Ad personam Cara Lux, grazie millemila per la tua bella recensione, sulla
quale conto sempre. Qualche parola sul presente capitolo, che segue
il precedente di circa un mese, quindi siamo cinque-sei mesi dopo
l'inizio del golpe. Questo chiude una trilogia incentrata
soprattutto su Theresion e sui suoi segretissimi incarichi di
progettista d'incantesimi di sorveglianza. Va precisato che lei non ha
poteri autonomi, perciò la realizzazione degli incantesimi,
intesi come imprimere parte del proprio potere psichico su un supporto
inerte, spetterà a Vera. Buona lettura
|
PROFEZIE
Riassunto delle puntate
precedenti
Dopo un incontro misterioso con la Luce di Meridian, Vera ha convinto le Gocce a sostituirsi a Elyon a Meridian, impersonando la regina e le guardiane. A Meridian, la controfigura di Elyon e le finte guardiane esiliano Miriadel e Alborn, mentre Caleb sfugge alla cattura; pur avendo assunto il potere, si rendono conto di non essere convincenti, e inventano la storia che le guardiane sono a palazzo per proteggere la Luce di Meridian da un complotto. A Heatherfield, Elyon spiega che quella che si sta realizzando è una sua profezia, che prevede che la tirannia duri un anno, che a Meridian dura diciotto mesi. Elyon è decisa a non tentare niente prima di questa scadenza. Il nuovo piano di Vera prende rapidamente forma, basandosi sull'ambiguità del termine di un anno: prima simuleranno che Elyon diventi sempre più tirannica, screditandola, poi Vera, che ha comunque il rango di una principessa Escanor, la spodesterà dopo un anno terrestre di dodici mesi, facendo finire apparentemente la tirannia e realizzare la profezia; poi, dopo aver guadagnato il consenso della gente, si prepareranno per affrontare Elyon e le Guardiane al loro ritorno dopo diciotto mesi, un anno di Meridian. Vera crea venti copie di Wanda, dette Nemesis, che avranno l'incarico di impersonare le guardiane, sollevando le gocce dal compito, e di sorvegliare la città restando invisibili o sotto falsa identità, o con l'aspetto di aquile. Come dal piano di Vera, le false Guardiane imprigionano Galgheitha e altri personaggi importanti, che potrebbero rendersi conto che la sempre più tirannica Regina e le Guardiane sono state impersonate da controfigure; la principessa Vera fa la parte della buona, facendo fuggire questi prigionieri dalla città. Vera affida a Theresion, che gode della sua massima fiducia ed ha già preso in mano gli incantesimi del sistema d'allarme del palazzo, anche l'incarico di realizzare un sistema di sorveglianza del sotterraneo basato sul contatto mentale con gli insetti che lo popolano, incarico che però le crea una resistenza psicologica dovuta alla sua aracnofobia. Così Vera, con la scusa di studiare il percorso possibile di un trenino, manda tutte le gocce ad accompagnarla nei sotterranei. |
Meridian, camera di Theresion e Paochaion
Distesa nel
suo letto, sotto le coperte di raso, Theresion ripensa a queste sue
giornate: a un osservatore superficiale potrebbero apparire di noiosa
routine davanti allo schermo di un computer, ma in realtà
sono colme di sfide straordinarie. Con luci e con ombre.
Nell’incontro del pomeriggio Vera, come al solito,
è partita dai complimenti per i suoi brillanti risultati
ottenuti applicando la programmazione a blocchi, derivata dalle sue
abilità di informatica, alle magie. Infatti la ragazza dai
capelli candidi sta ideando nuovi modi di concatenarle. Così
facendo può attribuire a reti di incantesimi, impresse su
banali oggetti inerti, delle possibilità di discernimento
logico che fino a oggi sembravano appannaggio di una mente umana o di
un programma per computer. Per esempio, ha reso il firewall contro il
teletrasporto attorno al palazzo così autonomo che
né lei, né Vera vengono più
sovraccaricate da un torrente di informazioni inutili ogni volta che
contattano l’interfaccia telepatica del sistema.
Dopo le lodi, è giunto anche un velato rimprovero mascherato
da domanda: Vera le ha chiesto a che punto fosse con il sistema di
sorveglianza dei sotterranei, e lei ha dovuto ammettere che ogni
contatto mentale con il pur semplice apparato sensorio di un insetto la
turbava. Era solo un eufemismo, però: in realtà,
la sola idea le provoca vere crisi di panico. Questa è una
sfida che terrebbe a vincere da sola, ma come fare?
