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Autore: miss_schwarzen    08/03/2011    1 recensioni
Osservò il ragazzo con il cappuccio e lo bloccò per un braccio." Hey! Stai attento quando cammini!" Lui si abbassò leggermente il cappuccio e Eveline potè notare che era un ragazzo più o meno della sua età, aveva dei corn e una fascia che gli copriva la fronte e gli dava un’aria da duro."E tu invece sta attenta a come parli." rispose glaciale il misterioso ragazzo Eveline spalancò gli occhi e lo vide mentre se ne andava, rimettendosi il cappuccio.Bill corse verso di lei e la scosse leggermente "Hey! Tutto ok?".Eveline continuava a guardare quel ragazzo che si mischiava nella folla. "Si. Tutto ok. ". Odiava essere contraddetta. Per fortuna non conosceva quel ragazzo, altrimenti non gliel’avrebbe fatta passare liscia per i prossimi cinquant’anni.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 CAPITOLO 1:  COME BACK TO SCHOOL
 
<< Cavolo Bill! Hai 18 anni e sei ancora così ritardatario?! >> sussurrò Eveline mentre suonava il campanello di casa Trümper e attendeva che qualche povera anima la aprisse e la salvasse da quel freddo mattutino classico di ottobre.
Bill, come ogni giorno, faceva tardi e per evitare una bella ramanzina di Eveline la faceva stare qualche minuto fuori la porta così da mascherare il suo mostruoso ritardo. La ragazza ormai ne era abituata ma aveva sperato che, essendo il primo giorno dell’ultimo anno scolastico, Bill potesse fare un’eccezione. Invece no.
Premette il dito, ormai congelato, sul campanello e sentì dei passi avvicinarsi.
La porta si aprì.
<< Oh Simone!Ti ringrazio! Se avessi aspettato tuo figlio, sarei diventata un ghiacciolo! >> esclamò precipitandosi all’interno dell’abitazione.
<< Oh su! Entra! Riscaldati un po’! >> rispose premurosa la donna.
<< Bill!! Se non scendi, ti farò ricordare questo ultimo primo giorno di scuola a vita!!! >> urlò Eveline, poi si voltò verso Simone <<  Vorrei capire da chi ha preso... Tu sei precisa, puntuale! Oh... Che strazio crescere un figlio ritardatario come Bill! >> .
Simone sorrise e scosse la testa.
Conosceva Eveline da quando aveva 3 anni, la aveva accolta in casa sua subito, dato che abitavano vicine.
La adorava e adorava quell’istinto materno che era nato in lei da quando conosceva Bill. Ora che stava crescendo, aveva notato che diventava ogni giorno sempre più responsabile e, avendola vista come una seconda figlia, poteva semplicemente dire di essere fiera di lei.
La osservava mentre compiva gesti alquanto banali, e da lì aveva capito che Eveline era stata quasi una benedizione per suo figlio, soprattutto dopo la separazione dal marito.
Bill aveva solo sei anni quando accadde e Eveline gli stette vicino come non mai.
I pensieri di Simone furono interrotti da Bill che, come un camaleonte, scendeva le scale.
<< Oh! Buon giorno sua maestà!! Finalmente si è alzato! Sai, credevo ti servisse una mano e ti stavo venendo a sollevare quel culetto d’oro dal tuo caro lettino di piume svizzere! Ma ti rendi conto?! Sono le otto e dieci! Tra venti minuti iniziano le lezioni e noi siamo ancora qui!!! >> sbraitò Eveline contro Bill.
Lui rimase impassibile e si stampò un sorriso da ebete sulla faccia, sapeva che essere ignorata era una cosa che Eveline odiava.
<< Buon giorno anche a te tesoro!! >> rispose lui dandole un bacio sulla guancia e ricevendo un’occhiata fulminea da parte di lei.
Simone sorrise un’altra volta e, dopo le solite e noiosissime raccomandazioni, salutò i ragazzi.
