Lo so e hai ragione, odiami
quanto vuoi, ma scusami” le chiedo, senza lasciarla andare.
“Non puoi essere così? Sempre? Ti
voglio così, non il bulletto incazzato con il mondo che mi
insulta”
mi dice, con la testa appoggiata contro il mio petto.
“Piacerebbe anche a me, davvero.
Dobbiamo andare, stanno facendo l'appello” le dico,
sciogliendo
l'abbraccio.
“Chi facciamo, andiamo laggiù
insieme? Mentre io piango e mentre la tua felpa è
umida?” mi
chiede, alzando un sopracciglio.
“A me non interessa cosa pensano.
Non più. Ti dà fastidio se si fanno
domande?” le chiedo,
aggiustandomi la felpa. Ha ragione, è umida.
“No. Cioè, sì, ma non è una
cosa grave. Non sono fatti loro, fino a prova contraria” mi
dice,
asciugandosi gli occhi.
“Appunto. Chi se ne frega”
commento, aggirando il pullman per raggiungere la nostra classe.
Walter si gira a guardarci e la sua faccia mi fa venire voglia di
prenderlo a pugni una volta per tutte.
“Barone che cazzo ti guardi” gli
dico, avvicinandomi.
“Bello, stai calmo” mi dice,
cambiando espressione.
“Se hai problemi hai solo da
dirlo, invece di fissare le persone” aggiungo, attaccandolo.
Magari
è la volta buona che se le prende.
“Oh, ma chi cazzo ti ha detto
niente!” grida. Buffone, ha già paura.
“Signori ci sono problemi? Se
qualcosa non va, potete rimanere qui a parlare” ci dice la
professoressa.
“No prof, tutto okay” dice
Walter, dandomi le spalle.
Bravo, meglio così.
Ilaria mi sfiora la schiena con la
punta delle dita, so che vuole che mi calmi. Mi volto per guardarla e
le sorrido.
Ti prego, perdonami.
Finito l'appello, ci fanno salire
sul pullman. Una vera e propria corsa per la sopravvivenza. I ragazzi
di quinta intimidiscono quelli di seconda, convinti di potersi sedere
nei sedili superiori. Saliamo tutti e prendo posto vicino al
finestrino, davanti. Non mi va di stare con gli altri. Ilaria si
siede qualche sedile più indietro.
Dopo il secondo appello partiamo. La
professoressa ci spiega qualcosa al microfono, ma io accendo l'mp3 e
non l'ascolto. Non so come, ma mi addormento per una mezzoretta,
risvegliato dal cellulare che squilla. È mia madre.
“Siete partiti?” mi chiede,
apprensiva.
“Tranquilla, siamo già in
autostrada. Ma' le chiavi della macchina te le ho lasciate
nell'entrata, sopra il termosifone” le dico, già
che ci sono.
“Sì, le ho viste. Tutto bene?”
“Tutto a posto” rispondo.
Un'ora dopo ho già voglia di
mangiare, o almeno di fare qualcosa. Ho sempre odiato i viaggi in
pullman, sono di una noia mortale, se contiamo poi che ci vogliono
più o meno dalle dodici alle quattordici ore, mi verrebbe
voglia di
ammazzarmi.
Dopo due ore di viaggio scendiamo al
primo Autogrill e corro in bagno. Ovviamente c'è la fila.
Appoggiato contro il muro, guardo
Ilaria girovagare nel reparto caramelle. Prende un sacchetto con
delle Haribo a forma di coccodrillo. Quelle caramelle dolcissime e
gommose con la parte bianca morbida sotto. Buone, mi piacevano da
piccolo.
Finalmente riesco ad entrare in
bagno e l'odore mi colpisce come un pugno allo stomaco.
Insopportabile l'odore di pipì.
Cerco di uscire il più in fretta
possibile, giusto in tempo per prendermi un caffé.
Ovviamente c'è la coda anche lì.
“Cosa hai preso?” mi chiede,
arrivandomi alle spalle. Le sorrido.
“Un caffé. Sono da suicidio gli
Autogrill” sono positivo stasera.
“Oh, beh, io ho un cappuccino,
siamo lì” mi dice, appoggiandosi al bancone.
Vorrei
farle mille domande per non far cadere lì il discorso ma mi
sembrano
così stupide che preferisco star zitto.
“Posso sedermi vicino a te?” mi
chiede improvvisamente, voltandosi verso di me.
“Quando?” le chiedo.
“Dopo. Sul pullman” mi risponde,
arrossendo.