Mentre sta
per prendere sonno, Theresion sente un debole rumore di strofinio di
una matita, subito seguito da uno scuotimento del tavolino. Apre un
occhio: una luce accesa alle sue spalle illumina ancora la stanza.
Girandosi indietro, vede che Paochaion è ancora seduta al
tavolo tra due lampade, intenta a cancellare con una gomma.
Le biascica: “Pao, basta disegnare, sarà
mezzanotte ormai”.
L’altra risponde, senza distogliere lo sguardo dal suo
lavoro: “Ancora cinque minuti… ti dà
fastidio? Ho un momento creativo da non sprecare!”.
Theresion richiude gli occhi rassegnata: troppo spesso, davanti a carta
e matita, Pao perde ogni nozione del tempo.
“Questo cambierà il volto di Meridian!”,
dice orgogliosamente la cinesina tra sé e sé.
Un po’ preoccupata, Theresion riapre gli occhi. “Di
cosa parli?”.
“Del nuovo mercato coperto. Vieni a vederlo!”.
Riluttante, Terry si alza a sedere sul letto, e aguzza gli occhi verso
il foglio che Pao le solleva. “Ma
cos’è?”.
“Il nuovo mercato, te l’ho detto!”. Pao
le viene vicino con un grande blocco di fogli millimetrati.
“Guarda, mi sono ispirata al bazar di Istanbul: dei corridoi
ramificati, con le nicchie per i negozietti sui lati. Ma questo non
avrà bisogno di anni per sorgere, basteranno poche
settimane!”.
Ora la sua curiosità ha la meglio sul sonno.
“Come?”.
“Con dei prefabbricati modulari! Corridoi, nicchie, coperture
andranno su facilmente come i mattoncini dei Lego! E saranno
già predisposti per gli impianti: elettricità,
acqua corrente, climatizzazione!”.
“Elettricità? A Meridian?”.
“Certo”, le fa Paochaion come cosa ovvia.
“Come il tuo computer e queste lampade alogene”.
Smorfia scettica. “Pao, questa è magia. Possiamo
far funzionare così un paio di apparecchi, non tutte le
lampade di una città”.
L’altra scuote le spalle, imperturbata. “Vera mi ha
detto che incaricherà proprio te di pensarci, non appena
avrai finito quei tuoi lavori di cui non ci parli mai”.
Theresion sospira a disagio davanti a tanta cieca fiducia.
“Pao, come ho messo in guardia Vera, metto in guardia anche
te: non facciamo il passo più lungo della gamba!”.
Mentre l’altra la guarda sorpresa, continua: “Che
figura faremo se il nuovo mercato restasse sfitto per mancanza di merce
da vendere? Se le nuove fabbriche non partissero per una qualunque
difficoltà nel trovare energia o materie prime? O se
partissero e spiazzassero gli artigiani esistenti, imponendo prezzi di
vendita bassi che li metterebbero fuori mercato?”.
Pao risponde, quasi offesa da queste obiezioni: “Ma, Terry,
anche adesso esiste un mercato: semplici bancarelle
all’aperto. Noi offriremmo un posto al riparo dalla pioggia,
che si potrà chiudere a chiave ogni sera. E poi
sarà modulare: possiamo iniziare con qualche decina di
loculi per i commercianti esistenti, e poi espanderlo al bisogno.
Abbiamo già scelto un’area in periferia che ci
dà tutto lo spazio che vogliamo!”.
“In periferia... E perché commercianti e clienti
dovrebbero essere così entusiasti di trasferire il mercato
dal centro città alla periferia?”.
“Perché sarà vicino alla nuova stazione
dei portali di teletrasporto, no?”.
Therese esala un grosso sospiro paziente. “Pao, quel sistema
non diventerà mai di uso comune: consumerebbe troppa energia
magica, e non l’abbiamo. Creare nuovi bisogni e poi non
riuscire a soddisfarli è un modo di scavarsi la tomba,
politicamente parlando. Quello di cui la gente sente il bisogno davvero
è l’acqua magica per farsi curare gli acciacchi
dai guaritori o per comunicare con gli amici lontani, proprio
ciò che stiamo… che Elyon sta togliendo
loro”.
