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Autore: Marguerite Tyreen    11/03/2011    1 recensioni
Dublino, 1919.
Prima di fuggire da se stesso e dalla colpa che gli ha sconvolto l’esistenza, Liam aveva un ideale: l’indipendenza della sua Irlanda.
Aveva un amico fraterno, Shannon, da quando erano bambini.
E aveva Aisling, bella, volubile e orgogliosa. Aisling che li amava entrambi.
Aisling, talmente lontana, ora, da sembrare un sogno.
Adesso del suo passato non gli resta più nulla, se non il ricordo.
Qualche antico ricordo irlandese…
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricordi d'Irlanda' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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 Cuimhnì na Eirinn
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 Capitolo XII: The Abyss

 
 
- Murray! Se sei qui, allora non hai saputo! – uno dei loro era entrato nel pub di Baggot Street, dopo l’ora di chiusura, con aria sconvolta.
- Cosa avrei dovuto sapere? – a casa praticamente non era tornato, rinchiudendosi poche ore dopo l’attentato, nel locale dove, assieme ad alcuni degli altri, aveva fatto il punto della situazione.
Non poteva sapere null’altro tranne quello che avevano pubblicato i giornali.
L’altro si tormentava le mani senza sapere come dirglielo, rimanendo in piedi di fronte a lui, temporeggiando.
- Avanti, parla. -  replicò Liam, senza dare troppo peso a quel silenzio. Lo guardò di sfuggita da sopra il boccale della birra, alzando appena un sopracciglio. Ma gli bastò per capire che era accaduto qualcosa di grave.
Si erano voltati tutti, in attesa di una risposta.
Fuori pioveva incessantemente. L’acqua batteva sui vetri, scandendo con passo inquietante, quel lungo momento in cui nessuno più parlava.
- Allora, vuoi dirmi cos’è successo, invece di tenermi qui in apprensione?
- Si tratta di Shannon Donovan.
A quelle parole, Liam scattò in piedi: - Per l’amor del cielo, qualunque cosa sia successa, parla!
La porta si spalancò con fragore. Incurante del temporale, delle precauzioni che avrebbero dovuto prendere dopo un’azione, del rischio che correva venendo lì, Aisling aveva percorso a piedi, correndo, col cuore che le martellava nel petto per l’angoscia, la strada cha da casa O’Connor portava a Baggot Street.
- Liam! Grazie a Dio sei qui! – si precipitò tra le sue braccia.
Alzò appena il viso, bagnato di pioggia e di lacrime, verso di lui per aggiungere in un sussurro: hanno arrestato Shan.
- Cosa significa: hanno arrestato Shan? Quando è successo? – era stato Patrik a parlare per lui, perché Liam aveva dovuto tornare a sedersi sullo sgabello che aveva occupato fino ad un attimo prima.
- Stamattina, credo. Frank Donovan ha chiamato nemmeno un’ora fa papà per chiedergli di intervenire, di fare qualcosa, lui che è un professore famoso, che ha qualche conoscenza. Ma finora non c’è stato modo nemmeno di farsi passare al telefono qualcuno della centrale. – Aisling cercava di trattenere le lacrime per sostenere Liam, ma si vedeva che increspava e si mordeva il labbro inferiore per non scoppiare a piangere.
- Devo andare. – Liam aveva fatto per indossare il cappotto – Devo andare da Eiliònor e Frank. Sua madre, devo andare da sua madre.
- Tu non vai proprio da nessuna parte. – Patrik l’aveva costretto a rimettersi seduto, facendogli riempire di nuovo il bicchiere – Siediti e vedi di calmarti. Bevi, Liam.
- Ma cosa vuoi che beva per calmarmi? Devo andare da Eiliònor, è come una madre. Ha bisogno di me, io devo andare.
- Non aspettano altro, Liam. Se ti esponi è come chiedere di arrestarti. – continuò Patrik – Cerca di ragionare, lo so che sei sconvolto. Si sa perché hanno preso proprio lui?
- In realtà, da quanto papà ha capito, non sono riusciti a ricondurre con sicurezza a lui l’attentato alla caserma inglese. Ma hanno comunque voluto fare una retata tra patrioti, rivoluzionari di pasqua e simpatizzanti o presunti tali. Lui si era già mezzo compromesso con quell’articolo ed era schedato per l’occupazione del Post Office, così l’hanno preso.
- Sono stati anche a casa tua, Murray. – gli disse l’uomo che era entrato a dare la notizia – Ma non preoccuparti, tuo padre è riuscito a convincerli che eri fuori città.
- Ad ogni modo è meglio che non torni a casa, Murray, potrebbero tornare. – gli disse Colin, uno dei dirigenti della cellula di Dublino – Hai un posto sicuro dove andare?
- Magari potremmo nasconderti noi. – aveva proposto Patrik.
- La cosa più logica è che tu rimanga qui. Nessuno sa di questo posto. – Colin aveva preso a camminare nervosamente nella sala – A meno che… Voglio dire, a meno che qualcuno non lo riveli.
Liam gli si era parato davanti, sostenendo il suo sguardo con aria di sfida: - Cosa vuoi insinuare? Conosco Shannon come me stesso e so che non tradirebbe mai la nostra causa.
- Conosci lui, forse, ma non i limiti di un uomo messo alle strette.
- Cosa vuoi dire?
- Che per far parlare una persona, spesso non ci si limita ad un interrogatorio. Ci sono molti mezzi.
- Smettila, Colin, non ti sembra già abbastanza sconvolto? – Aisling si era stretta a Liam, come se avesse voluto proteggerlo  - Dobbiamo sperare che la polizia si convinca che Shannon è estraneo ai fatti e che lo rilascino prima ancora di interrogarlo. Lui … - la voce le tremò – lui è sempre stato bravo con le parole e saprà cavarsela anche questa volta. Non… non è vero, Pat?
Suo fratello annuì senza convinzione.
- Oppure potremmo tentare di liberare lui e gli altri. Con un’azione, qualsiasi cosa… Non c’è nulla che si possa fare?
- Aisling, è impossibile. Cercate di rimanere lucidi, andrà tutto bene, vedrete.
 
