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Autore: Pichichi    18/03/2011    2 recensioni
Il rapporto tra Tiziana e Dalila si basa su presupposti ben precisi, ma al contempo estremamente delicati, in virtù dei loro caratteri discordanti: l'una abituata a sottomettere e vedersi assecondata, l'altra a godere della rassicurante presenza della compagna. Cosa accade quando interviene un terzo elemento a modificare l'equilibrio?
"-Prima o poi ci beccano, me lo sento- mormorò Dalila.
Tiziana le rispose con un sorriso furbo.
-Non accadrà-
[...] Tiziana aveva notato, nei due mesi in cui aveva prestato servizio all'hotel, che la stanza numero cinque non era stata mai assegnata ad alcun cliente.
Questi erano i motivi per cui era certa che nessuno le avrebbe mai scoperte mentre facevano l'amore chiuse in quella camera."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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            -Sbrigati, sbrigati! Arriveremo come sempre in ritardo!-
            -Arrivo mamma, arrivo-
Mentre dal piano di sotto la madre la chiamava esortandola a scendere ed infilarsi in macchina, la ragazza scese controvoglia le scale, sbuffando. Raggiunse i genitori e dopo che ebbero chiuso la porta di casa salirono sull’autovettura del padre diretti al Park Hotel, dove quella sera si sarebbe tenuto un importante ricevimento.
La ragazza continuava a chiedersi, mentre guardava il paesaggio cittadino scorrere sotto i suoi occhi, perché l’avessero obbligata a venire. Era la festa degli innamorati, loro due erano stati invitati, ma allora perché decidere di trascinare anche la figlia a quel ricevimento?
Ne era certa, sarebbe stata una noia mortale.
Certamente sarebbe stata una di quelle feste elitarie a cui partecipava una ristretta minoranza di famiglie, non ci sarebbe stato nessuno della sua età ed in conclusione lei avrebbe passato l’intera serata ad ascoltare sua madre e suo padre chiacchierare con persone che non conosceva di argomenti che non le interessavano.
Per questi motivi non dimostrava alcun entusiasmo ed era sprofondata in un angolo del sedile posteriore, giocherellando con l’estremità della cravatta che portava al collo.
Sua madre non le aveva dato una bella occhiata quando l’aveva vista scendere le scale, ma era rimasta in silenzio senza rivolgerle alcuna critica, forse per non compromettere ulteriormente il suo umore.
Sicuramente però avrebbe preferito vedere la sua unica figlia abbigliata con un elegante vestito, adornata da costosi e scintillanti orecchini e in bilico su scarpe alte.
Invece doveva accontentarsi di un maschiaccio che, per rendersi più elegante per l’occasione, aveva indossato dei pantaloni neri e aderentissimi e una camicia bianca su cui aveva sovrapposto una cravatta rossa. La ragazza sapeva di averla fatta andare fuori di testa, ma non poteva farci nulla. Non le sarebbero mai piaciuti i vestitini e i tacchi, non avrebbe mai contemplato altri adornamenti che non fossero piercing metallici o dilatatori etnici. Non ci poteva fare nulla.
            -Nives, mi raccomando a tavola niente parolacce- esordì sua madre.
            -Tanto non credo che parlerò molto- rispose lei.
Nives era un nome che non le piaceva affatto, lo trovava troppo sofisticato e inusuale.
Quando furono passati alcuni minuti, il padre della ragazza rallentò e disse:
            -Ecco, siamo arrivati-
            -Accidenti, com’è grande!-
Nives si addossò al finestrino per giudicare con i suoi occhi quanto fosse imponente e lussuoso l’hotel dove si sarebbe svolta la cena.
Quando scese dalla macchina restò sbalordita dall’estensione dell’edificio, che copriva un’area molto vasta. Le dava l’impressione di una villa, le faceva dimenticare che intorno non c’era nient’altro che palazzine residenziali e asfalto.
