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Autore: Nakara86    04/03/2011    2 recensioni
Storia partecipante al Phantom of the Opera Contest, indetto da GiulyRedRose e Kenjina
Erik, il famigerato Fantasma dell'Opera, non è più ricercato e dopo quasi un anno dall'incendio del teatro è tornato a vivere nei suoi sotterranei. La sua quiete però, non durerà a lungo perchè la sua vita verrà scombussolata dall'arrivo di un angelo e dal fantasma del suo eterno amore: Christine, ormai Viscontessa, intrappolata in un infelice matrimonio con il suo principe azzurro Raoul. I destini dei personaggi si intrecceranno inaspettatamente, uniti da un omicidio del passato che ha toccato, in modi diversi, le vite di tutti loro.
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera , sto già gongoando per quello che verrà raccontato in questo capitolo, e spero veramente di leggere qualche commento soprattutto su Eloise che ho paura di aver reso un pò troppo "arzilla".


Capitolo 13 - Solitudine

“Ophèlie! Ophèlie!”
La giovane si alzò a fatica dal torpore in cui l'alcool e la disperazione l'avevano gettata.
“Erik.” biascicò lei.
“Come state?” le chiese preoccupato l'uomo.
“Sono stata meglio.” ed ancora sentì una fitta al cuore. Basta, basta, non ne poteva più di quella sofferenza.
“Posso fare qualcosa?”
“Si, lasciarmi in pace.” disse secca.
Erik allontanò le mani dalle spalle della giovane e si sedette davanti a lei.
“Voi... avete bevuto?” la accusò lui indicando la bottiglia di assenzio accanto alla donna.
“Ho solo assaggiato...” disse saputa la ragazza.
“Siete ubriaca!”
“No, non lo sono. Cosa è successo a Christine?” disse, sicura che parlare di lei lo avrebbe distratto dalla situazione disastrosa in cui si trovava.
“Meg, la ricordate Meg?”
“Vagamente. L'ho vista solo una sera... ed era buio.”
“Meg è la sorellastra di Christine.”
“Si questo l'avevo intuito.”
“È morta, uccisa da un cavallo.”
“Cosa?” chiese Ophèlie che poco per volta stava riprendendo il controllo di se'.
“Si, davanti agli occhi di Raoul e di Christine, che ovviamente si è accorta di tutto.”
“Quindi?”
“Quindi poco fa mi ha chiesto di fuggire con lei!” esclamò lui con gli occhi che brillavano per l'emozione e la felicità.
“Cosa?” esclamò risentita la giovane ormai lontana dal torpore di poco prima. Sentiva il fuoco bruciarle dentro. Christine? Che chiedeva a lui di fuggire dopo le sofferenze che gli aveva causato? Come osava?
“Vi ha chiesto di fuggire?”
“Si!”
“Dopo tutte le sofferenze che vi ha causato?”
“Non è fantastico?”
“E voi cosa le avete risposto?” continuò la giovane ignorando la domanda retorica che Erik le aveva rivolto poco prima.
“Fuggiremo domani nella notte!”
“Fantastico...” disse nauseata la ragazza.
“Non siete contenta?”
“Se lo siete voi non posso che esserlo anche io.” disse lei cercando di fargli capire cosa volesse dire quella frase.
“Rispondetemi sinceramente Ophèlie. Avete detto di essermi amica...” disse lui prendendole le mani tra le proprie.
“L'ho detto?” chiese lei.
“Non proprio, ma mi avete chiesto di fidarmi di voi, bene lo sto facendo, cosa ne pensate?”
“Volete la verità?”
“Pura e semplice, senza giri di parole...”
“Potrebbe non piacervi...”
“Vi prego!” chiese lui tanto vicino alla giovane che per un attimo pensò di poterle leggere nell'anima.
“Secondo me non dovreste farlo.”
“E perché mai?” si irrigidì l'uomo.
“Vi ripeto che non vi piacerà quello che sto per dirvi, quindi forse...”
“Quindi forse dovete dirmelo! Non sono un uomo molto paziente.”
“Si questo lo so.” disse dura la giovane.
“Ebbene?”
La ragazza sospirò, pronta a prendersi la responsabilità di ciò che stava per dire, consapevole che Erik non l'avrebbe presa bene.
“Vi ha già abbandonato una volta, cosa vi fa pensare che...”
“Non lo farà più questa volta!” la interruppe l'uomo.
“Ve l'ha detto lei?”
“Me l'ha promesso! Questa volta non lo farà.”
“E voi siete così ingenuo da crederle?” disse la donna innervosita dal suo atteggiamento. Detestava Christine proprio perché inibiva le capacità intellettive di Erik e questo lei non lo sopportava.
“Io la amo!”
“Magari lei non ama voi!” incalzò la giovane.
“Invece si! Ne sono certo!”
“Ve l'ha mai detto?” rispose lei portando a segno l'affondo definitivo.
Erik non rispose... avvilito.
“Perdonatemi.” disse la giovane abbassando lo sguardo.
“No, non preoccupatevi. Voi mi avete detto che bisogna fidarsi ed io adesso voglio farlo.”
“So cosa ho detto, ma io non mi fiderei di un uomo che mi ha abbandonato... comunque sia. La scelta è vostra... sono contenta che le cose si siano sistemate... buona notte.” disse lei uscendo per andare in camera sua.
“Io mi fido di Christine!” urlò lui al vuoto abbastanza forte perché Ophèlie potesse sentirlo.
“... ma non di me...” si disse la ragazza mentre usciva fuori nella fredda notte parigina.

