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Autore: Shockwave    15/02/2011    2 recensioni
A fronte di un grave deperimento delle terre abitate ed assalti sempre più frequenti fra assassini ed orchi, si sparge la voce di un misterioso attacco che sembra aver distrutto in una sola notte senza luna il villaggio di Besheuse, situato sul passo del Drago. Il violento, feroce attacco desta i sospetti di molti, ma solo il mercenario skylean Nemetona e la sciamana meirena Sioni vedono la reale minaccia: a distruggere in quel modo Besheuse non è stata un'orda di orchi, ma un Drago. Il loro cammino inizierà dunque nella Capitale Lucente Sig'Randa, del regno di Elerei, per terminare nelle terre di Delei, nella Capitale dei Draghi Dormienti Arat'Elean. E voi, se vorrete, potrete viaggiare con loro, seguendoli in quest'avventura che giusto ora mi accingo a raccontarvi.
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Se c'era una cosa che sia Nemetona che Meheron trovassero ancora più disgustosa di un orco, questi era un Capobranco di Mangravia, la loro brulla e desolata terra dalla quale si vociferava fosse partita quella specie di infezione, la quale privava la terra di ogni traccia di verde e fertilità.
Lo Skylean e l'umano non avevano neanche avuto il tempo di chiedersi a vicenda perché fossero lì a Leureve che si erano ritrovati spalla a spalla per collaborare contro il potente nemico, col suo tanfo rancido che faceva girare la testa ed annebbiava parzialmente la vista. Nel momento stesso in cui Nemetona era apparso ai piedi della rampa di scale, con entrambi gli archibugi più piccoli carichi e fra le mani, l'orrenda bestiaccia aveva lanciato un grido così acuto ed innaturale per una creatura della sua stazza che i restanti avventori rimasti nascosti erano saltati in piedi urlando e spintonandosi per uscire per primi.
L'orco aveva già ucciso diverse persone innocenti ma ora sembrava aver focalizzato la sua attenzione solo sul bianco e sul monco, come la sua scarsa intelligenza era riuscita a malapena a classificarli.
Nemetona gli sparò mentre era intento a lanciargli contro una sedia, parandosi così di fronte a Meheron e dandogli il tempo di formare con l'immancabile aiuto della fatina Priccio una sfera infuocata che esplose proprio sul grugno del mostro. Questi, accecato dall'ira e dal bagliore dell'incantesimo scagliò alla cieca entrambe le braccia possenti e verdognole, sfondando il bancone in legno massiccio e metà parete della piccola locanda sul lato opposto.
Gettando il capo all'indietro emise un gorgogliante gemito, quello che i due uomini e la fata identificarono come una sorta di richiamo; Priccio lo sorvolò e lo oltrepassò, attirando poi con la magia e veementemente la sedia che Meheron aveva sollevato con l'unica mano, dirigendola verso l'orco.
Per qualche istante volarono schegge di legno e schizzi di sangue nero e grumoso, quanto bastò perché Nemetona ricaricasse i suoi archibugi: sparò ancora in direzione del cranio del Capobranco, il quale però schivò abbassandosi all'ultimo istante. Il sordo sparo dello Skylean abbatté definitivamente l'arcata della porta formando un grosso cratere che Priccio osservò esterrefatta mentre faceva trillare forte le sue alucce: aveva sentito parlare della straordinaria potenza degli archibugi Skylean, ma vederlo con i propri occhi era tutt'altra storia.
Per poco la sua distrazione non le risultò fatale ed un attimo prima che l'orco la acciuffasse guizzò via, appena fuori della sua portata; la bestia dalle oramai vaghe sembianze umane gridò ancora ed in quel momento qualcosa di incredibilmente veloce entrò dal centro del foro nella pietra causato in precedenza dallo sparo, colpendo in pieno e trascinando con se in picchiata la fatina.
