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Autore: Ely79    17/02/2011    3 recensioni
Harry è morto. Il doppiogioco di Piton è stato smascherato. Lord Voldemort ha trionfato ed i Mangiamorte con lui. Qualcuno però non si arrende e continua a mettere in difficoltà i seguaci del Maestro, aleggiando funesto sulle vite dei suoi adepti e sui sogni dei giovani Purosangue.
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo personaggio, Rabastan Lestrange, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo, Più contesti
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- Questa storia fa parte della serie 'Rabastan Lestrange'
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II
FM

Trick

II

4 agosto 2017
Diagon Alley, Londra

Camminava svelto, il volto basso ed il bavero della giacca tirato sul viso, nonostante la temperatura mite di quel mattino. Per strada c’erano ancora poche persone, non molti erano mattinieri quanto lui. Nella brezza leggera si mescolavano i profumi del pane e delle grandi ceste di fiori incantati posate accanto alla porta di ciuscun negozio. Da ragazzo aveva adorato passeggiare in quella strada con i suoi amici, i suoi fratelli, la sua famiglia. Ora preferiva sbrigare i suoi affari – o meglio, quelli del suo padrone – nella maniera più celere possibile. Non era mai stato bravo a reprimere le sue emozioni.
«Ehi! Ma guarda un po’ chi c’è lì» ghignò una voce stridula, subito seguita da altre.
Non gli servì alzare gli occhi dal selciato, per capire chi stessero additando. Chinò il capo e rallentò il passo, sperando l’avrebbero ignorato, lasciandolo in pace. Purtroppo non fu così fortunato e si sentì sbattere contro i corsi di mattoni di un muro. Due mani unte gli stringevano il colletto, impedendogli di respirare.
«Pensi di potertene andare in giro così allegramente, tu? Lurido traditore?» berciò la voce, punteggiata di briciole.
Attraverso le palpebre abbassate, intravide una faccia tonda e malevola. Quella di un ragazzotto che non doveva avere più di sedici anni.
«Bah, Mark, non toccarlo!» sbraitò un altro, tirando indietro l’amico. «È ancora infetto dopo essersi palpato quella schifosa NataBabbana!»
Uno scoppio di risa accompagnò il respiro che tornava. Era accerchiato da una torma di studenti in vacanza, tutti con scope e sacche da viaggio in spalla, su cui spiccava orgogliosa l’insegna di Hogwarts. Non si trattava più della stessa Hogwarts che aveva frequentato anni addietro. Ormai era una scuola riservata ai Purosangue e i pochi Mezzosangue che venivano ammessi dovevano vantare non più di un trentaduesimo di sangue Babbano, ben certificato.
«Giusto, Al, ma non possiamo lasciare che un Purosangue giri tutto sporco, no? Aiutiamolo!» e gli sputò in faccia, imitato dagli amici che lo strattonavano da un lato all’altro per poter prendere meglio la mira.
Avrebbe dovuto sommergerli di Tagliuzzanti, Levicorpus, forse persino di Orcovolanti. Invece rimase immobile, a subire quell’oltraggio in silenzio, come se non fosse lì. Il Segno che portava addosso gl’impediva di ribellarsi. Doveva sostenere quell’ennesima umiliazione, accettarla, domandandosi quando si sarebbe abituato. Dopo quasi vent’anni ancora non ci riusciva.
«Allora? Allora?» lo sbeffeggiò una ragazzina smunta. «Cosa si dice a chi ti dà una mano, eh? Non si dice “grazie”? Eh, stupido figlio d’una zucca marcia
«Figlio di zucca marcia! Questa è buona, Jenny!» fece eco qualcuno.
Pur di essere lasciato in pace e poter proseguire, l’uomo si piegò a quell’assurda pretesa, ringraziandoli con quanto rispetto riuscì a spremere dalle proprie labbra.
Stanco del casuale passatempo, il gruppetto si allontanò facendo chiasso e prendendo a colpi d’incantesimo uno stormo di piccioni.
Attese di vederli scomparire in una traversa prima di ripulirsi. Non avrebbe potuto sopportare un secondo assalto. Prese un fazzoletto di seta dalla tasca e si asciugò il volto, sentendo sotto le dita lo spessore del Segno, che lo indicava come traditore del proprio sangue.
Proseguì, mesto e ripiegato su sé stesso, raggiungendo una lussuosa vetrina, chiusa alla vista del pubblico da pesanti tende di velluto color ciclamino.
Una minuscola creaturina, che faceva le veci del campanello e pareva intessuta di fili di vetro, intonò un gioioso motivetto. L’uomo ebbe l’impressione che, ad ogni nota, da ciascun gioiello esposto si levasse un brillio.