Quella mattina Eveline inaugurava il suo nuovo regalo di compleanno: una bella Audi A1 di seconda mano. Bill non era stato molto fiducioso in questa scelta, infatti le continuava a ripetere “Donna al volante, pericolo costante!” ma Eveline gli aveva promesso di essere più premurosa possibile e lui si era lasciato convincere.
Entrarono in macchina.
<<  Beh, pronto per l’ultimo anno?? >> chiese Eveline mentre metteva in moto l’auto.
<< Certo! >> ,rispose sarcastico Bill, << non vedo l’ora di rivedere quelle quattro facce di cazzo della squadra di basket! Soprattutto non vedo l’ora di rivedere Mike e la sua gang!!>>.
Eveline sorrise tristemente e si mise in carreggiata, diretta a scuola.
<< Dai Bill, magari saranno cambiati! Infondo sono passati cinque anni da quando hanno iniziato ad insultarci, magari si saranno stancati e avranno già preso di punta le prime matricole di tredici anni !>>
Bill la osservò sottecchi e inarcò le sopracciglia. Eveline si voltò leggermente per vedere lo sguardo di Bill.
Si diede la risposta sola: << No, non lo faranno mai. >>
<< No.. >> ripeté Bill.
<< Ma almeno ci possiamo sperare Bill! Cavolo! Prima o poi si devono stancare! E poi non possono continuare a fare la stessa cosa fino alla fine dell’anno! Ci sarà pure qualcosa che li distoglierà questa voglia per un po’ di tempo no?! >>, si domandò Eveline continuando a guidare.
<< Il ballo di fine anno? >> si domandò sarcastico Bill.
<< Dai scemo!! Non stiamo parlando delle oche da giardino della nostra scuola. Stiamo parlando di Mike e dei suoi quattro amichetti. >>.
<<  Eve non cambieranno mai, ormai è andata così. Forse saremo più fortunati all’università! >> disse sarcastico Bill mentre si accendeva una sigaretta.
<< Hey! Non si fuma nella mia auto! Comunque il peggio che ci possa accadere all’università è perdere qualche lezione o essere rimandati ad un esame. >>.
Bill sbuffò e buttò la sigaretta fuori dal finestrino.
<< Che palla che sei, Eve! E comunque speriamo di andarci all’università! Dobbiamo passarlo l’anno e non dobbiamo fare come l’anno scorso!! >> Bill iniziò a ridere.
Eveline lo seguì e iniziò ad imitare la voce di Bill: << Caro prof! Io e Eveline ce ne andiamo in vacanza! Bye- bye e arrivederci! >> continuò a ridere, << I diciotto anni ti stavano dando alla testa!! >> .
<< Oh Eve! Era marzo! Mi ero scocciato di tutte quelle noiose lezioni, ormai stavo sopportando tutto quello strazio da ottobre! >>
<< Oh! Povero il mio Bill!!>> disse Eveline imitando un piccolo cagnolino bastonato.
Bill assunse una faccia soddisfatta che si rattristì non appena varcarono la soglia dell’ “Albert Einstein Gymnasium” .
<< Eccoci arrivati >> sussurrò Bill.
<< Dai Bill, ora non ci pensare e piuttosto. Aiutami a cercare un parcheggio abbastanza lontano dalle super car dei “VIP”. Ci tengo alla mia auto, e non voglio vederle fare una brutta fine. >>
<< Assolutamente no! E inoltre è l’unico mezzo che ci faccia spostare senza chiedere il consenso dei genitori. >>
<< Freiheit. Ormai è diventato il tuo motto? >>disse Eveline guardando Bill negli occhi e sorridendogli mentre metteva il freno a mano.
<< Assolutamente! >> rispose lui ricambiando l’occhiata.
Entrambi scesero dall’auto e si incamminarono verso l’entrata della struttura.
Non appena oltrepassati i tre gradini del portone principale, udirono una voce rauca e molto conosciuta.
