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Autore: Beatrix Bonnie    09/02/2011    6 recensioni
Questa è la storia di Reg Weasley, un ragazzino allegro e forse troppo chiacchierone che si ritroverà a dover affrontare scelte difficili, più grandi di lui. Ma il suo infinito coraggio lascerà un segno in tutti quelli che gli sono vicini...
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Regulus Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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Era tutto sbagliato. Non sarebbe dovuta andare così, non voleva fare niente di male al piccolo Weasley. Non doveva succedere...

E invece era successo. Aveva ucciso, aveva ucciso una persona, un ragazzino di neanche dodici anni. Era stato un'incidente, ma era successo.

Claudicava, sì, ma non aveva mai camminato così veloce in vita sua. Lontano, lontano da quel luogo d'orrore, da quel luogo di morte. Aveva ancora nelle orecchie la voce spaventata di Cissy: “L'ha ucciso...”

Sì, aveva ucciso, aveva ucciso Reginald Weasley. Non avrebbe mai immaginato che spezzare la vita di qualcuno potesse essere così traumatizzante. Uno spaventoso senso di potere la faceva tremare da capo a piedi, ma era accompagnato dall'angoscia di quel corpo straziato. Sentiva nelle sue narici l'odore del sangue, che aveva trasformato il volto di Reginald in una grottesca maschera dell'orrore, vedeva il suo collo piegato in una posa innaturale, le sue membra distorte.

Un brivido le percorse la schiena. Ma non era paura... era un delirio di onnipotenza. Quello che aveva fatto a lui, avrebbe potuto farlo anche ad altri, a tutti quelli che le avevano fatto un torto. Avrebbe potuto decidere delle loro vite, tenerli in pugno come un burattinaio con i suoi burattini.

Senza rendersene conto, era arrivata al sotterraneo dove si trovava la sala comune di Serpeverde. Si fiondò dentro, senza preoccuparsi delle strane occhiate che le riservarono i compagni di casa. Una volta entrata nel dormitorio femminile, inerpicò verso il suo letto. Era in un tale stato confusionario che non si accorse di aver rovesciato la sua borsa, il cui contenuto rotolò sul pavimento freddo. Per un attimo guardò apatica i suoi libri e la macchia d'inchiostro fuoriuscito dalla boccettina, che si stava allargando a terra, poi il suo sguardo fu rapito da un foglio di pergamena, scritto da una mano che non sapeva riconoscere. La grafia era sgraziata, ma doveva appartenere ad un adulto.

Lo afferrò d'impulso, per leggere la firma: Arthur. Ma fu il destinatario a sorprenderla: “Caro Reg”...

Lasciò immediatamente andare il foglio di pergamena, che atterrò con grazia sul suo letto. Non sapeva come quella lettera fosse potuta finire nella sua borsa, ma improvvisamente sentì che la responsabilità di quello che aveva fatto le piombava addosso come un macigno. Aveva spezzato la vita di un ragazzino, che non sarebbe mai più potuto diventare grande, non avrebbe mai più potuto sorridere, giocare, correre, amare. E finalmente realizzò quello che aveva fatto: aveva compiuto un omicidio.

Il panico l'assalì e scoppiò a piangere. Pianse per tutto, per la sua vita di derelitta, per i suoi genitori che la odiavano, per suo fratello costretto a mentire sulla sua identità, per ciò che aveva sempre dovuto sopportare, per ciò che aveva avuto e per ciò che aveva perso.

Per Reg.

Pianse per la paura di quello che sarebbe successo dopo, quando Silente e gli altri avrebbero scoperto ciò che aveva fatto. Pianse per la paura di andare ad Azkaban.

«Scilla» sussurrò una voce alle sue spalle.

Priscilla si voltò di scatto e il volto preoccupato e sconvolto di Narcissa riempì la sua visuale.

La ragazza fu presa dal panico e cominciò a ficcare nella borsa varie cose alla rinfusa. Doveva scappare, via da Hogwarts, via da lì.

«Scilla, cosa stai facendo?» domandò Narcissa, spaventata.