Andrà tutto bene, facevano presto a parlare. C’era Shannon, il suo amico, suo fratello, in prigione, non sapeva nemmeno più cosa pensare.
Non riusciva a pensare.
Se n’erano andati tutti. Tutti tranne Aisling, che continuava a tenergli la mano nelle proprie, e a baciargliela per confortarlo.
- Ho sbagliato, Aisling. Non avrei dovuto portarlo con me, ieri sera.
- Fosse o meno venuto con te, l’avrebbero arrestato lo stesso. Hanno colpito ovunque hanno potuto, non è accusato proprio di quell’azione. Io sono sicura, Liam, che Shan ce la farà.
- Ed ho sbagliato a permettergli di entrare nell’Ira. Dovevo prevedere che sarebbe finita così, che uno di noi due, o entrambi, avremmo pagato.
Ma dovrei esserci io al suo posto! Maledizione, sarei io a dover pagare! L’ho piazzato io l’esplosivo, Shan mi guardava solo le spalle. Sono responsabile, e la colpa è solo mia. – voltò la testa, per non permettere che lei vedesse che stava piangendo.
- Smetti di torturarti a questo modo. Mi fa male vederti così. Liam, guardami. Amore mio, - gli prese il viso tra le mani – sono certa che lui ha sempre saputo qual era il rischio che stava correndo. E se l’ha accettato, è perché crede in quello che state facendo per Erin. Sono certa che lui non rimpiange nulla. Credimi
- Potrei costituirmi, glielo devo. Forse ci sarebbe la possibilità di far scarcerare lui e gli altri, se mi assumessi la responsabilità dell’attentato.
- E’una follia, Liam. Non servirebbe a nulla.
- Una follia, sì. Ma tu sai qual è la pena, vero? È la condanna a morte. Se Shannon dovesse morire per una colpa che ho anche io, non ho nessuna intenzione di sopravvivergli.
- E a me non pensi? Io vi perderei entrambi! Cosa farei senza di voi, amore mio?  - si lasciò scivolare a terra, chinando la testa sulle ginocchia di lui.- Non t’importa nulla di quello che dovrei passare ?
Liam le accarezzò i capelli: - Cosa dici, Aisling? Tu sei la cosa più bella che la vita potesse darmi.
L’unica cosa per cui, assieme ad Erin, valga la pena di vivere.
- E allora vivi, Liam. Devi cercare di salvarti almeno tu, per me, per Erin. Non sottrarre un altro uomo alla sua battaglia. Dio solo sa quanto soffro per Shannon, solo per saperlo in carcere. Se dovesse… non voglio nemmeno pensarci.
- Ora basta, Aisling. – l’interruppe – Dobbiamo stare calmi, per avere la situazione sotto controllo. Insieme non facciamo che peggiorare le cose. Vai a casa, adesso, è più prudente.
- A casa? Io credevo di restare con te. Non voglio lasciarti solo, Liam. Non in questo momento.
- Non stare in pena per me. Perdonami, Aisling, ma ho bisogno di restare da solo, per pensare. Per capire.
- Promettimi che non farai nulla di avventato, che non andrai a costituirti.
- Te lo prometto, non lo farò. Almeno fino a quando ci sarà qualche speranza. Forse hai ragione tu e presto lo rilasceranno.
- Pregherò per lui. Dirò a mio padre di fare il possibile, di mobilitare tutte le sue conoscenze.
Liam annuì, quasi senza ascoltarla, perdendosi nel labirinto dei suoi pensieri.
- Aisling! – disse dopo un lungo silenzio, mentre lei era già sulla porta.
- Sì?
Corse a baciarle le mani: - Aisling, ti amo. Non dimenticarlo.
La porta si chiuse. Liam abbassò la serranda, per essere più tranquillo.
Non era un buon nascondiglio, Colin aveva ragione. Ma era l’unico che gli fosse venuto in mente.
Se Shannon avesse rivelato qual era il luogo in cui avvenivano le riunioni, certamente l’avrebbero preso. Ma Shannon no, lui non li avrebbe traditi.
Ci sono molti mezzi per far parlare un uomo.
Quelle parole l’avevano tormentato per tutta la notte e per tutto il giorno seguente, come il tarlo insopportabile del dubbio che rode e consuma il cervello e l’anima.
Se ci tradisse, proprio lui, proprio quello che credevo e ritengo ancora il migliore dei patrioti, davvero non saprei come perdonarlo.
Chi tradisce non merita il perdono, non merita di vivere.
I suoi stessi pensieri gli diedero un brivido. Voltò con sdegno la testa, per non vedere la propria immagine riflessa nello specchio sopra il bancone.
Quel posto, così pieno di specchi, sembrava una pena scelta apposta.
E più il dubbio continuava a farsi insistente, più i suoi sentimenti prendevano una strada che nemmeno lui aveva previsto, la strada oscura e senza ritorno dell’odio.
Si disprezzava e quello specchio, che lo guardava con insistenza, che gli rimandava uno sguardo che non era più il suo, diventava intollerabile.
Non mi riconosco più, si disse. Non sono più quello di un tempo.
La violenza, il sangue, le armi, questi mesi, mi hanno cambiato.
La violenza ti entra dentro e ti cambia fino in fondo, fino alle ultime fibre del tuo essere.
Quando si comincia, la vita perde di valore, la tua e quella degli altri. E persino la morte non conta più nulla.
Sono diventato un uomo che non credevo di poter essere. Quella parte oscura che si nasconde in ognuno di noi, ha cominciato ad emergere con una prepotenza che mi spaventa, fino quasi a prendere il controllo di me.
Perché un conto è combattere per la propria patria, volerla vedere libera, un giorno, un altro è desiderare, ora, la morte di chi si frappone tra te e il tuo obiettivo.
No, non Shan. Lui non ci tradirà. Non deve.
Maledizione, non deve, per me, per lui, per la nostra salvezza.
O sarebbe troppo tardi. Sono troppo cambiato per fermarmi in tempo, adesso, e so che non avrei la lucidità per perdonarlo.
Non lo perdonerei e annullerei in un dannato istante tutto quello che ci ha legati per una vita intera.
Se ti condanneranno, Shan, io seguirò il tuo destino. Non ti lascerò andare da solo incontro alla morte. Ci sarò io con te, come sempre. Ma tu giurami, giurami Shan che non parlerai.
Maledizione, giuramelo. Giuramelo. Giuramelo!
Dimmi che Erin è ancora tutto per noi, tutto quello che ci permette di credere, di lottare, che è talmente importante da morire per lei, pur di non tradirla.
Shannon, dimmi che preferirai una morte da patriota piuttosto che una vita da vile traditore.
Ma come si può chiedere questo ad un uomo? Dio mio, come posso chiederti io il sacrificio più alto di tutti?
Perdonami, perdonami se l’ho pensato.
Ma come puoi essere tanto crudele, Erin, da chiedere ai tuoi figli di morire per te, sperando che vadano incontro a questo abisso senza nemmeno tremare?
Eppure, la colpa non è tua. Tu meriti tutto l’amore e tutta la devozione che un uomo possa trovare nella propria anima. E nemmeno della Storia, forse. Ella non fa che avvolgerci nelle spire delle circostanze, travolgerci nel fiume in piena degli eventi che
È solo mia la colpa. Sono io a non essere più quello di un tempo. Se fossi rimasto quello di allora, Shan, quello che conoscevi, adesso ti amerei, continuerei ad amarti come ho sempre fatto, indipendentemente da tutto.
E, invece, se dovessi tradire, sento che ti odierei. E solo Dio sa quanto non vorrei farlo.
 
