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Autore: Jolene    15/01/2006    2 recensioni
alla luce delle notizie avute dalla JK, ho deciso di creare daccapo la storia di Tom Riddle. Buona fortuna, tesori! ------------------------------- Tom Riddle era ossessionato dal pensiero di rimanere per sempre nell'ombra dell'anonimato. Aveva idea che il mondo l'avesse rigettato come un pezzo di carne marcia in mezzo ad un'enorme pattumiera di cose inservibili, e che l'unico, il solo modo per sbucare via da quel pattume era riuscire a distinguere se stesso dagli altri.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tom Riddle/Voldermort
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Il piccolo Billy Stubbs, con le gambe raccolte al petto, piangeva a dirotto di fronte alla fiamma del camino. Joni, la cuoca del Saint Claire, una donna paffuta con un corpo mastodontico e due bambine sottili sottili, gli aveva steso un plaid attorno alle spalle e messo tra le mani una tazza di latte fumante e qualche biscotto sbriciolato.

“Per l’ultima volta, Billy, cosa ti è successo?” domandò Joni con le mani premute sui fianchi ed un’espressione materna e conciliante sul volto. Billy ebbe un tremito così improvviso che un po’ di latte si versò sul pavimento, e ricominciò a singhiozzare ancora più forte.

“Il m- mio co- coniglio, è morto! Lo s- so che è stato lui!” riuscì a balbettare tra un singhiozzo e l’altro. Joni abbandonò lo strofinaccio sul davanzale e gli pose una mano sulla spalla.

“Chi ha fatto cosa, Billy?”

“T- Tom Riddle! Ha ucciso il mio coniglio!” disse tirando su col naso. “Ieri abbiamo litigato p- perché lui voleva per forza che gli davo il mio ombrello, m- ma q-quello era il mio regalo di natale!”

“A- allora si è arrabbiato tanto e mi ha detto che glielo dovevo dare… come se l’ombrello era suo, poi! Ha detto che se non glielo davo me la faceva pagare, eppoi io gli ho detto di no e lui mi ha buttato addosso una scarpa. Allora io gli ho detto che doveva vergognarsi perché perfino quel morto di fame disoccupato suo padre si vergognava di lui, visto che non si era mai fregato niente di venire a trovarlo, al contrario dei miei genitori che sono morti tutti e due!”
Joni lo guardò con apprensione.

“Eppoi sta- stamattina sono andato in magazzino a prendere il latte per la signora Hills, e- e.. ho trovato Bunny appeso per il collo alla trave più alta!” e dopo aver detto questo scoppiò di nuovo in lacrime, affondando la piccola testa tra le mani.

Joni gli sollevò la testa e, mantenendogli la fronte in alto, gli asciugò il naso con un tovagliolo già usato e consunto.

“Come fai a dire una cosa del genere, Billy? Tom non sarebbe riuscito comunque ad appendere qualcosa alla trave più alta… nemmeno con una scala, sarebbe impossibile anche per un adulto, figuriamoci per un bambino gracilino come quel Riddle!”

Billy rimase a bocca asciutta. Sembrava che qualcuno gli avesse rubato le parole, perché aveva appena socchiuso le labbra nell’atto di replicare, ma evidentemente ritenne preferibile tacere.

Quante cose in realtà frullavano nella testa di Billy in quell’esatto istante, tante da far male!

Billy non sapeva che cos’avesse Tom di tanto diverso da tutti gli altri bambini come lui, ma in fondo non era mai stato suo amico, ed anche a voler indagate sulle strane doti di Tom Riddle, non ci sarebbe stato nessuno capace né voglioso di conquistare la sua amicizia.

Si diceva che a chiunque capitasse di stare insieme a lui accadessero strambi incidenti, e poi si era sparsa la voce che portasse una jella incredibile, anche se nessuno avrebbe mai trovato il coraggio di dirglielo in faccia.

In realtà, anche se il piccolo Billy non poteva averne la certezza, era stato Tom ad impiccare il suo coniglio. Tom aveva costretto l’animale a seguirlo grazie alla forza del pensiero, e poi, una volta arrivati in magazzino gli aveva legato una corda attorno al collo e l’aveva stretta a quella trave proprio perché nessuno capisse chi fosse stato il colpevole.

A quel punto era ritornato in camera furtivo, senza fare un rumore, e aveva aspettato che Billy si svegliasse per accorgersi che il suo coniglio era scomparso e ritrovarlo poco tempo dopo in magazzino.

