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Autore: Elos    16/02/2011    15 recensioni
Sulla casa della famiglia Lovegood era apparso il Marchio Nero in una sera limpidissima di gennaio. Per allora, due dei proprietari di quei cinque visi sul soffitto avevano già cominciato il loro viaggio dall'altra parte del Velo; un'altra si era addormentata e dormiva, dormiva, e non sembrava volersi svegliare; e gli ultimi due ora avrebbero tanto voluto poter essere sull'altro lato del Velo anche loro, Luna lo sapeva.
Luna amava ancora i cinque visi che aveva disegnato molti e molti anni prima sul soffitto della propria stanza: ma le persone per le quali aveva scritto
amici amici amici amici non erano più su quella terra. Non erano più lì da molto, molto tempo. Davvero. [...]
Harry Potter è morto, lunga vita a Voldemort.
I Mangiamorte hanno il controllo dell'Inghilterra, e tutto quel che resta dell'Ordine della Fenice si nasconde a Grimmauld Place portando avanti un'ostinata guerriglia. Qualcosa è andato storto, ma non tutti vogliono gettare la spugna.
Esercito di Potter, il reclutamento è ancora aperto.
Terza classificata al concorso What-If the War...? indetto da Trick.
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dean Thomas, Draco Malfoy, Hermione Granger, Luna Lovegood, Remus Lupin
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VI libro alternativo
- Questa storia fa parte della serie 'Come (non) doveva andare'
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Le cose come sono




La casa della famiglia Lovegood era stata ricavata alla fine del Diciassettesimo Secolo dal trisavolo Arsenicus Saturnino Lovegood all'interno di una stretta torre molto antica e molto alta: per questo aveva avuto sin dal principio stanze piccole con finestre sottili, tutte sovrapposte l'una sull'altra come i pezzi in un gioco di costruzioni.
Quando il suo pro-pro-pronipote Xenophilius Lovegood aveva ereditato la casa, la torre (che al principio era stata solo antica) nel frattempo era diventata vecchia; le finestre erano state allargate per far passare la luce; nella pietra spessa delle mura si erano aperte crepe sottili dalle quali il vento filtrava, fischiando e facendo oscillare i modellini di creature fantastiche fatti di pezzi di vetro, ossicini e pergamena che Luna e suo padre avevano appeso al soffitto. Gli articoli del Cavillo svolazzavano attraverso le stanze ogni volta che soffiava la tramontana, e certe volte capitava che i fogli si disperdessero e che non si riuscisse più a rimetterli nell'ordine giusto, poi: ma Xenophilius diceva che era meglio così, perché spesso gli articoli, ricomposti a questo modo, diventavano più interessanti.
Nel corso degli anni Luna aveva dipinto girasoli sulla credenza della cucina, al pianterreno, e papaveri sulle gambe del tavolo da pranzo; e, ancora, conchiglie e pesci nella vasca da bagno, alghe verdi nel lavandino, un grande sole sbiadito proprio sopra alla macchina tipografica, stelle sulla testiera del letto di suo padre. Sul soffitto della sua stanza, infine, nell'estate del suo quinto anno ad Hogwarts, aveva scritto quattromilacinquecentododici volte la parola amici, intrecciando le lettere l'una dentro l'altra per formare un'unica, grande fune di vernice dorata: aveva contato mentre scriveva, ripetendo ad alta voce, amici amici amici amici, e all'interno della fune aveva disegnato cinque visi che erano stati quelli che aveva più cari dopo quelli di suo padre e di sua madre.
Sulla casa della famiglia Lovegood era apparso il Marchio Nero in una sera limpidissima di gennaio. Per allora, due dei proprietari di quei cinque visi sul soffitto avevano già cominciato il loro viaggio dall'altra parte del Velo; un'altra si era addormentata e dormiva, dormiva, e non sembrava volersi svegliare; e gli ultimi due ora avrebbero tanto voluto poter essere sull'altro lato del Velo anche loro, Luna lo sapeva.