"Priccio!" gridò Meheron, facendosi largo fra pezzi di legno e scavalcando sedie; urlò quasi distrattamente allo Skylean di distrarre l'orco almeno fino al suo sincerarsi delle condizioni della sua fatina. Vedeva in lontananza, dietro diversi tavoli ammonticchiati in un angolo, il bagliore delle ali di Priccio aumentare e diminuire in continuazione mentre evidentemente lottava contro quel qualcosa che l'aveva assalita.
"Shebeniath, attento!"
Non ebbe neanche il tempo di voltare il capo verso la direzione dell'ammonimento, però, che uno sgabello lo colpì in pieno viso, facendolo ruzzolare all'indietro. Vide il proprio sangue imbrattare il terreno sul quale rovinò qualche secondo dopo, riverso su di un fianco.
Priccio strillò con quanto fiato avesse in gola, tentando disperatamente di sfuggire alle beccate di un corvo rosso di Mangravia, i fidati compagni di viaggio di qualunque Capobranco orchesco: la maledetta bestiaccia le aveva già strappato parte della tunica e ferito una gambetta con l'appuntito becco ad uncino, mirando talvolta alle ali che la fatina aveva protetto sino a quel momento a suon di morsi sulle zampacce nere e dagli artigli ricurvi.
Doveva liberarsi di quello stupido uccellaccio ed aiutare prima Meheron e poi Boganaste con l'orco; spari quasi continui e ruggiti l'assordavano e le facevano salire le lacrime agli occhi per lo spavento mentre su di lei il corvo rosso insisteva a volerle strappare le ali.
Dal canto suo, Nemetona era malmesso ad un braccio e la ferita al fianco si era riaperta, ma resisteva fronteggiando il grosso e sanguinolento bestione che arrancava ancora verso di lui, anche dopo diversi spari al centro del torace; il piede sinistro dell'orco era praticamente ridotto ad un putrido ammasso di carne già in via di decomposizione ma tenacemente esso continuava a stancarlo tirandogli contro qualunque cosa gli capitasse sotto le grosse mani tozze.
"Boganaste! Boganaste, aiutami ti prego!"
E quella vocina? Oh già, la fata!
Scartò di lato all'ennesimo tentativo del Capobranco di afferrargli una gamba e schiacciargli le ossa con la sola stretta poderosa di cui era capace, scavalcando le macerie e lasciandolo indietro a trascinarsi sulle braccia dopo avergli fatto saltare in aria anche il secondo piede; buttò in terra i due archibugi ed iniziò a spostare i tavoli che erano stati spinti di lato quanto bastava per infilare almeno un braccio. Guardando alle sue spalle vide con la coda dell'occhio l'orco ancora lontano e riprese a spostare legno.
Infilò un braccio sino alla spalla, non potendo entrare oltre in quella specie di foresta di schegge, strappandosi la blusa e ferendosi in più punti il braccio, ma afferrò qualcosa di morbido, caldo e coperto di piume che certamente non poteva essere la fata. Allora strinse, strinse così forte il pugno che bastarono una manciata di secondi perché la creatura smettesse di ribellarsi e lottare per la propria vita.
Estrasse il braccio sanguinante con ancora stretta in mano la carcassa del corvo rosso di Mangravia e nel vedere ciò l'orco sempre più vicino lanciò un ruggito agghiacciante, ritrovando forza nella propria furia ed arrancando molto più velocemente verso i tre, feriti e stanchi.
"Non molli, eh dannazione!?"
"Boganaste! Priccio!"
La fatina balzò via dall'apertura che Nemetona aveva usato per salvarla stritolando il corvo, atterrando su di una spalla dello Skylean. "Meheron!"
L'uomo, perdendo copiosamente sangue da un sopracciglio, indicò loro l'orco quasi su di loro. "Priccio, usa l'Arcanum Rios!"
"Ma sei impazzito, salteremo in aria tutti così!" protestò lei, guardando però con orrore il gigantesco orco avvicinarsi.