“E allora, cosa dovremmo fare?”, chiede Paochaion
irritata, “Lasciare tutto come sta?”.
“Non necessariamente. Ma novità del genere
dovrebbero evolversi gradualmente con l’ambiente sociale, non
essere introdotte dall’alto in tutta fretta solo per
dimostrare qualcosa”.
Pao scuote il capo, imbronciata; “Sono sicura che Vera ci
avrà già pensato seriamente”. Riguarda
i disegni, e il sorriso amorevole ritorna sul suo viso: il suo nuovo
ruolo di architetto sta diventando una ragione di vita per lei.
“Guarda il sistema di montaggio, come quello dei Lego. Gli
elementi sono di un calcestruzzo di calcare e granito ricristallizzato
e protetto dall’acqua, come i muri del palazzo. Con questi
innesti, basterà calarli in
posizione…”. Si interrompe un attimo, pensierosa.
“Terry, sai quando sarà pronta
l’autogru, agli archi di crescita?”.
“Lo sai anche tu, Pao. L’autogru è stata
fermata due mesi fa”.
“COSA?”. Paochaion si alza in piedi, gli occhi
fuori dalle orbite come per un insulto inaspettato. “Io ne
avrò bisogno fra pochi mesi! Questi elementi prefabbricati
peseranno tonnellate!”.
“Ora stiamo dando la priorità a nuovi pannelli
psic..”.
“IO HO BISOGNO DI QUELL’AUTOGRU!”,
strilla Pao battendo i piedi, viola in viso. “LI VOLETE O NO,
I NUOVI EDIFICI ?!? E ALLORA, TIRATE FUORI SUBITO L’AUTOGRU!
O PREFERITE COSTRUIRLI PIETRA SU PIETRA PER I PROSSIMI
TRENT’ANNI?!?”.
“Pao, datti una calmatina!”.
“CALMATINA UN CORNO!”.
Qualcuno
bussa alla porta. “Cosa succede?”, fa la voce di
Irenior al di là del battente, poi si sente scattare la
serratura.
Lei e Carol entrano nella stanza, allarmate, e chiudono la porta in
faccia a due soldati richiamati dalle grida.
“Ragazze, va tutto bene?”, chiede Irenior.
“Pao, cosa c’è che non va?”,
fa eco Carol.
L’altra le accoglie con i pugni piantati sui fianchi.
“Dite a Vera che non posso fare a meno
dell’autogru, punto e basta! E serve anche un autocarro, e
poi un bulldozer! O niente mercato e niente stazione!”.
“Ma…”.
“Calma, Pao”, fa Theresion conciliante, alzandosi
dal letto. “Se abbiamo lasciato indietro l’autogru,
è perché abbiamo allo studio
un’alternativa migliore del materializzare venti tonnellate
di ferraglia”.
“Davvero?”, fa Pao sorpresa, “E quale
sarebbe?”.
“Non posso ancora parlarne”, si schermisce
l’altra.
Carol, in disparte, intuisce il motivo di tanta reticenza: se quella
cosa ha applicazioni militari, è meglio che lei non tenti
neppure di venirne a conoscenza. Getta lo sguardo sui disegni
appoggiati sul tavolino, sotto le lampade alogene, e li sfoglia.
“E così, Pao, questa è la bozza del
nuovo mercato”.
Paochaion, nuovamente sorridente, le sfoglia il grosso blocco con mal
celato orgoglio. “Bello, vero? Completamente
componibile!”.
“Bello, sì. Molto razionale. Però
è troppo ripetitivo per Meridian”.
L’altra la guarda delusa. “La simmetria
è fonte di bellezza!”.
Carol nicchia. “Pao, la simmetria bilaterale va bene, la
ripetitività no. In questa città
l’estetica del disomogeneo è una radicata scelta
ideologica. E’ anche sostenuta dalla famiglia reale per
incoraggiare la tolleranza tra persone dall’aspetto molto
diverso. Insomma, si vuole scoraggiare ogni tendenza a suddividersi in
razze”.
“Ma come fanno a trovarsi un compagno?”, chiede
Irenior. “Tra tanta gente diversa che ho visto qui, non ce
n’era uno che avrei accettato per… beh, per
passarci il tempo. A parte Caleb, beninteso”.
“Sono abituati alla disomogeneità”,
ribadisce Carol, sfoggiando l’immensa e confusa cultura che
le deriva dalla sua attività di ladra di memorie.