            -Sbrighiamoci-
Nives si accodò a suo padre, che come lei appariva un po’ spaesato dal luogo in cui si era ritrovato. Ormai dovevano essere le otto e venti passate e di certo loro non volevano arrivare per ultimi, soprattutto trovandosi in un ambiente talmente aristocratico.
Così il terzetto fece il suo ingresso trafelato nell’atrio e la signora, notando l’assenza di persone, presupponendo che tutti fossero già stipati nella sala da pranzo, si produsse nell’ennesimo sbuffo e prese sottobraccio il marito.
            -Ecco, siamo in ritardo! I fessi che arrivano per ultimi- borbottò, facendo qualche passo.
            -Ma figurati- cercò di tranquillizzarla lui – sicuramente si saranno seduti da due o tre minuti-
Nives osservò l’interno dell’albergo. I divanetti sapientemente posizionati agli angoli in modo da garantire una certa intimità, il pavimento liscio e scuro, il bancone della reception tenuto perfettamente in ordine, gli ornamenti secondari quali piante e piccole fontane, perfino il bar dava da pensare che le cinque stelle piantate sull’insegna fossero pienamente meritate.
L’atrio era vuoto, eccezion fatta per una ragazza dagli scuri capelli lisci che si mangiucchiava le unghie seduta dietro il bancone del bar.
            -Scusi- si avvicinò la madre di Nives, che sospirò pensando a quanto questa potesse rendersi ridicola. Non era forse ovvio che la sala ristorante si trovasse dietro le porte trasparenti poste in opposizione all’ingresso?
            -Dov’è la sala in cui si tiene il ricevimento?-
Quella non rispose nemmeno, si limitò ad indicare con un cenno del capo le vetrate perché troppo impegnata a mordersi le pellicine del pollice.
            -Grazie- mormorò la signora, tirando a sé il marito e avvicinandosi all’entrata.
Prima di seguirli Nives gettò un’occhiata alla ragazza al bancone, notando che il suo interesse era ricambiato. Quella parve soppesarla per qualche secondo, poi se ne disinteressò e così fece anche Nives. Probabilmente, pensò lei, la sua curiosità doveva essere stata dettata dal suo abbigliamento e dall’aspetto androgino.
Non era un mistero che le piacessero le ragazze, aveva fatto le sue esperienze in merito ed era più che convinta del suo orientamento sessuale.
Tuttavia la ragazza al bancone non attirò più di tanto il suo interesse: i capelli liscissimi, i lineamenti del viso troppo duri, gli occhi cerchiati di matita e impreziositi da un’eccessiva dose di ombretto non la rendevano niente di speciale, una ragazza come tante altre.
Nives seguì quindi i genitori oltre la porta del salone ristorante, per trovarsi di fronte ad uno scenario davvero notevole.
 
La prima cosa che fece fu alzare gli occhi verso il soffitto, per osservare il tetto della sala innalzarsi e convergere in un unico punto, cosa che non faceva che aumentare la spazialità della stanza. Lampadari di cristallo vecchio stile, imponenti e molto scintillanti, si reggevano misteriosamente a mezz’aria, posizionati in modo che la luce giungesse in ogni angolo.
Effettivamente la spazialità e la luminosità furono le caratteristiche che per prime colpirono i suoi sensi.
Le pareti bianche, decorate da una semplice greca, dipinte con una tecnica che lasciava credere fossero di marmo, rendevano l’ambiente ancora più maestoso. Niente a che vedere con l’atrio, che pur se ampio al confronto appariva un luogo angusto e di piccole dimensioni.
Quando ebbe terminato di starsene col naso all’insù nel tentativo di capire a quale altezza terminasse quel soffitto e abbassò lo sguardo, notò il modo in cui era stata addobbata la sala.