<< Hey frocio. Anche quest’anno sei qui. Ma non ti arrendi proprio eh?! E continui a portarti dietro la tua cara amichetta... Che dolce! Tanto dolce da farmi vomitare!! >>.
Già, era proprio lui. Mark Schneller. La persona più odiosa e riluttante sulla faccia della terra. Tutti lo temevano e quasi nessuno lo adorava. Incuteva paura e tutti decidevano di sottostare ai suoi ordini piuttosto che essere sbattuti in qualche sgabuzzino dopo aver ricevuto un bel pugno come souvenir.
Eveline e Bill avevano deciso di non sottostare a quella sottospecie di persona e, ovviamente, diventarono gli zimbelli della scuola, i diversi. Anche i secchioni non volevano stare con loro, sapevano che loro facevano parte della lista nera di Schneller e diventare amici di coloro che appartenevano a quella lista, significava entrare direttamente a far parte di quella stupida razzia.
Bill e Eveline ci avevano fatto l’abitudine e oramai trovavano quasi normale il fatto di tornare a casa con un bell’occhio nero.
Eveline strinse leggermente la mano a Bill e lo sentì respirare più affannosamente.
Perdere la pazienza il primo giorno di scuola, sarebbe stato un abbonamento annuale ad insulti e dispetti da parte di tutta la “squadra Schneller”.
Aumentarono il passo e, ignorando le risate macabre di quei quattro giocatori di basket, andarono verso i loro armadietti.
<< Benvenuto Bill!! >> esclamò sottovoce il ragazzo aprendo il suo armadietto rosso.
<< Cazzo Bill! Fregatene! >> lo incitò Eveline mentre faceva la stessa azione dell’amico. << Sai come sono fatti! Mi sarei preoccupata se non l’avessero ancora fatto! >>.
Bill non la stava ascoltando e stava continuando a pronunciare le stesse frasi di Mark mentre lanciava i suoi libri nell’armadietto
<<  “Oh bella signorina! Dove andiamo? Andiamo in bagno così ti contorno quell’occhio ancora più nero di quanto ce l’hai?!” oppure “ Hey queer Trümper! Dove hai lasciato la
gonnellina?”  >>.
Eveline perse la pazienza e gli bloccò un braccio.
<< Bill. Abbiamo affrontato questo discorso milioni di volte! Mark è un bastardo ok? E tu non devi pensarlo! Lo so che ti ha ridotto l’occhio nero più volte di quante se ne possano contare su venti mani, ma sai anche che Bill non è un queer e non è un frocio. Bill è una persona splendida! E non lo dico perché sei il mio migliore amico, ma lo dico perché lo penso veramente. Tu sei speciale, Bill. Sei speciale perché nella testa non ti ronzano solo idiozie da crisi ormonali, ma anche valori che non tutti hanno in questo fottuto mondo.
Tu sai amare Bill, loro lo sanno fare? No! E non sei un brutto frocio. Perché, se sta mattina non ti fossi visto allo specchio, devi sapere che hai un sorriso fantastico e degli occhi che parlano da sé. Quindi, lascia stare quei quattro deficienti e iniziamo l’anno come si deve! >>.
La ragazza a stento prese fiato, ma sapeva che Bill aveva bisogno di sentirsi dire certe cose ogni tanto, e non gliele diceva perché era un dovere. No. Per lei era un piacere immenso descrivere il suo migliore amico. Semplicemente perché era fiera di quello che Bill era, ed era fiera di averlo conosciuto quel giorno, all’asilo.
Bill, dal suo canto, odiava quando Eveline diventava una donnetta autoritaria ma sapeva che lei era la sua ancora di salvezza e sapeva che senza quella marine autoritaria, lui starebbe già sotto qualche ponte a piangersi addosso.
Erano una perfetta fusione di due caratteri opposti e entrambi avevano bisogno dell’altro.
Questa cosa non poteva essere diversa.