Tom aveva sentito l’urlo di terrore di Billy ed immediatamente l’aveva pervaso un dolcissimo e quieto sentimento di rivincita. Per Tom non aveva importanza quanto pesante fosse la rivincita in confronto al torto subito, ma solamente la volontà di infliggere nel suo nemico una ferita più grande di quella che lui stesso aveva subito, come se volesse intingere una ferita in bruciante soda caustica.

Tom non era un ragazzo comune, provava dei sentimenti doppiamente forti che l’accecavano del tutto e non permettevano che ritrovasse la pace senza prima aver portato lo sfogo a compimento.

Si trattava di un’inclinazione crudele quanto naturalmente amplificata.

Era insofferente, preciso e stillicida: quando decideva di concentrarsi su qualcosa, che fosse un dilemma, una ricerca o qualunque altra cosa, s’accaniva come se ne andasse della sua stessa vita, ed era raro se non impossibile che abbandonasse un proposito prima di venirne a capo: la sua meticolosità era quasi maniacale.

Una delle ossessioni più ricorrenti nell’animo di Tom erano i suoi genitori: non gli era mai capitato di considerare che potessero essere una famiglia, ma li aveva sempre considerati come due persone distinte e terribilmente lontane da lui e l’uno dall’altro: sapeva per certo, da un racconto della signora Cole, che sua madre era morta un’ora soltanto dopo aver dato alla luce. Così adesso lei viveva in un mondo parallelo, il mondo delle anime morte mentre suo padre era chissà dove, e Tom aveva maturato la convinzione che fosse un uomo intelligente e celebre, un grande viaggiatore con talenti incredibili, troppo brillante per fermarsi in un posto per più di pochi giorni.

Non importava poi tanto se era stato abbandonato lì senza la minima considerazione; era certo che il suo omonimo fosse stato impegnato in mirabolanti avventure e viaggi fuori dalla comprensione umana. Altrimenti da chi mai avrebbe ereditato lui quelle doti fuori dall’ordinario?

Tom non era nemmeno lontanamente pentito di quello che aveva fatto al coniglio di Billy, anzi, soddisfatto. Quando Billy se n’era andato dalla sua stanza sbattendo la porta, dopo aver formulato il pesante insulto, Tom era dato in escandescenze. Quell’ingiuria così azzardata gli bolliva nel petto come se l’avessero colpito con un ferro rovente: sentiva tutti i muscoli tenderglisi dolorosamente tra le ossa ed un impulso distruttore impadronirsi di sé, ed allora non resistette alla tentazione: si gettò contro la finestra con tutto il peso del corpo mentre una pioggia di vetri cadeva rumorosamente giù in strada.

Si esaminò la spalla: c’era un taglio profondo e rosso vivo, mentre una scheggia dalle dimensioni piuttosto considerevoli gli si era conficcata nel braccio.

La tirò via con un gesto brusco mentre il sangue fluiva lento dalle ferite. D’altra parte non passò nemmeno un minuto ed i tagli scomparvero lasciando il posto ad una pelle ancora più candida e liscia di prima. Anche i vetri ritornarono al loro posto: la sensazione di rabbia impotente era del tutto scomparsa.

Tom si allungò sul letto ancora tremante, e, posata la testa sulle mani, prese a pensare al metodo più efficace di vendicarsi delle parole dette senza farsi scoprire da nessuno. Ci teneva particolarmente a non rendere note le sue malefatte, e, nonostante ritenesse i suoi poteri il suo più grande dono, non aveva intenzione di permettere a nessuno di limitare le sue capacità punendo le sue ‘giuste intimidazioni ’.

Ma se in un primo momento si trattò solo di ‘Giuste punizioni ’, non passò troppo tempo prima che Tom prendesse gusto a mostrare i suoi poteri per godersi le faccette sconvolte delle vittime e sentire il potere fluirgli tra le mani. Si trattava del potere che nessuno gli aveva mai dato, quello di possedere le cose, di prendere decisioni importanti per gli altri, il potere di essere qualcuno da considerare seriamente, il potere di essere l’unica macchia di male in un mare di insensati buonismi. Secondo la sua personalissima concezione della vita, non aveva alcun significato l’affannarsi affettuoso della signora Cole per riparare le conseguenze delle sue malefatte, anzi, quel comportamento lo irritava talmente tanto che provava gusto a darle gatte da pelare sempre più grosse.