Perdonami, Liam. Ho parlato. Non ho potuto evitare ed ho parlato.
Shannon sedeva sul pavimento della cella, al buio. La sera era già calata su Dublino e da fuori poteva sentire il passo pesante degli ultimi cavalli che rientravano stancamente verso casa, il cigolio delle serrande dei pub, lo scrosciare insistente della pioggia. Tutto esattamente come un tempo.
O tutto diverso, perché ormai lui aveva parlato.
La verità è che si crede sempre di essere i più forti, che la devozione ai propri ideali e l’amore assoluto, totalizzante per la propria patria siano uno scudo sufficiente alle avversità della sorte.
Certo, è così finché si vive nell’illusione che tutto questo non debba ami essere realmente messo alla prova. È così, finché non accade a te.
E si fa presto a criticare, a giudicare, Liam, i compagni che tradiscono.
Tu ed io l’abbiamo fatto più volte, di giudicare intendo.
Ma quando ciò è accaduto, c’è sempre stata troppa leggerezza, troppo distacco, nelle nostre parole.
Si fa sempre troppo presto a salire sulla cattedra del giudice, quando non sei tu l’imputato. O quando non è qualcuno a cui sei legato indissolubilmente per la vita e dalla vita.
Come mi giudicherai, adesso, Liam? Ricorderai ancora dei momenti che abbiamo trascorso insieme, delle risate, dei pianti, di ogni giorno che non poteva essere felice o completo, se eravamo lontani?
Ricorderai delle nostre madri, che ci hanno cresciuto come fratelli, di mio padre che ci incantava con i segreti della tipografia, di tuo padre che ci aiutava nei calcoli, quando eravamo bambini?
E dopo, i successi dell’uno e dell’altro, di cui non siamo mai riusciti ad essere invidiosi, e le ragazze, e Aisling. Aisling, che è quanto di più bello, sincero e puro ci abbia legati. Dopo Erin, ovviamente, che ora non sono più degno nemmeno di nominare.
Lo ricorderai tutto questo, quando ti verranno a dire che Shannon Donovan è un traditore, che vi ha venduti per un’illusione, per una vaga promessa di libertà?
Oppure mi maledirai, Liam, mi odierai per questo?
Porterò nella tua mente questo marchio di infamia per tutti i giorni a venire, lo sento.
Perché tu sei cambiato, come me, del resto. Ma in questi mesi, a volte, la tua lucidità e la tua intransigenza mi facevano paura. incontravo i tuoi occhi e non erano più quelli che conoscevo.
Forse anche per te era lo stesso.
Puoi essere convinto di ciò che vuoi, Liam, ma avresti anche tu confessato ogni cosa, dopo quello che ho dovuto subire. E se dicono che esistono molti modi per far parlare un uomo, spesso essi possono superare anche l’immaginazione. E non sempre si tratta di tortura fisica.
La spietata capacità di calcolo degli uomini sfiora limiti che non vorremmo mai dover conoscere e, la maggior parte delle volte, da essa non ci salva nemmeno l’appartenere al genere umano.
Non mi sento giustificato da tutto questo. A dire il vero non c’è nulla che mi giustifichi. Avrei potuto continuare a subire, arrivare fino all’estremo confine della sopportazione, affrontare con coraggio la mia condanna a morte, ma tacere – buon Dio – tacere!
E invece no, ho detto tutto ciò che sapevo: ogni piano, ogni azione, ogni nome che in quel momento mi è affiorato nella memoria, nella speranza che ad ogni parola corrispondesse un istante di libertà, un solo miserabile istante di libertà che si avvicinava.
Durante l’inquisizione, erano capaci di strapparti a forza, per consunzione, per sfinimento, una confessione per stregoneria.
Quanto tempo credi che serva per estorcertene una per attività sovversiva?
Molto meno di quello che pensi, Liam. Di quello che puoi riuscire a immaginare, mentre lotterai contro l’impulso immediato e soffocante di odiarmi.
Per me sono bastati soltanto quattro giorni. Quattro giorni di percosse e di minacce, di implorazioni, di grida e di ostinate domande che, a tratti, cedono il passo a profondi e spaventosi abissi di silenzio e isolamento, in cui pregheresti per la tortura, che almeno estranea la mente, piuttosto che sentirti lacerare l’animo dai dubbi e dai sensi di colpa.
Siamo esseri umani, fragili, imperfetti e fallibili: tanto più chiediamo a noi stessi, tanto meno riusciamo ad ottenere. Sarò io ad essere ancora più debole e ancora più fallibile, nella mia finitezza, ma quando davanti a te c’è solo la condanna a morte, le scelte non sono poi così ampie.
O la morte o la vita, Liam.
Ho scelto la vita e la speranza di riavere indietro la mia libertà, a costo di tradire.
Ho fallito, Liam, nella missione che ci eravamo prefissati.
Non credere che questo non mi addolori, che adesso possa riprendere la mia esistenza senza il peso di questa viltà. Non credere che possa ancora incontrare e sostenere il tuo sguardo, il giudizio dei compagni, la condanna di Erin che mi premerà sul cuore, dopo ciò che ho fatto.
Ho fallito.
Non cerco giustificazioni, né ai tuoi occhi né ai miei.
Non cerco nemmeno pietà. Cerco soltanto di capire, di comprendere come questo sia potuto accadere.
Sono la prova vivente che spesso nemmeno le idee possono essere sufficienti per salvarci dal folle precipitare degli eventi, dalle circostanze violente che si sono abbattute sul nostro paese, dall’incapacità dell’uomo di vivere in pace con altri uomini, dalla nostra limitatezza e dal nostro cammino verso la distruzione.
Queste mie parole non ti arriveranno mai, Liam, amico mio.
Più passano le ore e più mi accorgo che la libertà sarà solo un miraggio, che è servita solo a farmi parlare.
Se anche uscirò di qui, avrò solo il tuo disprezzo e allora, per me non vi sarebbe più né vita né libertà. Non potrò dirtele, queste cose.
Avrò il tuo disprezzo e sarà giusto così. Lo merito.
Posso solo pregare con tutta la forza che mi è rimasta che facciate in tempo a fuggire, che siate abbastanza prudenti, che Dio vi protegga sempre.
Non voglio il tuo perdono. So che non potrei averlo. Non so perdonarmi nemmeno io.
Sono pronto a farmi carico del tuo giudizio e della condanna che riterrai opportuna per me.
La porta della cella si aprì, lasciando che la luce del corridoio gli ferisse gli occhi.
- In piedi, Donovan. Devi venire con noi in Baggot Street. C’è della gente che devi riconoscere, prima della tua liberazione.
 