“Paradossalmente, gli unici che facevano eccezione erano
proprio gli Escanor, che erano endogami come i faraoni”.
Notando gli sguardi perplessi, chiarisce: “Cioè si
sposavano tra loro, in famiglia”.
“Non è che sia proprio una cosa sana”,
storce il viso Irenior.
“Non lo è; infatti sono quasi estinti.
Quest’usanza trasmetteva poteri parapsichici incredibili alla
discendenza, non si può negare. Però trasmetteva
anche difetti metabolici che erano spesso letali per i neonati. Elyon e
Phobos erano gli unici sopravvissuti di sei figli”. Accenna
un'alzata di spalle. “Se le cose fossero andate diversamente,
probabilmente lo sposo predestinato a Elyon sarebbe stato proprio
lui”.
“Phobos…”, ripete Theresion con un
brivido di disgusto.
“Però era un gran figo!”, se ne esce
Irenior. “Ci avrebbe aiutate a passare tutto questo tempo
lontane dal nostro mondo”.
Tre sguardi severi la fanno vergognare della sua uscita.
“No, eh?”, balbetta arrossendo: anche oggi ha fatto
la sua bella figura.
Dopo un attimo d'imbarazzo, contrattacca: “Ma almeno io non
sono sua sorella! E poi, se vogliamo cercare cose strane, guardiamo
tutte noi: ora siamo il gruppo dominante nel metamondo! E, a parte
questi colori fasulli della pelle, siamo tutte terrestri, tutte
femmine, tutte della stessa età, tutte create per magia.
Compresa Vera. Per non dire niente di ventuno Nemesis tutte uguali.
E’ difficile immaginare un gruppo dirigente meno disomogeneo!
E con meno prospettive di ricambio generazionale!”.
Nemesis
Quindici esce dalla camera, non vista e non salutata, attraversando il
battente della porta come fosse illusorio. Guarda nel pianerottolo
debolmente illuminato dalla luce del giardino: meno male, non
c’era nessuno ad ascoltare. Irene e le altre dovrebbero
evitare questi discorsi compromettenti a voce così alta.
Sospira amareggiata: il destino che le Nemesis hanno accettato
è crudele. Indipendentemente da ciò che faranno,
dal fatto che vincano o meno il loro confronto con le vere Guardiane e
con Elyon, su questo mondo saranno destinate a restare per sempre
nell’ombra.
Guarda dalla finestra che dà sul giardino interno: lo
spettacolo dei fiori bioluminescenti è di una bellezza da
mozzare il fiato, come un mare e un firmamento assieme sotto i suoi
occhi.
Alle sue
spalle, una voce sommessa sussurra: “Bello, vero? Si dice che
ai tempi di Phobos fossero molto, molto più brillanti,
irrigati con l’acqua magica negata alla
popolazione”.
Nemesis Quindici si volta stupita: è Vera, in camicia da
notte e con degli occhiali avvolgenti dalla lente iridescente, che si
sfila e fa sparire nel palmo.
“Vera, non ti avevo sentita. Come hai fatto?”.
“Ho i miei trucchi, Katja”, risponde con un
sorrisino enigmatico.
“Sei stata richiamata dallo strepito di Pao?”.
“Sì e no. Ero già sveglia. Questa notte
ho qualcosa di importante da fare, ma non subito.
Nell’attesa, andrò a farmi quattro passi nel
giardino”.
La porta della camera si apre, e la sua luce squarcia la penombra del pianerottolo. Senza notarvi alcuna presenza, Irenior e Carol escono salutando le amiche e rientrano nei loro alloggi.
Notte
Il ragno
avanza, inesorabile, emergendo dalla penombra verdina della camera, e
si arrampica sulla coperta di lucido raso azzurro.
Lei vorrebbe fuggire, ma non può. Si sente come intrappolata
nel suo letto. Il suo corpo, irrigidito dal terrore, non risponde alla
volontà. Le mani non colpiscono, le gambe non fuggono; la
bocca non grida, serrata dal ribrezzo.
Lo vede risalire sulla sua gamba rigida come legno, fino ad avvicinarsi
al viso. E’ orrendo, è enorme: con le zampe,
è quasi più grande di una moneta.