Priscilla prese la lettera che Arthur aveva spedito a Reg e con un immenso sforzo se la mise in tasca: sarebbe stato il suo monito per ciò che aveva commesso. Mossa da una determinazione che nasceva dalla disperazione, si mise la borsa a spalle e si voltò verso Narcissa. «Devo andarmene, scappare» sentenziò, con freddezza.

L'altra scosse la testa, sconvolta. «Tu... non puoi. Noi abbiamo appena chiamato Lumacorno» spiegò, con un tono di voce quasi impercettibile.

Priscilla allora le prese un braccio e la scosse avanti e indietro. «Cissy, ragiona! Mi spediranno ad Azkaban! Io devo andarmene!»

«Ma dove andrai?» sussurrò Narcissa, spaventata.

Priscilla rimase un attimo in silenzio, a riflettere. «Da mio fratello» decise alla fine. «Devi promettermi che mi coprirai. Fingi di non avermi visto» disse con foga, guardando la sua amica dritta negli occhi.

Narcissa era terrorizzata e scombussolata da tutta quella situazione, ma alla fine deglutì e fece un debole segno con il capo.

«Va bene» rispose Priscilla, lasciandole andare il braccio. Poi prese il suo bastone e si diresse verso la porta.

Gli occhi ansiosi di Narcissa seguirono la sua figura claudicante che si allontanava. Prima di uscire, Priscilla lanciò un ultimo sguardo alle sue spalle. Vide la sua amica, ferma in piedi in quell'unica stanza che aveva mai considerato casa sua e che ora stava lasciando per sempre. Poi, con un breve segno del capo uscì e si chiuse la porta alle spalle.


Era raro che la professoressa McGranitt entrasse nella sala comune di Grifondoro, sebbene fosse la direttrice di quella casa. Infatti, quando quella sera fece capolino dal buco dietro il ritratto, tutti si voltarono a guardarla. La professoressa lanciò sguardi gelidi in giro, poi si diresse verso Mary, che stava seduta ad un tavolo per ripassare Pozioni insieme alle sue amiche. «Weasley, il Preside ti vuole vedere nel suo studio» le annunciò, in un tono di voce indecifrabile.

Mary rimase spiazzata dalla notizia, ma alla fine annuì e ripose i libri sul tavolo, per seguire l'insegnante.

Mary non era mai stata nell'ufficio di Silente, per cui si stupì dell'assurda parola d'ordine (“Zuccotti di zucca”) e rimase piacevolmente colpita dalla scala chiocciola che si muoveva dolcemente verso l'alto. La McGranitt le fece segno di salire e la ragazza, dopo aver preso un lungo sospiro, si lasciò trasportare fino ad una porta di legno massiccio con un battacchio di rame a forma di grifone. Mary bussò timidamente e la porta si aprì sotto il suo debole tocco.

«Vieni pure avanti» disse una voce calma che proveniva dallo studio.

Mary fece il suo ingresso in una stanza circolare piena di strani aggeggi d'argento; seduto dietro una scrivania ingombra di vari libri e pergamene, stava il preside Silente. I suoi occhi azzurri, nascosti dietro gli immancabili occhialetti a mezzaluna, erano puntati su un foglio che però Mary non riusciva a leggere.

Rimase un attimo incerta sul da farsi, poi visto che il mago non dava segni di aver notato la sua presenza, mormorò: «Signore?»

Silente alzò finalmente gli occhi su di lei e gli rivolse un sorriso doloroso. «Siediti pure» le disse, indicando il posto davanti a sé.

Mary eseguì l'ordine con uno spiacevole nodo alla gola.

«Ho sempre pensato a tuo fratello Reginald come uno dei ragazzini più coraggiosi che io abbia mai incontrato» sussurrò Silente, con un sorriso dolce e insieme triste.

«Si è cacciato in qualche guaio?» sbuffò Mary, scuotendo la testa. Gli occhi azzurri del Preside si fissarono in quelli nocciola di lei, ma quello sguardo era talmente intenso che Mary fu costretta ad abbassarli. Quando tornò a guardare Silente, lui la stava ancora fissando con un'espressione sofferente. Uno spiacevole senso di angoscia si impadronì di Mary.