Ma l’episodio che convinse tutti al Saint Claire che Tom fosse un caso irrecuperabile, accadde una domenica pomeriggio in cui Victor Milton, custode del Saint Claire da poco più di due mesi, aveva avuto l’incarico di portare i bambini a fare un gita nella campagna nei pressi di Londra. Tom aveva preso una brutta influenza e qualche linea di febbre; aveva un gran raffreddore ed il naso completamente otturato, così che il dottore aveva consigliato di farlo restare in camera almeno fin quando sarebbe stato meno febbricitante.

In questo modo agli altri era stato permesso quello svago, mentre lui era costretto a letto con la fronte scottante e le ossa rotte per almeno un’altra settimana.

Alle otto fu svegliato dal chiasso dei bambini che si preparavano alla partenza, ma cinque minuti più tardi era sprofondato in un sonno fondo e buio, un sonno ammaliatore che l’aveva tenuto sotto di sé fino a quando un rumore di passi scanditi e decisi non l’aveva messo in fuga.

Tom aprì gli occhi quasi di scatto, annusando nell’aria che qualcosa stava per succedere.

Poi, i passi s’arrestarono, e la voce nota della direttrice emerse come un fil di fumo vaporoso da uno spiffero sotto la porta chiusa:

“Vede, padre, fa cose strane.. certo, non posso averne la sicurezza, ma tutti gli indizi sembrano portare a lui, e poi è un bambino così bizzarro.. non lo intenda bene, no! Alcuni bambini mi hanno confessato che li ha minacciati, ed è successo a più di uno solamente, capisce? E poi non sono una sprovveduta. Mi perdoni per l’imperizia ma certe cose si sentono a pelle.”

La voce stentorea e grave dell’interlocutore rispose con prontezza:

“Capisco, capisco. Signora Cole, io la conosco da tanto tempo e non posso che meravigliarmi di continuo dell’affetto materno con cui si prende cura dei suoi ragazzi; ma vede, si tratta in questo caso di una questione delicatissima.”

“Appunto, io…”

“Non ho dubbi riguardo la sua spontanea bontà,  e d’altra parte, poiché mi fido ciecamente del suo giudizio, faremo un tentativo, se proprio vuole.”

“Ma, la prego, cerchi di non spaventare il bambino!” esclamò, con fare concitato “Pensi a cosa potrebbe provare se capisse che vuole esorcizzarlo.”

Al sentire quelle ultime due parole, Tom rabbrividì mentre panico cieco e terrore s’impadronivano di lui; non era la prima volta che gli capitava una cosa simile, ma il suo corpo fu scosso da piccoli tremiti impercettibili all’occhio umano, la pelle gli si fece più gelida che quella di un cadavere, e cercava di prendere l’aria a grosse boccate, perchè il ritmo del respiro si era fatto veloce e pulsante.

Mantieni il controllo, mantieni il controllo ripeté come un mantra nel cervello, mentre la maniglia della porta s’abbassava e guardava immobile i due personaggi fare il loro ingresso nella stanza.

“Buongiorno Tom, sveglio?” chiese la direttrice chinandosi su di lui.

“Vorrei presentarti una persona. Lui è padre Horace, Tom.”

Un uomo attorno alla trentina e di bell’aspetto si sporse dalla sponda del lettino di ferro bianco già troppo piccolo per le gambe slanciate di Tom, mostrando un volto giovane e privo dei segni del tempo. Si poteva facilmente dedurre che si trattava di un sacerdote, per quanto poco credibile, dal colletto inamidato che spiccava bianco come una colomba sul nero pece della tonaca; inoltre dal sorriso clemente e stomacantemente pietoso che gli rivolse, dedusse che si trattava di un fresco acquisto. Inoltre a Tom parve di averlo visto una volta in chiesa, mentre aiutava padre Benny a sistemare sull’altare i fiori per un matrimonio.

“Come và, Tom? Ti ricordi di me? Ci siamo incontrati qualche volta nel confessionale, quando padre Benny si è ammalato.”

Tom non rispose ma lo squadrò con attenzione guardinga, con l’obbiettivo di carpire ogni minimo gesto improvviso, come una preda che osserva i movimenti del grosso predatore e si tiene pronto allo scatto.

“Posso chiederle di lasciarci soli un minuto, miss Cole?” disse il sacerdote rivolto alla donna, che, incerta sul da farsi, si torceva le dita in movimenti nervosi. A questa richiesta sembrò risollevata e s’allontanò piano dal lettino di Tom come dal capezzale di un morente.

“Allora, ragazzo mio.” disse padre Horace “C’è qualcosa hai dimenticato di dirmi nella tua ultima confessione?”

Tom tacque per un attimo. Poi disse: “Nulla.”