 
Quella sera, il 25 di marzo, una data che Liam non avrebbe mai più dimenticato, la porta del locale di Baggot Street si aprì di colpo.
Lui era rimasto impassibile, per non farsi notare e confondersi tra gli altri clienti.
Dava le spalle all’ingresso, osservando i movimenti attraverso lo specchio.
Un paio di poliziotti inglesi e un paio di irlandesi erano entrati, conducendo con loro un uomo che si reggeva a stento.
Rimase a guardare la sua immagine, il suo viso segnato dai lividi e dalle ferite, il suo Shannon. Cosa gli avevano fatto? Perché era lì?
Poi li vide che indicavano i presenti uno ad uno, che Shannon a volte annuiva, abbassando lo sguardo. E capì. Capì che aveva parlato.
Tentò di nascondere alla meglio il suo viso, stringendo tra le mani il fucile che aveva nascosto nel giornale e teneva sul bancone davanti a sé.
Attese e per un istante pregò che Shannon non annuisse quando sarebbe stato il suo turno, mentre guardava i suoi compagni venire condotti via.
E, invece, lentamente, inesorabilmente, al cenno dell’ufficiale, la sua testa si piegò. Confermò che anche lui era colpevole di aver difeso Erin con le armi. Confermò la sua condanna.
- Liam Murray, dovete seguirci.
Strinse il fucile più forte. Lo caricò. Aveva deciso.
 