Luna amava ancora i cinque visi che aveva disegnato molti e molti anni prima sul soffitto della propria stanza: ma le persone per le quali aveva scritto amici amici amici amici non erano più su quella terra. Non erano più lì da molto, molto tempo. Davvero.
Luna aveva seppellito Xenophilius Lovegood accanto alle macerie di casa, dopo quella sera di gennaio, proprio sotto all'albero delle mele. Non era triste per lui: dall'altra parte del Velo suo padre avrebbe trovato sciami di Nargilli ad aspettarlo e una casa che sarebbe stata precisamente com'era stata la loro, con sua madre in cucina pronta ad un altro, entusiasmante esperimento. Nessuno avrebbe potuto far loro del male, lì. Luna non era triste per suo padre. Era stata triste per sé stessa, all'inizio, ma poi anche quel dolore era passato.
- Luna? -
Luna Lunatica Lovegood si girò per sorridere a Dean Thomas. Il ragazzo le si avvicinò e, con cauta, gentile lentezza, le appoggiò una mano sulla spalla.
- Pensi sia ora di andarsene? - le chiese. - Qui è tutto finito. -
La casa in cui si trovavano ora non assomigliava affatto alla casa dei Lovegood: era una grande casa molto ariosa, molto moderna, piena di vetrate. Nel giardino c'erano un'altalena, uno scivolo e i pezzi dei quattro Babbani che lì avevano abitato. Due dei corpi erano davvero molto piccoli. Ad un altro mancava la testa. Sull'ultimo – un corpo di donna, aveva pensato Luna, guardandolo, un corpo di mamma – i Mangiamorte avevano particolarmente infierito. I pezzi erano rotti, franti, bruciati. Il sangue aveva formato pozze appiccicose sull'erba verde e, sotto al sole d'agosto, l'odore dolciastro delle cose putrefatte aveva fatto rimettere William Collins, che era il più giovane di tutti loro, dietro ad un cespuglio.
- Bisognerebbe seppellirli, prima. - affermò Luna con dolcezza.
Dean annuì:
- L'abbiamo fatto. -
Luna piegò la testa da una parte e scosse la testa, sgranando gli occhi perpetuamente assenti:
- Oh, no. Non tutti. - e poi, sempre più dolce: - Ce n'è ancora uno. Nella culla, al piano di sopra. -
Un suono viscido e stomachevole di conati annunciò che William Collins aveva vomitato – di nuovo – questa volta sul parquet.


Smaterializzarsi al numero 12 di Grimmauld Place non era mai un'esperienza piacevole.
Avevano alzato tante e tali di quelle barriere tutt'attorno al perimetro dell'edificio che i maghi, anche quelli autorizzati, continuavano a Spaccarsi senza che nessuno potesse far niente in proposito: aprire un passaggio tra gli scudi avrebbe significato indebolirli, ed era comunque sempre meglio perdere un paio di mezze giornate per raccattare dita e orecchie sparpagliate in giro per l'Inghilterra, aveva detto Lee Jordan una volta, che non ritrovarsi i Mangiamorte sulla porta di casa.
Hermione fece appena in tempo a salutare nell'ingresso Luna e Dean, di ritorno insieme ad una mezza dozzina di altri che lei non conosceva – e che non ci teneva particolarmente a conoscere – prima che Neville arrivasse e se li portasse via.
C'era uno dei più giovani, tra quelli dell'Esercito di Potter, che aveva la faccia di un'interessante sfumatura verdognola e il fiato che puzzava di succhi gastrici. Pallido come un cadavere sotto a tutto quel verde, dimostrava anche meno di quella che doveva essere la sua età reale.