La prospettiva cambia: ora si sta arrampicando su un’immensa
distesa di stoffa lucida, risalendo pieghe che lo sovrastano come onde
di tsunami, nascondendogli l’orizzonte finché non
vi arriva in cima, per poi dover scendere nell’abisso
successivo nella suo lento avvicinarsi. Ed ogni volta che arriva in
cima ad una piega, la sua meta è un po’
più vicina: un viso enorme, terrorizzante eppure
immobilizzato in una maschera di terrore. E’ il suo stesso
viso, ingigantito alle dimensioni di una casa.
Il misterioso visitatore parla con una voce senza suono:
“Therese, ho dovuto chiamare a me un coraggio che non sapevo
di avere. Sono arrivato di fronte a te, a portata della tua enorme
mano. Se tu lo volessi, potresti schiacciarmi con un semplice gesto. Ma
sento che non lo farai.
Io ho sempre avuto terrore degli esseri umani. Essi ci uccidono con
indifferenza, con disprezzo, senza neppure il bisogno di mangiarci,
né di degnarci del loro odio.
Tu sei diversa. Ci temi, eppure ci hai salvati.
Tempo fa, nel corridoio sotterraneo che è tutto il mio
mondo, una luce maligna è apparsa, balenando lenta e
inesorabile lungo e pareti. Percepivo l’orrore di mille
creature che sentivano il loro corpo dissolversi: i miei fratelli, le
mie prede, tutto ciò che faceva parte del mio piccolo mondo.
Preparando il mio addio alla vita, guardavo questo chiarore spettrale
serpeggiare verso di me. Poi ho sentito la tua voce gridare
‘NO!’, e la luce assassina si è esaurita
un attimo prima di raggiungermi. Io sono il primo dei sopravvissuti di
quella volta, e lo devo a te.
Ho deciso di vincere la mia paura, perché ho scrutato nel
tuo cuore e ho visto che anche tu ci temi come la morte, nonostante il
tuo corpo gigantesco e quasi invulnerabile.
Allora sono venuto a proporti pace e amicizia a nome mio e di tutte le
umili creature del cielo, della terra e del sotterraneo, che chiedono
solo di essere lasciate vivere”.
Theresion si
sveglia di soprassalto. Apre gli occhi nella semioscurità
della stanza, tagliata da due fioche lame di luce delle lune
artificiali che filtrano tra i tendoni accostati. Accende il suo
specchietto, apparsole nel palmo, ma non vede nessun piccolo animale
attorno a sé.
Nel letto accanto, Paochaion mugola e si volge dall’altro
lato, poi riprende il respiro del sonno.
Theresion spegne la luce e sprofonda di nuovo nel cuscino morbido: era
solo un sogno, ma ricorda ancora le parole del ragno, una per una.
Turbata, eppur serena, si scopre a sorridere quasi con affetto di quel
ricordo, poi il sonno la rapisce nuovamente e la porta con
sé nel profondo.
Sala da pranzo, la mattina dopo
Il giorno
dopo, Theresion arriva per ultima a colazione; le sue amiche sono
già sedute al tavolone con Vera.
Pao, con gli occhietti più sottili del solito, si sta
sorbendo un’enorme tazza di koofii nero come
l’inferno, mentre Irenior sta collaudando con soddisfazione
tutti i tipi di pasticcini della portata e Carol sta prendendo appunti
per la sua prossima missione segreta a un centro commerciale di Midgale.
Quando il suo sguardo incrocia quello della Grande Sorella, Theresion
non ha più dubbi. “Vera, ti aspetti che ti
ringrazi?”.
Tutte le altre si interrompono, sorprese da quest’uscita.
L’altra le sorride sorniona. “Non serve, grazie. Mi
piace fare del bene”.
“Ma ghi coja shtate pallando?”, chiede Irenior a
bocca piena. “Dei shuoi shogliti sheheti?”.
“Lo sa lei, di cosa parlo! Vera, ti avevo pregato di tenerti
fuori dalla mia testa!”.
Dopo un’occhiata penetrante, Irenior farfuglia:
“Hai sciognato un uagno he hi harlaua?”, e comincia
a ridacchiare.
Temendo un epilogo tragico di quella risata a bocca piena, Carol si fa
scudo con un tovagliolo alzato. “Controllati, Polpetta!
Terry, benvenuta nel club delle plagiate!”.
“E’ che volevo vincere quella paura da
sola!”, rinfaccia la ragazza dai capelli candidi.
“Era una scommessa con me stessa!”.
“L’avresti persa, lo sai”, le risponde
Pao quasi nel sonno, continuando a sorseggiare il koofii.