Quella mattina Ophèlie non era ancora scesa alla dimora sul lago ed Erik iniziava a preoccuparsi. Possibile che l'avesse ferita con le sue parole, possibile che fosse arrabbiata? Possibile che avesse fatto qualche pazzia? Tutte quelle domande non gli davano tregua così decise di andare nella sua stanza per assicurarsi che stesse bene.
“Ophèlie...” disse bussando alla porta della camera. Quando non ricevette risposta decise di aprirla leggermente per capire cosa stesse succedendo.
“Oph...” le parole gli si troncarono in gola quando vide che il letto era vuoto e la stanza esattamente come la lasciava tutti i giorni. Se non fosse stato per quel bigliettino sulla coperta, sarebbe sembrato che in quella stanza non ci fosse mai stato nessuno. Spalancò la porta e corse verso il baldacchino.
“Ophèlie!” sussurrò lui quando lesse il biglietto che lei gli aveva lasciato.

“È giunto per me il momento di camminare con le mie gambe.
Buona fortuna Erik, grazie di tutto.
Con affetto.
Ophèlie”


Quelle erano le uniche parole scritte su quel foglietto. Quando lo voltò in cerca di qualcosa che dicesse di più lesse:

“L'amore è lasciare liberi. Sono sicura che capirete”.

Doveva andarsene da lì, lontano, il più lontano possibile. Aveva giurato di essere pronta a fare anche dei sacrifici per lui, quello era il momento, quella era la cosa giusta da fare. Oppure no? Rallentò osservandosi alle spalle, ormai lontana da Erik. Sperò di vederlo apparire da qualche vicolo, correre verso di lei, sperò di sentire la sua voce chiamare il suo nome, come era successo quella volta in quello strano luogo. Anche adesso che sapeva chi lui fosse, non riusciva a lasciarsi tutto alle spalle. Lei aveva imparato ad amare quell'uomo, ad amare la sua dubbia ma esilarante ironia, ad amare lui, Erik... non quello che era stato. Sentiva che colui che aveva conosciuto non era più chi aveva terrorizzato Parigi, era semplicemente un uomo, con le sue debolezze, con le sue passioni... col suo genio; un genio perfetto, completo, con una mente sensibile e raffinata... affascinante. La giovane sospirò e chiuse gli occhi tentando di allontanare da lei quegli stupidi pensieri. Lui non l'avrebbe seguita, non l'avrebbe supplicata di stargli accanto e lo sapeva, strinse al petto il suo violino.
“Magari non tornerà per me, ma per te sicuramente...” disse stizzita allo strumento nascosto sotto il mantello. L'aveva rubato di nuovo, come unico ricordo di Erik, come merce di scambio per rivedere di nuovo, anche solo per un secondo, il suo sguardo. Sapeva che non avrebbe mai lasciato il suo adorato violino, aveva funzionato una volta, chissà che non potesse farlo di nuovo.
La luce giallastra dell'alba illuminava il pavimento umido delle strade ed alcune carrozze iniziavano a popolare le strade. Comprò un giornale e scorse le notizie. Parigi era ancora sotto assedio e a giudicare dai capannelli di persone armate che giravano per la città, la situazione non era delle migliori. Si sedette sui gradini del Municipio e sfogliò il giornale.
Nella pagina degli annunci dei defunti, campeggiava il nome di Meg Giry i cui funerali si sarebbero svolti quella mattina stessa.
La ragazza pensò alla luce che brillava negli occhi dei due innamorati ed al volto materno e alla gentilezza di Madame Giry. Povera donna, lei non sapeva come fosse perdere il sangue del proprio sangue, ma sapeva cosa volesse dire perdere un familiare. Chiuse il giornale e si mosse verso la chiesetta lì vicino dove si sarebbero svolti i funerali della giovane.

Erik rimase attonito, ad osservare quelle parole, consapevole di non stare comprendendole appieno. Ed ecco che un'altra donna gli aveva rubato il cuore e l'aveva abbandonato. Avrebbe dovuto saperlo che sarebbe successo, avrebbe dovuto capire che per lui non ci sarebbe mai stata pace, non avrebbe mai trovato la sua metà smarrita. Piegò il biglietto e lo mise in tasca.
“Che ti serva da monito, Erik... che ti serva da monito.” e calmo scese di nuovo in casa dove prese il suo mantello ed uscì. Passò davanti a tante cose senza accorgersene, senza capire di cosa si trattasse, di quali costruzioni stava oltrepassando, poi un soffio di vento gli lanciò in faccia una pagina di giornale. La prese stizzito, pronto a buttarla, ma una cosa attirò la sua attenzione. Un nome campeggiava tra i defunti “Meg Giry”. Erik osservò il foglio e poi si guardò intorno, aveva camminato molto e non si era accorto di essere arrivato davanti al Municipio. Il funerale si sarebbe svoltò non molto lontano da lì, e pensò che, visto cosa aveva fatto Eloise per lui, il minimo che potesse fare era presentarsi al funerale di sua figlia. Abbandonò la pagina al vento che la portò via con se', con la stessa velocità con la quale glie era stata portata... doveva farlo.
Si incamminò immerso nei suoi pensieri e nelle mille domande che la scomparsa di Ophèlie gli avevano risvegliato in testa. Avrebbe voluto vederla, solo per chiederle il perché di quello che aveva fatto.