Hermione sapeva che Neville aveva messo un limite per il reclutamento - nessuno sotto ai quindici anni - ma continuavano ad arrivarne anche di più giovani, di più piccoli, anche di così piccoli che erano poco più che bambini. Hermione aveva provato a protestare, un paio di volte. Sul serio, ci aveva provato. All'inizio il limite per entrare a far parte dell'Esercito di Potter erano stati i diciassette anni, la maggiore età, ma questo era stato prima dei Tre Giorni di Hogwarts. Non c'era più stata nessuna Hogwarts, dopo. Nessun posto quasi sicuro dove mandare i propri figli, e c'erano tutti questi Mezzosangue e Nati Babbani in giro per l'Inghilterra che proprio non si sapeva dove nascondere...
C'erano momenti in cui Hermione pensava che fossero solo bambini, e che non fosse giusto; e c'erano momenti, poi, in cui si ricordava della sera in cui Harry era entrato in infermeria con una spada in mano, magrissimo e troppo piccolo per i suoi dodici anni e tutto sporco di sangue, e di quell'altra volta in cui Harry aveva affrontato Voldemort e... be', più di una volta. Una volta, due volte, quattro, dieci. Ad un certo punto avevano perso il conto.
Comunque Hermione non gli avrebbe chiesto come si chiamava, a questo ragazzo con la faccia verde, né gli avrebbe suggerito l'infuso di biancospino per eliminare l'alito cattivo e il sapore acidulo che restava incollato alle tonsille. Nossignore. Ne morivano più di quanti ne arrivassero, ultimamente, e seppellire un anonimo era meglio che seppellire qualcuno che si conosceva. Al principio lei si era sforzata di conoscerli tutti, di fare amicizia con tutti, di supportarli tutti: ma poi Draco le aveva spiegato che razza di azione da autolesionista fosse questa, e, be', certe volte anche a Draco capitava – sicuramente per sbaglio – di dare dei buoni consigli.
Si lasciò alle spalle il ragazzo con la faccia verde e tutti i suoi sconosciutissimi compagni, defilandosi su per le scale che portavano al piano di sopra. Un anno prima Draco era finalmente riuscito, con una combinazione di Incantesimi Repellenti, Incanto Aspirante e Dio solo sapeva cos'altro, ad asportare tutto il colore dal quadro della madre di Sirius. C'era un gran silenzio, da allora, nell'atrio. Hermione non sapeva come Draco ci fosse riuscito, ma era disposta a dimostrare verso di lui tutta la tolleranza di questo mondo anche solo per questo.
Nel corridoio del primo piano trovò Angelina Johnson che, con la schiena appoggiata al muro, dava l'impressione di stare di guardia accanto ad un battente chiuso. Hermione le rivolse un cenno del capo a mo' di saluto, prima di aprire la porta ed entrare.
La camera era larga, spaziosa. Qualcuno aveva aggiunto ad una parete una finestra incantata dalla quale entravano a fiotti i raggi del sole: fuori pioveva, e l'aura scura dei Dissennatori impregnava di buio e di nebbia il mattino di Londra, ma dentro, lì dentro, c'erano sempre luce e calore. La carta da parati era stata rinnovata da poco: aleggiava nell'ambiente ancora odore di vernice, di stucco, di colla fresca. Sul letto qualcuno parzialmente sdraiato in mezzo ad una montagna di cuscini guardava verso il soffitto e non sembrava vedere niente; una delle mani elegantissime e curate di Draco gli teneva serrata la mascella tra due dita, spingendo contro le guance per costringerlo a mantenere la bocca aperta e potergli ficcare in bocca cucchiaiate di brodo. La faccia di Severus Piton, nel candore sbiadito della biancheria, sembrava molto più piccola del normale, molto più vuota. Pareva che sul suo viso fosse stata colata una ragnatela di strane rughe sottili e profonde che gli attraversavano il naso, la bocca, gli occhi; mancava un pezzo di orecchio sinistro che nessuno era ancora riuscito a far ricrescere, e mancava una striscia di carne sulla guancia, e poi mancava l'anima degli occhi, quella scintilla che dava l'impressione della vita, del pensiero, che non c'era più.
