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Autore: Katie87    13/01/2006    15 recensioni
Una storia d'amore può abbattere le barriere spazio-tempo e durare per ben 5.000 anni? Si può modificare il proprio destino? Lei, pur di star vicino alla sua anima gemella, si reincarna in una ragazza come tante perchè, come dicono gli egizi "la fine non è altro che il principio!" (SPOILER Kisara x Seth)
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Il sole non era ancora tramontato

IMPORTANTE = Questa ff tranne per la storia del passato fra Seth e Kisara è totalmente di mia invenzione, così come il personaggio di Sara. Che altro dire? Buona lettura a tutti…

 

Sogni di cristallo

 

Un passato da dimenticare…

 

 

Il sole non era ancora tramontato. Sara Mcgouver, una ragazza di appena sedici anni, se ne stava sola, immersa nei suoi pensieri. Se ne stava immobile, sul suo volto un’espressione gelida, la sua vita e i suoi sogni d’adolescente spazzati via da un tragico scherzo del destino. Si sentiva vuota, incapace di provare qualcosa. Osservava il terrapieno davanti a sé. Un lungo respiro, e scese a portare un mazzolino di fiori nel luogo in cui la Mercedes era stata tamponata e i suoi genitori erano morti.

Scese, perché oramai era passato un anno da quel tragico evento.

Scese, perché era la cosa giusta da fare.

Scese, perché voleva salutargli un’ultima volta, prima di lasciare la sua città natia, cambiare la sua vita e dimenticare il passato.

Percorse il sentiero stretto ed erboso. Scese con cautela: il clima torrido, aveva reso il terreno franoso.

Camminava con passo lento ma deciso. Un silenzio profondo incombeva su tutta la zona. Una zona desolata, che descriveva alla perfezione l’animo di quella ragazza ormai cresciuta troppo in fretta…

Dopo diversi metri, finalmente, trovò la lastra di pietra che indicava il punto in cui i suoi genitori avevano perso la vita. Si lasciò cadere sulle ginocchia. Era passato un anno, un intero anno e quella, era la prima volta che si recava in quel luogo. Un luogo, che non avrebbe mai voluto rivedere. Si, perché anche lei, un anno fa, era in quella Mercedes. Ricordava chiaramente la dinamica dell’incidente.

Lei e la sua famiglia, dopo aver passato un weekend nella loro baita di montagna, stavano ritornando a casa. Suo padre era alla guida mentre sua madre parlava al cellulare con una collega di lavoro. Lei, invece, era seduta sui sedili posteriori del veicolo, mentre ascoltava della musica. Ad un tratto due fari accecanti, una macchina comparsa improvvisamente da una curva, un rumore assordante… poi, il buio e il silenzio. Quando aveva riaperto gli occhi era in ospedale. Aveva tubi ovunque. Le avevano detto che i suoi genitori erano morti e che lei aveva passato più di otto mesi in coma, a lottare fra la vita e la morte. Le avevano detto che era un miracolo se si era salvata! Miracolo… quale miracolo? Riaprire gli occhi e scoprire di aver perso le persone più care del mondo… Era questo, per tutti, il miracolo? Quante volte aveva sperato di fare la stessa fine dei suoi genitori…

Una lacrima le bagnò il volto. Sara l’asciugò prontamente. Non aveva pianto quando le avevano detto che era rimasta sola e non voleva farlo ora. Piangere, non sarebbe servito a nulla, non le avrebbe ridato la spensieratezza e la felicità dei suoi sedici anni. “Solo i deboli piangono ed io non lo sono!” continuava a ripetersi. Ma era davvero forte come credeva d’essere?

Si portò la mano al collo stringendo fra le dita un ciondolino. Rappresentava il dio Horus con le ali spiegate e al centro uno strano occhio che sembrava riflettere i raggi del sole.

Le venne in mente quando era ancora in ospedale e aveva chiesto all’infermiera come mai quel monile era in suo possesso…

“Quando arrivò l’ambulanza sul luogo dell’incidente, tuo padre era già morto e anche per tua madre, ormai, non c’era niente da fare. Con le ultime forze però, mi consegnò il ciondolo dicendo di dartelo, perché ti avrebbe portato fortuna…”

E così che Jennifer, un’infermiera, le aveva risposto.

Sara sorrise. Sua madre faceva l’egittologa. Aveva trovato quel ciondolo per caso e così s’era convinta che portasse fortuna…

“La fortuna aiuta i deboli!” si disse depositando i fiori “E io non ne ho bisogno” concluse alzandosi.