 
Il campanello suonò insistentemente la mattina del 26 a casa O’Connor.
Tòmas e Patrik avevano lasciato Dublino quasi subito, per precauzione. Ma non c’era stato verso di convincere Aisling a partire: qualunque fosse stata la piega che avrebbe preso la situazione, ella avrebbe condiviso con loro fino in fondo il loro destino.
Aprì la porta con le mani che le tremavano. Guardò furtiva l’orologio dell’ingresso: le quattro e venti.
- Signorina O’Connor? – l’ufficiale inglese aveva cercato nella tensione del suo viso i segni di una possibile colpevolezza.
- Sì? Cos’è accaduto per venire a bussare alla mia porta a quest’ora? Un incidente, forse? Da giorni mio padre è in viaggio di lavoro e…
- Non si preoccupi, non si tratta della sua famiglia. Abbiamo motivo di credere che il sovversivo William Murray si nasconda in casa sua.
- In casa mia? Ci fosse un rivoluzionario in casa mia me ne sarei accorta. – si sforzò di trovare un sorriso ironico.
- Lei non offre rifugio a ricercati dalla legge? Eppure Murray è uno dei suoi amici, non neghi.
- Conosco Murray da anni, ma non credevo certo che… - mentì – Per quale motivo è ricercato?
- Attentato dinamitardo. – questo lo sapeva, ma le parve che il mondo si fosse fermato quando il poliziotto aggiunse: - E omicidio. Ieri sera in Baggot Street ha ucciso due dei nostri, due agenti della polizia irlandese e, sapendo dell’amicizia che vi legava mi dispiace dirglielo così signorina, anche Shannon Donovan.
- Shannon Donovan è morto? Liam ha…- non riuscì a finire la frase.
- Un regolamento di conti, mi è dato supporre. Donovan si è costituito colpevole per l’attentato del 20 marzo e ha denunciato altri dei responsabili, fra cui Murray. Ed egli gli ha sparato con un fucile, all’interno di un locale.
Lei non potè fare altro che abbassare gli occhi, senza rendersi veramente conto di quello che era accaduto. No, non era possibile. Liam non sarebbe mai arrivato a tanto. Doveva essere un trucco, un piano crudele e meschino per farla parlare.
Mantenne la lucidità necessaria per dire: - Agente, se vuole controllare, io non ho nulla da nascondere.
La perquisizione non sarebbe nemmeno servita: i suoi occhi garantivano per lei.
 