Severus Piton non gettava occhiatacce a nessuno, di questi tempi: non più, da quando l'avevano recuperato da un posto che Hermione ancora rivedeva, nel fondo di sogni dai quali si svegliava sudata e tremante, chiuso in una cella alta meno d'un metro e mezzo dove non si respirava, quasi, sopra all'odore del sangue, del sudore, e di altro - tutto quel che esce da un corpo umano, e che nessuno aveva pulito.
Non sapevano per quanto tempo fosse rimasto lì dentro; dopo che la sua copertura era saltata - per colpa di uno di loro!, credeva certe volte Hermione, e lo stomaco le faceva male al pensiero - il Signore Oscuro si era gentilmente premurato di esprimergli tutta la sua disapprovazione per il suo doppio, triplo, quadruplo gioco.
Avevano provato a chiedere a Piton cosa fosse successo, sicuro. Avevano provato a fargli molte domande, molte volte. Piton non sembrava intenzionato, tuttavia, ad uscire dal proprio stato catatonico neanche il tempo necessario a rispondere ad una sola di esse.
Le cicatrici erano terribili, l'immobilità era terribile. Il vuoto era terribile. Ma la cosa che riempiva gli incubi di Hermione, la cosa che credeva non sarebbe riuscita mai a dimenticare, era il fetore che si era levato come uno sciame di insetti, assalendoli, quando avevano aperto la porta della cella. Non riusciva ad associarlo, l'odore delle cose che escono da un corpo umano quando il corpo umano perde il controllo, a Severus Piton. Non erano compatibili. Non avrebbero dovuto essere compatibili. Perdita di controllo, Severus Piton. C'era qualcosa di sbagliato.
Gli occhi di Hermione passarono dal corpo sul letto alla figura di un uomo alto, grigio e molto, molto magro, che se ne stava in piedi in fondo alla stanza.
- Buongiorno. - salutò piano.
Draco non diede segno d'averla sentita - e Piton si limitò a far colare un po' del brodo con il quale era stato imboccato da un angolo della bocca - ma Remus si girò e le rivolse un breve cenno del capo e un minuscolo, spossato sorriso:
- Buongiorno, Hermione. -
- Luna e Dean sono tornati. -
Una scintilla di debole interesse si accese negli occhi dell'uomo:
- E gli altri? Sono tornati tutti? -
Hermione scrollò le spalle, con indifferente incertezza:
- Credo. -
Remus le rivolse un'occhiata bizzarra, ma Hermione si limitò ad ignorarla. Era appena riuscita ad apprendere la regola del meglio non sapere: Remus non sarebbe riuscito a trarla fuori dal suo stato di beata ignoranza, nossignore.
Dopo un attimo di penetrante, disagevole silenzio, Remus si staccò dal muro:
- Vado a sentire com'è andata. Draco, Hermione... -
Hermione ricambiò il saluto, ma Draco, di nuovo, sembrò non averlo nemmeno sentito. Quando la porta della stanza si chiuse alle spalle di Remus, lasciandoli soli, la ragazza si mosse per affiancare l'altro, fermandosi alla sinistra della sua sedia.
- La Veggente pazza è tornata recando con sé altre buone notizie? - domandò Draco tutto ad un tratto, pesantemente beffardo. - Se sono come quelle dell'ultima volta, io non le voglio conoscere. -
- Non lo so. - replicò Hermione. - Non ho avuto il tempo di parlarle. - E poi, in un mormorio: - Come vanno le cose? -
Draco allungò una mano ed asciugò il brodo dalla faccia di Piton con un tovagliolo. Nessuno di loro usava la magia di fronte all'uomo: Piton non sembrava reagire bene alla vista di bacchette agitate, soprattutto quando venivano puntate nella sua direzione. Una reazione comprensibile, aveva detto Hermione una volta, prima che Draco l'invitasse educatamente ad andare a farsi fottere.