Fuori dalla chiesa c'era molta gente e la ragazza passò inosservata nella moltitudine di persone che affollavano l'entrata del luogo sacro.

Eloise sentì una mano toccarle il braccio e si voltò di scatto. Fece solo in tempo a vedere lo svolazzare di un lungo mantello nero sparire dietro una casa e subito dopo vide il volto della persona a cui apparteneva quel mantello.
“Erik!” sussurrò la donna quando lo riconobbe.
Lo vide farle cenno di non parlare e che avrebbero potuto farlo dopo. Vide le labbra dell'uomo formulare la parola “Coraggio” e la donna sorrise mesta. Mai si sarebbe aspettata di trovarlo lì, per il funerale di sua figlia.
Stava seguendo il corteo all'interno della chiesa quando sentì qualcuno chiamarla per nome. “Eloise.”
La donna si voltò e rimase stupefatta di trovarsi davanti Ophèlie.
“Io, mi dispiace, sono un disastro in queste situazioni...sono... sono venuta solo per farti le condoglianze.”
“Oh, Ophèlie!” disse Eloise e strinse la ragazza.
“Grazie.”
La giovane ricambiò con calore.
“Tu ed Erik, siete come due figli per me. Grazie.” la ragazza sorrise riconoscente del ruolo che la donna le aveva affidato. Le due si separarono e la giovane tenne le mani della donna.
“Ti sono vicina Eloise...”
“Grazie.” disse la donna con le lacrime agli occhi. Tentò di portarla con sé davanti ma la ragazza resistette.
“Preferisco restare qui. Grazie.” disse.
Eloise allora le lasciò le mani, l'abbracciò di nuovo e le diede un bacio sulla guancia.
Ophèlie iniziò a piangere, mai avrebbe pensato di poter ricevere un bacio tanto materno dopo anni. Decise di restare comunque al fondo della chiesa, malgrado la supplica negli occhi di Eloise le stesse facendo ancora sanguinare il cuore.
Erik era nascosto dietro una colonna. Non ricordava quando fosse stata l'ultima vota che aveva messo piede in una chiesa. Di sicuro abbastanza da avere iniziato a credere che l'esistenza di Dio fosse solo una bella invenzione. Non poteva esistere qualcuno che lasciasse le sue creature vessare nella disperazione come gran parte del genere umano. Pensando alla propria situazione, la sua mente andò al raggio di sole che era entrato nella sua vita. Pensò ad Ophèlie e sentì un'inaspettata fitta al cuore al solo pensiero che lei se ne fosse andata. Si guardò intorno a disagio con sé stesso ed i proprio pensieri e vide un'altra figura nell'oscurità al fondo della Chiesa, dalla parte opposta di dove si trovava lui. La riconobbe subito.
“Ophèlie!” sussurrò e fece per muoversi verso di lei, ma sapeva che non era una buona idea uscire dal suo nascondiglio quindi rimase dietro la colonna ad osservarla, sperando di poterle parlare alla fine della Messa.
Quando la funzione terminò, Erik corse fuori quasi sollevato di essere uscito da quel luogo che non aveva mai amato. Lo considerava pieno di gente che non aveva intenzione di muovere un dito verso le persone che avevano veramente bisogno e quando si guardò intorno per cercare Ophèlie, fece appena in tempo a vederla sparire tra i vicoli parigini. Non avrebbe potuto seguirla nemmeno volendo, non alla luce del sole e così attese nell'oscurità che tutti uscissero. Tanto l'avrebbe trovata a casa sua, nel sotterraneo... lei non poteva fare a meno di lui, e lui lo sapeva.

La giovane si allontanò pensando che avrebbe dovuto salutare Eloise prima di sparire per sempre da Parigi, ma non c'era tempo. Con la sua sacca sulle spalle si mosse verso le porte della città, decisa a sparire per sempre e a non tornare mai più. Se la morte l'aspettava fuori dal sotterraneo di Erik, l'avrebbe trovata.