“Nulla, dici? Ti aiuterò io a ricordarti qualcosa, allora. Amy Benson e Dennis Bishop mi hanno fatto delle confessioni di alcune malefatte in cui compare il tuo nome. E non può trattarsi di un caso, è chiaro.”

Il curato gl’impose le mani sulle spalle e si accostò tanto che Tom avrebbe potuto sputargli in faccia senza che nemmeno se ne accorgesse, ma il ragazzo non fece una mossa: certo, con i suoi poteri avrebbe potuto divincolarsi con fin troppa facilità da quella stretta, ma poi come l’avrebbe messa con le conseguenze, con le domande che gli avrebbero fatto e le spiegazioni che si sarebbero aspettati?

“Parla!”

“Parla!” urlò, strattonando il bambino come se fosse stato un sacco vecchio di patate “Parla, demonio!”

Un lampo di rabbia selvaggia attraversò gli occhi di Tom, che per un istante parvero tizzoni ardenti, suscitando nel sacerdote una sorpresa e uno spavento tali che, con l’ausilio di una forza straordinaria per la sua corporatura piuttosto gracilina, afferrò Tom di peso per il braccio e lo scaraventò ai piedi del letto.

“Demonio, parla, ti ho scoperto negli occhi di questo bambino innocente!”

Ma Tom pensò che era in questo che padre Horace mancava di arguzia: come può un essere umano non conoscere il male, la perversione e l’accanimento? nemmeno il più innocente tra i puri avrebbe potuto proteggere la sua anima da ciò che già vi era insito, tantomeno qualcuno avrebbe potuto farlo per lui. Tom gustava il male con consapevolezza come un bambino, sotto l’impulso di un istinto antico e ricorrente, gusta il sangue succhiando da una ferita per rimarginarla, ed era forse ciò da biasimare?

Tom si risollevò da terra, e dolorante a causa della caduta, gridò:

“Non c’era una cosa vera neanche a pagarla oro, in tutte quelle confessioni che ti ho fatto! Ci scommetterei la testa che dei tuoi cento fedeli solo cinque credono veramente all’esistenza di quel cosiddetto ridicolo Dio.”

E, così detto, gli lanciò uno sguardo d’odio così potente che l’uomo volò dalla parte opposta della stanza, batté la testa contro il muro e scivolò accasciandosi sul pavimento come una bambola di pezza e lasciando sulla parete una sottile striscia di sangue.

Nel frattempo Emeralde Cole, comodamente allungata sulla poltrona del suo ufficio, esaminava i documenti d’adozione della piccola Regina Truman, un’esserino testardo e capriccioso che aveva dato a tutto il personale un bel po’ di filo da torcere con i suoi strilli e l’incontinenza notturna.

Una giovane coppia di Plymouth aveva deciso di prenderla con sé fin dal primo istante in cui l’aveva vista, nonostante i due fossero stati informati del carattere spinoso della bimba.

Emeralde osservò la scheda ‘parentele’ che, come si era aspettata, era del tutto linda. La maggior parte degli invisibili aveva una scheda bianca, quando si passava ad esaminare quella voce: il motivo era che molti di loro venivano affidati all’orfanotrofio da donne che esigevano l’anonimato.

Poi mise la scheda sulla scrivania e prese tra le mani la stilografica ed un foglio pulito per scrivere la convalida richiesta dal comune di Londra per l’affido, quando un rumore sinistro la raggiunse dal piano inferiore.

Inconsapevole di quello che stava succedendo nella stanza di Tom, si precipitò allarmata giù per le scale e spalancò la porta con foga, per trovarsi di fronte una scenetta alquanto bizzarra: padre Horace sembrava aver perso i sensi, afflosciato com’era ai piedi del letto del ragazzo, mentre Tom gli era inginocchiato accanto con in volto un’espressione dissimulatrice di pura sorpresa.

“Padre Horace!” esclamò la donna, gettandosi sul corpo abbandonato, mentre tentava una grossolana rianimazione casalinga con pesanti colpi al petto. Poi, non sortendo il suo buon intento un effettivo migliorare della condizione, corse a rotta di collo su e giù per il corridoio strillando isterica:

“L’infermiere, per favore, aiuto! Ma c’è un infermiere qui dentro?”

Si udì un rumore di passi concitati giù per le scale prima che una faccetta stupita facesse capolino da uno spiraglio di porta rimasto aperto: Grendel, la piccola sguattera orfana che aveva deciso di passare il resto della vita in quella che considerava la sua unica vera casa, aprì la porta con un gesto cauto, come se si aspettasse di vedere un serpente a sonagli balzarle addosso.