- Benissimo. - rispose il ragazzo, con uno sfoggio di sarcasmo che avrebbe fatto l'orgoglio del mago che aveva sdraiato davanti - se questi fosse stato ancora in grado di recepirlo, certo. - Va tutto a meraviglia, Granger. -
E poi, girandosi verso di lei per guardarla ed allargando le braccia in un gesto che sembrava voler comprendere tutto quello che la stanza conteneva – una finta finestra e una nuova carta da parati, l'odore di colla fresca e di muffa vecchia e sul letto un uomo-pianta, che una volta era stato il migliore di tutti loro e che adesso si faceva colare il brodo dalla bocca semiaperta – le chiese:
- Perché? Ti ricordi che sia mai andata meglio di così? -


Quando Angelina teneva la testa piegata era facile non vedere quel che c'era da vedere (e che comunque nessuno voleva guardare): i segni scavati sulla pelle scura della gola, del mento, brandelli di collo che erano stati strappati via e che si erano lasciati dietro la carne viva e rosata dove il sangue sembrava pulsare vicinissimo alla superficie. In un certo senso, pensava Remus certe volte, avere quei segni addosso faceva di Angelina qualcosa di simile ad una sorella. Erano nati nella stessa maniera. Generati dalla stessa persona - dallo stesso mostro. Venivano fuori dallo stesso buio. Guardavano la stessa luna, allo stesso modo.
Remus si chiuse alle spalle la porta della stanza di Severus Piton, con gentilezza, per non far rumore; e, quando si incamminò lungo il corridoio e verso le scale, Angelina gli andò dietro. Lo seguiva passo passo e fedelmente, ricordando a Remus, certe volte, il modo in cui il più giovane dei maschi Weasley aveva tallonato attraverso le sale di Hogwarts Harry, il suo migliore amico; e certe altre volte, invece, ricordandogli Felpato. Remus non sapeva quale delle due memorie fosse la peggiore.
Vennero fermati da Kingsley Shacklebolt prima che potessero imboccare le scale. L'alto, forte mago venne loro incontro affermando:
- Le Patil sono tornate. -
Angelina alzò la testa con improvviso interesse. Da quando l'ultimo morso di Greyback era affondato ben oltre la pelle, lacerando e danneggiando la trachea e le corde vocali, la sua bella voce profonda era diventata rauca e stridente: non parlava più molto, se poteva evitarlo, ma tutto il suo corpo, tutta la sua faccia, erano diventati straordinariamente espressivi.
- Sembra ci sarà un raid ad Hogwarts. - disse Kingsley. - Gira voce a Nocturne Alley che i Mangiamorte stiano cercando qualcosa per conto del loro padrone. -
Remus inclinò il capo da una parte, perplesso:
- Ad Hogwarts? Cosa possono cercare che non abbiano già preso? -
- Non sono mai riusciti ad entrare nell'ufficio del Preside. - gli ricordò Kingsley.
Non c'era riuscito nessuno, pensò Remus. L'ufficio del Preside era chiuso, sbarrato, per tutti. L'ufficio del Preside era diventato terra aliena, fuori portata: forse Harry sarebbe riuscito a mettere piede al suo interno - ma anche Harry era fuori portata, ora.
- E le Patil non sanno che cos'è che i Mangiamorte stanno cercando? -
- No. La Lovegood dice che, qualunque cosa sia, non la troveranno, ma... - Kingsley si interruppe. Gettò una lunga occhiata ad Angelina, e tutta la sua espressione formale e distaccata parve ammorbidirsi. Rimase in silenzio per un attimo, prima di affermare: - La Lovegood sostiene anche che Greyback e la Lestrange prenderanno parte al raid. -
L'espressione di Remus non lasciò passare niente: nulla di niente, assolutamente, il vuoto più totale, vacuo e cortese e solo vagamente interessato. Angelina socchiuse gli occhi e spostò il proprio peso da una gamba all'altra, ma questa fu tutta la reazione. Kingsley tacque ancora per un istante; poi, annuì lentamente:
- Molto bene. E' in corso una riunione d'emergenza al piano di sotto. Aspetteranno che arrivino i Weasley per decidere cosa fare, ma se volete andare a sentire, nel frattempo... -
- Lo faremo. - lo interruppe Remus, gentilmente. - Grazie, Kingsley. -
L'uomo rivolse a lui ed Angelina l'ennesima lunga occhiata, prima di abbozzare un cenno del capo e proseguire nella direzione della stanza di Piton: probabilmente, rifletté Remus, andava a chiamare Hermione e Draco.