«Signore, che cos'è successo?» domandò preoccupata.

Silente ci impiegò qualche secondo prima di rispondere. «Tuo fratello ha aiutato due suoi compagni a fare la giusta scelta di denunciare dei soprusi alla professoressa Sprite. Solo che gli autori di tali soprusi non hanno preso bene il gesto di coraggio di questi ragazzini».

L'angoscia si trasformò in pura ansia. Mary corrugò la fronte per la preoccupazione: sapeva che se Reg aveva di nuovo stuzzicato le ire di Priscilla, poteva essersi beccato una bella punizione da parte del gruppetto di Serpeverde.

«Credo che sia stato un'incidente: nessuno voleva che finisse così. Reginald è stato colpito da uno schiantesimo ed è finito contro il Platano Picchiatore».

Silente fece una pausa e Mary sentì il tempo dilatarsi fino all'infinito: temeva la conclusione di quel racconto.

«Reginald è morto, Mary».


Per i primi secondi non accadde nulla: il suo cervello si era rifiutato di recepire quell'informazione. Ma dopo poco, ciò che la sua testa non poteva capire, il suo cuore l'aveva già compreso.

Morto. Reg era morto.

E dentro di lei si scatenò una tempesta. Cominciò a piangere, prima sommessamente, poi sempre più forte, finché il suo pianto non si trasformò in uno straziante spettacolo di dolore. Non poteva essere successo, non il suo fratellino! Non Reg, sempre così solare e pieno di vita... non poteva essere morto!

«Mary?» mormorò il professor Silente, sfiorandole una mano con la sua.

«No!» esclamò Mary, ritraendosi da quel contatto. Non voleva la pietà di nessuno, perché nessuno poteva capire il suo dolore. Si alzò di scatto dalla sedia e si buttò fuori dalla stanza.

Non capiva dove stava andando, ma non le importava. Niente aveva più senso, ora. Non aveva senso un mondo dove ragazzini di dodici anni, con ancora tutta la vita davanti, si ritrovavano distesi su un letto di morte.

Sopraffatta dal dolore si accasciò a terra e lasciò che le lacrime sgorgassero abbondanti. Pianse per un tempo indeterminabile, finché non ebbe più lacrime. Pianse lì, sola, raggomitolata a terra come un animale ferito. Non sapeva nemmeno chi avrebbe voluto avere accanto a sé in quel momento, perché ogni suo legame le appariva superficiale. Non aveva nessuno, non aveva mai avuto nessuno e Reg stesso glielo aveva fatto notare. L'unica persona a cui si era legata, l'aveva persa per sempre ormai anni fa e ora si ritrovava a piangere la morte dell'altra persona che avrebbe sempre dovuto amare e che invece aveva costantemente ignorato. Un rimorso terribile la assalì: non aveva mai fatto capire a suo fratello quanto gli voleva bene e ora se ne pentiva. Avrebbe voluto dirglielo, ma non ne aveva più la possibilità. Lui ora era morto.

Improvvisamente si alzò da terra, come mossa da una forza soprannaturale. Doveva vederlo, dargli l'ultimo saluto. Voleva accarezzare il suo volto ormai freddo, sussurrare al suo orecchio ormai sordo quanto gli voleva bene. Cominciò a girovagare per il castello a vuoto. Non sapeva dove stava andando, ma sentiva il bruciante desiderio di trovare Reg.

E per quella volta la fortuna le venne incontro. Si imbatté per caso in un gruppo di medimaghi che stavano portando giù dalle scale una barella, con sopra adagiato un corpo ricoperto da un lenzuolo.

«Fermi!» gridò Mary, con una voce talmente potente da stupirsi lei stessa.

I maghi si voltarono verso e visto lo stato penoso in cui versava, ebbero pietà di lei e le obbedirono.

