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Autore: Ely79    10/02/2011    6 recensioni
Harry è morto. Il doppiogioco di Piton è stato smascherato. Lord Voldemort ha trionfato ed i Mangiamorte con lui. Qualcuno però non si arrende e continua a mettere in difficoltà i seguaci del Maestro, aleggiando funesto sulle vite dei suoi adepti e sui sogni dei giovani Purosangue.
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo personaggio, Rabastan Lestrange, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo, Più contesti
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- Questa storia fa parte della serie 'Rabastan Lestrange'
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Antefatto
Questa storia ha partecipato al contest "What-If the War" indetto da Trick, classificandosi prima. Il giudizio dei giudici, Trick e SakiJune, verrà riportato al termine dell'ultimo capitolo.
NB. In quanche modo la storia prende le mosse dalla mia "Diciotto calle bianche", ma potete leggerla a prescindere da essa. Buona lettura!

FM 
Trick

Antefatto


6 maggio 1980
Salone estivo, Lestrange Hall, Cornovaglia

Misurò a larghi passi il salone, intento a soppesare parole e lacrime. Da qualche tempo la battaglia s’inaspriva: avevano subito perdite, molti erano rimasti feriti, alcuni erano stati imprigionati ad Azkaban con l’accusa di essere dei sovversivi. Li spacciavano per delinquenti efferati, ma la verità era che loro stavano combattendo per un mondo migliore, dove la magia potesse tornare nelle mani di chi la meritava davvero.
«Non voglio perderti» singhiozzò nuovamente la donna, il volto sprofondato fra le mani.
Si volse a guardarla. Era così fragile nella sua disperazione, la figura di un dramma troppo grande per un palcoscenico infinitamente piccolo. Rabastan sedette al suo fianco, cingendole le spalle con un braccio.
«Lo faccio per noi. Per il nostro futuro».
«Ho paura» pianse Elanor, cercando conforto sul petto del marito. «Ogni giorno esci da quella porta e non so se ti vedrò tornare. Gli Auror passano di continuo fuori dei nostri cancelli, sorvolano la tenuta, in attesa di un pretesto qualsiasi per portarti via. Ogni volta che sento i cani abbaiare temo di vederli avanzare, pronti a distruggere la nostra vita».
Tremava mentre parlava, facendogli desiderare di poter porre fine al più presto a quel tormento. A volte, nel cuore della notte, la sentiva alzarsi e andare alle finestre in cerca di presenze rivelatrici. Poi tornava a letto e si stendeva su di lui, quasi tentasse di difenderlo con il suo corpo fragile e minuto, da chi covava nell’ombra.
«Rabastan, ti scongiuro… ascoltami».
Gli occhi azzurri del marito la fissarono a lungo. Uno sguardo che parlava di una decisione già presa, irrevocabile e legittima.
«Ti prego» lo supplicò, le guance bagnate di lacrime.
Le asciugò il viso con quella mano che ogni notte si muoveva nell’aria, tracciando scie mortali. Una, dieci, cento vite in meno, pur di salvarne una sola. Quella della sua Elanor.
«Ho giurato di servire il Maestro» rispose torvo, provando la sgradevole sensazione d’essere abitato da un animale mostruoso. Il Marchio Nero. «Non lascerò che un gruppo di fasulli paladini ostacoli il progetto. Dobbiamo vincere e rimettere a posto le cose. La magia deve tornare ad essere nostra. Tu devi avere ciò che quegli esseri indegni ti hanno sottratto. La magia è nostra di diritto e la riavremo».
Elanor ascoltava, le labbra strette per l’ansia ed il timore di udire quanto sarebbe seguito. Rabastan aveva solo ventitré anni, eppure mostrava un discernimento degno di un uomo molto più maturo. E lei, di due anni più giovane, a volte stentava a comprendere il perché delle sue scelte, anche se giuste e ponderate.
«Sarei felice di dare la mia vita per vederti diventare la strega che hai sempre sognato, ma so che non sarà necessario. Non permetterò a nessuno di mettersi sulla strada della tua guarigione, nessuno interferirà con la mia battaglia. Io vivrò per te. L’ho promesso e sai che non è da me venir meno alla parola data» disse, zittendo le proteste della moglie con un bacio affettuoso. «Riavrai ciò che quegli infami ti hanno tolto con l’inganno»
«Rabastan…»
«Ti guarirò, fosse l’ultima cosa che faccio» promise.
Nonostante il dolore che l’attanagliava, Elanor cercò d’annuire alla promessa del suo amato sposo. Aveva sempre mantenuto i suoi giuramenti, anche a costo di fare scelte pericolose o impopolari.
«Fidati di me, Elanor. Fidati di Lord Voldemort» la esortò, tenendola stretta a sé.