 
Aveva deciso e aveva sparato. Anzi, in quel momento, decidere e sparare erano stati tutt’uno.
Prima ai poliziotti per salvare la propria vita e liberare i prigionieri. Poi a Shannon.
In quel momento non aveva più pensato a nulla.
Era stato come se gli ultimi quattro giorni avessero cancellato d’un colpo i ventisei anni precedenti, lasciando aleggiare nell’aria giallastra del bar soltanto quella parola, pesante e dolorosa come una condanna: tradimento.
Quello che aveva davanti non era più Shannon, l’amico con cui aveva sempre condiviso tutto. Era soltanto Donovan, il traditore.
E, senza pensare a come si sarebbe comportato lui al suo posto, alla possibilità che anche a lui sarebbe sfuggita dalle labbra la confessione, se costretto, aveva sparato.
Credendosi il più forte, il più puro portatore delle loro idee, il figlio più devoto alla patria, aveva sparato.
Ergendosi a giudice, con la facilità che mai ad un uomo dovrebbe venir concessa, aveva sparato.
Ed era così convinto di essere nel giusto, che era rimasto a guardarlo un istante di troppo. Un istante in cui aveva incontrato i suoi occhi e la sua richiesta silenziosa di perdono. Non li avrebbe mai più dimenticati, quegli occhi, sarebbero tornati ogni notte a perseguitarlo nei sentieri dei suoi incubi.
Annuendo appena, come un ammissione di colpa, come una muta accettazione del proprio destino, Shannon era scivolato a terra, gridando nella propria mente: ti ho amato, Liam, più di me stesso.
Perdonami, se puoi, io l’ho già fatto.
Poi, dalla porta sul retro, Liam era riuscito a fuggire. La notte l’aveva inghiottito, come fosse stata la più buia delle viscere dell’inferno.
E, ad ogni passo, il peso del proprio crimine, il disprezzo che nutriva nei propri confronti, il rimorso si erano fatti più pressanti, gli avevano schiacciato il petto, fino ad arrivare ad ostruirgli la gola.
E così sarebbe stato, nonostante le miglia che aveva messo tra se e l’Irlanda, come se la distanza non fosse affatto un balsamo per le pene.
In quella notte inorridì di se stesso e dell’uomo che era diventato.
No, la colpa non era della storia, dei tempi, dell’Ira o di Aisling. Era solo sua. Lui, e solo lui, avrebbe dovuto e potuto fermarsi prima che fosse troppo tardi.
Aveva ucciso Shannon, era inutile che tentasse di nasconderlo agli occhi spietati della propria coscienza, sì l’aveva ucciso e nulla adesso aveva più senso.
Aveva ucciso per un’idea. Aveva preferito le idee alle persone, agli esseri umani, agli affetti. Ma le idee sono solo idee. Esse non sbagliano, non sono fallibili, non tradiscono. Ma neppure amano.
Le idee non sono giuste o sbagliate, quando rimangono idee, ma siamo noi ad animarle e a farle sedere dal’uno o dall’altro lato della barricata. Ma è l’uso a cui l’uomo sceglie di destinarle. E non sempre l’uomo è buono: quel lato oscuro, folle e violento è sempre in agguato, sempre pronto ad aggredirti alle spalle quando più sei vulnerabile.
Le idee non hanno sentimenti e possono riuscire a consumarti dentro, a legarsi così strettamente alle fibre dell’anima fino a intrecciarsi, fino a confondersi, fino a non poterle più districare.
Non hanno sentimenti, le idee, non amano. Non ci amano, anche se noi passiamo la vita ad amarle o a fare di esse la nostra stessa vita.
Non hanno sentimenti, ma prima o poi proprio per questo, finiscono per scontrarsi con noi, che di sentimenti ne abbiamo, che per qualche brandello del nostro essere siamo puro e inarrivabile sentimento. E allora una parte deve soccombere, inevitabilmente. E Liam non sapeva perché la parte che aveva scelto di schiacciare fosse stato proprio l’amore.
E dire che, se fosse stato capace di amare di più, forse sarebbe riuscito a resistere al cambiamento, forse non si sarebbe piegato all’imperativo della propria spietata lucidità. Forse non l’avrebbe ucciso.
Non si possono stringere, abbracciare, baciare le idee. Non puoi conversarvi sotto un portico in attesa che spiova, in quei momenti in cui non hai detto nulla ma ti sembra che l’altro abbia compreso tutto. Non puoi affidare loro i tuoi sogni, le tue speranze, le tue disillusioni.
Alle persone sì. Agli amici sì. Ma le persone muoiono. Soccombono sotto la follia, sotto il bagno di sangue a cui porta sempre la violenza.
Shannon era morto. E lui l’aveva ucciso.
Le idee no, non si possono uccidere. Ma che senso avevano, ora, le idee?
Le idee, per lui, adesso si portavano dietro solo un’aura nera di morte.
Shannon era morto.
Nulla trovava più il suo senso.
 