Vide il corteo funebre allontanarsi sulla via e pensò di tornare a casa. Aveva intenzione di andare a trovare Eloise la sera, per farle compagnia, dopotutto, era il minimo che potesse fare.
Mentre camminava verso casa lasciò la mente ripercorrere i ricordi della piccola Meg. Sorrise al ricordo di quanto fosse terrorizzata dalle storie sul Fantasma dell'Opera e di quanto lui si divertisse sadicamente ad alimentare tali dicerie. Sapeva che Eloise aveva fatto gran parte del lavoro in tale senso, con tutte le storie terribili che sicuramente si era inventata per farla stare lontana da lui. Si ricordò il giorno in cui Christine aveva debuttato, si ricordò la piccola Meg ballare leggiadra sul palco, sinuosa e leggera come una piuma. Una ballerina bravissima come sua madre ed altrettanto decisa e caparbia. Non ricordava di aver mai visto Meg civettare come le altre ballerine, era una ragazza concreta, senza grilli per la testa, cresciuta senza padre e ben lungi da vizi e capricci. Eloise l'aveva forgiata benissimo, ma purtroppo, tutto il suo impegno ora era andato in fumo, distrutto dagli zoccoli di un cavallo. Sentì un groppo in gola. Non poteva restare indifferente alla morte di Meg, la figlia dell'unica donna che si fosse mai occupata di lui... prima di Ophèlie.
Scese le scale che portavano alla sua dimora, sicuro che l'avrebbe trovata davanti all'organo ad osservarlo afflitta, pronta a supplicarlo di riprenderla sotto la sua protezione. Avrebbe deciso poi il da farsi, dopotutto, era giusto che pagasse per essersi allontanata da lui senza spiegazioni.
Scostò la tenda assumendo lo sguardo più fiero di cui fosse capace, ma quell'espressione si sgretolò quando capì che non c'era nessuno né davanti all'organo, né da nessun'altra parte. Rimase interdetto, bloccato sulla soglia ad osservarsi intorno preoccupato. Quando si riprese, si tolse il mantello e disse:
“Ho capito, è da qualche altra parte. Effettivamente sarebbe stato troppo scontato farsi trovare qui. Oh, ma ti troverò, vedrai.” e detto questo buttò il mantello sull'organo e si mosse verso l'Opera.
Raggiunse il corridoio ed entrò nel primo sottopalco per vedere se per caso era finita di nuovo nella stanza dei supplizi, ma gli specchi che coprivano le pareti della stanza esagonale rifletterono solo la sua figura. Andò allora nel camerino della Prima Donna, ma nemmeno lì c'era nessuno. Decise di lasciare la stanza di Christine per ultima tanto per farle credere di averla fatta franca, e così si mosse verso il Palco. Nei box, in platea, dietro le quinte... nessuno. Era entrato nei meandri più nascosti, era tornato nella cappella, aveva messo sottosopra tutto il teatro ed ora stava salendo le scale per raggiungere la stanza di Christine. Spalancò la porta sapendo che avrebbe spaventato la giovane ma fu lui a spaventarsi quando vide che nemmeno lì, c'era nessuno.
Aprì il passaggio segreto che portava al lago e tornò verso casa.
“Ma tanto adesso tornerà. Vedrai se non lo farà. È tornata persino Christine, lo farà anche lei e allora quando lo farà vedrai cosa l'aspetterà!” ma il panico stava già prendendo il sopravvento. Non sapeva come potesse essere possibile che non fosse già impazzito.
“Forse perché pazzo lo sei già!” si rispose.
“Io sono pazzo? Io sono pazzo? Adesso vado giù e ti faccio vedere io chi è il pazzo!”
Scese le scale quasi di corsa urlando: “Vedrai! Vedrai!”
“Mi ha fatto uno scherzo! Si diverte la ragazza, le piace farmi preoccupare!” continuava a dirsi, per cercare di coprire il silenzio assordante del luogo, dove nemmeno le gocce di umidità osavano cadere e dove il suo cuore veniva sopraffatto e privato della sua musica. Scese giù, sempre più giù e man mano che scendeva, la consapevolezza che lei non c'era più si faceva sempre più palpabile e soffocante.
“No! È già successo una volta! Non può... Non deve succedere ancora no! Non ancora!”. Disse mentre le parole gli inciampavano in gola.
Chissà se l'avrebbe trovata sul serio ad attenderlo nella sua dimora, chissà se le sue convinzioni non si sarebbero rivelate ancora una volta una sciocca fantasia.
“Ti prego, ti prego... dimmi che ci sei! Ti prego!” piagnucolò.
Arrivò a casa senza fiato e con il cuore che palpitava affaticato dall'ansia e dalla corsa.
Lei non c'era. Urlò disperato ed impazzito. Era stato tradito di nuovo. Abbandonato ancora una volta! Non poteva essere possibile! Osservò il letto e gli parve di vederla ancora lì, febbricitante e tremante, bisognosa di lui, di amore, delle sue cure.
“NOOO!” urlò lui e l'eco si riflesse contro le mura della caverna riempiendo l'aria di un suono lugubre e rabbioso come quello di un terremoto.
Prese un candelabro e colpì il letto, forte, sempre più forte. Le laccature si staccarono dalla struttura. Il legnò si bombò e si crepò sotto i suoi colpi decisi. Quel letto! Quel letto!!! Tutte le donne che vi avevano dormito l'avevano abbandonato. Lì aveva dormito Christine, lì aveva curato Ophèlie, e lì lui stesso aveva composto intossicato dalla dolce presenza di quello che aveva creduto il suo angelo redentore... Ophèlie.
Quando la foga della rabbia si fu esaurita, Erik si accasciò per terra in preda ad un pianto isterico e rabbioso. Piangeva per la frustrazione e rideva al pensiero di quanto fosse stato sciocco a pensare che una donna potesse amarlo per quello che era. Assestò un pugno alla massiccia struttura di legno ed urlò per il dolore.
“Maledetto! Maledetto tu! Maledetto io per la stupidità con cui mi sono lasciato andare!”
Prese l'assenzio, una parte lo rovesciò sulla ferita che si era procurato ed una parte la bevve. Gli venne un conato appena sentì il gusto terribile del liquore bevuto senza averlo riscaldato con lo zucchero. Lo sputò: “Come ha fatto a berlo così?” si chiese lui ricordando ancora Ophèlie ubriaca sdraiata per terra. Iniziò a ridere, sguaiatamente, senza una ragione apparente. Il ricordo di quella scena gli sarebbe rimasto sempre impresso nella mente, come lei gli sarebbe rimasta impressa nel cuore. Una consapevolezza terribile si fece strada tra i pensieri sconnessi ed annebbiati dalla rabbia e dalla disperazione: lui l'amava.
Si, l'amava, e lei era scappata, fuggita, lasciandogli un enigmatico messaggio in cui diceva che lui poteva capire... ma invece no, non capiva.

