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Autore: MrEvilside    16/02/2011    3 recensioni
Belial aveva incontrato molti uomini. Talvolta si chiedeva se non avesse conosciuto tutti gli uomini della Terra, tutti gli angeli del Paradiso e tutti i demoni dell’Inferno, sia nella vita quotidiana che a letto, eccezion fatta per Asmodeus, il suo padrone Lucifero e Rosiel l’angelo inorganico. Quest’ultimo – doveva ammetterlo suo malgrado – era tra gli individui più stravaganti con cui avesse avuto a che fare.
[ missing moment situato nel volume diciannove della ristampa Gold, scritto per la Clash Of The Writing Titans con prompt "guerra" ]
[ main: Rosiel/Belial; side: Lucifero/Belial, Lucifero/Rosiel ]
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belial (Cappellaio Matto), Lucifero, Rosiel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Fuori si combatteva una guerra, dentro vorticava l’universo
 
«Oh, Lucifero,» cantilenò «vorrei che tu potessi vedermi com’ero prima».
Stravaccato su un trono di pietra consumato dai rampicanti, teneva accavallate le lunghe gambe nude e il viso riposava sulle nocche d’una mano mentre le dita della gemella si intrecciavano ad una ciocca dei lunghi capelli color zaffiro.
«Odio questo aspetto» riprese, più a se stesso che a Lucifero, che si trovava in piedi alle spalle dello scranno, come un fedele servitore. «Mi ricorda…»
Passò un dito sulla propria guancia. La percepì tonda, eccessivamente tonda per un adulto, attraversata da un reticolo di tentacoli simili a cicatrici.
«… com’ero quando Dio mi creò».
«Ti ricorderò com’eri prima di divorare Sandalphon» affermò con freddezza Lucifero, senza muovere quasi neppure le labbra. Stringeva i bordi dello schienale con le grandi mani bianche e si perdeva distrattamente tra le ciocche azzurre dell’angelo inorganico.
«Ti ringrazio, Lucifero». Si compiacque, Rosiel, nell’udir echeggiare la propria risata e scoprire che era ancora bella e armoniosa com’era stata prima che si impadronisse dei poteri di Sandalphon. Reclinò il capo all’indietro, incrociò lo sguardo senza espressione del signore oscuro e allungò le braccia verso di lui, come un bimbo che voglia essere preso in braccio dalla sua mamma. «Mi sto annoiando, quello stupido non arriva mai!» sbuffò con voce lamentosa, mentre Lucifero si chinava per permettergli di cingergli il collo. «Voglio fare un gioco!»
Se non fosse stato Rosiel, Lucifero avrebbe creduto sciocca una creatura che volesse giocare durante una guerra terribile quanto quella in atto. Eppure l’angelo inorganico, dietro quel bel volto sorridente, nascondeva amarezza, smania di vendetta, amore proibito e timore, anche, al pensiero di ciò che lo aspettava nell’Etenamenki.
Il signore oscuro era un demone arrogante, sin troppo consapevole delle proprie capacità eccezionali, ma sarebbe stato uno stupido a sottovalutare Rosiel.
«A che gioco desideri giocare?» volle sapere, gelido e gentile ad un tempo.
L’angelo inorganico rifletté per qualche istante, poi stiracchiò gambe e braccia in un gesto che manifestava con eloquenza la sua noia. «Chiama il tuo giullare, il Cappellaio Matto» decise infine. «Fa’ che mi diverta un poco».
Belial apparve nel giardino abbandonato, obbediente, pochi momenti dopo che Lucifero l’ebbe chiamata al suo cospetto, e si inchinò a lui, sfilandosi il cappello che immancabilmente indossava.
«Posso fare qualcosa per voi, mio signore?» domandò con fare servile, senza osare alzar la testa dalla sua posizione di totale sottomissione, né gli occhi chiari dal suolo. Aveva indosso uno di quei suoi elaborati abiti maschili che ricadevano in pieghe infinite; magnificamente sensuale, invero, si prestava alla vista, non fosse stato per i tratti femminei del volto e la mancanza di curve del corpo, che contrastavano in modo sgradevole. Una manica bianca recava uno schizzo scarlatto, oramai secco, unica imperfezione ad indicare che era di ritorno da un combattimento.
Perché fuori – fuori da quell’universo isolato, fuori dall’Atziluth, appena al di là del cancello – si combatteva una guerra.
«L’angelo inorganico ha richiesto la tua presenza» disse Lucifero, laconico, accompagnato da un passo indietro, come per porsi al di fuori di quella situazione.