 
Se lo trovò davanti, la sera del 27 sul tardi, fradicio di pioggia, di lacrime e di rimorsi.
Per due giorni non aveva avuto sue notizie: sapeva solo che era riuscito a fuggire. Nient’altro.
- Aisling. – era riuscito appena a dirle – Aisling, perdonami. Io ho… - non aggiunse altro. Dai suoi occhi aveva compreso che già era a conoscenza di tutto.
- Vieni dentro. – gli aveva risposto freddamente, accertandosi solo che nessuno dalla strada potesse vederli.
- Liam – rimase a guardarlo per un istante. Aveva vagato per tutto quel tempo, si era nascosto chissà dove ed ora – se ne accorgeva dai brividi che lo scuotevano – bruciava di febbre.
E lei, che aveva passato le ore precedenti a maledire il suo gesto, adesso non poteva fare altro se non accoglierlo in casa.
Nemmeno Aisling sapeva come avrebbe reagito lei, forse allo stesso modo di Liam.
Forse erano davvero cambiati tutti e tre, forse la violenza era impossibile da sradicare, adesso.
Non riusciva a giudicarlo, non riusciva ad odiarlo. A dire il vero, non riusciva più a fare nulla: nella sua testa c’era soltanto un vuoto, paradossalmente, un abisso in cui sprofondavano tutti i suoi pensieri.
- Me ne vado, Aisling. Domani, all’alba. Non potevo partire senza… senza averti rivista per l’ultima volta. Aisling! – invocò il suo nome con una disperazione che la fece tremare.
Si gettò tra le sue braccia e non ebbe la forza di respingerlo.
- L’ho ucciso. Lui ci ha traditi ed io l’ho ucciso.
Non sapeva che dire, non potè fare altro che stringerlo, appena un po’ più forte.
- Aisling, ti prego parla! Prendimi a schiaffi, odiami, gridami di andarmene, ma di’ qualcosa. Il tuo silenzio mi toglie il respiro, Aisling.
- Liam… - cercò di asciugargli il viso con le proprie mani. – Liam, non riesco nemmeno ad odiarti.
Sento già che ti disprezzi da solo.
- Non puoi comprendermi, non è vero Aisling?
- Non chiedermi di capirti. Mi sembra già abbastanza riuscire a non giudicarti.
Lo sguardo di lei era come una stilettata. Ella se ne accorse, tanto da addolcire il tono: - Non posso. Non posso, Liam. Vi ho amati troppo, vi ho amati entrambi. Non ho nemmeno la forza di condannarti. Mi hai portato via ogni certezza, Liam. Mi hai portato via tutto ciò che amavo.
Mi hai tolto Shannon e mi hai tolto te stesso. Non mi resta più nulla, adesso.
- Io credevo di averlo fatto per Erin.
- E smetti di nasconderti dietro a Erin! La scelta di premere quel grilletto è stata tua. Sei sicuro che tu, al posto suo, non avresti parlato? Non avresti tradito? Dannazione, Liam, non riesco a capire perché.
Lui le aveva voltato le spalle, non riuscendo a sopportare il dolore nei suoi occhi.
- Io credevo di averlo fatto per Erin, di aver vendicato il tradimento che ha subito. Ma ora, ora non so più niente. So soltanto che Shannon è morto. Ed io sono morto con lui.
- Nemmeno io so più nulla. Non so cosa avrei fatto al tuo posto.
Lo costrinse a voltarsi, stringendo forte nelle mani i baveri del suo cappotto: - Perché? Perché tutto questo? Perché, Liam? – era un gemito soffocato.
Aisling scoppiò in lacrime. La strinse al petto, era così lontana, così irraggiungibile, più di quanto non lo fosse sempre stata.
Pianse con lei, a lungo. Rimasero abbracciati, in piedi, nell’ingresso, senza dire nulla, tentando di lavare via il dolore con le lacrime, spendendole tutte, per ritrovarsi, alla fine ancora più vuoti.
Poi, quando ella si liberò lentamente dalla stretta, Liam la guardò a lungo, tentando di imprimersi nella memoria ogni suo più minuto lineamento, il colore dei suoi occhi, il profumo dei suoi capelli, prima di perderla per sempre.
Cercò nel fondo del suo sguardo se davvero non vi fosse nemmeno l’ombra dell’odio. Non lo trovò. Ma, quella sera, non vi trovò più nemmeno traccia dell’amore. Era come se in lei, con quella maledetta notte, si fosse spezzato qualcosa. Come se fosse spenta per sempre la fiamma dei suoi sentimenti. Di ogni suo sentimento.
 