Si era aspettata un turbinio di cuoricini, cupidi e tendaggi rosa, ma i colori predominanti sembravano essere il bianco ed il grigio chiaro, e non vi era traccia di alcun riferimento esplicito alla festività che andavano a celebrare.
Il proprietario doveva aver ritenuto che abbigliare il suo maestoso salone di rosa sarebbe stato controproducente, dato il bisogno di semplicità che era necessario per quella sala affinché si manifestasse in tutto il suo splendore.
Poiché si era incantata nel guardarsi attorno, suo padre la tirò per una manica della camicia e la trascinò verso l’estrema destra del salone. Lì trovarono un tavolo di forma rotonda apparecchiato per poche persone e riconosciuto il loro cognome si sedettero.
            -Mamma mia- mormorò il padre – non si scherza, eh?-
Si rassettò il cravattino che aveva al collo e si tolse il soprabito cercando di essere il meno grossolano possibile. La signora dispiegò immediatamente il tovagliolo di stoffa color panna e se lo pose sulle ginocchia.
All’interno del salone c’era un gran chiacchiericcio e mentre i suoi genitori torcevano il capo a destra e sinistra per individuare le celebrità presenti, Nives infilò la mano nella tasca della giacca che si era portata e pescò un piccolo scatolo.
Voleva controllare il menu e non leggeva bene da vicino, perciò aveva bisogno di inforcare un paio di occhiali dalla montatura spessa.
Avvicinò agli occhi il cartoncino del menu e passando oltre il nome del ristorante e il logo dell’hotel, lesse il nome delle portate.
Inutile dire che il suo stomaco ruggì di gioia nel constatare la presenza delle voci “Involtino di Pesce Spada” e “Paccheri allo scoglio” e soddisfatta si appoggiò allo schienale, certa che almeno il buon cibo l’avrebbe ripagata della serata noiosa che si apprestava a trascorrere.
Lasciò che anche i suoi genitori commentassero il menu, mentre lei si dedicò a dare un’occhiata più attenta al salone.
Era stato assegnato loro un tavolo vicino alla cucina, a giudicare dal trambusto che proveniva da dietro le ante nere, sul lato destro del salone; sporgendosi un po’ Nives poteva avere una panoramica di tutta la stanza.
Ad occhio e croce dovevano esserci una quindicina di tavoli simili al loro, attorno a cui uomini e donne vestiti elegantemente conversavano e ridevano fra loro. Il centro del salone era stato lasciato libero e addossato alla parete opposta all’entrata c’era un palco su cui era salito un complesso armato di pianoforte, batteria, basso elettrico e sassofono.
Stavano per l’appunto suonando un motivetto jazz che aveva la funzione di rendere più intima l’atmosfera.
            -Mi raccomando- la signora si sporse verso il centro del tavolo richiamando l’attenzione del marito e della figlia – cerchiamo di non fare brutte figure –
I due annuirono passivamente, l’uno concentrato sul menu e l’altra con lo sguardo perso verso gli altri tavoli.
Cercava di individuare qualche altra ragazza che avesse la sua età, diciannove anni o giù di lì, in modo da poterci scambiare qualche parola. Ma niente da fare: gli ospiti erano tutti adulti e quelle che presumeva essere le compagne avevano troppi anni sulle spalle per poter intrattenere una piacevole conversazione con una ragazza. Di tanto in tanto spuntavano delle bambine: così strizzate in vestitini di seta e cerchietti elaborati per raccogliere i capelli, con ai piedi scarpette lucide, sembravano delle bamboline.
Della fauna maschile s’interessò poco, certa di non voler avere niente a che fare con loro.
 
Passato qualche minuto, dalla cucina cominciò ad uscire una fila di camerieri che reggevano ognuno un paio di piatti, presumibilmente gli antipasti.
Sia Nives che suo padre si rizzarono sulle sedie, pronti ad essere serviti, ma restarono delusi nel constatare che questi avevano dato la precedenza agli ospiti seduti più in fondo.