***

8 maggio 1980
Salone dei Marmi Verdi, Lestrange-Black Manor, Northumbria

«Cosa?!» strillò isterica Bellatrix, mandando in frantumi un grosso vaso. «L’ha convinta che sbagliava?»
«So quanto la notizia ti rattristi, ma Rabastan l’ha convinta che i suoi timori sono infondati, dovuti ai tentativi di opposizione dei mentecatti di Silente e che non ha di che preoccuparsi. Qualunque cosa accada, noi vinceremo» spiegò con calma Rodolphus.
«Avevamo stabilito che sarebbe morta! Dovevi ucciderla!» urlò, fuori di sé.
Due quadri vennero fatti a brandelli dai Tagliuzzanti della strega. Essere privata del piacere di un’agonia era qualcosa che non poteva accettare a cuor leggero.
«Ora non serve più» rispose laconico, levando di scatto la bacchetta per deviare l’incantesimo diretto alla bottiglia di cognac che teneva in mano.
Quando sua moglie perdeva il controllo, si accaniva contro chiunque fosse nei paraggi. Il bisogno spasmodico di causare dolore e sofferenza le riempiva la testa fino a traboccare e a riversarsi su ogni cosa. Non molto tempo prima aveva ucciso il gatto della Carrow come contropartita per non essere riuscita a freddare il reietto Sirius Black.
«E se cambiasse idea un’altra volta? Il tuo caro fratellino mette lei avanti la causa! Se se ne andasse nel momento sbagliato, quando più abbiamo bisogno della sua forza? Ci hai pensato, stupido bamboccio?»
Che lei gli rinfacciasse di continuo la loro differenza d’età non lo toccava minimamente. Sapeva che, in fondo, era tra i punti di forza del loro matrimonio.
«Non accadrà, stai tranquilla» l’interruppe con un gesto perentorio della mano.
«Ma quella…» insisté, la voce resa stridula dalle troppe grida.
«Bellatrix!» la zittì, alzando la voce per tornare ad un tono più pacato subito dopo. «Il Maestro in persona mi ha detto che va bene così. Vorresti disattendere le sue parole? Oseresti tanto?»
Mentiva. Lord Voldemort non era minimamente interessato alle beghe familiari dei Mangiamorte. Lasciava che ciascuno degli adepti risolvesse da sé quel tipo di problemi.
«Oseresti?» ripeté, irritato.
Scrutò la donna, i suoi capelli arruffati, lo sguardo stravolto, ansimare per lo sforzo di reprimere tutta la collera che provava.
«No, certo che no» sbuffò, dando un calcio all’elfo che stava raccogliendo i cocci del vaso.
«Bene. Allora brindiamo a questa rinnovata alleanza» disse, porgendole un bicchiere di liquore. «E non temere, amore mio: molto presto troveremo qualcun altro su cui sfogare i nostri bisogni di morte».

