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Autore: Inessa    13/03/2011    9 recensioni
Poi, a primavera, le rondini torneranno, è la legge della natura. Diversa è quella degli uomini.
Raccolta di quattro mini one-shot collegate tra loro ma autoconclusive.
Genere: Guerra, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Izu parla a vanvera: solo per dire che questa è la mia one-shot preferita delle quattro e che è quella che ha maggiori riferimenti alla vita del popolo in guerra di cui parlavo nel primo capitolo. Sono riferimenti lievi, come lieve è la mia fedeltà al canon (l’ambientazione è quella, gli eventi li ignoro volutamente *fischietta*).

Vi posso anche assicurare che ho finito di scrivere tutte e quattro le storie, quindi entro la fine della settimana le metterò tutte e quattro online, vorrei solo avere il tempo di riguardarmele con calma, perché a volte ho l’impressione che manchi qualcosa. Ho aggiunto "Guerra" tra i generi. Prima non volevo farlo per evitare fraintendimenti, ma penso che sia comunque adatto come genere.

 

Grazie ancora a _ichigo_85 che ha letto in anteprima.  

 




Stagioni di guerra

 

Inverno

  

Le tue mattine iniziano col sapore caldo di Arthur sulle labbra. Poi ti svegli davvero e scopri che non è che un’illusione, che dentro la tua bocca c’è solo il sapore freddo della fame e della solitudine.

Per Camelot sono tempi difficili, il freddo impedisce alla terra di sfamare il popolo e la guerra impedisce ai mercanti di arrivare fino a questo posto quasi dimenticato dalle dee. La debolezza impedisce agli uomini di cacciare abbastanza e la fame ormai è compagna costante.

Hai preso l’abitudine di appuntarti alcune cose su carta, quando ne hai e quando puoi permetterti di sprecare un po’ d’inchiostro. Ti tiene compagnia e pensi che forse potresti fare leggere queste poche righe ad Arthur, quando tornerà, perché il tuo Principe ci tiene a stare accanto al suo popolo, anche nei momenti di carestia, come è già successo ai tempi della maledizione di Gedref. All’epoca gli hai propinato uno stufato di ratto e lui ti ha costretto a mangiarlo. Ridi al pensiero e pensi che adesso un ratto lo mangeresti quasi volentieri.

Uscendo di casa incontri Gwen. Anche lei è debole e smagrita, sta portando un secchio d’acqua. Mormori un incantesimo per alleviarle il peso, non vuoi essere invadente ed aiutarla anche in un’operazione così semplice, perché sai che Gwen è forte, ma la tua magia non è che ridotta ad una scintilla e lei continua a faticare come se tu non avessi fatto nulla. Allora ti arrendi e ti avvicini a lei, afferri il manico del secchio e le sorridi. Trasportarlo assieme ti sembra un buon compromesso, anche perché nemmeno tu sei poi tanto in forze.

D’un tratto sentite le sentinelle agitarsi sulle torri di guardia e, come ogni volta, non sapete se gioirne od esserne atterriti, anche se è quest’ultimo sentimento che di solito prevale. Presto la voce si sparge: arriva un’altra delegazione di cavalieri. Ciò significa che la retroguardia è ancora vicina, ma loro sono ancora vivi.

Arthur non è mai rientrato con loro. Arthur è un maledettissimo cavaliere da avanguardia, anche se è un principe e dovrebbe impegnarsi a restare vivo e comandare il suo esercito anziché farsi ammazzare stando in avamposto. Ma è Arthur ed è un dannato, eroico, stupidissimo, valoroso, asino d’avanguardia.

E tu vorresti essere con lui, ma è stato lui stesso ad impedirtelo. Pensava che saresti stato più utile al castello e meno d’impaccio sul campo, ma come puoi essere utile mentre sei qui a morire di fame col pensiero costantemente rivolto a lui e al fatto che salvarlo è la tua ragione di vita e senza di te potrebbe stupidamente ed eroicamente farsi ammazzare?

Ti avvii verso il castello, tentando davvero di renderti utile e sperando, o temendo, che i cavalieri arrivati possano dirti qualcosa che non sai.

Corri per i corridoi di pietra, per quanto il tuo fisico possa permettertelo, e ti guardi i piedi perché inciampi già abbastanza quando sei nel pieno delle tue forze, figurarsi quando sei così debole. Così facendo non ti rendi conto di avere qualcuno sul tuo cammino, fino a quando non gli finisci addosso.

Stai per scusarti, ma il fiato ti resta bloccato in gola non appena alzi gli occhi e ti trovi impigliato nelle iridi blu del tuo Principe.

- Merlin, - è il sussurro che gli esce dalle labbra.

Resti immobile a guardarlo, perché è inequivocabilmente Arthur eppure non lo è. Ha i capelli troppo lunghi, la barba incolta, l’armatura – è sangue, quello? - sembra troppo grande per lui, per quanto è magro. L’espressione del suo viso è stanca, meno giovane. Ma gli occhi sono i suoi. E non lo hai mai amato come in questo momento.

- Sire, - rispondi in un soffio che si condensa nell’aria umida e subito le tue mani sono sul suo volto.

Sembra restio, ti guarda con gli occhi spalancati, ma poi si abbandona al tuo tocco e pensi che lui ti è mancato da morire, ma, a giudicare da come non riesce ad avvicinarsi troppo, a lui deve essere mancato del tutto il contatto umano, in questi mesi.

