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Autore: Sashy    19/02/2011    4 recensioni
La storia ampia di un Dave Karofsky che si sente sempre più intrappolato, e di un romanzo che ricorderà sempre durante questo periodo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ed ecco un altro cap. Scusate se è corto rispetto al primo, ma l'ispirazione per me è come uno scivolo: dura poco e devi riandarci se vuoi divertirti.
Buona lettura!

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Ne tue pas ma Esmeralda

Era stata una giornata faticosissima per Dave. Si era fatto trovare impreparato ad un’interrogazione, Azimio rompeva le palle sul festino che voleva progettare –e a lui non poteva fregare di meno, ma doveva solo sorridere–, il fratello se n’era andato con chissà quale ragazza a fare chissà che con la sua macchina, e si ritrovava a dover andare a casa a piedi, nel caso qualcuno dei ragazzi non gli avrebbe dato un passaggio.

A volte aveva la sensazione che tutto fosse sbagliato. Comportarsi da stronzo non era la giusta via. Come non era stato giusto rinunciare ad un sacco di cose per averne altre. Certo, gli iniziava a piacere il football, le feste con gli amici erano fighe e le risate non mancavano mai, ma doveva sempre vivere con la pressione costante di doversi insidiare nelle loro menti per poter dire e fare quello che loro volevano.
Ci aveva fatto l’abitudine, ma non era comodo.

Stava predicando per l’ennesima volta mentre superava a passi l’auditorium, quando notò che i clandestini stavano iniziando a guardare qualcosa, uno spettacolo, sembrava –c’era anche quello nuovo con loro!–. Cercò di aprire la porta il più silenziosamente possibile –doveva pur ammettere che le attività del Glee lo avevano sempre attirato–, facendo attenzione a non farsi scoprire. Sul palco c’erano dei ballerini, un pianista e un ragazzo che si stavano preparando.

Poi si accesero le luci. E il cuore di Dave cadde a terra.

Quello sul palco era Kurt Hummel. Non ne era sicurissimo: era troppo lontano, ma poi sentì la voce e constatò che sì, era proprio Hummel. Era vestito metà da donna e metà da uomo, e stava cantando una canzone che, a quanto pareva, parlava di Jazz.

Kurt Hummel. Il ragazzo che aveva tormentato i suoi pensieri per un anno e mezzo. Il ragazzo che, per dimenticarlo, Dave aveva dovuto o evitare, o coprire di granita o picchiare, prima che potesse guardarlo dritto negli occhi e riprendersi una batosta per lui.

Ma Dave capì presto che sarebbe stato troppo facile se lui l’avesse potuto stregare solo con gli occhi.

Là, in mezzo al selciato, una creatura danzava. Una creatura così bella che Dio l’avrebbe preferita alla Vergine, e l’avrebbe scelta come sua madre, e avrebbe voluto nascere da lei, se fosse esistita, quando si fece uomo!

“Oh, baby, won't you play me Le Jazz Hot, maybe? And don't ever let it end…”

Stupito, inebriato, affascinato mi concessi di guardarti.

Dave Karofsky sentì tutto il nervosismo, lo stress, la stanchezza, svanire. Nelle sue orecchie c’erano solo quella musica e quella voce, nei suoi occhi solo quel ballo, nella sua mente solo quel ragazzo.

Ti guardai tanto che ad un tratto ebbi un fremito di spavento e sentii che il destino mi afferrava.

Tutti i ricordi che aveva di Kurt, che aveva meticolosamente e rigidamente cercato di scordare attraverso qualsiasi cosa –e per ‘qualsiasi cosa’ intendeva qualsiasi cosa–, stavano rispuntando come funghi, e i sentimenti che provava per il soprato stavano riaffiorando come rose appena sbocciate.

Che potevo fare, miserabile? Il tuo canto era più affascinante ancora della danza. Volli fuggire. Impossibile. Ero inchiodato, radicato al suolo. Mi sembrava che il marmo del pavimento mi fosse salito fino alle ginocchia. Dovevo rimanere fino alla fine. Avevo i piedi di ghiaccio, la testa in bollore.

“Le Jazz Hot.”

Kurt smise di cantare, ebbe forse pietà di lui. Appena sentì gli altri membri del club applaudire, se ne andò in fretta e furia.

Ma ormai era inutile scappare. Non faceva altro che sentire la sua voce in testa, i suoi passi, il suo carattere sicuro e da diva che era riuscito a spiazzare il suo flaccido animo a suon di musica.
Ci pensò mentre tornava a casa, la notte e il mattino seguente, e la cosa si prolungò in giorni. Ormai era fatta: Kurt Hummel era tornato a sconvolgere il suo mondo. Il suo fragile, sciocco mondo che già era fatto di cartapesta a furia di doverlo reprimere per convenzioni sociali.

Fu quando lo vide di nascosto cantare nel Rocky Horror Picture Show che capì che non poteva fare più niente per dimenticarselo, non importava quanto tempo passasse. Quindi poteva fare solo due cose: cambiare, diventare qualcuno dei clandestini e mandare a fanculo tutto quello per cui lui e Jackie avevano lavorato, oppure trovare un modo per far sì che il loro rapporto cambiasse e si facesse più evidente, più concreto, non importava come.

Non vi è ancora dato sapere se si pentì della sua scelta.


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Duuunque xD Lasciate che vi dica: la storia non è finita.
Però sono indecisa sul finale: un lieto fine o qualcosa di drammatico, che si addice molto di più a Notre Dame de Paris? O tutti e due? Ditemi un po' che ne pensate =)

E ho deciso di dare un po' di "traduzione" ai riferimenti del libro. Ecco i vari riferimenti:

-I clandestini. Karofsky chiama così il Glee Club perché, nel libro e nel musical, i clandestini vengono discriminati e trattati una schifezza, tranne quando fanno i loro spettacoli.
-Frollo (primo cap). Karofsky si sente come Frollo che, amando tremendamente Esmeralda, non viene notato da lei se non per odio, perché quest'ultima è troppo occupata ad amare Phoebus (che è interessato solo al sesso).
–Kurt, in questo cap, viene paragonato ad Esmeralda. Frollo si innamora di lei quando la vede cantare e ballare. Well, that's the same for Dave.
–Le varie citazioni del libro sarebbero troppo lunghe da spiegare, ma le ho modificate in modo che voi poteste capire anche senza aver letto il libro.
–"ebbe pietà di lui": quello che pensa Frollo quando Esmeralda smette di cantare.
  
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