- E dopo? Dopo cosa farai? – gli aveva chiesto poi, mentre gli si sdraiava accanto, nel proprio letto.
- Prenderò un treno diretto a ovest. Ho preso contatti con un contrabbandiere di whisky: ha un battello che parte dopodomani per le Americhe.
- L’America. – era lontana, l’America. Così sconosciuta e lontana.
- Ho paura, Aisling. Paura di ciò che verrà poi, paura di non poter convivere con la mia colpa, con la consapevolezza che sono un assassino.
- Tu rimarrai sempre un patriota.
- Forse per chi crede che è stato giusto punire un traditore, per chi non si rende conto fino in fondo che la violenza non porta che altra violenza, allora rimarrò un patriota. Per me sarò solo un assassino.
Azzardò in un sussurro: - Lascia… lasciami partire con te.
- No. Ti ho già fatto fin troppo male, Aisling. Hai diritto di dimenticare, di tornare a vivere normalmente, un giorno. Se potrai mai tornare a farlo.
Cosa dovevi dirmi, giorni fa? Non lasciarmi partire con questa domanda.
Aisling fece ritorno con la mente a quella notte, l’ultima, in cui erano stati felici. A quando aveva deciso di rivelargli che aveva scelto, questa volta definitivamente. Che aveva scelto lui perché l’amava.
Ma che senso aveva ancora l’amore, si chiese, in mezzo a quel massacro, in mezzo a quello sfacelo?
Le sembrava davvero di ucciderlo una seconda volta, povero Shannon, rimarcando col suo amore la distanza invalicabile che ora li divideva. Invalicabile come può essere solo l’abisso che separa la vita dalla morte.
Rispose: - Nulla. Nulla che abbia ancora un senso, adesso.
Non parlarono più, per quella notte. Aisling si strinse a lui per l’ultima volta, per l’ultima volta si perse in quegli occhi azzurro torbido come il cielo d’Irlanda dopo la pioggia.
Non dormirono: il sonno sarebbe stato un lusso impossibile da concedersi. Semplicemente tacquero, abbandonandosi alla violenta risacca dei loro pensieri.
All’alba, quando lui se ne andò, lei fece finta di essere addormentata. L’addio era un dolore insopportabile, al quale entrambi avevano preferito sottrarsi.
Rimase immobile, ad occhi chiusi, accompagnandolo col pensiero lungo le scale e per buona parte del tragitto che conduceva alla stazione.
Aveva sentito da basso la porta chiudersi. Abbi cura di te, disse da sola.
Sul tavolo del soggiorno trovò quella lettera, quella che avrebbe conservato per dieci anni, quella che cominciava con “Mia adorata Aisling”.
L’ultima volta che qualcuno l’avrebbe chiamata a quel modo.
L’ultima volta di tutto.
Era tutto finito, adesso. E, questa volta, per sempre.
 
_________

 
Miei cari!
Scusate se ho impiegato un po’ prima di aggiornare, ma il capitolo ha avuto una stesura “travagliata”. Non mi soddisfaceva e ho apportato diverse modifiche nella struttura. Non ne sono ancora del tutto soddisfatta a dire il vero e devo ammettere che sottoporvelo mi preoccupa un po’. Tuttavia, continuando a procrastinare, si finisce solo per fare modifiche su modifiche senza senso. E quindi…
Non so se il risultato possa sembrarvi decente: mi rimetto alla clemenza della corte ;)
Come sempre un ringraziamento a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite (AlexandraRoses,  Cerridwen Shamrock,  fruttina89, Littlejane, Martina97, Olthir_84, Sereko), tra le ricordate (minimelania) e tra le preferite (piemme).
 
Per quanto riguarda le recensioni:
 
@ Piemme: Carissima, per la questione della “colpa” di cui abbiamo parlato, mi è venuta in mente  una cosa che non ho scritto nella risposta, ma a cui tenevo, perché non ho avuto modo di approfondirla nella storia più di tanto (difatti si trovano solo vari accenni).
 Penso che la colpa che Liam attribuisce ad Aisling non sia di natura storica o politica, che dir si voglia, nel senso che non la ritiene responsabile del loro ingresso nell’Ira e del loro cambiamento. Per quello, immagino valga la responsabilità individuale. Non sono pratica di organizzazioni paramilitari, ma immagino che lui avrebbe potuto uscirne (?) prima che le cose degenerassero, o non entrarvi affatto.
La colpa di cui parla piuttosto è di natura “affettiva”, nel senso che Liam ha continuato a illudersi che se lei l’avesse amato di più, o meglio, probabilmente il loro sentimento sarebbe stato abbastanza forte da contraddire e scacciare l’odio; avrebbe prevalso, forse, più l’amore per lei che quello per le idee. Paradossalmente avrebbe potuto scegliere la strada dell’amore piuttosto che proseguire su quella della violenza. Forse.
Poi è ovvio che è anche un modo per scaricare la coscienza dal peso del suo errore, per quanto non sia giustificabile. Per un poeta sognatore e completamente inadatto alla realtà, il cambiamento è stato radicale ed estraniante.
L’aver lasciato vago questo concetto generico di “colpa” è un po’ una mancanza mia.
Ad ogni modo il giudizio sui personaggi – in particolare su Aisling – non è mio, da autrice, ma è sempre filtrato dal punto di vista degli altri protagonisti.
Scusa per il lungo racconto, ma mi è sempre piaciuto far sapere cosa c’è dietro alla storia e ai personaggi, dal momento che finisco per sapere molte più cose su di loro di quanto, per esigenze narrative, nei capitoli non compaia. E scusa anche se finisco per parlare dei protagonisti con un certo trasporto, in fondo sono sempre mie creature :)
Spero di non averti annoiata. Di nuovo grazie. Un bacione!
 
Un saluto affettuoso a tutti.
Al prossimo capitolo. Sempre vostra,
 
Marguerite.

 
   
 
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