- Venite con me, - dici, afferrandogli un polso, e aspetti un suo cenno prima di voltarti e trascinarlo verso le sue stanze. Vorresti trascinarlo, almeno, ma non riesci a correre per la debolezza e lui sta al passo.

Chiudi la porta alle vostre spalle e torni a guardarlo, cercando meglio il tuo Principe sotto quella barba bionda. Gli prendi il volto tra le mani e gli dai un bacio leggero (Dei, le sue labbra!). Sembra riscuoterlo e ti affonda il viso nel collo – non sei abituato alle setole sulla sua mascella - circondandoti la vita con le braccia. Resti lì a stringerlo e farti stringere per un tempo inquantificabile, ascolti il suo respiro, ti bei del profumo della sua pelle e fa male, fa male perché sai che ti è mancato, che sta soffrendo e che se ne andrà di nuovo, e lì dove andrà non ci sarai tu ad abbracciarlo quando soffre.

- Venite, vi faccio la barba, - dici sorridendogli e lo fai sedere. Mentre lo radi e gli tagli i capelli gli racconti di Camelot. Niente di quello che gli dici è scritto sui pezzetti di carta che collezioni nella tua stanza, perché non ha bisogno di sapere quanto sia difficile per il suo popolo. Ometti tante di quelle cose che ti sembra persino di inventarti quello che narri, ma lo fai sorridere e il resto non importa.

Quando finisci è un po’ più Arthur e ne sei fiero, quasi fosse merito tuo. È lo stesso magro da morire, e te ne accorgi quando ti stringe e ti bacia, privo dell’armatura. Sei sempre stato tu quello mingherlino con le costole in evidenza, ma ora le vostre costole quasi si toccano e non è bello. È meraviglioso, però, perché è lui, perché ce l’hai di nuovo fra le braccia e perché brucia lo stesso, anche se tutt’intorno è il gelo.

Rispondi al bacio, gli imprigioni le ciocche tra le dita, gli passi le labbra sul collo, sulle spalle coperte dalla maglia, su ogni centimetro di lui che riesci a raggiungere. Lo spogli e le differenze sul suo corpo sono ancora più evidenti. Ci sono tante cicatrici che prima non c’erano, noti con disappunto, e le tracci ad una ad una con le dita. Alcune sono già chiuse, altre sono più recenti ed Arthur ancora sibila quando le tocchi. Ti chini a baciargliene una particolarmente lunga sul petto, come se potesse compensare al fatto che non c’eri quando se l’è procurata.

A poco a poco i movimenti delle vostre mani si fanno più frenetici ed è evidente che non basta.

- Ti prego, Arthur, ho bisogno di sentirti, - sussurri aggrappandoti alle sue spalle.

- No, - risponde ansimando e sollevi lo sguardo stupito, - Sei troppo debole, - conclude secco.

- Non mi importa, ho bisogno di te, - insisti guardandolo negli occhi e ondeggiando i fianchi, incontro al suo e al tuo bisogno.

Quando ti allontana ti ferisce.

- Ho visto i miei uomini morire di fronte ai miei occhi, Merlin, ho dovuto saccheggiare villaggi pur di sfamarli, ho visto così tanto sangue che, - si interrompe e porta una mano chiusa a pugno sulla fronte, - Non voglio far soffrire anche te.

Gli accarezzi il viso.

- Pensi che io sia stato bene a pensarti là fuori sotto il ferro nemico? Ogni santo giorno a chiedermi se fossi vivo, se saresti sopravvissuto abbastanza da tornare dal tuo popolo, da me, a chiedermi se io sarei sopravvissuto abbastanza da rivederti? Ho bisogno di te, Arthur, soffrirei di più se non ti avessi adesso.

Sospira e ti avvicina a sé. Ti stringe e ti bacia, ti bacia e ti bacia ancora fino a stordirti. Ti solleva la maglia e appena sente sotto le dita le tue coste in evidenza si raggela un attimo, però non si ferma e ti spoglia.

- Sei così fragile, - sussurra con gli occhi fissi sul tuo petto.

Lotti contro l’impulso di coprirti, perché un po’ ti vergogni per essere un così brutto spettacolo, ma è Arthur e ti guarda come se fossi l’unica cosa meravigliosa del suo mondo e tu ti fidi di lui.

- Anche tu lo sembri, ma non lo sei. E non lo sono nemmeno io, - rispondi sulle sue labbra.

Ti fa voltare e tu poggi le mani al muro di pietra. È freddo, ma non lo senti, mentre Arthur ti sfiora le vertebre con la lingua, ad una ad una, e ti prepara. Poi affonda in te e per te non esiste nient’altro se non le sue spinte, i vostri gemiti, il suo corpo contro il tuo, lui dentro di te. E fa male, dei, se fa male, ma ti fa anche sentire vivo ed è vivo anche lui. È sempre un po’ di più il tuo Arthur, il piacere si fonde con il dolore e ancora una volta non c’è nient’altro al di fuori di voi.

 

Fine.

 

Thanks finali: a chi ha aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite, a chi ha letto e a chi ha recensito *si inchina* alcune parole mi hanno quasi commossa, era una cosa che non mi era mai capitata, quindi i ringraziamenti sono doppi.

   
 
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