“Vedila così”, la rigira Vera senza
perdere il sorriso, “L’hai persa, ma
l’hai anche vinta. Ecco il bello di scommettere con
sé stessi”.
“Che sofisma!”, sbotta Theresion.
L’altra aggiunge: “E ora non hai più
paura dei ragni. Ti pare un male?”.
Irenior, deglutito il pasticcino, esclama raggiante: “Niente
più paura dei ragni? Ma è meraviglioso, Terry.
Faccio fatica a crederci!”. Poi, puntandole contro un
cucchiaio, aggiunge: “Vorrei metterti alla prova. Liberati
per un’oretta, stamattina! Verrai con me in un posto
speciale”.
Meridian, sotterranei
“Complimenti,
Terry”, si compiace Irenior scrutandola mentre proseguono fianco
nel corridoio dalla luminescenza verde. “Neanche un segno di
nervosismo!”.
L’altra annuisce. Le secca ammetterlo, ma potersi avvicinare
a un palmo da un ragno senza essere scossa da spasmi di panico le
dà un senso di libertà mai provato prima. Anzi,
le sembra quasi di ritrovare l’amico inatteso che
è venuto a parlarle nel sogno. Ciò le fa quasi svaporare
il rimpianto che questa vittoria non sia stata davvero sua.
“Adesso la prova del sei!”, aggiunge Irenior,
incamminandosi veloce lungo una diramazione del corridoio.
“Del nove, vorrai dire”, la corregge Theresion,
seguendola senza esitazione.
L’altra liquida l’osservazione con un gesto di
nonchalance. “Sei, nove… sai,
come dice il proverbio, non c'è sei senza nove!”.
Dopo pochi
passi, nota che l’odore del luogo si sta facendo sempre
più stantio e sgradevole man mano che procedono.
“Eccoci”. Irenior alza il suo specchietto, e la sua
luce biancazzurra illumina in profondità la galleria. Da
lì in poi, il pavimento è cosparso di detriti di
ogni tipo, e solcato da rapidi movimenti guizzanti di chi sa che
animaletti. L’aria è costellata da insetti diafani
dalle zampe filiformi che volano lentamente, districandosi tra le
ragnatele lunghe e dense come tendoni.
Irenior si volta indietro, carica di attesa. “Allora, Terry,
te la senti di seguirmi qui?”.
L’altra storce il viso. “Mi sa che ci
sporcheremo… ma sì”.
“Guarda che qui i ragni sono grossi come topi e i topi sono
grandi come gatti”.
Theresion si acciglia, ma oggi sente il bisogno di vincere una qualche
sfida. “Io non ho paura dei gatti”, le rimanda,
“Almeno finché non ruggiscono”.
“L’hai voluto!”. Irenior si incammina
decisa nel corridoio, senza neanche preoccuparsi di schivare le grandi
ragnatele. La luce azzurrina del suo specchietto, diffondendosi da
dietro, le trasforma in veli traslucidi dalla bellezza sinistra di una
tomba abbandonata da millenni in attesa dei suoi profanatori.
Sforzandosi solo un po’, Theresion la segue. Il contatto con
quei filamenti lievi le procura una sensazione indefinibile: se si
vince lo schifo, potrebbe essere considerata quasi una carezza.
Comunque i grossi insetti che le ballano davanti al viso sono
tutt’altro che attraenti, e l’odore di chiuso le fa
quasi nausea, ma vede Irenior che cammina senza paura, voltandosi
divertita a osservare le sue reazioni. Troppo divertita.
Alla fine, lo specchietto illumina una robusta parete di pietra. Il
corridoio appare senza sbocco.
“Fine della corsa”, commenta Theresion raggiungendo
l’amica.
“Errore!”, le sorride l’altra, e
attraversa la parete come se fosse di fumo.
Un attimo
dopo, anche Terry si trova in un grande stanzone illuminato da pannelli
dalla fluorescenza bianca posti sulla volta. Le pareti, il pavimento e le colonne sono
imbottite di qualcosa simile al sughero.
In mezzo alla stanza, le guardiane Hay Lin e Taranee si voltano a
guardarle.
“Irene, che sorpresa!”. “E Terry? Come
mai?”.
“Ma.. che posto è questo?”, chiede
Theresion. “Sembra… una specie di
palestra”.