- Sembra un segno. - mormorò Angelina, alla sua destra. - Due in un colpo solo. -
Remus si girò per guardarla in viso. Esitò per un istante, combattuto, prima di affermare stancamente:
- Non credo dovresti andare. -
Gli occhi di Angelina arsero improvvisamente di una furia tale da trasformare il color di cioccolata delle iridi in nero, scurissimo e compatto: quand'era così sembrava che quel che c'era in lei s'affacciasse per un attimo alla porta, irrequieto, buttando uno sguardo nei dintorni per vedere se poteva uscire, se poteva farsi vedere, allungare una zampa, anche solo per una passeggiatina.
La voce della ragazza uscì fuori in un sibilo:
- Tu non andrai? -
Remus pensò a Bellatrix Black, Bellatrix Lestrange. Sentì d'avere le orecchie piene della sua risata, come una marea, un'inondazione, acqua sporca e inquinata che non permetteva alle ferite di cicatrizzarsi. Pensò all'espressione di assoluta, sconfitta sorpresa sul volto di Sirius mentre volava attraverso il Velo, e lui era lì, lo rivedeva tutte le notti, e non faceva in tempo ad afferrarlo; pensò alle urla di Harry e a Ninfadora, al suo bellissimo viso mutevole, le mani di lui troppo vecchie sulla sua gola di ragazza, sulle sue spalle, sulla sua pancia. Pensò a quel bambino mai nato che forse era stata una benedizione - mai nato, nessuno gli avrebbe sputato addosso, non avrebbe mai avuto su di sé la luce del sole, ma mai gli sarebbe stato chiesto di attraversare da solo le notti di luna.
- Non lo so. - rispose sincero. E poi, con una scrollata di spalle: - E' un bene che non spetti a me decidere. Non credi? -
E' un bene che non spetti a noi decidere. Le stava dicendo. E' un bene che non si stia parlando di vendetta, non ancora, perché il giorno in cui se ne parlerà, il giorno in cui sarà il momento di riscuoterla, noi la riscuoteremo. Sguazzeremo nel sangue, e ci piacerà da impazzire.
Angelina lo guardò senza rispondere: e, dopo un attimo di silenzio, Remus accennò ancora una volta alle scale. Allungò una mano, con gentilezza, e la posò sulla spalla della ragazza: lei si ritrasse impercettibilmente, sussultando al contatto, ma poi gli permise di tenere le dita dove le aveva, di toccarla.
- Vogliamo andare a sentire, allora? -
Angelina si guardò intorno per un attimo, a disagio. Infine, assentì brevemente.
Percorsero l'ultimo tratto del corridoio affiancati, la mano di Remus ancora sulla spalla della ragazza come un conforto, una rassicurazione. Scesero le scale e Remus guardò dritto avanti a sé, senza girarsi; ma Angelina si volse e gettò una lunga occhiata ad una porta semichiusa proprio accanto al primo gradino. Ebbe il tempo di vedere lunghi, lunghissimi capelli rossi gettati sulle lenzuola e sul cuscino, un'impressione di alghe abbandonate dopo una mareggiata a disseccarsi al sole. Tremò, accostandosi a Remus, e chiuse gli occhi.
C'era passato solo tanto così, pensava certe volte, solo tanto così, a separare lei da quello.