Rassegnata a dover attendere per mangiare, si attardò ad osservare le ragazze che servivano ai tavoli e cercò di stabilire quale potesse essere per lei interessante.
Una però era troppo bassa, un’altra dal viso brutto, un’altra ancora aveva un bel fondoschiena ma delle gambe storte, una appariva carina nel fisico, ma i capelli tagliati molto corti non la rendevano abbastanza graziosa.
Sorprendentemente, mentre i tre erano impegnati ad osservare la processione di dipendenti, una cameriera posò un antipasto nel posto occupato da sua madre.
            -Vi porto subito gli altri- disse quella con voce flebile.
Nives si voltò appena in tempo per notare le lentiggini sparse sul volto pallido e i capelli stretti in uno chignon che stava per cedere. Il dettaglio che attirò maggiormente la sua attenzione fu però lo stato degli occhi della ragazza, gonfi e rossi, che parevano reduci da un pianto prolungato.
La ragazza sparì velocemente nella cucina e poiché aveva una corporatura esile Nives temette che potesse essere travolta dall’orda di dipendenti che faceva avanti  e indietro.
Invece dopo qualche minuto la vide ricomparire reggendo due piatti identici fra loro. Si discostò dal resto dei camerieri che si disperdeva nel salone per fermarsi vicino al loro tavolo.
Nives ebbe modo di osservarla meglio mentre lei poggiava l’antipasto davanti a suo padre. Notò distintamente le labbra piene quel tanto che bastava e il colorito pallido della pelle, quasi simile al bianco delle pareti. Grazie a quel pallore, le numerose lentiggini che aveva all’altezza del naso risaltavano maggiormente. Prima ancora che si voltasse nella sua direzione per poterla ammirare meglio, Nives aveva deciso: era proprio bella.
            -Ecco-
La cameriera le porse il piatto contenente l’antipasto e lei approfittò dell’occasione per sfiorarle le dita e rivolgerle un sorriso.
            -Grazie-
Quella non restò indifferente e, fissandola per un secondo con aria stranita, arrossì violentemente per poi ritrarsi di un passo.
            -Vi serve altro?-
Parlava con un tono di voce talmente flebile che a stento si capivano le parole; Nives si rivolse al padre:
            -Serve altro?-
Lui, che già si era lanciato sui rustici dell’antipasto, ingoiò il boccone e disse:
            -Ah sì, ci può portare una bottiglia di acqua frizzante?-
            -Certo-
La ragazza annuì e si voltò per rientrare rapidamente in cucina.
Nives la seguì con lo sguardo, concentrandosi soprattutto sul modo grazioso che aveva di muovere i fianchi mentre camminava.
Ecco che aveva trovato qualcos’altro che avrebbe reso meno noiosa la sua serata: non le era capitato mai di vedere una ragazza altrettanto graziosa.
Non era semplicemente bella, constatò mentre lei porgeva la bottiglia in mano a suo padre, possedeva una specie di fascino, di raffinatezza rara che la distingueva dalle altre cameriere. Fra queste ce n’era pure una alta e magra, che però non le ispirava quella dolcezza e compostezza che invece trasudavano dal modo di porsi di quella ragazza. Il fatto di trovarsi così vicina alla cucina non poté che accrescere il suo compiacimento, perché avrebbe potuto ammirarla benissimo per tutta la serata e magari provare a scambiarci qualche parola.
            -Se vi serve qualcos’altro chiedete pure- fece la ragazza, tentando un sorriso che risultò invece una smorfia senza allegria.
            -Senz’altro- fu Nives a rispondere al posto del padre, guardandola piuttosto intensamente.
Anche quella volta lei non restò indifferente, perché la osservò a sua volta con uno sguardo a metà fra il confuso e l’interrogativo.