Nemetona portò una mano dietro la propria schiena dopo aver gettato da parte il corvo morto, tirando in avanti il più grande dei suoi archibugi con la canna rivolta verso il mostro urlante.
"Ah si, bella idea!" gemette Priccio.
Meheron si mise in piedi, traballando, e poggiandosi con la mano ad un tavolo non completamente schiantato. "Boganaste ha ragione, Priccio. Sicuramente è meglio della mia idea."
Nemetona sbuffò su di una ciocca insanguinata sulla propria fronte, col dito sul grilletto. "Più vicino.."
Gli altri due gli lanciarono uno sguardo allarmato. Più vicino di così?
"Ma che diavolo fai, spara!"
"Spara Boganaste, arriva!"
Niente. Meheron vide persino balenare un ghigno sul volto di quel folle, un attimo prima che l'orco fosse loro addosso. Priccio volò sulla sua spalla e si parò le manine sugli occhi accucciandoglisi dietro un orecchio, lo assordò quasi con le sue grida quando il Capobranco sollevò grugnendo forte un braccio per schiacciarli in una sola volta e poi vide tutto bianco.
Fu sbalzato prepotentemente all'indietro da un'esplosione di calibro smisurato persino per la potenza dell'arma di Boganaste e senza aver ancora capito che cosa fosse accaduto con esattezza si ritrovò con la schiena nuovamente contro il duro e freddo pavimento, con la vista appannata e ricoperto di sangue di orco.
La fatina già libratasi in aria per osservare la scena strillò nuovamente, questa volta però per l'orrore.
"Per la buona Dea, c'è orco dappertutto! Oh, oh, ora rimetto, ora rimetto..!"
Erith Shebeniath si rimise a sedere, passandosi il braccio sul viso e togliendone via parte di quello che non osava neanche immaginare cosa potesse essere, vista la carcassa fatta a pezzi in terra. Era come se fosse esplosa dall'interno, oramai totalmente irriconoscibile persino per essere stata un orco; probabilmente, immaginò, quel maledetto pazzo di Boganaste avesse caricato quel dannato coso con qualche polvere particolare e che lo tenesse in serbo per le occasioni dannatamente serie come quella.
Con rinnovata sorpresa trovò proprio Boganaste seduto accanto a lui, intento ad affaccendarsi rapidamente nel darsi una ripulita e raccogliere le sue cose.
"Ed ora dove diavolo vai."
Lo Skylean, ferito sanguinante e gocciolante sangue nerastro dal tanfo indescrivibile, alzò il capo verso di lui. "Me ne vado, Meheron, e dovreste farlo anche tu e la fatina. Leureve sarà stata già rasa al suolo, a quest'ora."
"Chi diavolo può aver portato fin qui un branco di orchi?" s'inserì Priccio, riprendendo a tremare.
Nemetona scosse il capo, rinfoderando i due archibugi più piccoli dopo aver dato loro una sommaria ripulita. "Non lo so, davvero. So solo, a questo punto, che la Capitale sia l'opzione migliore. Le mura di Sig'Randa non può sfondarle neanche un branco di Orchi."
Meheron sbuffò, scettico. "Ed un Drago?"
Sia Priccio che Nemetona gli dedicarono un intenso sguardo, la prima terrorizzata, il secondo incuriosito.
"Drago, hai detto?"
"Tsk, non è il momento adatto per discuterne, adesso" l'ammonì l'uomo, sebbene fosse stato il primo a lanciare quell'interrogativo "hai ragione. Dobbiamo spostarci."
"E Lèleri, Meheron?"
"Lèleri è fuori pericolo, Priccio. Ci starà aspettando ai confini del paesino, se è rimasta nascosta gli orchi non l'avranno trovata."
Si alzò, tentando vanamente di togliersi di dosso l'appiccicoso sangue d'orco. "A quanto ne ho capito anche tu sei diretto alla Capitale, Boganaste. Forse dovremmo unire le forze, per questa volta."