“L'amore è lasciare liberi. Sono sicura che capirete”.

Cosa voleva dire? Poi le parole di Ophèlie gli tornarono alla mente:
“Per vedere felice la persona che si ama si fanno un sacco di pazzie...” l'aveva detto quando aveva scoperto che lui l'aveva lasciata libera di vivere il suo amore con Raoul.
“Sono sicura che capirete... l'amore è lasciare liberi” quelle frasi si accavallarono nella sua mente. Tirò fuori il foglietto e lo rilesse:

“È giunto per me il momento di camminare con le mie gambe.
Buona fortuna Erik, grazie di tutto.
Con affetto.
Ophèlie”
“L'amore è lasciare liberi. Sono sicura che capirete”.


Spalancò gli occhi, illuminati da una repentina comprensione e fu allora che capì: lei lo amava!
Ma allora perché era andata via?
Non ebbe bisogno di rispondersi. Lui stesso l'aveva fatto ed ora capiva molte cose. Capiva perché lei non si lasciasse andare mai a giudicare, perché non parlasse mai di Christine e non gli chiedesse niente, perché l'aveva trovata ubriaca e sdraiata per terra. Si sentì uno sciocco ragazzino a non averlo capito.
Ora era sicuro di volere indietro Ophèlie. Non si sarebbe spiegato altrimenti il brivido di gioia che l'aveva percorso quando l'aveva vista in chiesa, il panico che l'aveva pervaso quando aveva capito che lei non c'era più, il bisogno incontrollabile di averla accanto, il desiderio di stringerla forte fino a diventare un tutt'uno con lei. Si sentì mancare per quelle rivelazioni che tutte insieme erano arrivate a bombardargli la mente. Aveva bisogno d'aiuto, ma era consapevole che in quel momento Eloise, non era in grado di offrirglielo. Nonostante ciò, prese il mantello ed uscì nella luce del tramonto per andare a trovare la sua vecchia amica, deciso a non parlare di sé, ma a starle solo vicino... come fanno gli amici.

I fucili dei due le si incrociarono davanti agli occhi impedendole il passaggio. Tentò di nuovo ma uno dei due le si parò davanti.
“Non si passa!” disse l'uomo in un francese sgrammaticato ed insicuro.
“Perché non si può? Devo uscire dalla città.” disse la ragazza decisa.
“Non potete! La città è nostra e nessuno esce fino a nuovo ordine.”
Sapeva che sarebbe successo, ma non aveva niente da perdere tanto valeva provarci ancora.
“Io non posso stare qui! Mia madre è di un paesino fuori città ed ha bisogno di me! Devo passare!” disse muovendo un altro passo ma questa volta l'uomo la spinse via dalle porte della città.
“È l'ultimo avvertimento! Se non rinunciate, vi porteremo in prigione.” Ophèlie lo osservò. Non aveva molta scelta, così, rassegnata, proseguì la sua strada, decisa a trovare una falda nelle mura sorvegliate. Mentre camminava per le vie di Parigi, vide un gruppo di poveracci scaldarsi intorno ad un fuoco improvvisato.
“Posso?” chiese, indicando il bidone.
Un uomo le fece segno di sì ma nessuno parlava. Se non fosse stato per le urla concitate che provenivano da dietro un muro la donna avrebbe pensato di trovarsi in una città fantasma.
Si mosse verso il rumore e vide un gruppetto di persone che ascoltavano un giovane uomo, in piedi su una cassa rovesciata che stava evidentemente facendo un comizio.
“Domani all'alba marceremo su Mont Martre! Allontaneremo dagli invasori i cannoni che sono di nostra proprietà! Aiuteremo la Guardia Nazionale e limiteremo la presenza prussiana a piccoli confini e se sarà necessario, li uccideremo tutti!”
“SI!” un urlo si alzò dalle persone che ascoltavano e in pochi secondi, appuntiti strumenti di lavoro si alzarono al cielo.