Bill le sorrise con gli occhi leggermente velati e l’abbracciò dolcemente.
<< Grazie Eve. >>.
Eveline ricambiò l’abbraccio e tirò leggermente su con il naso, staccandosi dall’amico.
<< Ora andiamo in classe, altrimenti la signora Müller ci disintegra! >> disse la ragazza chiudendo il suo armadietto.
<< Oh! Ci manca solo lei!! >> aggiunse Bill e, prendendo Eveline sotto braccio, si incamminarono verso la classe.
Il primo giorno di scuola, per gli alunni dell’ultimo anno, prevedeva un discorso-noiosissimo- da parte del preside che mostrava le direttive per il nuovo anno e per l’esame.
Bill e Eveline presero posto nell’auditorium e attesero insieme agli altri ragazzi che il preside e il collegio docenti prendessero parola.
In quel giorno si poteva notare benissimo la gerarchia scolastica del gymnasium: nelle prime file si trovavano i leccapiedi e i figli di papà che ci tenevano ad essere raccomandati per l’esame; più sopra si trovavano le cheerleader con i loro bei giocatori della squadra di basket; subito dopo si trovavano i secchioni che tenevano ad avere una buona presa d’occhio dalla squadra di basket; poi c’erano le minoranze hip-hop e metal e infine c’erano loro: Eveline e Bill. Distanti da tutti e distanti da una realtà di cui non volevano far parte. Forse, all’apparenza, potevano pur essere collocati in qualche categoria della scuola ma non era così perché il loro modo di pensare era diverso, il loro essere era diverso da tutti quegli stampini da fabbrica.
Bill era una persona che adorava avere uno stile proprio. All’età di quindici anni si tinse i capelli di nero e, quell’anno, li portava lunghi sulle spalle con qualche ciocca platinata. Vestiva in un modo alquanto strano e bizzarro, ma era quello che rendeva Bill “diverso” e purtroppo era anche quello che lo faceva catalogare come un “queer, frocio”. Era solito indossare tutto ciò che aveva a che fare con pelle, borchie e gotic-dress.
Aveva un viso bellissimo e talmente perfetto da potersi confondere con un viso da donna, e lui amava evidenziare quelli che erano i suoi tratti perfetti, come gli occhi, con del trucco.
Era così. Ed era fiero di esserlo.
Eveline si poteva piazzare nella sezione hip-hop. Adorava quello stile. Ogni tanto sembrava appena tornata dall’Africa o dall’America latina; amava vestirsi con magliette piuttosto larghe e pantaloni che accentuavano la vita. Poteva benissimo essere paragonata a una latina, se non fosse per gli occhi azzurri e la carnagione molto chiara. Nel tempo libero si dedicava alla danza, infatti il suo sogno più grande era quello di entrare nella crew della scuola; sogno che fu spezzato non appena fu presa di punta anche dalla minoranza hip hop che la riteneva una brutta copia di quello stile.
Eveline e Bill sapevano benissimo che quello strazio sarebbe finito nel giro di nove mesi, infatti anche in quel primo giorno di scuola tentarono di ignorare quegl’insulti che volavano in tutte le occasioni.
Alle due suonò la campanella: primo giorno finito.
Non appena si chiusero in macchina e uscirono dal cancello della Albert Einstein, Bill e Eveline presero un sospiro di sollievo.
<< Primo giorno, finito! >> esclamò Bill appoggiando la testa al sedile.
<< Primo noiosissimo giorno, finito! >> puntualizzò Eveline.
<< Non ricordarmelo! Odio il discorso del preside, dei docenti e dei rappresentanti degli alunni! Sono una noia, e sono tutti discorsi falsi e costruiti! >>.
<< Lo so Bill, sono cinque anni che frequentiamo questa fottuta scuola. Lo so benissimo. Ma ora non ci voglio pensare! Voglio godermi questi ultimi giorni di libertà pomeridiana! >>.