«Monsieur Duby?» chiamò.
Il gioielliere apparve da dietro un’altissima vetrina, squadrandolo schifato.
«Oh, solve. Non l’aspettavò tonto prestò» disse sbrigativo, col suo pesante accento francese che i più ritenevano fasullo.
«Il padrone mi manda a ritirare l’ordine».
Servo. Ecco cos’era stato costretto a diventare: il servitore reietto di un nobile e altolocato Purosangue. Il peggiore in circolazione, per quanto lo riguardava, ma non poteva dirlo apertamente. Avrebbe rischiato il Bacio senza arrivare ad Azkaban.
Duby annuì altero e con un cenno l’invitò a seguirlo nel retro.
«Ospetate ici» sbottò, indicando il ripostiglio delle scope.
Senza replicare, il servitore girò il vistoso pomello in cristallo e si apprestò ad entrare, quando una bacchetta emerse dall’oscurità.
«Ottimo lavoro, Paul. Ora, per favore, va’ a lucidare l’argenteria» ordinò una voce.
Il gioielliere s’inchinò e sparì nel locale attiguo, mentre una figura emergeva dallo sgabuzzino.
Aveva il capo rasato a zero, segnato da una vecchia ustione.
«Neville!» esclamò l’altro, fissandolo sbigottito.
«Buon giorno, Ron. So che detesti le improvvisate, ma avevo bisogno di vederti» rispose Paciock, invitandolo a sedere tra le vetrine cariche di preziosi. «Credo sia già stato Imperiato parecchie volte dalla moglie… è troppo disinvolto…» commentò tra sé, tenendo d’occhio il gioielliere.
Una ragnatela di rughe gli copriva il volto, facendolo sembrare più vecchio dei suoi trentasei anni. Aveva l’aria stanca e gli abiti sdruciti la dicevano lunga sulla scarsa frequentazione dei negozi d’abbigliamento. Vedendolo in quelle condizioni, Ron ripensò a sé stesso ai tempi della scuola.
«Come sapevi che sarei venuto?»
«La festa dai Lestrange. Poteva quel lecchino di Malfoy non mandarti a prendere un regalo adeguato per il capo della Polizia Segreta? Quanto all’ora e al posto... abbiamo i nostri informatori» aggiunse ammiccando.
Parlava di Susan Bones, che, per redimere il proprio status, aveva rinnegato ogni cosa per lavorare al Ministero della Magia. In realtà, la donna era rimasta fedele all’Esercito di Silente ed alla lotta contro Voldemort. La sua abilità nell’ottenere le informazioni più disparate e passarle all’Ordine era quasi leggendaria.
«Come sta Ginny?» chiese Ron, fissandosi le dita.
Erano almeno due anni che non la vedeva, da quando il mandato di cattura internazionale era stato gravato di ulteriori accuse. Le stesse che pendevano sul capo di Neville, di Remus Lupin e molti altri.
«L’hanno ferita il mese scorso e stenta a riprendersi» ammise amaro, attendendo la sceneggiata del fratello, che però non giunse. «Deve riposare e smetterla di fuggire per un po’. Ma da quando mia nonna è morta abbiamo perso un valido appoggio. Aberforth ha chiuso il locale, il signor Lovegood è sempre sull’orlo di una crisi isterica, la professoressa McGranitt in tribunale a verificare il suo stato di sangue e Andromeda sotto sorveglianza…» elencò abbattuto.
«Lasciala fuori da questa storia. Quella donna ha già abbastanza problemi senza che l’Ordine la carichi dei suoi» fece Ron. «Quanto a Ginny, sai com’è fatta. È più forte di quel che sembra. Si riprenderà come dopo…»
S’interruppe. Entrambi sapevano a cosa stava pensando: la morte di Harry, durante la Battaglia di Hogwarts. Hagrid aveva raccontato loro del raggiro operato da Narcissa Malfoy, al solo scopo di estorcere informazioni sul figlio disperso. Raggiro che aveva rivelato l’inefficacia del primo Avada Kedavra, consentendo a Voldemort di uccidere Potter con un secondo Anatema. Ginny aveva trascorso mesi svegliandosi nel cuore della notte, gridando il nome di Harry, prima di sparire nel nulla per affiancare Neville nella sua crociata, dando vita al Terzo Ordine della Fenice.
«Perché volevi vedermi?»
Paciock passò una mano dove erano stati i capelli biondi.
«So che Malfoy andrà alla festa organizzata dai Lestrange per oggi pomeriggio. Dimmi quello che sai del ricevimento».
«Che intenzioni hai?» chiese perplesso.
Neville non era stato chiamato Griffinheart solo per aver fatto parte della casa di Godric. I suoi assalti erano come quelli della belva di cui portava il nome, almeno per come li dipingeva la stampa di regime
«Tranquillo, non mi presenterò senza invito. Ho un’altra visita di cortesia da fare e non vorrei avere sorprese sul più bello».