 
Da che si era preannunciata come noiosa, la serata si faceva sempre più interessante. Impegnata a seguire tutti i movimenti della misteriosa cameriera, ad ammirarne l’incedere e origliarne le conversazioni fra una portata e l’altra, Nives giunse al secondo piatto che aveva capito il suo nome.
Le sembrò che Dalila si accordasse perfettamente con la sua bellezza particolare e ora era più che mai decisa a provare ad avvicinarla.
Mentre consumavano il brasato di vitello entrò nel salone un gruppo di musicisti che portavano violini sottobraccio. Questi andarono a disporsi sul palchetto e il loro arrivo coincise con il termine della melodia che il complesso precedente stava suonando; i nuovi arrivati presero posto e controllati gli strumenti un’ultima volta cominciarono a suonare. Abbandonate le tonalità basse del sassofono improntate su un repertorio tipicamente blues, la piccola orchestra iniziò a suonare una melodia molto più incalzante, accompagnata dal pianoforte.
La madre di Nives si drizzò sulla sedia nel sentire le prime note e stette per un momento in silenzio, evidentemente concentrata.
            -Mi pare di conoscere questa canzone-
Gli altri due si guardarono con la stessa espressione, indice del fatto che non avevano colto il riferimento e che per loro quel motivetto non assumeva alcun significato.
            -Oh sì, non ti ricordi? Al matrimonio di qualcuno, ne sono sicura...-
La signora rifletteva nel tentativo di ricordare dove avesse già sentito quella melodia, suo marito si alzò dopo aver terminato il secondo a base di pesce per recarsi alla toilette, e Nives si appoggiò allo schienale portandosi le mani sopra la testa.
Ad un tratto uscì dalla cucina, reggendo due piatti, la cameriera di nome Dalila che tanto aveva attirato la sua attenzione.
Avrebbe voluto alzarsi e andarle a parlare. In realtà, si sentiva piuttosto sicura di sé e avendo stabilito che lei non doveva essere che qualche anno più vecchia non temeva di fare brutte figure. Le sembrava poi la classica ragazza timida e riservata, perciò facilmente impressionabile. L’unico problema erano i suoi genitori: come attuare quel piano di seduzione sotto gli occhi attenti di sua madre che già la guardavano con disapprovazione quando si sedeva scompostamente sulla sedia?
Bisognava quindi trovare un modo per distrarla, certa che suo padre di fronte ad un buon piatto di cibo non avrebbe notato nemmeno lo scoppio di un improvviso incendio.
Delle persone sedute agli altri tavoli non conosceva quasi nessuno, ma sperava tanto che uno di loro si alzasse e venisse a porgere i saluti a sua madre, in modo che lei avrebbe potuto alzarsi da tavola e sgusciare via senza essere rimproverata o tenuta sotto stretta sorveglianza.
Ma la sorte sembrava sorriderle quella sera.
Una volta che gli ospiti ebbero terminato di consumare tutte le seconde portate il complesso smise di suonare e una coppia di signori, che poi si rivelarono essere il proprietario del locale e la moglie, si alzarono e si portarono al centro della sala.
Dopo aver ripetuto ovvietà su quanto fosse onorato della presenza di simili ospiti, di quanto si fosse riempito la pancia mangiando del buon cibo, affermò con decisione che per smaltire tutte quelle calorie occorreva fare un po’ d’attività fisica.
Ed onde evitare fraintendimenti a proposito di quali tipi di esercizi intendesse, prese la moglie per la vita e dopo un cenno all’orchestrina ottenne le prime note di un conosciuto valzer.
Sollecitati dal suo esempio, anche altre coppie si alzarono per raggiungerli al centro della sala, trasformata ora in una spaziosa pista da ballo.
Nives dovette sforzarsi per non ridere alla vista di un arzillo signore di circa settant’anni che faceva volteggiare con malagrazia sua moglie, muovendosi un po’ alla cieca, senza seguire una sequenza regolare.
Quando però gli altri invitati ebbero smesso l’imbarazzo, la sala si riempì di coppie che ballavano, tentando di non scontrarsi fra loro.