“Buonasera, sono un amico di Madame Giry, sono venuto qui a portarle le mie condoglianze.”
“Prego - disse Cècile osservando curiosa l'uomo vestito di nero che indossava un enorme cappello a tesa larga fermo sulla soglia - si accomodi”.
L'uomo non alzò nemmeno lo sguardo ed attese all'entrata la padrona di casa.
“Madame, un suo amico l'attende all'entrata le vuole porgere le sue condoglianze.”
Eloise si alzò a fatica dal divano e si mosse verso l'entrata ma la sua domestica le bloccò un braccio.
“Faccia attenzione Madame, non mi sembra un tipo raccomandabile.”
“Non preoccuparti Cècile, tu vai pure in camera tua, lo faccio accomodare io.”
“Ma, Madame...”
“Ho detto che lo faccio accomodare io.” disse secca Eloise impedendo alla domestica di controbattere ed indicandole con un cenno della testa le scale. La domestica non osò rispondere, prese le sue cose e disse:
“Come vuole lei Madame”. Sparì su per i piani più alti lanciando un ultimo sguardo dubbioso al losco figuro in piedi nell'entrata.
“Erik!” esclamò Eloise abbracciando il suo amico.
“Ciao Eloise. Mi spiace non aver potuto starti più vicino però...” disse lui osservando gli occhi gonfi ed arrossati della donna.
“Non preoccuparti Erik, non preoccuparti. Mi hai fatto il più bel regalo che potessi farmi venendo in chiesa.” disse la donna asciugando le lacrime che le cadevano dagli occhi.
“Non ho intenzione di diventare un bigotto come voi altri.”
Eloise lo squadrò e disse: “Vedo che almeno tu stai bene... - commentò caustica - Non sono commossa per la chiesa, ma perché era il funerale di mia figlia...” disse la donna con la voce incrinata dal pianto.
“Eloise, io, non so cosa dirti... io...” ma Eloise non gli disse niente, lo abbracciò e lui ricambiò.
“Tu ed Ophèlie siete stati così... così...”
“Ophèlie?” chiese Erik, quasi ruggendo il nome di quella donna.
“Si, lei... era... era lì, in chiesa.” disse la donna osservando spersa Erik.
“Si, si... lo so...” disse Erik deglutendo e spostando lo sguardo fuori dalla finestra.
“A proposito? Dov'è? L'hai... lasciata a casa?” chiese la donna ma aveva capito che c'era qualcosa che non andava.
“Si... l'ho lasciata a...”
“L'hai lasciata sola?” lo interruppe la donna spalancando gli occhi ed alzando il tono di voce di un'ottava.
“No, cioè, si... in realtà... - sospirò - se fosse a casa mia sarebbe al sicuro...”
“Cosa? - Eloise sussultò alitando quella parola - Cosa vuoi dire?”
“Niente, non voglio dire niente, non voglio parlare di altro, sono venuto qui per stare con te e...”
“Erik! Cos'è successo ad Ophèlie?” disse autoritaria la donna.
L'uomo rimase stupito della forza con cui quella donna stava parlando anche dopo un avvenimento del genere. Ma poi si rispose che Eloise era sempre stata una donna forte, sopratutto quando si trattava di proteggere le persone a cui teneva. Non poté fare a meno di sentirsi fortunato, ma allo stesso tempo un egoista e presuntuoso. Lei doveva pensare a sua figlia, non a lui.
“Spero niente... - si arrese l'uomo - ...comunque non voglio...” tentò di cambiare discorso ma invano.
“Speri?” chiese stupita la sua amica.
Erik la guardò ed Eloise capì esattamente cosa significasse quello sguardo.
“Cosa è successo Erik?” chiese lei prendendolo per un braccio e conducendolo sul divano.
“Prima di venire al funerale, ho scoperto che lei non c'era più...”
“È scappata?” chiese.
“Non so se è scappata, so solo che non era più nella stanza di Christine.”
“Nella stanza di Christine?” chiese Eloise.
“Si, ha deciso di dormire lì appena si è ripresa dalla febbre.”
“E tu glie l'hai permesso?” chiese sempre più stupita Madame Giry.
“Si...” disse l'uomo abbassando lo sguardo.
“C'è dell'altro vero? Sai perché è scappata, te lo leggo negli occhi.”
“Non posso dirtelo.”
“Puoi dirmi tutto quello che vuoi Erik, è sempre stato così.”
“La situazione è un po' complicata.”
“Posso aiutarti?”
“Non lo so...”
“Non farmi fare tutta questa fatica Erik, ti prego...” lamentò la donna portandosi le mani sugli occhi.
“Dopo l'incidente di Meg, Christine è venuta da me e...”
“E?...”
“E mi ha chiesto di fuggire con lei.”
“... e lei ha sentito?” chiese Eloise, per niente stupita da quella notizia. Sapeva che prima o poi sarebbe successo.
“No, non ha sentito, glie l'ho detto io...”
“Oh... - disse la donna alzando gli occhi al cielo - uomini.” sussurrò rassegnata la donna.
“È colpa mia!”
“Ma no Erik! Perché dici così?” chiese sarcastica la donna.
“Non è il caso di usare dell'ironia in questo momento Eloise!”
“Oh, ed io che è una vita che convivo con la tua di ironia.” disse piatta.
Erik la guardò truce.
In un'altra situazione probabilmente avrebbe riso a vederlo parlare in quel modo. Quella volta no, ma anche se era distrutta, capiva che anche lui aveva bisogno di aiuto ed anzi, la sua presenza lì, le fece quasi dimenticare la disgrazia capitata in casa sua.
“Perché ti stai struggendo così tanto? Fuggirai con Christine, quando?”
“Stasera...” ringhiò.
“Dovresti essere felicissimo, non è quello che sogni da una vita? Non è lei che vuoi?” chiese la donna, ma aveva già capito tutto.
“Non lo so più cosa voglio... - disse l'uomo - Non so cosa provo, non so cosa fare...”
“Erik, tu sai cosa vuoi, ma non vuoi ammetterlo...”.
L'uomo la guardò e lei lesse la tacita risposta nascosta in quelle pozze di verde.
“L'hai cercata almeno?” continuò la donna.
“Nell'Opera non c'è, non so dove andare, da dove cominciare... cosa dire a Christine.”
“Ah, quindi hai visto che hai sempre saputo cosa volevi fare?”
“Si, forse l'ho sempre saputo.”
“Certo che l'hai sempre saputo, sei un genio no?” gli chiese la donna osservandolo con un sorriso spento.
Erik alzò lo sguardo per posarlo sul viso della donna, incapace di nascondere il sorriso divertito che si stava facendo strada sul suo volto.
“Grazie Eloise...”
“Possibile che una donna distrutta abbia sempre più senno di te?” disse esasperata.
“Tu hai sempre avuto più senno di me...”
“Ci vuole poco Erik.” disse lei, consapevole che normalmente avrebbe riso di quella battuta.
“Tornerò presto, grazie Eloise.” disse Erik lasciandole un bacio sulla fronte.
“Fai attenzione, non voglio perdere anche voi due...” disse la donna osservandolo con ansia.
Erik si voltò e si piegò su di lei. “Non ci succederà niente, non preoccuparti.” le disse nell'orecchio.
“Speriamo.” disse lei.
Erik le diede un bacio sulla guancia e la donna rimase interdetta.
“Erik! Cosa ti è successo?”
“Non lo so... e non lamentarti sempre, non ti ricapiterà di nuovo di prenderti un bacio da me...” disse lui strizzandole l'occhio.
“Cercala in mezzo ad altra gente... ricorda che è una donna sola...” disse Eloise prima di vedere Erik lanciarle un ultimo sguardo riconoscente e sparire nell'oscurità.