“Proprio così”, conferma Nemesis Sei,
apparsa dalla porta alle loro spalle, probabilmente dopo averle
scortate lungo tutto il loro tragitto nel sotterraneo. “Noi
lo usiamo per allenarci”. Con un movimento della mano come
per abbattere un cappuccio, il caschetto dalla visiera iridescente
sparisce dal suo capo.
Nove botti risuonano in rapida successione da una oltre una porta
socchiusa, poi Nemesis Diciotto in divisa fa capolino, tenendo una
pistola ancora fumante puntata verso il soffitto.
“Ehilà. E’ già ora di
merenda? Ciao, Terry, come mai qui?”.
“Mi ha portata Irene”, risponde questa guardandosi
attentamente le maniche: non c’è traccia delle
ragnatele che ha attraversato. “Ma quel
corridoio...”.
“E’ tutta un’illusione per tener lontani
i curiosi”, le chiarisce Sei.
Irenior annuncia festosa: “Ho messo alla prova Terry. Non ha
più neanche un filo di paura degli insetti!”.
“Paura degli insetti…”, riflette
Taranee, “Al bisogno, dovrei simulare anche quella per essere
più convincente. Ma è una cosa così
sciocca…”.
“Grazie!”, le risponde gelida Theresion,
incrociando le braccia al petto.
La guardiana spiega: “Qui ci stiamo allenando a combattere in
un modo che assomigli a quello delle vere Guardiane. Non è
facilissimo: i loro poteri derivano dagli Elementi, mentre i nostri ci
vengono da Vera. Non sono gli stessi, quindi”.
Theresion annuisce. “E così, tu dovresti
combattere generando fiamme!”.
“Già. Le simulo creando fasci ionizzati. La luce
non è la stessa, però possiamo utilizzare anche
le pulsazioni teleipnotiche adrirezionali”.
“Insomma, un’allucinazione per farli sembrare
fiamme”, aggiunge Sei, “Un tipico effetto speciale
di Vera”.
“Già”, conviene Taranee,
“Però non dimentichiamo neanche che i fasci
ionizzati, se usati al massimo, possono bucare una parete da parte a
parte”.
“Io utilizzo la telecinesi per simulare la portanza
dell’aria”, interviene Hay Lin.
“Guardatemi!”. Per dimostrarlo, comincia a levitare
fino a portarsi appena sotto la volta, iniziando poi qualche lenta e
timida evoluzione. Poi tende le mani verso Irenior, che inizia a sollevarsi
da terra.
“Ehi, mettimi giù!”, protesta questa
agitandosi scompostamente. “Giù, ho detto,
altrimenti a pranzo per te ci sarà solo un tozzo di pane
secco! Anzi, neppure quello!”.
La minaccia fa effetto. Ad un gesto di Hay Lin, Irenior viene deposta
nuovamente sul pavimento.
“Oh, bene!”, fa lei ricomponendosi, “Hay
Hey, tu sarai anche la Guardiana dell’Aria, ma io resto
sempre la Guardiana della Cucina!”.
Nemesis
Diciotto fa strada alla stanza successiva. “E questo
è il poligono!”.
Il locale è un tratto di corridoio rivestito di sughero, e
presenta bersagli circolari di legno disposti a distanze diverse,
abbondantemente sforacchiati. Il più vicino, a dieci passi,
ha tutti i fori in prossimità del centro, mentre il
più lontano è simile a un groviera.
Nemesis Diciotto capisce subito cosa sta guardando Theresion.
“Non si può fare di meglio da lontano, con questi
giocattoli”, si discolpa mostrando la sua piccola Walther
PPK, “E Carol non ne vuole sapere di acquistare armi
più serie. Che so, dei fucili M16, per esempio”.
Theresion si rabbuia. “Che bisogno avete di ‘armi
più serie’? I poteri mentali non sono
abbastanza?”.
“Certo”, risponde l’altra sulla difensiva. “Ma
non si sa mai che possano venire meno. Basta che Vera prenda un
tranquillante, un ansiolitico, magari per errore… e niente
più poteri per un po’. Né lei,
né noi. Né voi”.
“Se succedesse, noi potremmo restare bloccate con
l’aspetto delle guardiane, o delle aquile”,
aggiunge Hay Lin.
“Bisogna sempre poter contare su un qualche
ripiego”, aggiunge Diciotto.