Non appena il padre di Nives tornò dalla toilette, sua moglie lo ghermì per un braccio e quasi lo trascinò nella mischia. Senza rendersi conto di essere stata lasciata libera, la ragazza stette ad osservare allibita e quanto mai divertita i suoi genitori che si ritagliavano il loro spazio e cominciavano a seguire l’andamento del gruppo.
Era una scena davvero troppo buffa per essere ignorata, e probabilmente Nives sarebbe rimasta a contemplarla per tutta la sua durata, perdendo così ogni occasione di avvicinarsi alla cameriera, se non avesse colto uno spezzone di conversazione e un rumore di posate che finivano a terra con gran fragore.
            -Ma insomma, guarda dove vai!-
            -Scusa, scusa...-
Dalila, la cameriera che aveva occhieggiato per tutta la serata, si era chinata a terra tutta rossa in volto per raccogliere una manciata di posate che evidentemente le erano sfuggite di mano nello scontro col capocameriere.
Nives non ebbe dubbi su quel che doveva fare e sul fatto che quella sarebbe stata la sua unica occasione, perciò si alzò e rapidamente le si avvicinò, aiutandola a rimediare al danno.
Dalila si scostò dalla fronte una ciocca di capelli sfuggita allo chignon e ringraziò più volte per la collaborazione.
            -Non c’era bisogno, grazie...-
            -Figurati, non è niente-
Quando entrambe si rimisero in piedi, Nives constatò di essere ben più alta di lei, che però aveva dalla sua il vantaggio di un fisico aggraziato e formoso quel tanto che bastava.
Siccome reggeva un pesante recipiente in cui erano state poste le posate, evidentemente da lavare, Nives pensò di aiutarla.
            -Di nuovo, non c’era bisogno-
            -Di nuovo, ma figurati- le sorrise e la ragazza arrossì.
Nives sentì il sangue ribollirle a quel rossore: ogni secondo che passava, pur se basandosi su semplici supposizioni, era sempre più convinta che, come era per lei, a quella cameriera piacessero le donne.
In tal caso avrebbe dovuto ribattezzare il san Valentino come la giornata consacrata alle botte di culo.
Mentre l’aiutava a rovesciare nell’enorme lavastoviglie tutte le posate utilizzate per la cena, il cameriere con cui Dalila si era scontrata prima, Maurizio, la rimproverò ancora:
            -Se le fai cadere un’altra volta ne parlo col maitre. Che qua non stiamo giocando, eh!-
Mentre Dalila annuiva con aria contrita e dispiaciuta, Nives gli rivolse una brutta occhiata ed una volta che fu abbastanza lontano domandò alla ragazza:
            -Come mai ce l’ha con te?-
            -Perché, ce l’ha con me?- chiese a sua volta Dalila, guardandola con aria preoccupata.
Inutile dire che ogni suo gesto non faceva che aumentare la positività del giudizio che di lei si era fatta Nives.
            -Sì, sembra- rispose mentre spingeva la porta per farla passare avanti – hai fatto qualcosa di male?-
            -Non credo-
            -Devi per forza tornare in cucina?- domandò Nives notando che lei aveva fatto un passo indietro. Dalila ci pensò un momento.
            -Be’, ora stanno ballando e quindi siamo in attesa del primo dessert. Solo che per almeno dieci minuti li lasceremo liberi. In cucina c’è sempre tanto da fare, però...-
            -Ho capito, siediti- tagliò corto l’altra, prendendo una sedia dal loro tavolo e avvicinandola alla ragazza.
Lei sembrava dubbiosa, poi il suo sguardo andò alle coppie danzanti e parve convincersi, così si sedette composta accanto a Nives.
