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Autore: cassiemk    16/02/2011    0 recensioni
“Che dovrebbe significare?” la mia voce era spezzata, confusa, sorpresa. Perché dovevo farmi sconvolgere la vita in quel modo? No, assolutamente no. Non mi sarei lasciata coinvolgere da un qualsiasi pazzo idiota mi capitasse davanti. Sentivo le guance in fiamme, colorate di scarlatto. I suoi occhi erano fissi su di me. Da quando aveva aperto bocca a quando l’aveva chiusa non aveva minimamente smesso di guardarmi. Anche se a testa bassa, riuscivo a percepire l’intensità di quello sguardo smeraldo. In quel momento pensai di tirargli qualcosa in testa, ma presto mi resi conto che ne ero già dentro fino al collo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Diciamo che tutto è cominciato per la mia dannata capacità di mettermi in mezzo alle cose senza motivo.
O meglio, per una volta che non avevo combinato nessun casino, il casino è venuto a trovare me. Come
a dire, Ehi cara, vieni qui è da un po' che non ci vediamo. Ecco, il cosiddetto casino, mi è apparso ai piedi a
una qualunque fermata dell'autobus.
 
In ritardo, come al solito. Una notte insonne sui libri a studiare per un test che non avrei mai passato, e adesso
ne pagavo le conseguenze. Alzai gli occhi al cielo, e ciò che vidi, furono una spessa coltre di nubi grigio perla che
prometteva pioggia. Inutile dire che non avevo con me l’ombrello. “Passa, dannato autobus, passa.” Questo era
tutto quello a cui riuscivo a pensare. Se arrivavo in ritardo un’altra volta, mi sarei sorbita uno di quegli avvin-
centi discorsi del professore che mi diceva di non arrivare tardi, che avrebbe compromesso il mio quadro scolastico
non poi così fantastico, eccetera eccetera. Lo sapevo benissimo da me che non ero la studentessa modello, però,
tutto ciò che chiedevo era di non ripetermelo in continuazione.
Ero persa in questo tipo di pensieri, quando mi voltai di lato. Quello che vidi mi lasciò perplessa. Un uomo vestito
come un modello di una rivista patinata di alta moda era piegato a gattoni per terra. Aggrottai le sopracciglia
in modo automatico, e mi piegai leggermente verso di lui. “Si sente bene?”. L’altro dal canto suo, totalmente
perso nel suo mondo, alzò la testa a rilento. La prima cosa che notai furono i suoi occhi. Verdi smeraldo, avevano
qualche sfumatura più chiara nell’iride. “Ah, no. Stavo solo cercando le chiavi.” La prima impressione che mi
feci di quel tizio non fu delle migliori. Lo sorpassai di un paio di passi e mi chinai a raccogliere un portachiavi
blu. Glielo feci dondolare a pochi centimetri dal volto. “Sono queste?” Più che a lui, sembrava che lo stessi chie-
dendo a me stessa, forse non credevo avrebbe capito cosa fossero.
“Ecco dov’erano.” Sì, genio, esattamente dietro di te. “Grazie mille.” Guardandolo meglio, non sembrava così
vecchio come me lo ero immaginato. Forse erano i vestiti forse la valigetta tipica di un lavoratore cinquantenne
che mi aveva tratto in inganno, ma quel ragazzo sembrava più un bambino troppo cresciuto che un uomo adulto.
Le mie compagne di classe lo avrebbero definito “troppo figo”. Personalmente il mio vocabolario era un po’ più
vasto. Vidi in lontananza l’autobus. “Sono salva.” Salii in fretta e mi misi al mio solito posto in fondo. Erano solo
due fermate, sarei arrivata in meno di 7 minuti. All’ingresso della mia scuola, ebbi un istinto fuggitivo. Ci dovei
mettere tutta la mia buona volontà e anche quella dei miei genitori, per farcela ad entrare. Corsi nella mia aula.
Nella mia classe c’erano due tipi di persone. Quelli troppo colti per rivolgerti la parola, e quelli così idioti che avresti
sinceramente preferito evadere dal condotto d’aria. C’erano solo 3 persone che ritenevo importanti, e indovinate,
erano tutti stranamente malati. Certo, la malattia più antica del mondo, la conoscono in molti e quasi tutti gli studenti
l'hanno avuta, compresa me. Si chiama "Me la faccio addosso per il compito di oggi".
Mi sedei al terzo banco vicino alla finestra. Durante la lezioni, pensai a cosa potevo fare per uscire prima della terza
ora meglio conosciuta come l'ora della disfatta. Ciò che mi venne in mente fu solamente il discorso di mia madre
di quella mattina.
 