"Concordo" rispose Nemetona, alzandosi in piedi a sua volta "Vado di sopra a chiamare gli altri, poi andremo."
Fece nuovamente di corsa la rampa di scale sotto gli occhi degli altri due, finquando scomparve al piano di sopra lasciando dietro di se solo impronte di stivali insanguinate e puzzolenti.

"Au."
"Oh, non fate il bambino."
Intenta per la seconda volta a fasciare la stessa ferita, Ferona cercò d'usare più cautela rispetto la volta precedente mentre fermava le bende con un nodo. "E' stata una fortuita coincidenza che voi ed il vostro amico vi siate ritrovati alla taverna, altrimenti l'orco ci avrebbe certamente uccisi tutti.."
Nemetona fece una buffa smorfia di disapprovazione. "Amico? Shebeniath non è mio amico."
"Beh forse dovreste essergli un po' più riconoscente" rispose lei, passando alla ferita sul braccio; poco distante da loro la bella Skylean che aveva visto al mercato era impegnata nella sua stessa mansione, ossia medicare il suo salvatore, un burbero uomo con folti capelli neri ed un'aura particolarmente negativa. "Se non fosse stato lì per unire le forze con voi sarebbe potuta andare molto peggio, non credete?"
"Può darsi, au!" le concesse lo Skylean lanciando uno sguardo scettico verso Meheron, il quale a sua insaputa si stava lamentando esattamente come lui. Non era completamente d'accordo, la parola fine al combattimento ce l'aveva messa lui, ma lasciò correre. Tornò a guardare Ferona, impegnata a tamponargli dolcemente lo squarcio sul braccio con un panno imbevuto d'acqua. "Ma voi, mia Cara? Vi siete spaventata molto?"
Annuì, prendendo altre bende. "Oh, ero terrorizzata. Ho temuto per la vostra vita."
Lo Skylean le sorrise, prendendole una ciocca fra due dita, lisciando i setosi e lucenti capelli corvini. "E' molto dolce da parte vostra."
"B-beh sì, ma con queste ferite sarebbe saggio farvi visitare da un medico.." sviò lei, imbarazzatissima seppur affatto contraria a quel piccolo gesto che trovò carico di un inaspettato affetto.
Anche lei si era affezionata molto al mercenario anche se in così poco tempo e l'idea che conducesse una vita tanto spericolata aveva iniziato a spaventarla un po'; mai avrebbe messo in dubbio la forza ed il coraggio dimostrati da Nemetona, ma non poteva far a meno di avvertire l'amaro in bocca al pensarlo morto in qualche fosso, o sanguinare copiosamente con aria sofferente.
Poco distante da loro invece c'erano Meheron, Lèleri e Priccio: la Skylean si era prima occupata della fatina sminuzzando erbe mediche sulle sue ferite, bagnandole con gocce di rugiada e bendandole con qualche filo d'erba pulita, poi era passata all'uomo che per lei era ogni cosa e che avrebbe potuto seguire fin in capo al mondo; sorrise pazientemente alle sue lamentele da ragazzino ma non smise di prendersi cura di lui, proprio come lui aveva fatto con lei.
L'avevano raggiunta nella piccola radura appena fuori quello che una volta era stato il villaggio di Leureve, erano rimasti nascosti fra l'erba appena più alta che cresceva lungo il corso di un piccolo torrente fin quando gli orchi non erano andati via ed ora tentavano di prepararsi il più velocemente possibile a lasciare quel posto.
Trasalì quando Meheron la chiamò, scostandole la mano intenta a medicargli il sopracciglio rotto.
"Sì, Meheron?"
"Ho una domanda da farti."
"Chiedete pure."
L'uomo spostò prima lo sguardo su Priccio, dormiente ed accovacciata su di una sua spalla, poi tornò su di lei. "Perché di tutti gli Skylean che ho visto, soltanto Boganaste ha il viso pitturato di rosso?"