Con una mano cercò di levare il residuo del terriccio dai suoi jeans e risalì il vialetto. Si voltò un’ultima volta…

“Mamma, papà ho deciso di andare via. Restare qui è impossibile. Sono stanca della pietà e della commiserazione della gente. Sono stanca dei loro “poverina ci dispiace” e “sappiamo cosa provi”. Sono stanca di tutto: di loro, di me e della vita. Voglio andare via, lontano, dove nessuno conosce la mia storia. Devo trovare la mia strada. Voglio dare un senso alla mia esistenza. Voglio recuperare quel pezzo di vita che ho perso… addio!” e prese la strada che il fato le aveva destinato…

 

Un anno più tardi…

 

Domino City:

“Non posso crederci Joey… ma come sei riuscito a convincermi a marinare la scuola?

“Sai Tea,  per farla breve diciamo che neanche a te andava di farti interrogare dalla signorina Yoshimoto dato che, anche tu, eri impreparata!” disse lui facendole un occhiolino. La brunetta sospirò prima di accelerare il passo per raggiungere Yugi e Tristan, che camminavano poco più avanti.

I quattro ragazzi, in alternativa alla scuola, avevano preventivamente decisero di andare al “Domino Park”, un piccolo parco giochi situato in periferia. Erano sicuri che non vi avrebbero trovato nessuno (in fondo, tutti erano a scuola no?). Vi entrarono seguendo il “percorso obbligatorio” del lungo vialetto fatto di terriccio e ghiaia. Era un parco molto bello. Vi erano tantissimi alberi che, con i loro rami, facevano ombra alle panchine sparse qua e là. Vi erano anche tantissime giostre, che andavano dai cavalli a dondolo alle go cart.

Tristan e Joey, (in quanto inguaribili diciassettenni afflitti dalla cosiddetta “sindrome di Peter Pan”) corsero immediatamente verso le go cart, prendendosi scherzosamente a spintoni. Con qualche difficoltà, (dovuta alla loro statura), riuscirono ad entrare nelle macchinine cominciando così, la loro “sfida personale”. Tea si sedette su di una vecchia panchina, seguita da Yugi.

Era davvero una giornata splendida. Il sole risplendeva alto nel cielo. Oramai l’inverno, con le sue piogge e il suo freddo pungente, era soltanto un lontano ricordo. Il piccolo gruppetto d’amici si stese sulla fresca erbetta, all’ombra di due rigogliosi abeti, lasciando che il leggero venticello accarezzasse loro il volto. C’era un silenzio indescrivibile. Non auto che sfrecciavano fra le strade, non urla di bambini, non chiacchiere vacue e prive di significato. Nulla. Solo il fruscio degli alberi interrotto da rondini che annunciavano l’arrivo del caldo…

All’improvviso quel silenzio fu interrotto da un cigolio. I ragazzi riaprirono gli occhi. Silenzio. Poco dopo un altro cigolio, poi ancora un altro… Tutti s’alzarono e cercarono di capire da dove provenisse quel rumore. Camminavano lenti, cercando di individuarne l’esatta provenienza del suono. Fu così che la videro. Seduta su un’altalena c’era lei: capelli argentei che le ricadevano morbidi lungo le spalle, piccole mani appoggiate sulle corde della giostrina, testa bassa, mente rivolta altrove ed entrambi i piedi che, appoggiati per terra, la spingevano dolcemente avanti e indietro.

“Ciao!”

Era una voce maschile. Chi mai poteva salutarla, se era appena giunta in quella città? Alzò la testa lentamente per cercare di capire chi le avesse rivolto quel saluto. Davanti a sé, scorse quattro ragazzi…

“E voi chi siete?” disse la ragazza con una punta d’imbarazzo.

“Scusami se ti ho disturbato. Io sono Joey. Joey Wheeler. Ti ho vista qui da sola così…!”

La ragazza lo guardò. Aveva dei bellissimi occhi blu paragonabili al colore dell’oceano. Il biondino abbassò la testa per evitare quello sguardo interrogativo.

La ragazza allungò una mano verso il giovane:

“Sara. Mi chiamo Sara Mcgouver!”

I ragazzi si presentarono a turno.

“Ti disturba se restiamo qui con te?”

“Certo che no. Non c’è problema!” disse Sara rivolgendosi a Joey.

Vi fu una pausa; quindi, tanto per sciogliere il ghiaccio, Joey le parlò del più e del meno. Sara l’ascoltava in silenzio. Per la prima volta, dopo tanto tempo, non si sentiva più sola. Quello che lei non sapeva, era che il destino l’aveva portata a Domino per un motivo: risolvere una situazione che affondava le radici in un passato di 5.000 anni fa…

 

Raga per favore lasciate un commento…. Bax bax

Katie87

  
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