La Bella Addormentata, pensava Hermione: se la guardavi dal vano della porta potevi credere che fosse quello che stavi guardando, la Bella Addormentata. Aveva la pelle chiara, gli occhi chiusi. Sua madre le aveva messo una camicia da notte pulita, il giorno prima, con il collo decorato da un giro di pizzo; e su tutto il candore delle lenzuola e della biancheria i capelli erano rossi come petali di papavero.
Se facevi due passi in avanti, invece, la luce la colpiva in pieno. Ti ritrovavi con il trucco del prestigiatore svelato, così, e potevi vedere le cose per quello che erano: e tutti quei bellissimi capelli da papavero erano sfibrati e secchi malgrado i balsami e le pozioni e i colpi di spazzola della signora Weasley, e le braccia erano magrissime, le dita ossute - non c'erano più il mignolo e l'anulare sulla sinistra, e l'altra mano era venuta fuori tutta storta e contratta per qualcosa che le avevano fatto, Hermione non voleva sapere cosa - e il viso a forma di cuore era coperto di tessuto cicatriziale sulla guancia e sulla tempia, dove un'ustione aveva portato via ogni tessuto vivo fino all'osso.
Hermione la guardava e pensava a tutti quelli che erano morti per tenerla in vita, a tutto quel che era stato sacrificato per lei, e per averla così, poi.
Si allungò per controllare la flebo ed essere sicura che l'acqua scendesse a sufficienza giù per il congegno Babbano, e la voce di Draco la colse di sorpresa:
- Di nuovo qui ad annaffiare la pianta? -
Hermione l'aveva odiato, per qualche tempo, Draco: per Silente, soprattutto, e poi per tutte le volte in cui l'aveva chiamata mezzosangue e per tutte le altre volte in cui aveva reso la vita di Ron ed Harry - soprattutto quella di Harry - un po' più difficile. Non l'aveva odiato quanto odiava i veri Mangiamorte, sicuro, ma abbastanza da disprezzarlo e da desiderare di fargli del male: però poi avevano ritrovato Severus Piton, e... e tutti sapevano cos'era successo ai Malfoy, e dopotutto Draco era stato un piccolo e schifoso vigliacco, sicuro, ma non un assassino, e adesso era così strano, così... così poco spaventato da tutto, come se il mondo avesse perso di importanza, come se sopravvivere avesse perso di importanza, che Hermione aveva smesso di essere arrabbiata. Semplicemente, si era stancata.
L'Esercito di Potter lavorava per coppie: nessuno girava da solo, mai, e lei aveva chiesto al principio di avere Draco come compagno per poterlo tenere sott'occhio; ma poi, man mano che l'odio svaniva, che il disprezzo sembrava diluirsi, aveva scoperto di essersi abituata. Draco non era Ron, non era Harry; ma era qualcuno che veniva da prima, da Hogwarts, dai giorni bellissimi di lezioni e di cose giuste, ed Hermione, quando lui era arrivato, non aveva ancora imparato la regola del è meglio stare da soli.
A Draco poteva dire tutto quello che le passava per la testa, se ne sentiva il bisogno: tanto, rifletteva Hermione cinicamente, non avrebbe avuto nessuno a cui ripeterlo.
- Una volta... - affermò lei guardando Ginny, allungando una mano per accarezzarle i capelli distrutti. - … Silente disse ad Harry che era l'amore la sua forza più grande. Era l'amore il potere che gli avrebbe permesso di sconfiggere Voldemort, quello che lo rendeva più potente di lui. -
Per un attimo, l'unico rumore nella stanza fu quello del respiro sibilante della ragazza sul letto, del fruscio leggero delle dita di Hermione tra le sue ciocche. Poi Draco esplose in una risata rauca, asciutta, sghignazzante. I suoi occhi sempre un po' vuoti passarono da Hermione a Ginny, e la risata si fece più alta. Quando riuscì a calmarsi - e nel frattempo Hermione non aveva dato mostra di sorpresa, né si era girata a guardarlo - indicò la giovane sul letto ed esclamò con un ghigno che, tutto considerato, non sembrava poi molto divertito:
- Chissà se il vecchio pazzo direbbe ancora qualcosa del genere, adesso. -
Il potere che avrebbe dovuto essere la morte di Voldemort, pensò Hermione, aveva ucciso Ron, aveva ucciso Harry. Forse aveva causato la fine della guerra. La morte di tutti loro. Forse avevano già perduto ogni cosa – forse erano già morti. Come cavie da laboratorio, come topi in un labirinto di plastica, si ostinavano a cozzare la testa contro le pareti che li serravano, ma non sarebbero andati da nessuna parte.