Lèleri sembrò essere presa alla sprovvista dalla domanda, poiché trasalì nuovamente. "Ecco, vedete.. Nella Nave delle Nuvole, la nostra prima vera casa, ed ora nella Torre Skylean vige una regola molto crudele: qualunque donna partorisca un figlio con sangue non puro è considerato un disonore per l'intera comunità e va immediatamente estirpato, come un'erbaccia in un campo di fiori."
Meheron storse il naso. "Sangue non puro? Mi stai dicendo che Boganaste è mezzo.. Qualcos'altro?"
Lei annuì, facendo dondolare la treccia nivea. "Sì."
"Aspetta, aspetta. Ma nella Torre Skylean non ci vivono soltanto Skylean? Siete lì da almeno quattrocento anni secondo i registri della Capitale, com'è possibile?"
Quella volta, Lèleri sollevò le spalle. "Non saprei. Ma per rispondere alla vostra domanda il viso tinto di rosso è una distinzione dei non puri, l'unica differenza è che quelli di Nemetona sono segni indelebili al contrario di quelli miei o di qualunque altro Skylean. Lo stesso termine Boganaste vuol dire figlio di qualcun altro, gli Skylean non portano cognomi."
Meheron storse nuovamente il naso, ancora più scettico. "E allora perché non è morto? E cosa vogliono dire i suoi disegni?"
"Perché non glielo chiedete voi?" suggerì allora lei, imbevendo nel torrente un altro straccio e passandoglielo su di un'altra ferita sul collo. A ben vedere anche quello fu un gesto carico d'affetto, forse anche di desiderio, che la Skylean non si curò affatto di nascondere. Indugiò qualche attimo sulla curva della mascella e sin giù quasi alla spalla, facendo pressione non solo col panno umido ma anche con le proprie dita.
"No" rispose Meheron, non curandosene a sua volta "non ho intenzione di parlargli."
"Perché?"
"Non deve interessarti."
Lèleri tacque, ferita, chinando il viso; terminò di ripulirgli e medicargli alla meglio tutti i tagli, i graffi ed i lividi per poi posare lo straccio fra l'erba. "Partiremo domattina?"
"Si, cerca di riposare."
"E voi?"
"Io starò sveglio a fare la guardia, Boganaste mi darà il cambio a metà nottata. Ora dormi." fece Meheron, col suo solito tono brusco. Priccio sulla sua spalla si stiracchiò voltandosi ed avvolgendosi in un lembo del suo mantello, ma non si svegliò.
La Skylean lanciò uno sguardo dietro di se, verso gli altri: dormivano di già.
Si morse un labbro, nervosamente, strappando qualche ciuffetto d'erba senza muoversi da dove si trovasse. Quando l'assalì un altro di quei turbolenti scossoni, di quelle tempeste nel cuore che si provano soltanto in presenza della persona amata, non riuscì a trattenersi oltre.
"Io vi amo." esordì, ma senza la forza sufficiente a permetterle di sollevare lo sguardo.
Meheron Erith Shebeniath, con lo sguardo verso l'orizzonte di macerie ed ancora qualche fiamma che avviluppava uno o due edifici, non ne sembrò affatto sorpreso. "Si, lo so."
"Ho.. Ho accettato di aiutarvi a guadagnare del denaro fingendomi vostra schiava, ma.." strinse forte la propria tunica all'altezza delle ginocchia, incassando il capo fra le spalle "Ma è davvero così che mi vedete, voi? Sono soltanto la vostra schiava?"
"Tu non sei mai stata mia schiava, Lèleri" ribatté l'uomo "saresti libera di andare, se tu lo volessi."
Lei strinse gli occhi dorati, continuando con voce tremula "E' dunque solo questo che avete da dirmi?"
"Cos è che vorresti sentirmi dire, Lèleri?" finalmente voltò il capo per guardarla "Sai bene che ciò che ho perso, lì a Besheuse, non può ridarmelo nessuno."
La donna avvertiva la propria gola bruciare per i singhiozzi mal trattenuti e gli occhi colmi di lacrime scottanti. "Vorrei tanto poter fare qualcosa.."