***

21 luglio 1997
Malfoy Manor, Wiltshire

La sera calava pigra sulla campagna. Un nastro sanguigno si stendeva all’orizzonte, oltre il viale dove una coppia di pavoni becchettava fra la ghiaia. Una pace stranamente tesa regnava sul mondo.
Oltre il grande cancello apparve una figura minuta, avvolta in un mantello di un tenue color pervinca. Mosse la mano e il cancello si aprì. Gli uccelli si allontanarono lanciando stridule grida, scomparendo dietro le siepi dove avevano il nido.
Nonostante il lussureggiante tripudio del giardino declamasse a gran voce la meraviglia dell’estate, il vuoto che vi regnava raccontava una storia diversa. Una storia di paura e tenebra.
La villa crebbe dinnanzi ai suoi occhi, dispiegandosi nella sua austera maestà. Salì lentamente il grande scalone, notando segni di incantesimi sulle colonne e i cornicioni.
Esitò un istante prima di bussare. L’eco dei colpi si spense rapido, lasciandola sola con i suoi pensieri.
Ad un tratto, un’altra donna apparve dietro i battenti di quercia, scrutando con stupore l’ospite inattesa. Il biondo dei suoi capelli aveva perso da tempo l’abituale luminosità.
«Elanor?» esclamò perplessa la padrona di casa. «Che fai qui?»
Il brivido nella voce tradiva la sua angoscia. Da mesi il palazzo si era tramutato in un covo di latitanti e figure cupe. Proprio non era in vena di ricevere visite di cortesia: la situazione era abbastanza difficile senza che quella strega arrivasse a farle un’improvvisata.
«Narcissa, ti prego, fammi entrare. È importante».
L’altra esitava, le dita che artigliavano disperate la maniglia d’ottone.
«Devo parlargli. È importante» spiegò.
«Vattene, Elanor. Per favore. Lui non…» iniziò, le labbra che tremavano.
«Non cercare di dissuadermi, Narcissa. So che il Maestro è qui» replicò decisa, posando una mano sulla porta.
Camminarono in silenzio nei corridoi ombrosi, dirigendosi al piano superiore, al salone che Lord Voldemort aveva eletto a suo quartier generale.
«Elanor!»
La donna si volse, scoprendo un uomo che avanzava correndo verso di lei. Ebbe a malapena il tempo di riconoscere il volto di suo marito dietro alla barba bionda e incolta.
«Rabastan!»
Si vedevano talmente di rado, che quasi non c’era differenza col periodo durante il quale lui era stato ad Azkaban. Ora, però, le cose stavano cambiando.
«Perché sei venuta?» domandò, gli occhi azzurri sul ventre della donna.
Era incinta di soli due mesi, il medimago si era raccomandato più volte che stesse a riposo, che non compisse sforzi o venisse coinvolta in situazioni troppo stressanti.
«Ho vissuto come una vedova per quindici anni, a causa di chi è così cieco da non capire dov’è il bene della nostra gente. Non ho intenzione di continuare a guardare le cose senza fare nulla, Rabastan» disse, lasciandosi circondare da quelle braccia forti di cui aveva potuto godere per troppo poco tempo. «Dovevo venire. Forse da quello che so può dipendere la vita di nostro figlio».
Poco dopo erano al cospetto dell’Oscuro Signore.
«Ebbene, Lady Lestrange? Perché tanto desiderio d’incontrarmi? Non mi pare facciate parte delle nostre schiere» osservò distrattamente Lord Voldemort, seduto accanto al camino.
Le spire del suo serpente l’avvolgevano come una catena vivente.
«Questo è vero, mio Signore. Ma avete l’appoggio della mia famiglia, per quanto sia ben misera cosa» esordì, inchinandosi elegantemente.
Non era mai stato un mistero infatti che i Charlton, pur essendo dei Purosangue, non vantassero una rete di contatti o delle sicurezze finanziarie pari alle casate più antiche.
«Non avrei mai ardito disturbarvi, se non si fosse trattato di qualcosa di estremamente importante. Vengo per avvertirvi, prima che sia troppo tardi. C’è un traditore fra le vostre schiere, mio Signore. Lo so per certo».
Il mago sembrò non ascoltarla. Rimase in silenzio, gli orribili occhi scarlatti che parevano tingere le fiamme di sfumature sanguinolente.
«E ditemi, di chi si tratterebbe?»
«Severus Piton».
I presenti si scambiarono occhiate scettiche e derisorie.
«Piton!» gridò sguaiata Bellatrix. «Lo sapevo!»
La strega non aveva mai fatto mistero della poca fiducia che nutriva nei confronti del discepolo prediletto del Maestro.
«Le vostre accuse sono gravi, Lady Lestrange. Severus Piton è uno dei miei uomini più fidati» disse voltandosi.
Elanor abbassò per un attimo gli occhi, rialzandoli subito dopo. Quell’uomo emanava potere anche senza una bacchetta in mano. Paura e sgomento si spandevano nell’aria ad ogni suo cenno.