La ragazza, allora, si avvicinò lentamente alla barella. Con una mano che non riconobbe nemmeno lei come sua, afferrò il lenzuolo candido e lo scostò dal viso del ragazzino. Ancora una volta, la sua prima reazione fu di apatia. Poi i suoi occhi si posarono sul volto graffiato e tumefatto del suo fratellino e su quell'unico rivolo di sangue che non era stato ripulito e che, passando davanti all'orecchio, gli disegnava il profilo della guancia.

La mano che teneva sollevato il lenzuolo cominciò a tremare, mentre una nuova ondata di lacrime sgorgava dagli occhi. «Reg...» sussurrò, allungando il braccio verso la sua sagoma immobile. Gli sfiorò la guancia fredda con una carezza e poi ripulì delicatamente la goccia di sangue. Le sue dita indugiarono un attimo tra i capelli rossi di lui, sempre in piedi. Lasciò che le pizzicassero la pelle, li accarezzò, e in fine li baciò.

«Ti voglio bene, Reg».

Il suo viso cosparso di lentiggini era ad un soffio dal suo. Gli baciò la fronte, più e più volte, finché uno dei medimaghi non la prese per le spalle e la scostò delicatamente dalla barella.

«Signorina, è meglio se...» ma non riuscì a concludere quella frase, perché Mary emise un sibilo acuto che lo fece trasalire. «Che cosa...?» esclamò l'uomo stupefatto. Poi seguì la direzione verso cui era puntato lo sguardo rabbioso della ragazza: il suo odio era diretto verso un'altra figura che era appena sbucata da un corridoio. Era una ragazza bionda, di Serpeverde, con l'aria sconvolta.

«Black!» gridò Mary, liberandosi con uno strattone dalla presa del medimago.

Narcissa rimase immobile per qualche secondo, poi, realizzando che la Welasely era talmente fuori di sé che avrebbe potuto scagliarle una fattura da un momento all'altro, si voltò e sparì nel buio del corridoio.

«Black!» strillò ancora Mary, lanciandosi all'inseguimento dell'altra. Doveva sapere che cosa era successo, doveva assolutamente saperlo. Trovò la Black, appiattita contro il muro, alla fine del corridoio che si era rivelato essere un vicolo cieco. La si piazzò davanti in modo da impedirle di scappare.

«Che cosa è successo questa notte?» gli domandò con un tono che non ammetteva repliche.

«Non so di cosa stai parlando» rispose Narcissa, fingendosi innocente.

Mary piazzò una mano sul muro, proprio sopra la spalla sinistra di Narcissa, che si appiattì ancora di più contro la parete. «Dimmi cosa è successo» le intimò la Grifondoro.

Narcissa cominciò a respirare affannosamente, poi abbassò gli occhi a terra. Certo, quella traditrice del suo sangue non aveva il diritto di imporgli assolutamente nulla, ma era spaventata da quello che era successo e forse la Weasley, dopotutto, aveva il diritto di sapere com'era morto suo fratello. «Volevamo solo fargliela pagare per essersi ribellato...» riuscì a sussurrare alla fine, sempre tenendo gli occhi bassi. Sentì il respiro dell'altra fermarsi, come se l'immagine del fratellino che veniva punito per la sua ribellione fosse troppo dolorosa da dover sopportare. Finalmente Narcissa alzò gli occhi su di lei e vide che stava piangendo. «Non doveva finire così...»

«Chi è stato, chi ha lanciato lo schiantesimo?» domandò Mary, con un tono straziante.

Narcissa deglutì, ma non rispose.

«È stata Priscilla, non è vero?» insistette Mary. In cuor suo lo sapeva, lo sapeva che era stata lei. Doveva finire in quel modo, tra loro due. Ancora una volta, Narcissa non rispose e Mary interpretò il suo silenzio come un assenso. «Dov'è Priscilla? Dov'è, ora?» le chiese, mentre una rabbia folle cominciava a montarle nel cuore.

«È... andata» farfugliò Narcissa, decisa più che mai a non rivelare la fuga dell'amica.

«Dove? Dov'è andata?» domandò Mary, con foga.