Le armi luccicavano al latteo candore della luna e quando queste si furono abbassate, centinaia di occhi si puntarono sulla sua figura. Ophèlie rimase per un secondo interdetta. Anche l'uomo che fino a poco prima stava parlando la osservò con aria interrogativa.
“Buonasera, possiamo esserle utili?” chiese.
“Buonasera, non lo so, forse... cerco un riparo per la notte...” disse la donna sulla difensiva.
“Si accomodi Mademoiselle, ha il piacere di conoscere tutti gli sfortunati cittadini parigini che sono rimasti senza casa.”
I forconi si abbassarono e le armi trovarono posto contro un muro per lasciare spazio a gruppetti di persone intente ad intrattenersi prima della notte nei modi più disparati.
C'era chi giocava a dadi e scommetteva somme che tanto sapeva di non avere, chi affilava coltelli, chi intagliava, chi improvvisava giochi. Ophèlie si sentì a proprio agio in quel covo di sfortunati e si mise in un angolo, sdraiata a cercare di addormentarsi... ma con scarso successo. Le mancava Erik, fosse dipeso da lei sarebbe tornata da lui immediatamente, ma sapeva che con molta probabilità non l'avrebbe trovato e l'Opera non era un posto sicuro senza di lui. Mentre si perdeva in quei pensieri sentì dei passi avvicinarsi a lei e vide che quel qualcuno le stava porgendo qualcosa di caldo. Si mise seduta e vide l'uomo che poco prima stava inveendo contro il nemico, osservarla con un caldo ed accogliente sorriso. Era un giovane, coi capelli neri e due profondi occhi scuri. I suoi lineamenti erano lineari, il naso dritto e le mascelle importanti sembravano intagliate nel legno. Sulla pelle scura il suo sorriso ammaliante risplendeva come sole, risplendeva per lei.
“Scusa, non mi sono nemmeno presentato, mi chiamo Sylvain.”
“Io mi chiamo Ophèlie.”
“Hai un bel nome.” disse lui.
“Grazie, anche il tuo lo è, è molto particolare.” disse la donna.
“Tieni, questo lo offre la casa, se così la possiamo definire.” disse lui guardando quelle mura che si reggevano in piedi per miracolo.
“Grazie. - disse la donna e bevve avidamente la bevanda calda - cos'è?” chiese.
“Un infuso di erbe di campo e fiori, non abbiamo ancora capito come possa essere possibile che sia così buono.” disse lui sorridendo.
“È vero, lo è.” disse lei.
“Rimasta anche tu senza casa?” le chiese l'uomo.
“In un certo senso, si...”
“Qui siamo tutti degli sfortunati e non ci rimane altro che combattere per mantenere nostra la città.” disse lui riprendendo il tono autoritario con cui aveva parlato prima.
“Tu per cosa senti di combattere?” le chiese.
“Io? Niente di particolare, non ho nulla da perdere... l'unica cosa che mi interessa è uscire dalla città.”
“Problemi con la legge?”
Ophèlie sorrise “No!”
“Guarda che qui nessuno è proprio pulito.”
“No Sylvain, sul serio, non ho problemi con la legge. Ho un problema con questa città, tutto qui, me ne voglio andare. Ci fosse un modo per farlo...”
“Un modo ci sarebbe, ma è pericoloso.” disse lui ed i suoi occhi scuri assunsero un'espressione grave.
“Sarebbe?”
“Se vuoi stare qui solo questa notte o vuoi solo rifugiarti puoi farlo, altrimenti domani potresti marciare con noi su Mont Martre per tentare di rompere l'assedio.”
“Davvero si può fare?” chiese la donna.
“Certo.”
“Se rompiamo l'assedio, potrò uscire da questa città?”
“Se vorrai ancora farlo si.”
“Va bene! Va benissimo! Vi seguirò!”
“Ti ripeto è pericoloso...”
“Non mi importa. Non ho più niente che mi leghi ancora a questa vita...” disse, pensando a quell' unica ragione che probabilmente adesso era in viaggio chissà per dove con la Viscontessa DeChagny.