Meheron scosse il capo "Ma non puoi. Su, ora va a dormire."
"S-si.." convenì lei, alzandosi. Che altro avrebbe potuto fare, o dire? La situazione era chiara, quell'uomo non avrebbe mai corrisposto i suoi sentimenti, nè era interessato al tenerla accanto o guardarla partire. Per lei, lui era tutto. Per lui, lei non era niente.
Meheron, intanto, rifletteva. Avrebbero dovuto lasciare quell'accampamento molto presto, viaggiando veloci sino alla Capitale. Lì avrebbero avuto il tempo di fare provviste a dovere e ripartire per le Cave di Diamanti, oltre il Passo del Drago e guadagnare finalmente quello che gli sarebbe servito a mettersi l'anima in pace una volta e per tutte, senza dover più combattere anche solo per un tozzo di pane. Avrebbe finalmente sciolto Priccio dalla promessa di proteggerlo; da quando sua madre prima di morire gli aveva donato il fiore magico dal quale era nata la fatina erano passati tanti e tanti anni e lui sapeva che il più grande desiderio di Priccio fosse andare a vivere nella foresta di Meiren ed andare in cerca di altre fate, ma per ora aveva bisogno di lei.
Per quanto riguardava Lèleri.. Non sapeva bene che cosa dover pensare.
Sapeva di comportarsi crudelmente nei suoi riguardi respingendola a quel modo brutale ma era sua intenzione anche riportarla alla sua Torre Skylean, fra la sua gente, una volta depredate a dovere le Cave di Diamanti: lì Lèleri avrebbe trovato uno Skylean come lei e l'avrebbe sposato, conducendo una vita più degna e felice di quella che avrebbe mai potuto condurre alle sue calcagna.
Quanto a lui, si sarebbe fatto bastare il denaro. Checché se ne dicesse il contrario lui era intenzionato a comprarsi la propria felicità, per quanto possibile, con grossi diamanti dal taglio grezzo. Lo credeva possibile eccome e se proprio Boganaste gli era capitato fra i piedi una seconda volta, al contrario della prima l'avrebbe utilizzato per arrivare alla sua meta il più presto possibile, dannato Drago o non dannato Drago.

"Però. Che divertente senso del gusto, questi paesani."
Sioni fece nuovamente roteare gli occhi, sospirando. "Lo trovate divertente, Talon?"
"Puoi dirlo forte, Sciamana."
Un altro grosso sospirone. "Beh, questo è un problema. Avremmo dovuto rifornirci e rifocillarci in questo paesino, ma sembra che siamo arrivati troppo tardi."
Si incamminò fra le macerie, con piedi nudi sulla pietra, su pezzi di carbone ardenti e cocci di vetro senza batter ciglio; il Draconico fece una smorfia d'orrore e la seguì guardandosi attorno: Leureve era stata praticamente annientata ed a giudicare dal tanfo putrescente che aleggiava nell'aria era deducibile che fossero stati gli orchi.
Sorpassarono un grosso caseggiato dal basso soffitto ancora avvolto fra pigre fiammelle giallognole e per poco non rovinò addosso alla Sciamana quando senza preavviso alcuno cadde sulle ginocchia con un tonfo, a capo chino, singhiozzando col viso fra i palmi delle mani.
"Ed ora che ti prende?"
"Morte.. Ce n'è così tanta, Talon, non riuscite ad avvertirla?" rispose lei, tremante "questa notte sono morti così tanti innocenti, strappati ingiustamente alla vita!"
"Insomma vuoi pregare" ribatté Talon "Ne sei proprio sicura? Ne avresti per tutto il giorno."
Quando quell'ultima frase gli risuonò nella testa ammise con candore a se stesso di aver appena detto una cattiveria incredibile e non se ne sorprese quando Sioni voltò il capo in sua direzione con aria tanto incredula quanto arrabbiata.
"Cosa?"