«Me ne rendo conto, Milord. Eppure sono certa di quel che ho veduto e sentito. Disponete liberamente della mia mente, saprete che sto dicendo la verità».
Rabastan, che fino a quel momento era rimasto immobile al suo fianco, ebbe un brivido di timore, ma guardandola fare un passo in avanti per ribadire la propria sicurezza, si sentì invadere dall’ammirazione.
«Donna ardita tua moglie, Lestrange» sibilò mellifluo Lord Voldemort.
«È devota alla causa quanto me» replicò con orgoglio e timore.
«Me ne compiaccio» sogghignò alzandosi.
Le dita lunghe e pallide accarezzarono con gesti lenti la bacchetta, prima di pronunciare l’incantesimo.
«Legilimens».
Davanti a lui apparve l’interno di Magie Sinister, con il vecchio Sinister appollaiato come un gufo malato sul suo sgabello, dietro al bancone. Il negoziante stava terminando d’incartare una scatola di pillole di milza di Opaleye, una costosa cura bandita dal Ministero della Magia. All’improvviso, il ringhio sommesso di un cane, accanto alla porta. La donna scopriva ciò che aveva allarmato il suo levriero nello svolazzo inconfondibile di un manto nero che svaniva rapido in una traversa.
Un istante dopo, erano le vetrine sporche e scheggiate di una bettola di terz’ordine a dividere la donna dall’interno altrettanto lurido della locanda. Dentro, il professore sedeva al tavolo con un omuncolo dall’aria insulsa. L’espressione vacua di questo la diceva lunga sul suo stato: era vittima di un incantesimo, forse un Imperius o una Maledizione simile. I due conversavano a mezza voce, ma tra le crepe ed i pezzi mancanti della finestra, Elanor riuscì ad ascoltare le disposizioni che il nero servitore stava dando all’altro. Si trattava di un metodo per depistare coloro i quali avrebbero preso parte all’attacco previsto per il trasferimento di Potter.
La stanza riapparve, invasa dalle ombre del crepuscolo. Lady Lestrange era sostenuta dal marito e dalla cognata, la quale le sorrideva con un’espressione folle di trionfo.
«Selwynn, Travers» chiamò, levando una mano pallida e sottile.
I due emersero dall’ombra, rivelando solo in quel momento la loro presenza.
«Seguite le indicazioni che vi darà Lady Lestrange e trovate l’uomo con cui parlava Severus. Scoprite se le cose sono andate come lei crede d’aver visto e riferitemi».
I due Mangiamorte s’inchinarono e, dopo aver ricevuto le informazioni necessarie, si Smaterializzarono alla volta dei vicoli di Notturn Alley.
Nelle ore successive, la dimora fu percorsa da un continuo brusio. Tra i Mangiamorte correvano gli interrogativi più disparati. C’era chi era convinto dell’innocenza di Piton, chi lo condannava a priori, chi invece sospettava un’implicazione di Silente. Se l’ultima affermazione si fosse rivelata fondata, ciò avrebbe significato che la copertura di quel buono a nulla doveva essere saltata da un pezzo, rendendoli vulnerabili.
Quando gli inviati fecero ritorno, il salone era stipato di gente in fervida attesa.
«Madam dice il vero» esordì Travers, gettando qualcosa sul tavolo di marmo.
Era un medaglione che recava uno scudo quadripartito con simboli araldici legati da una “H”.
«Prima d’essere affatturato, quel ladruncolo da quattro soldi ha sottratto questo al suo interlocutore. È di Piton, non c’è alcun dubbio: questo amuleto viene dato al Preside di Hogwarts alla sua entrata in servizio. E lui è il nuovo Preside» rimarcò Selwyn a denti stretti.
Era schifato all’idea che sua figlia frequentasse il quarto anno di scuola sotto l’egida di un traditore.
«Carrow, lo confermi?»
Amycus strisciò via dal muro e strizzò gli occhi sulle cesellature.
«Sì, Signore, è di Piton» confermò.
Trascorsero altri lunghi minuti, durante i quali il mago tornò accanto al camino, seguito dal fedele rettile. A molti sembrò che i due discutessero in un linguaggio segreto, privo di suoni, decidendo il da farsi.
D’un tratto, Lord Voldemort si rivolse nuovamente a Carrow.
«Prendilo e riportalo a Severus, dicendogli che l’ha trovato un elfo della villa dopo il nostro ultimo incontro. E bada di essere convincente. Non devi destare alcun sospetto» l’ammonì, facendo ondeggiare elegantemente la bacchetta sulla punta delle dita.
Il mago raggiunse una finestra, arrivando quasi a scomparire contro il cielo notturno. Foschi pensieri di vendetta si agitavano nella sua mente.
«Avevate ragione, Lady Lestrange. Le vostre si sono rivelate informazioni estremamente preziose» sorrise, accarezzando il capo di Nagini.
   
 
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