***

4 agosto 2017
Camera di Portia, Lestrange Hall, Cornovaglia

«Dov’è la mia cuginetta preferita, che oggi si fa mettere il cappio al suo bel collo di gallina?» gracchiò una voce.
Portia rise, voltandosi con voluta lentezza verso la porta per far ammirare il proprio abito alla cugina.
«Mab sei sempre la…»
Le parole le morirono in gola, attonita, mentre squadrava inorridita l’altra.
«Ma come ti sei vestita?!» urlò, sgranando gli occhi.
«Ti piace?» domandò sarcastica Mabel Lestrange, ancheggiando nella stanza.
La ragazza, alta e magrissima, indossava una cosa che non poteva essere definita vestito. Sembrava avesse infilato una serie d’informi tuniche d’organza, decorate con enormi fiori variopinti, coprendosi le spalle con una giacca insensatamente corta. Un goffo cappello a tesa larga, pieno di ridicoli fiori e coccarde di stoffa, le premeva sull’acconciatura sfatta. Era così… Babbana! Assomigliava a quelle pazze senza magia che si radunavano ad Ascot, solo per dar sfoggio di quanto riuscissero a rendersi ridicole.
«Sei orribile!» strillò Portia. «Come ti è venuto in mente di conciarti a questa maniera indecente!? Oggi!»
«E perché non posso?»
«Oggi mi fidanzo ufficialmente e mio padre…»
S’interruppe bruscamente, accigliandosi.
«È una delle tue solite prese in giro, vero?»
Mabel sfilò la bacchetta da una tasca nascosta, facendo evanescere l’accozzaglia di stoffe e ammennicoli che portava addosso, rivelando un secondo abito, più elegante e in linea con i dettami della moda stregonesca di quell’anno.
«Mi farai morire» sospirò Portia sollevata, lasciandosi cadere sul pouf della toeletta.
«No, voglio farti fuori il giorno delle nozze» ammiccò divertita, sedendo sul letto e mostrandole degli stivaletti dall’aria estremamente scomoda.
«Spiritosa. Stai cercando di litigare con la zia?»
«Chiaro» replicò, scompigliando i capelli bruni. «Tu non litigherai mai con tua madre, finché fai la brava bambina».
Elanor non aveva faticato nell’insegnare alla figlia il rispetto delle tradizioni e dell’etichetta, cosa che invece Bellatrix trovava più complessa che uccidere un Nundu a mani nude. Lei e Mabel avevano caratteri troppo simili e focosi per non scontrarsi su ogni maledettissima quisquilia.
«Hai visto Ruslan?»
«No, quel cafone si è dato alla macchia. Sono stata costretta a Smaterializzarmi con mamma e papà. Una noia!» sibilò.
Ruslan non usava la Smaterializzazione o la Metropolvere: preferiva i suoi Thestral, con cui compiva acrobazie folli. Mabel adorava cavalcare con lui appena poteva; il fatto che si vociferasse che tra loro ci fosse del tenero era secondario e, probabilmente, privo di fondamento.
«Ha appena perso suo padre!»
«E allora? Fa tanto il gradasso, “guarda quando sono forte, che Mangiamorte indomito, niente mi ferma, Griffinheart trema al vedere la mia ombra” e poi tutte queste scene? Dovrebbe essere felice. Erediterà le ricchezze di famiglia, potrà fare quel che gli pare, sarà il solo Dolohov a contare. Dovrebbe farsi vedere in giro, rifiutare le condoglianze che gli vengono porte. Smidollato!»
«Mab, a te manca qualche corda nel cuore» sospirò Portia.
Lei capiva Ruslan. Una sera di alcuni anni addietro, quando era bambina, suo padre non era rientrato a casa. Alla notizia di un attacco di Griffnheart, avevano temuto il peggio. Per diverse ore, l’idea di aver perduto suo padre, il suo eroe, l’aveva terrorizzata fino alle lacrime. Vederlo ricomparire, anche se ferito e stanco, non aveva cancellato le paure di quella notte. Dopo tanto tempo le capitava ancora di svegliarsi di soprassalto, preda dello stesso incubo: lei bambina che correva per casa, tentando di sfuggire al mostro che aveva portato via il genitore.
Perché sua cugina non capiva quanto dolore stesse provando Ruslan? Anche i suoi genitori erano finiti spesso in guai seri per colpa dei detrattori del Grande Lord, se l’erano vista brutta un sacco di volte, avevano danzato spesso con la Nera Dama. Eppure a Mabel non importava. A volte sembrava incapace d’amare la sua famiglia.