“Va bene” le dico, senza pensare
a qualcosa in particolare. Non mi dispiace e questo l'ho capito.
Riusciamo a prendere le nostre
ordinazioni e ci avviamo verso il pullman, pronti per due ore almeno
di viaggio.
Mi siedo al mio posto e Ilaria si
siede accanto a me, imbarazzata. Effettivamente è strano
stare
insieme davanti ad altre persone.
“Tranquillizzati, sei tesa” le
dico, sfiorandole il ginocchio.
“Ma sono tranquilla.
Tranquillissima” dice, cercando qualcosa in borsa.
Tira fuori le caramelle e apre il
pacchetto.
“Guarda che ti fanno venire la
carie ai denti” l'avverto, sorridendo.
“Se ne vuoi una, basta chiedere”
mi dice, porgendomi il sacchetto.
“Non era quello il mio intento, ma
grazie” le dico, prendendo un coccodrillo rosso.
“Non potevi prendere quello verde?
O quello giallo?” mi chiede e sghignazzo.
“Ti offendi per una caramella?”
le chiedo, tirando la coda del coccodrillo per dividerlo.
“Sì” risponde, cercando
attentamente un altro coccodrillo rosso.
***
Presto diventa notte e, dopo una
seconda sosta in Autogrill, chiedono all'autista di poter spegnere le
luci più forti. Nonostante la prof non fosse totalmente
d'accordo,
riusciamo ad avere una luce più soffusa.
Inizio a sbadigliare e mi tolgo le
cuffie dalle orecchie. Non ne posso più di ascoltare musica.
Mi volto verso Ilaria e vedo e
sonnecchia, o almeno sembra. Cambia posizione e vedo che è
scomoda.
“Ila?” la chiamo, a bassa voce.
Spalanca gli occhi e mi guarda.
“Appoggiati se stai più comoda”
dico, serio.
“No, è peggio. Mi viene mal di
schiena. L'unica sarebbe sdraiarsi su due sedili, ma qualcuno
laggiù
ha avuto la stessa idea e non ci sono più posti
liberi” dice,
cercando di mantenere la voce bassa.
“Se non sei così tanto arrabbiata
da odiarmi e se non ti interessa davvero quello che pensano, ti
prendo in braccio” dico, parlandole all'orecchio.
“Poi stai scomodo tu” dice,
scuotendo la testa.
“No, mi cambiano soltanto
cinquanta chili in più” dico sorridendole. Le
professoresse sono
cinque sedili davanti a noi.
Si siede sulle mie gambe ma quando
si accorge di essere troppo in alto si abbassa, rannicchiandosi. Non
posso fare a meno di sghignazzare.
“Non posso, mi vedono!” mi dice,
moderando la voce.
“Allunga le gambe sull'altro
sedile, così ti abbassi” le dico, facendo un cenno
in direzione
del sedile. Ci prova ed effettivamente si ritrova alla mia stessa
altezza, ma con la schiena verso il finestrino.
“Così è pure peggio”
commenta,
guardandosi le scarpe.
“Vieni qui” le dico,
abbracciandola. Appoggia la testa sulla mia spalla e nasconde il viso
contro il mio collo.
“Mi vergogno da morire”
sussurra, piegando le gambe.
“Non devi” le dico, appoggiando
la mia testa contro la sua.
“Buonanotte. E grazie” mi
sussurra piano.
“Buonanotte” le rispondo.
Chiudo gli occhi e mi addormento
piano, con il suo fiato sul collo.
Vi chiedo umilmente scusa! Lo so,
cinque mesi sono tantissimi, ma non ero riuscita a scrivere niente di
niente. Riscrivevo e cancellavo. Così vi ho appena
pubblicato ben 7 pagine e un intero capitolo, sperando di farmi
perdonare. Mi dispiace se il loro comportamento in questo capitolo può sembrare totalmente inadeguato, infatti non doveva essere così, però mi piaceva l'idea di un viaggio in intimità, un fregarsene di tutti e chiedersi solo scusa. In fondo dovrebbe essere un'intera settimana senza Alice e Andrea. Fatemi sapere che ne pensate del loro comportamento, potrei aggiustare tutto nel capitolo 6. Prima di tutto non voglio deludervi!
Bene, ora vi saluto e, se
avete un po' di tempo, leggete qualche altra mia storia ^^
Non so dirvi quando riuscirò ad aggiornare di nuovo, ma
spero di avervi dimostrato che la storia non l'ho abbandonata,
tutt'altro!^^
Buona serata
P.S. Risponderò ai commenti per messaggio privato