I suoi passi veloci e decisi rimbombavano nel viottolo che conduceva al luogo dell'appuntamento con Christine. Non aveva nemmeno fatto un fagotto, non aveva niente con sé, non gli serviva nulla perché non sarebbe andato da nessuna parte. Raggiunse il luogo prescelto ed attese il suo arrivo.
La vide in lontananza, trascinare un sacco che probabilmente conteneva tutto ciò che aveva deciso di portare con se'.
“Erik!” disse lei quando lo vide fermo all'angolo ed un largo sorriso si fece strada sui suoi lineamenti da bambina, così diversi da quelli più maturi di Ophèlie.
“Erik, ti spiacerebbe aiutarmi? Pesa...” disse la ragazza.
Erik prese il sacco e gli si staccò quasi il braccio per il peso di quel fagotto.
“Grazie.” disse lei mentre si sistemava il mantello.
Erik rimase ad osservarla, indeciso ancora una volta su cosa fare, visto cosa stava facendo lei per lui. Poi il viso di Ophèlie gli apparve nella mente, nitido come se fosse davanti a lui.
“Dove andiamo?” chiese la ragazza.
Erik non parlò e lei capì che qualcosa non andava.
“Cosa c'è amore?”
“Non chiamarmi amore.” disse secco l'uomo.
“Erik, cosa è successo?”
E ad un tratto tutto quello che lei gli aveva fatto, tutte le sofferenza che gli aveva causato e le ingiustizie subìte per causa sua gli si presentarono davanti, una dopo l'altra senza dargli tregua.
Lei che gli strappava la maschera, lei che prometteva amore eterno a un altro, lei che con freddezza diceva a Raoul di non ucciderlo così, lei che pregava Raoul di non farla stare un minuto di più accanto a lui, lei che gli strappava la maschera davanti a tutta Parigi, lei che lo insultava con lo sguardo e con le parole, lei che piangeva per lasciare libero Raoul, lei che tornava da lui con l'abito da sposa solo per abbandonarlo per sempre. No! Non l'avrebbe fatto.
“Non andiamo proprio da nessuna parte.” disse secco.
“Cosa?” chiese lei stupita.
“Ho detto che non andremo da nessuna parte, non posso fuggire con te.” disse lui lapidario.
“Ma perché, perché non vuoi! - Disse lei con la voce rotta dal pianto - è per via di quella... quella Ophèlie è vero?”
“No, lei non c'entra.” ringhiò.
“Allora dimmi perché! Ti prego!”
Erik si sentì morire, sapeva di stare facendole più male di quanto volesse:
“Christine, io sarei stato disposto a cambiare per te se tu avessi avuto il coraggio di vedere oltre questa maschera…” disse lui indicandosi triste la fascia di cuoio bianco che gli copriva il volto sfigurato. Non poteva dimenticarlo, non dopo aver avuto la prova che al mondo c'era qualcuno per cui quella fascia non voleva dire niente.
Christine sentì un groppo alla gola di paura e disperazione:
“Erik, ti prego, ho sbagliato! Ora lo so... adesso l'ho capito! IO TI AMO!” gli disse aggrappandosi al suo mantello, ma lui la osservò senza far trasparire alcuna emozione.
“E’ troppo tardi.” concluse strappandole il mantello dalle mani e voltandole le spalle.
La ragazza lo guardò allontanarsi senza poter fare altro che osservare il lembo del mantello nero come la notte che ora le riempiva l'anima come veleno.


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Note:  Non ho altro da dire se non che finalmente sono riuscita a mettere per iscritto quello che ho sempre voluto accadesse!
  
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