"No, niente. Niente."
La lasciò lì in ginocchio a pregare, prendendo a girovagare fra le carcasse beccate da alcuni corvi neri e scheletri di edifici divorati dalle fiamme. Stupidi umani e le loro case di legno.
Camminò senza sosta fra le macerie per diverso tempo, fin quando giunse in un largo benché piccolo piazzale: lì il tanfo di carne bruciata era quasi insopportabile e gli faceva lacrimare gli occhi, ma notò immediatamente che un solo edificio era rimasto perfettamente illeso. Era dalle mura di pietra bianca, con alle spalle un alto campanile.
Una chiesa, una chiesa degli umani, quello che lui classificò come uno pseudo tempio pieno di campane e vetrate.
Affascinato da queste ultime s'avvicinò maggiormente per osservare i decori allo stipite della porta in legno grigio e sui tre piccoli gradini che la precedevano; un grosso arco a volta sorreggeva l'intera struttura, piuttosto piccola in realtà, ma appariscente.
"E perché proprio la chiesa? Stupidi umani e le loro coincidenze."
Estrasse la spada mentre varcava la soglia, più per abitudine che per altro, ma lo fece ugualmente. Alzando il muso osservò le ampie vetrate che partivano sin da terra, rialzate dal pavimento da basi di soltanto qualche centimetro in pietra per poi innalzarsi sin al soffitto: raffiguravano strane immagini di uomini inscatolati nelle loro armature, in sella ai loro destrieri, che cavalcavano dritti dritti nella gigante bocca nera e rossa di un qualcosa di mostruoso. Pian piano riconobbe la storia della guerra contro Whuliat, spostandosi lungo le mura della chiesa e decifrando i disegni sulle altre vetrate. Per qualche motivo erano raffigurati anche Lion ed Aislinn, lui con grosse e lucenti squame e lei con un'eterea chioma color del cielo che andava a congiungersi assieme ai lembi della sua veste bianca e viola sin al soffitto.
Talon non aveva mai visto prima di allora niente di così grandioso e da qualche angolino buio della sua mente emerse il ricordo di vetrate simili, ma che al tempo stesso non ricordava di aver mai visto.
Sbuffò fumo dalle narici e fece dietrofront, uscendo.
Il puzzo nello spiazzo lo colpì con una zaffata così forte da farlo tossire e lacrimare; non ricordava di aver respirato la stessa puzza lì nella chiesa, ma qualcosa gli diceva che se fosse rientrato non avrebbe percepito di nuovo la stessa sensazione.
Fece la strada all'inverso e trovò la Sciamana dove l'aveva lasciata. Il colore dei suoi capelli gli ricordò quello della tunica purpurea di Aislinn e dopo qualche istante di iniziale esitazione le si avvicinò, chinandosi e poggiandole una mano artigliata e squamata su di una spalla, distraendola dalle sue preghiere.
"Sioni. Dobbiamo andare."
Gli fece strano chiamarla per nome, ma soprattutto si chiese se l'avesse fatto per farsi perdonare la battuta infelice di prima. Ad ogni modo era andata, perciò non vi spese su altri pensieri.
La giovane donna rialzò il viso, lentamente, senza fretta. "Sì."
"Dove vuoi andare, adesso?"
"Proseguiremo, Talon. Non importa, proseguiremo fino a quando incontreremo un altro villaggio abbastanza grande. Non possiamo indugiare oltre."
Il Draconico annuì, oramai convinto che in un qualche modo lei potesse percepirlo, seguendola verso la loro prossima destinazione.
Solo una volta si girò per osservare il campanile distante, bianco ed intoccato, e si chiese se fosse davvero solo stata una sciocca coincidenza da umani.

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E via col quinto. Se non mi sbaglio sarà venuto un po' più lungo del precedente, ma amen! ò_ò E c'è l'azione! xD
Grazie ai miei due affezionati lettori ed anche solo a chi sfoglia, alla prossima! ^_^

  
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