Dopo un altro, lunghissimo istante di silenzio, Draco affermò:
- Paciock ha detto che ci sarà un raid di Mangiamorte, ad Hogwarts, e la Lovegood è convinta che Greyback andrà con loro. Vogliono parlare con te, giù di sotto. - Hermione poté quasi sentire, nella sua voce, la smorfia disgustata che doveva piegargli la faccia. - In cucina è pieno di Weasley. -
Ma non c'è Ginny, pensò lei, non c'è Percy, né Ron. Si chiese se avrebbe mai smesso di farle male, e sperò che mai, mai, mai. Che mai smettesse. Che restasse sempre lì, con lei, se era tutto quel che di loro le sarebbe stato permesso di conservare, finché la fine non fosse arrivata.
Ci sarebbe stato un raid, aveva detto Draco. Un raid, e Greyback. Greyback che aveva torturato Ginny. Che doveva aver torturato Ron, Harry, le sue mani di mostro su di loro, e nessuno dei due poteva aver avuto una buona morte.
Hermione si chinò. Depose un bacio leggero sulla fronte della ragazza addormentata e chiuse gli occhi, per un attimo, cercando di fiutare sulla sua pelle l'odore dei giorni migliori, quelli passati. Ginny era fredda, respirava appena. Sapeva di sapone, sapeva un po' di Ron. Quando Hermione si risollevò, girandosi verso Draco, aveva gli occhi bene aperti e l'espressione neutra.
- Andiamo. - gli disse.






Note della storia: Questa storia può essere considerata un prologo alla flashfic Quel che c'è nel fondo, ma può tranquillamente essere letta come una storia a sé stante.
Siamo in un possibile futuro dove qualcosa è andato storto: i Mangiamorte stanno vincendo la guerra e dominano l'Inghilterra. I sopravvissuti che osteggiano Voldemort si sono radunati per cercare d'opporre resistenza. La storia si stacca da quella di Harry Potter all'altezza del sesto libro, più o meno; tutti gli eventi fino al funerale di Silente sono i medesimi, ma da lì in poi cambia tutto.
Ho deciso di seguire le scelte della traduzione italiana di Harry Potter: innanzitutto perché ci sono affezionata, e poi perché credo siano tutto sommato quasi sempre (e sottolineo quasi) delle buone scelte. Per cui ho optato per Piton al posto di Snape, Paciock al posto di Longbottom, Mezzosangue al posto di Mudblood e via discorrendo.


Questa storia ha partecipato al concorso What-If the War...? indetto da Trick classificandosi terza. Potete trovare qui i giudizi di Trick e di SakiJune, che ringrazio per l'eccezionale rapidità, la completezza, e gli spunti di riflessione che mi hanno dato su alcuni personaggi in particolar modo.


Sarebbe valsa la pena di partecipare al concorso anche solo per avere un banner così. *_*



I miei complimenti a tutte le partecipanti, e in particolar modo ad ely79 e fri rapace, rispettivamente prima e seconda classificate!
Qui sotto, i links alle storie già pubblicate, che vi invito caldamente a sbirciare!
L'Esercito dei Sopravvissuti di CruellaDeVil
Family Portrait di Ely79
Così, non c'è speranza di fri rapace
  
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