Se c’era una persona per cui Tom provasse un profondo e radicato disgusto, quella era Grendel, che non solo aveva dimostrato uno stomacante attaccamento alla signora Cole, ma aveva rinunciato ad un’offerta di lavoro che le avrebbe fruttato un bel po’ di quattrini per restare a fare la cameriera in quel posto grigio e uniformante.

“Che c’è? Ch’è successo?” chiese con gli occhioni spaventati, due fari che lottavano per farsi spazio nel buio dell’ignoranza.

La direttrice la guardò con aria concitata, dicendo:

“C’è bisogno di un medico, Grendel, chiama il dottor Merrell, presto!”

Un lampo di comprensione colpì la servetta non appena posò lo sguardo sul corpo esanime dell’uomo lungo disteso sul pavimento.

“Mo lo chiamo.” disse prima di correre via, spedita e più fedele che mai alla sua direttrice.

La signora Cole si mise una mano sul cuore e chiuse gli occhi sospirando.

“Il mio cuore è troppo debole per sopportare una cosa del genere.. Tom, voglio sapere cos’è successo per filo e per segno. Non sarai stato tu a...?”

Tom spalancò la bocca in un’espressione di autentico sdegno e sconvolgimento interiore mentre strabuzzava gli occhi nella sua direzione.

“Come avrei potuto fare... non mi dica, la prego, che lei pensa.. non posso credere che anche lei sospetti di me! và bene, ho sopportato le insinuazioni dei miei compagni, ma anche lei.. non è possibile!” gridò, con tutta l’aria di essere all’oscuro di quello che stava succedendo da un po’ di tempo a quella parte alle persone che lo circondavano.

“Lo sa quanto ammiro padre Horace, io non ho fatto nulla di male a nessuno! Per piacere, almeno lei! Io sono innocente!” aggiunse, mentre già due grossi lacrimoni colavano rapidamente dalle guance rosee del ragazzino e cercava inutilmente di nasconderle come se se ne vergognasse.

“Scusate, è che proprio non ce la faccio.. nessuno crede a quello che dico e… ma lei non può capire, ovviamente.”

Sollevò su Emeralde uno sguardo disperatamente degno di compassione, annegato nelle lacrime. a donna, a giudicare dall’espressione interrogativa, sembrava già che vacillasse nelle convinzioni come un castello di carte sotto il soffio gentile del vento.

“Ma sì, che posso comprenderti, tesoro, ma tu non.. tu non ti apri mai con nessuno, ecco perché è più facile che gli altri sospettino della tua sincerità! È ovvio che se tu non neghi le voci che corrono, io non posso che credere loro.”

“Forse lei ha ragione.” disse allora Tom “Ma allora lei capisce che per me non è affatto facile, quando tutti mi guardano come se fossi un.. un pazzo! Padre Horace ed io stavamo parlando delle mie confessioni.. era seduto proprio qui affianco a me, e poi, all’improvviso ha perso i sensi ed è caduto per terra, ed io non sapevo cosa fare! Speravo che si risvegliasse, l’ho scosso ma non succedeva nulla!” disse, singhiozzando “Ho creduto che fosse morto... non volevo che pensassero ancora che faccio del male alla gente!”

“E’ per questo che non mi hai chiamata, tesoro?” domandò Emeralde.

Tom annuì in risposta così dolcemente che la donna non potè trattenersi dallo stringerlo in un abbraccio materno che Tom fu costretto a sopportare per amor della truffa e della finzione.

“Non preoccuparti, Tommy, ci penserò io a dire ai bambini di non importunarti. Ma tu per ora tieniti lontano dai guai, fallo per amor mio!”

Allora mi tufferò a capofitto in tutte le faccende strane che mi capiterà di ideare, pensò Tom.

E difatti una settimana dopo l’aggressione a padre Horace, una serie di avvenimenti strambi e sconvenienti presero a colpire ad ogni singolo diacono e sacerdote della parrocchia cattolica di Saint Claire. Nuovi sospetti iniziarono a farsi largo nel cuore dell’ingenua Emeralde, la quale però non ebbe il tempo di indagare oltre a causa di un accadimento che rese la gestione dell’orfanotrofio infinitamente più semplice.

Il giorno in cui un uomo alto e rosso di capelli venne al Saint Claire con l’espresso desiderio di offrire a Tom una permanenza di sette anni in una scuola privata, la signora Cole fu più che felice di lasciare lo sventurato fardello dell’educazione di quell’irrecuperabile Riddle a qualcun altro.

  
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