Irenior fa un sorrisino divertito. “Mah… non credo
che un’aquila se ne farebbe molto di un’arma
più seria. Meglio un trespolo più comodo,
no?”; poi ammicca rivolta a Terry: “E’
che alle nostre amiche Nemesis piacerebbe avere un bel giocattolone in
più, tutto qui”. Poi la prende per una mano:
“Vieni a vedere qualcosa di meglio!”.
La trascina, attraverso un'altra stanza attrezzata a palestra, fino a
un altro corridoio, sul quale si aprono delle diramazioni simili ad
androni, nei quali si trovano diverse porte di legno, come di case
private.
“Ecco, Terry: le Nemesis alloggiano qui”.
Nemesis Sei, che le ha seguite, aggiunge: “Salvo quelle che
impersonano le guardiane ed Elyon, che dormono a palazzo”.
Lei si guarda attorno. “Dormire nel sotterraneo…
non fa freddino?”.
Irenior le ammicca: “Lo farebbe, se non ci pensassi
io”. Apre una delle porte e fa strada
nell’appartamento.
Al suo ingresso, alcune lanterne a olio sembrano accendersi da sole.
L’interno è accogliente e pulito come una
qualsiasi casa di superficie; al centro del tavolo
c’è perfino un vaso con alcuni fiori di campo
quasi freschi. “Carino, vero? E chi è che lo tiene
così bene? Chi è che accende la stufetta, fa da
mangiare, tiene pulito?”.
“Tu?”.
“Certo, io. Beh, non solo io. Il letto se lo rifanno da sole,
come bravi soldati”, dice Irenior, facendole strada verso
alcune camere.
Nelle quali, come per contraddirla, tutti i letti sono disfatti.
Pianta i pugni sui fianchi. “Cosa significa
questo?!?”.
Nemesis Sei, dietro di lei, guarda il soffitto con espressione
innocente, il più ovvio indice di colpevolezza.
“Questo… eeh… non preoccuparti, lo
sistemerò subito”.
“Brava! Se no niente merenda!”. Fa due passi verso
la porta. “Ora vado a casa mia a preparare i biscotti, ma
prima di farvi mangiare controllerò che sia stato messo
tutto a posto!”.
L’altra annuisce compunta come una bambina che vuol far
dimenticare di essere stata cattiva.
Irenior accenna ad uscire dalla camera. “Vieni,
Terry”.
“Un attimo”, risponde Theresion. “Sei, mi
potresti prestare il tuo casco? Sono sempre stata curiosa di provare la
visiera anti-ipnotica”.
“Mi chiamo Laurie, dovresti saperlo”, sbotta
l’altra. Esita un attimo, poi si fa apparire in mano un paio di
occhiali avvolgenti dalle lenti iridescenti. “Prova questi,
piuttosto”. Glieli porge. “Però devi
renderli subito. Anche questi sono un segreto militare”.
Irenior trascina l’amica per la manica. “Vieni,
Terry, li proverai strada facendo. Casa mia è a due passi da
qui. Laurie, raggiungici appena hai finito”.
Uscita
dall’alloggio sotterraneo, Irenior si dirige verso un muro che sembra
chiudere il corridoio, poi si ferma ad aspettare. “Allora, ci
sei?”.
Theresion la segue, indossando gli occhiali sulla punta del naso, e
alternando occhiate attraverso le lenti con altre da sopra.
“Quel muro è fasullo”, sentenzia subito
prima di attraversare senza esitazione lo spazio dove chiunque altro
avrebbe visto una solida parete di sasso.
Al di là, sfilandosi gli occhiali, le sembra nuovamente di
vedere una barriera di ragnatele e di sporcizia, ma anche questa
è un’illusione.
Irenior è subito accanto a lei. “Ed eccoci di
nuovo nel tunnel degli orrori!”, esclama divertita, poi parte
in avanti fendendo i festoni repellenti con le braccia tese.
“Guarda come sono coraggiosa, Terry!”. Le fa vedere
un grosso ragno nero dall’addome a puntini aranciati che le
penzola dalla manica.
Theresion guarda bene da sopra gli occhiali, poi attraverso le lenti,
poi di nuovo da sopra. “Irene… Vorrei tanto non
dovertelo dire, ma quello è un ragno vero, e pure
velenoso!”.
Mentre sta riordinando la sua cameretta, Nemesis Sei sobbalza al sentire l'agghiacciante strillo di puro terrore che rimbomba nella galleria.