<< Certo! Mangi da me? >> chiese Bill voltandosi verso Eveline che era concentrata nella guida.
<< Va bene! Ma domani si mangia da me! Ho intenzione di preparare un piattino tanto succulento da leccarti i baffi! >>  scherzò la ragazza.
<< Oh! Stai iniziando a fare pratica per quando andremo a vivere soli a Berlino?? >> chiese Bill sorridendo.
<< Ahahah! Sai che io so cucinare e che non mi serve pratica! Comunque sto cercando di responsabilizzarmi a tal punto da riuscire a vivere con una scimmia disordinata e ritardataria come te! >> controbatté Eveline.
Bill spalancò gli occhi.
<< Io?? Scimmia io? E io cosa devo fare? Starò con una persona che è l’alleato di Crudelia  Demon!! >> scherzò Bill.
<< Beh proprio la sua alleata non sono! Ricordi che sono vegetariana??!! >> Bill annuì scocciato e prese una sigaretta dallo zaino. << E NON si fuma nella mia macchina! Bill quante volte te lo devo dire?! >> .
<< E quante volte ti devo dire che sei una palla? >> sbuffò il ragazzo riponendo il pacchetto nello zaino.
<< E poi sai che odio che tu fumi. Mi da sui nervi. >> disse fredda Eveline dando un’occhiata di sbieco al ragazzo, che ricambiò allo stesso modo.
<< Eve ma te ne ho chiesta una al giorno! Solo una! >> si provò a giustificare Bill.
<< Lo so Bibi! Ma una al giorno ti farà ammalare lo stesso; più lentamente, ma lo farà! Non voglio vederti con bronchiti causate dal fumo o malattie causate dalla nicotina. Ne abbiamo già parlato. Fine della storia. >>.
Ebbene sì. La loro amicizia poteva anche essere egoistica, ma era così. Se a uno dei due non andava a genio quello che l’altro aveva deciso di fare, se ne sarebbe discusso e si sarebbe trovata una soluzione.
Bill aveva iniziato a fumare a sedici anni, senza che Eveline lo sapesse.
Aveva trovato un pacco di sigarette in macchina di suo padre e aveva deciso di rubargliene una e di fare questa esperienza.
Quell’esperienza, che lo fece sentire più appagato e rilassato, diventò un vizio nel giro di qualche mese. Ogni volta che non si vedeva con Eveline, prendeva una sua sigaretta e se ne andava in qualche vicolo a fumarla. Finché un giorno Eveline, notando i comportamenti strani di Bill, iniziò a chiedere a Simone se fosse successo qualcosa con il padre – che vedeva una volta la settimana-. La donna disse di non sapere nulla e Eveline si rivolse direttamente a Bill che confessò subito questa debolezza all’amica.
Eveline la prese male e quel giorno stesso gli promise che non si sarebbe più fatta in quattro per lui e per quello che lo riguardava. Ma ovviamente non fu così. Dopo appena due ore dal litigio, la ragazza corse a scusarsi con l’amico e insieme decisero che Bill poteva fumare solo una volta al giorno.
Simone non seppe nulla dell’accaduto e Eveline promise di non raccontarle nulla.
Solitamente, quando Bill aveva qualche problema più serio, Eveline parlava con Simone che le dava consigli e cercava di trovare una soluzione anche dalla sua posizione di mamma.
Eveline voleva molto bene a Simone e Simone ricambiava con lo stesso affetto di Eveline.
Erano questi i pensieri che affollavano la mente di Eveline durante i momenti di silenzio con Bill.
Parcheggiò fuori  la casa del ragazzo e spense l’auto.
<< Comunque rimani a mangiare da me! Ho chiamato tua mamma mentre eri nel mondo dei sogni! >> disse Bill scendendo dall’auto.
Eveline spalancò gli occhi e sorrise al ragazzo.
<< Dai, entriamo a casa scemo! >> disse Eveline prendendo la mano del ragazzo e conducendolo verso la porta d’entrata della dimora.