«Abbiamo portato Blue. Andiamo a giocarci?» suggerì Mabel.
In realtà, quando diceva “giocare” intendeva “tormentare”. Il Licantropo di casa Lestrange-Black era noto alla comunità magica per essere uno degli esempi più fulgidi di quanto i Purosangue sapessero essere magnanimi. La versione ufficiale voleva che il Ministro e sua moglie l’avessero accolto in casa per salvarlo dalla vita da derelitto impostagli dal padre - un pericoloso mannaro dissidente -. In realtà, il ragazzo era stato catturato e trasformato successivamente in una Creatura Oscura per punire il genitore. Blue, così era stato chiamato, veniva mostrato durante le occasioni mondane, agghindato come un perfetto valletto.
«Papà mi ha permesso di Cruciarlo, quando ha cominciato a protestare» sogghignò divertita.
«Perché protestava?» chiese Portia, specchiandosi.
«Perché non ha un briciolo di gusto. La divisa da paggio è verde oliva e lui si ostinava a mantenere i capelli di quell’orrendo turchese!» sbottò, scendendo con un balzo dal letto e affacciandosi alla finestra in cerca del suo passatempo preferito.
«Io li trovo adorabili» commentò la cugina, valutando l’effetto di un paio d’orecchini.
«Lo dici perché ti fa dei gran sorrisi quando ti vede. Era inguardabile!» borbottò risentita, mettendosi pericolosamente in bilico sul davanzale. «Gli ho detto che o se li faceva verdi o di un colore normale, o avrebbe perso anche l’altro occhio. Alla fine si è arreso e li ha cambiati in un castano chiaro appena decente, anche se mamma ha storto il naso e li voleva biondi. Guardalo» disse, indicandolo dalla finestra.
Blue era in giardino, in piedi accanto alla padrona, con un vassoio carico di bicchieri vuoti e dolcetti addentati una volta e abbandonati. Per tenerlo buono in quelle situazioni veniva affatturato con un Submissio, così che non si mettesse a far di testa propria.
Il giovane mannaro aveva perso la vista dall’occhio sinistro a forza d’essere redarguito a suon di fatture, anche se era molto abile a non farlo notare. Bellatrix aveva più volte minacciato d’accecarlo e zittirlo per sempre, per via dei suoi sguardi pungenti e del suo sarcasmo, ma il marito si era sempre opposto, asserendo che sarebbe stato solo un enorme favore nei confronti di un animale tanto ingrato ed ottuso. Senza contare che la sopravvivenza di Blue era un potente strumento di propaganda politica: la sua foto – da umano e trasformato – campeggiava accanto a quella del Ministro e di Dolores Umbridge, per promuovere la campagna di sottomissione dei Licantropi e le leggi volte ad impedire le unioni miste.
«Allora, andiamo?» la incitò, agitando la bacchetta.
Portia scambiò una lunga occhiata con il suo riflesso, pensierosa. Poi, sorrise alla cugina.
«No. Non oggi».
«Come-come? Non sarà per caso che il tuo bello è uno di quelli contrari alla caccia col mannaro e ti ha chiesto di rinunciare al tuo desiderio?»
«Vincent adora la caccia col mannaro, ma ho deciso che non voglio averne uno. Quando ci sposeremo e avremo dei figli dovrò pensare alla loro sicurezza. Un licantropo che gira per casa è sconsigliabile» spiegò.
Quando la sentiva parlare a quel modo, Mabel dubitava che avesse un anno meno di lei. Le pareva una di venticinque anni, con prole al seguito. Un’immagine che la disgustava: lei non voleva sposarsi né avere figli, checché ne dicessero le convenzioni sociali e i suoi rispettabili genitori.
«Oh!» la canzonò, sbattendo le ciglia e cullando un cuscino. «Com’è premurosa la futura sposina a due anni dalle nozze!»
«Se ne prendessi uno ora non riuscirei a lasciarlo qui. Vorrei portarlo con me e non posso cadere in questi errori. Mamma e papà hanno sempre pensato per tempo a cosa fosse meglio per me. Devo fare altrettanto per i miei figli».
«Sì, mi pare giusto. E, dopotutto, hai già un bestione per fidanzato…» la punzecchiò.
«Mabel!»

   
 
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