Soltanto allora il Cappellaio Matto levò il capo e affisse le proprie iridi azzurre in quelle di Rosiel senza più il minimo accenno di reverenza: forse quell’angelo possedeva il potere di far obbedire il suo signore, tuttavia non aveva alcun ciondolo che potesse assoggettare lei alla sua autorità. Se Rosiel fosse stato fuori dai cancelli del Cielo Supremo, come ogni altro suo simile, e non seduto su quel trono, con Lucifero dietro di sé al pari di un’ombra, l’avrebbe ucciso.
«Desideri, signor Rosiel?»
Non vi era nemmeno un assaggio del rispetto che nutriva nei confronti del signore oscuro, nella domanda che rivolse all’angelo inorganico; lo apostrofava “signore” più per gioco che per autentica deferenza.
Belial aveva incontrato molti uomini. Talvolta si chiedeva se non avesse conosciuto tutti gli uomini della Terra, tutti gli angeli del Paradiso e tutti i demoni dell’Inferno, sia nella vita quotidiana che a letto, eccezion fatta per Asmodeus, il suo padrone Lucifero e Rosiel l’angelo inorganico. Quest’ultimo – doveva ammetterlo suo malgrado – era tra gli individui più stravaganti con cui avesse avuto a che fare.
Anziché trovare irritanti oppure seducenti i suoi comportamenti, appariva unicamente divertito: una continua sconfitta, per il Cappellaio, che non aveva la soddisfazione di farlo cadere ai suoi piedi né di infastidirlo. Al contrario di Lucifero, non mostrava disgusto, nei suoi confronti, ma neppure particolare desiderio. A tratti sembrava davvero soltanto un bambino che voleva giocare, altre volte la sua maturità – sbocciata di pari passo con la follia – era terrificante.
Se soltanto Belial avesse scoperto il punto debole di quello strano avversario. Se soltanto.
Forse Lucifero ne era a conoscenza: naturalmente, però, non avrebbe mai messo a parte proprio lei di quel segreto, lei che era soltanto feccia persino all’Inferno. O forse nemmeno lui sapeva davvero; forse, come gli altri, era convinto che Rosiel davvero stesse compiendo un simile scempio solo per amore della sorella.
Anche se non ne provava, il Cappellaio Matto conosceva l’amore.
Per amore – di qualunque natura fossero – gli uomini uccidevano, si uccidevano, ferivano, si tormentavano, gioivano come mai Belial avrebbe ritenuto che qualcuno potesse gioire e poi finivano per soffrire come nessuna creatura dovrebbe mai. L’amore era distruttivo, nonché autodistruttivo, in particolare quello proibito.
Esso creava sì guerre terribili quanto quella che si stava combattendo, eppure in Rosiel v’era qualcosa di differente. Come se ciò per cui stava lottando fosse qualcosa di più alto di un amore incestuoso.
Scoprire di che cosa si trattasse era divenuta la più grande guerra del Cappellaio contro l’uomo che era riuscito ad asservire al proprio potere il suo padrone al posto suo.
«Facciamo un gioco» propose l’angelo inorganico con quella sua disgustosa voce di zucchero. Fece un cenno a Lucifero e soggiunse verso di lui: «Lasciaci soli». Il signore oscuro lasciò il giardino accompagnato dal frusciare delle proprie vesti; probabilmente sarebbe andato a vegliare sul corpo di Alexiel – dedusse Rosiel dalla direzione che il demone prese – quale pateticità.
L’angelo inorganico attese di essere completamente solo con Belial, quindi le ordinò di avvicinarsi con un gesto mentre si metteva a sedere e allargava le gambe candide in una posizione sin troppo esplicita.
Il Cappellaio Matto si accostò al trono e chiese in tono divertito: «Vuoi sporcarti le mani con un demone ignobile come me, Rosiel?»
Lui la guardò con un’espressione altrettanto divertita, nonché compiaciuta. «Voglio togliermi la curiosità e vedere che cos’è che disgusta tanto Lucifero» rivelò. «Su, chinati».
Fu strano abbassare la testa verso quel bambino ed essere afferrata sul mento da due sue dita in modo così brutalmente imperioso; Rosiel attirò il suo viso ad un soffio dal proprio e la costrinse, così facendo, a sedersi sulle sue ginocchia. Non disse nulla, semplicemente inchiodò gli occhi nei suoi mentre – senza fare complimenti – le tirava giù i calzoni e l’intimo sulle cosce e arrotolava l’orlo della propria camicia bianca poco sotto l’ombelico.