Bill estrasse le chiavi e aprì la porta.
Simone non era in casa.
Da quando si era lasciata col marito aveva due lavori: impiegata in una profumeria la mattina e assistente make- up il pomeriggio. La sera l’aveva risparmiata per dedicarsi a Bill ma, da quando era cresciuto, aveva trovato un lavoretto serale come cameriera presso la pizzeria vicino casa sua; così ogni giorno Bill si trovava solo e puntualmente chiedeva ad Eveline di fargli compagnia.
Quando non stavano a casa di Bill, si ritrovavano in camera di Eveline a chiacchierare tra i mille cuscini che regnavano sul suo letto.
In pratica, passavano la maggior parte del tempo insieme. Anche la notte, quando Simone tornava tardi, Eveline rimaneva a dormire da Bill e Bill, alcune volte, era rimasto a casa di Eveline.
<< Eve! Lascia tutto sul divano così iniziamo a cucinare!>> disse Bill sfregandosi le mani.
<< Va bene chef! Cosa cuciniamo?? >> chiese curiosa Eveline entrando in cucina e rovistando nel frigo.
Bill, molto più alto di lei, si sporse anche lui per rovistare e appoggio il mento sulla testa.
La ragazza alzò gli occhi verso Bill e lui li abbassò verso di lei.
Entrambi iniziarono a ridere. Facevano così sin da quando erano bambini e quel vizio non se l’erano ancora fatto passare.
<< E dopo questo nostro rituale epico, cosa cuciniamo?? >> disse Eveline sedendosi sul tavolo.
<< Uova?? >> propose Bill prendendone uno scatolo.
Eveline storse le labbra.
<< No... non mi vanno le uova! >> si lamentò lei. Bill scrollò le spalle.
<< E cosa facciamo, grande genia?? >> chiese mettendo una mano sul fianco.
La ragazza riaprì il frigo e prese l’insalata e il mais.
Poi si voltò verso Bill che sembrava la statua della libertà con le uova al posto della fiaccola e disse sconfitta: << Facciamo anche le uova. >>
Bill sorrise soddisfatto e saltellò verso i fornelli.
<< Allora Bill! Ora devi seguire i miei ordini, siamo una squadra. Ok? >> disse Eveline prendendo posto accanto all’amico, di fronte ai fornelli.
<< Ricevuto capo!!Ma prima, fammi andare a mettere in ordine la mia camera ok? >> rispose Bill a mo’ di cadetto.
<< Va bene Bibi! Ti aspetto qui, nel frattempo inizio a cuocere le uova! >>.
Bill annuì e andò verso la sua camera. Non appena entrò, si spaventò.
Aveva lasciato un disordine assurdo.
Il letto ad una piazza e mezzo era coperto da magliette e cappotti di pelle, la scrivania era ricoperta da pigmenti neri di ombretto, aveva lasciato l’eye-liner aperto e dal bagno alla sua camera c’era una scia di asciugamani e panni sporchi.
Eveline aveva ragione: era peggio di una scimmia, quando metteva in disordine.
Si rimboccò le maniche e iniziò a mettere in ordine tutto il macello che aveva combinato nel giro di mezz’ora, quella mattina.
Non appena finì, sentì l’odore di uova. Trasportato dalla fame, scese in cucina e osservò Eveline, intenta a preparare il pranzo.
Sorrise. Non sapeva perché. Molti potevano pensare che lui fosse innamorato di lei, ma in realtà non era così o per lo meno, quello non era l’amore che avrebbe provato per una fidanzata.
La considerava come una sorella, una mamma, un’amica e una confidente invidiabile.
Era contento di averla tutta per sé.
Con passo felpato, si avvicinò verso la ragazza e l’abbracciò da dietro.
Lei sussulto leggermente ma non appena riconobbe il profumo di Bill si rilassò.