“Puoi scegliere ovviamente” mi aveva detto in modo gentile, quasi da poterle credere. Ma io la conoscevo bene,
e infatti la risposta acida non tardò ad arrivare. “Puoi continuare a frequentare quella scuola che abbiamo scelto
oppure andare all’accademia milatare.” Si dice tale madre, tale figlia. Personalmente in noi non vedevo nessuna
somiglianza. Sapevo che tentare di controbbattere sarebbe stato tutto inutile. Ero già rassegnata a quel destino.
Non è che odiassi la scuola in generale. Era solo che odiavo quella scuola. 

 
Poi la campanella suonò ed entrò in classe la professoressa di matematica. La più rincoglionita, ma la più temuta.
Era in grado di darti compiti con risultati tipo 54.999.456 e dirti che i numeri grandi non ci devono spaventare.
La terza, la quarta ora passarono lentamente, ma passarono. Completai tutto, ma dire che ero andata bene era
come un terno a lotto.A fine scuola corsi via, tanto veloce che probabilmente buttai giù qualcuno. Corsi così tanto
che non miresi nemmeno conto che era cominciato a piovere. “Fantastico.” Mormorai. Era come se la vita mi
stesse dando un ultimatum, peccato che io a quel tipo di cose non credevo minimamente.
Mi fermai sotto una tettoia, se non l’avessi fatt0, per quella sera mi sarei potuta risparmiare di fare la doccia.
Quando mi girai vidi qualcosa che mi fece brontolare, letteralmente, di rabbia. Una grande lunga macchina
nera era ferma davanti al negozio dove avevo trovato riparo. In quel momento avevo voglia di appendere
lo stronzetto che ci era dentro per il collo.
Quando mi girai, vidi uscire dal negozio un ragazzo vestito da uomo d’affari. Avevo quasi il timore di guardarlo
in faccia. Avevo come un brutto presentimento. “Ma tu sei!..” Alzai la testa a stento. Quella voce. Quegli occhi
verdi smeraldo. Ok, cosa diavolo è, una maledizione? “Il tipo delle chiavi.” Mormorai in modo che si poteva defi-
nire “poco amabile”. Quando me ne stavo per andare, fui afferrata per il braccio e spinta in quella lussuosa
macchina che avevo visto prima. Al mio fianco, il ragazzo dagli occhi verdi era seduto tutto tranquillo come se
non fosse successo nulla. Guardava il suo cellulare, un enorme black berry, e sembrava davvero impegnato.
Il riscaldamento era alto, e in parte fu un bene. Non avevo guardato le previsioni, ma di certo non potevano
esserci più di 5 gradi. In più ero bagnata dalla testa ai piedi, perciò se fossi rimasta là fuori aspettando che
spiovesse, sarei andata in ibernazione.
“Che diavolo fai?” gli chiesi quasi urlandogli contro. Capisco essere impegnati, ma ignorare addirittura chi hai
scaraventato dentro a una macchina, senza nemmeno sapere il suo nome, non era leggermente strano?
Dall’altra parte lui mi fissava stupito, come se gli avessi chiesto chissà cosa. Come se fosse stata una cosa normale e
l'unica da fare. I capelli castani tendenti al biondo cenere gli incorniciavano il volto pallido.“Cosa faccio?” mise
l’indice sulla punta del mento come se davvero non sapesse di che parlavo e poi mi sorrise. “Ricambio il favore, no?”
Amici, amiche, voglio uccidere questo tizio.

Nome: What the hell?
Note: Fanfiction nata un po' per svago, un po' per improvvisare. L'idea è nata per caso, e ancora non si sa praticamente nulla.
Nemmeno il nome della protagonista. E' stato fatto tutto volutamente, nulla verrà lasciato al caso. Che dire, per ora
ho presentato solamente una ragazza. Anche se credo si capisca già da quanto ho scritto, lei è tutto il contrario della ragazza
perfetta. Non sogna il principe azzurro, non crede nel destino e in questi tipi di fatalismo. Direi che in questa storia, è lei
a portare i pantaloni.

  
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