Un unico, svelto sguardo a ciò che si apprestava a prendersi, poi alzò di nuovo gli occhi su di lei.
«Non sembra così male» la schernì in tono mellifluo. «Come mai Lucifero è così restio a cederti?» Inclinò la testa da un lato, come se davvero gli importasse della risposta.
«E tu?» sibilò Belial. «Perché mai la tua amata sorella è così restia a concedersi a te?» Un sorriso deliziato le increspò le labbra quando l’angelo inorganico spalancò gli occhi, sorpreso dall’attacco inaspettato, e un istante dopo li ridusse a due fessure indignate. «L’angelo più bello dell’universo che disgusta la sua stessa sorella… Che tristezza».
«Non è il caso che sia proprio tu a parlare,» ribatté Rosiel, sebbene improvvisamente sembrasse turbato «dal momento che l’unico uomo che desideri quasi non sopporta la tua presenza».
«Finché il mio signore oscuro avrà bisogno di me e mi terrà al suo fianco, io sarò soddisfatta,» sentenziò il Cappellaio, consapevole di averlo punto sul vivo «ma te non basta, vero? Non ti basterebbe, se tua sorella ti volesse bene. Tu vuoi che lei provi nei tuoi confronti la stessa voglia disgustosa che provi tu nei suoi. Che squallore».
I ruoli si erano ribaltati, come aveva progettato: l’angelo inorganico adesso si ritraeva da lei e non voleva toccarla; al contrario, Belial aderì al suo busto con il proprio, così vicina che poteva quasi essere penetrata.
«Suvvia, Rosiel, ammettilo: è squallido. Lei non ti desidera e non lo farà mai… E smetti di nasconderti dietro la voglia di lei» soggiunse e sogghignò nel vederlo osservarla con sincero stupore. Solitamente era un demone mite, il Cappellaio Matto: poche altre volte era stata così tagliente con qualcuno – eccezion fatta per gli uomini che le avevano giurato amore eterno dopo il sesso; quelli avevano ricevuto soltanto un freddo addio. «Davvero la vuoi così tanto che ti ridurresti in questo stato pietoso per lei? Davvero ti struggi così tanto di desiderio da combattere una guerra in suo nome? Non ingannerai proprio me, il Satana della Superbia: noi ci somigliamo troppo».
Un ultimo colpo.
Forse non avrebbe ottenuto la guerra, quella volta, ma perlomeno la battaglia sarebbe stata sua.
«A te interessa il tuo Dio, non è così? Quello che vuoi davvero è trovarlo e chiedergli perché non ti ha mai amato. Perché ti odiava ancora prima che tu nascessi e perché ti ha creato, se davvero eri tanto ripugnante per lui».
Per cacciarla da sopra di sé, Rosiel si alzò in piedi di scatto e al tempo stesso le tirò uno schiaffo. Uno come tanti altri che aveva ricevuto nel corso della sua vita infinita, intriso di rabbia e disprezzo: la sua testa scattò da un lato, ma Belial si ricompose senza reagire in alcun modo e si rassettò con cura gli abiti.
«Vattene» ordinò l’angelo inorganico, gelido, senza che un solo muscolo tradisse il suo turbamento interiore. «Non è stato dilettevole come pensavo. Sparisci, relitto di demone».
Il Cappellaio Matto si profuse in un inchino beffardo, si sistemò il cappello ed infine gli diede le spalle. Lo udì chiamare Lucifero, percepì il lieve suono delle vesti nere del suo signore che strisciavano sulla pietra nuda del giardino e i lamenti di Rosiel, che reclamava le sue braccia attorno alla vita.
Non aveva importanza. Prima o dopo, quelle stesse braccia avrebbero cinto i suoi fianchi sottili e allora lei avrebbe potuto negarsi ad esse.
Per il momento, sarebbe uscita dall’Atziluth.
Perché fuori si combatteva una guerra e lei doveva onorare il suo signore con il sangue degli angeli.
Perché dentro aveva appena finito di combattere e aveva scoperto qualcosa – quasi per caso, in realtà, quando il ribrezzo aveva sprigionato dalla sua gola quelle affermazioni sul Dio che Rosiel cercava – che mai avrebbe creduto possibile, da parte di un individuo come l’angelo inorganico.
Rosiel amava. Amava suo padre, come fa ogni bimbo.
E sanguinava, perché sembrava che Dio non amasse lui.
  
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