Narcissa, scosse lentamente la testa, come a dire che non lo sapeva.

«Dimmi dov'è andata» ripeté Mary.

Il suo sguardo era talmente intenso che Narcissa fu costretta ad abbassare gli occhi. L'angoscia che le attanagliava il cuore divenne pesante come un macigno.

«Narcissa» la supplicò Mary. Nei sette anni in cui erano state compagne di scuola, non l'aveva mai chiamata per nome, né tanto meno aveva usato quel tono straziante.

Narcissa si appoggiò al muro, troppo scossa dal semplice sentir pronunciare il proprio nome dalla sua avversaria.

«Era mio fratello» sussurrò Mary e Narcissa non poté evitare di ripensare ad Andromeda, a quanto l'aveva amata, a tutto il dolore che aveva dovuto sopportare quando era andata via, a come avrebbe voluto vendicarsi su Ted, l'unico vero responsabile di tutto.

«Mi dispiace, Mary» fu l'unica cosa che riuscì a sussurrare.

«Dimmi dov'è andata» ripeté nuovamente Mary.

E Narcissa cedette: «Da suo fratello».

Mary annuì con serietà. Si voltò e fece per andarsene, ma dopo qualche passo si fermò. Volse la testa all'indietro, verso Narcissa, ancora ferma con le spalle al muro.

«Grazie, Black».



Eccomi qua con il nuovo capitolo! Visto che ho un sacco di cose da dirvi, per una volta lascerò perdere i miei piagnistei sul povero Reg...

Allora, prima cosa: questo è il link per un disegno che ho fatto, raffigurante Mary e Narcissa, durante il loro ultimo dialogo. Mi è venuta voglia di disegnarle, perché quando si chiamano per nome, credo sia uno dei momenti più drammatici di tutto il racconto. Spero che vi piaccia!

Seconda cosa: Narcissa è caratterizzata in modo molto particolare in questo capitolo e mi auguro che non vi paia troppo OOC. Per giustificare il modo in cui l'ho descritta, vi ricordo solo che ha appena assistito alla morte di un ragazzetto e che è totalmente sconvolta. Lei non vorrebbe tradire la sua amica Priscilla, ma il dolore di Mary è troppo straziante e troppo simile al suo per sopportarlo.

Ora veniamo al punto scottante: la vendetta di Mary. In questa storia non è previsto il racconto di quanto accadrà al Trinity, perché vi avevo dedicato abbondante inchiostro (o pixel) nel racconto “La sorella perduta”. Ovviamente mi rendo conto che chi non l'avesse letto, potrebbe voler sapere cosa sia successo; ergo, questo è il link al capitolo dove Mairead (la figlia di Mary) entra in un ricordo del fratello di Priscilla Saiminiu e osserva quello che accadde quella notte. Consiglio anche la lettura di questo capitolo, dove si racconta la storia di Priscilla.

Per chi non avesse voglia di leggerseli tutti, ecco qui in breve (e senza grande phatos) quello che succede: Priscilla raggiunge suo fratello Septimius e gli chiede aiuto per scappare; sopraggiunge all'improvviso Reammon, migliore amico di quest'ultimo, che, dopo un po' di esitazione, decide di aiutarli. Improvvisamente arriva Mary e scoppia il finimondo: Septimius scopre che la sorella è un'assassina e, dopo mille indecisioni, acconsente di andare tutti dal preside. Priscilla accoglie la decisione del fratello come un tradimento e si scaglia contro Reammon, che nel frattempo ha preso le difese di Mary. Tra i due vi è un feroce duello, finché un incantesimo non colpisce Priscilla e lei scompare. Septimius accusa l'amico di aver ucciso la sorella e questo interrompe per sempre la loro amicizia. Di Priscilla non si sa più nulla: si immagina che sia morta, ma... il resto, se vi incuriosisce, è raccontato ne “La sorella perduta”.

Grazie a tutti e scusate la lunghezza della nota d'autore, ma era necessaria!

A presto!


EDIT: continua anche per questo racconto l'opera di risistemazione dei dialoghi!

   
 
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