<< Qualche giorno mi farai venire un infarto! >>
<< Ma và! Ti volevo solo abbracciare! >> si difese Bill continuando ad abbracciarla.
<> .
Bill roteò gli occhi divertito. E’ vero: era un coccolone.
Dopo dieci minuti Simone arrivò dal lavoro e trovò la tavola già apparecchiata.
Durante il pranzo chiese ai due studenti com’era andata la mattinata ed entrambi risposero con poco entusiasmo: << Come al solito >>.
Bill chiese alla mamma com’era andata la sua e lei rispose entusiasta che era andata bene e  che aveva ricevuto una chiamata dal capo della pizzeria dove lavorava. Quella sera, al Moonlight ci sarebbe stato un famoso imprenditore tedesco che si era appena trasferito a Magdeburgo e Simone doveva raggiungere il posto di lavoro due ore prima del previsto.
Bill era contento per la mamma ma allo stesso tempo si preoccupava per lei.
Fare tre lavori al giorno non era uno scherzo e tutto si sarebbe potuto riscuotere negativamente sulla sua salute.
A pranzo finito, i due ragazzi salirono in camera di Bill e si stesero sul letto.
<< Secondo me tua mamma dovrebbe trovarsi qualche svago. >> osservò Eveline.
<< Svago?? Meglio dire un po’ di riposo! >> ribatté Bill.
<< Certo Bill, sono d’accordo! Ma ha appena quarant’anni! Si potrebbe permettere una serata di svago! >>
<< Boh.. Forse hai ragione, però Eveline! Ha quarant’anni! Sicuramente se li sa gestire da sola, i suoi impegni! >>  disse il moro allargando le braccia.
<< Si... Lo spero per lei. >> commentò Eveline.
<< Dai Eve! Basta deprimerci sulla vita sociale di mia mamma! Piuttosto! Andiamo a fare shopping con la tua supercar??!! >> chiese Bill sbattendo le folti ciglia coperte da mascara.
Eveline lo guardò.
<< Va bene! Andiamo tra un’oretta! >>
Detto questo, si alzò dal letto e salutò Bill, raccomandandogli di essere pronto per le quattro in punto.
Lui sventolò la mano con nonchalance e salutò l’amica.
 
 
Il centro commerciale di Magdeburgo era abbastanza grande.
Ovviamente non era come quello che Bill e Eveline avevano visto a Berlino, ma poteva essere accettabile.
I due amici percorsero le gallerie più belle.
Eveline volle entrare per l’ennesima volta nel negozio di articoli hip hop.
Bill, contro voglia, seguì l’amica all’interno del “ghetto” –come lo chiamava lui-.
Eveline prese un cappellino e andò verso gli specchi per provarselo, se lo posizionò sul capo e iniziò a muoversi a ritmo della musica.
Ad un certo punto sentì l’equilibrio venirle meno, qualcosa l’aveva colpita; si voltò, recuperando l’equilibrio e notò che qualcuno l’era andato a sbattere contro.
Osservò il ragazzo con il cappuccio e lo bloccò per un braccio.
<< Hey! Stai attento quando cammini! >> disse lei all’uomo.
Lui si abbassò leggermente il cappuccio e Eveline potè notare che era un ragazzo più o meno della sua età, aveva dei corn e una fascia che gli copriva la fronte e gli dava un’aria da duro.
<< E tu invece sta attenta a come parli. >> rispose glaciale il misterioso ragazzo.
Eveline spalancò gli occhi e lo vide mentre se ne andava, rimettendosi il cappuccio.
Bill corse verso di lei e la scosse leggermente << Hey! Tutto ok? >>.
Eveline continuava a guardare quel ragazzo che si mischiava nella folla.
<< Si. Tutto ok.  >>.
Odiava essere contraddetta. Per fortuna non conosceva quel ragazzo, altrimenti non gliel’avrebbe fatta passare liscia per i prossimi cinquant’anni.
 
 
   
 
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