Convinta ogni secondo che passava che quello dovesse essere per forza il suo giorno fortunato, questa si tolse gli occhiali, ripiegandoli e posandoli sul tavolo, e domandò:
            -Allora, lavori sempre qui?-
            -Sì- Dalila non smetteva di guardare il centro della sala.
            -E com’è? Sembra piuttosto impegnativo-
            -Sì, c’è sempre tanto da fare e ti trattano un po’ male... però ci sono anche i lati positivi-
Nives osservò l’altra diventare ad un tratto rossa e poi intristirsi, contornando il tutto con un sospiro pensieroso.
            -Perché non sei assieme ai tuoi genitori? O sei invitata con gli amici?- domandò Dalila.
            -Oh no, sono con i miei- Nives gettò uno sguardo oltre i tavoli per scorgerli – e temo che si stiano rendendo ridicoli davanti agli altri da qualche parte là in fondo-
Dalila fece una piccola risata.
            -Macché, beati loro...- mormorò, perdendosi nuovamente nella contemplazione dei ballerini.
Nives notò che la ragazza sembrava rapita da quello spettacolo e quindi disse:
            -Vedo che guardi sempre i ballerini. Come mai, ti piace ballare?-
            -Oh sì- rispose subito lei, aprendosi in un sorriso che ebbe il potere di far fremere le viscere dell’altra ragazza – mi piace tanto ballare-
Nives considerò che, pur se l’occasione le veniva offerta su un piatto d’argento, lei non avrebbe saputo assolutamente come muoversi là in mezzo e quindi l’ipotesi di invitarla a ballare era da escludere.
            -Io non ne capisco assolutamente nulla- affermò, dopo essersi incantata anche lei a guardare le coppie – non saprei dire nemmeno di chi è ‘sto valzer, che pure è famosissimo-
            -Ma dai!- fece Dalila, animandosi d’un tratto – Strauss figlio, Sul bel Danubio blu. Quello che fanno ogni anno al Capodanno di Vienna!-
            -Zero totale- dovette ammettere l’altra, sorridendo.
            -Mi piace davvero tanto- Dalila accompagnò la frase con un altro sospiro.
Evidentemente, pensò Nives, quel ballo le riportava alla mente ricordi o pensieri particolari.
            -Invece prima cos’era?-
            -Barry White?-
            -No no, intendo quello prima di questo valzer...-
            -Ah sì! Era la prima e seconda Bourré di Bach, e poi il minuetto. Anche quello è ballabile, anche se più difficile-
Sembrava perdersi, assorta nella contemplazione dei ballerini e nell’ascolto di quella melodia, e per qualche minuto stettero in silenzio, l’una pensosa e forse invidiosa di quelli che danzavano al centro della sala e l’altra incantata nel guardare il profilo di quella ragazza.
Nives pensò che doveva assolutamente scoprire se fosse etero o meno, quindi per introdurre il discorso disse:
            -Immagino sia un peccato che tu debba trascorrere il san Valentino qui, piuttosto che col tuo fidanzato-
A quella parola Dalila ebbe una reazione a metà fra l’imbarazzato e il deluso.
            -No, io...- cominciò – non ho un fidanzato-
            -Non hai il fidanzato?- Nives ci aveva sperato, ma le parve onestamente impossibile che una così bella ragazza fosse scoppiata.
            -No-
            -Cioè, scusa l’entusiasmo...voglio dire, mi sembra impossibile che tu non l’abbia-
Dalila colse il velato complimento e resasi conto che era rivolto proprio a lei arrossì dalle guance fino alla punta del naso, abbassando lo sguardo e tentando di farsi piccola piccola.
Era un’allusione abbastanza esplicita e lei non aveva fatto strane domande, né si era lamentata per l’invadenza; questi erano indizi che invitavano Nives ad essere più fiduciosa delle sue possibilità.
Dopo un altro momento di silenzio Dalila domandò:
            -Ti stai annoiando molto, allora?-
            -Sì, effettivamente sì. Non è proprio il posto dove avevo in mente di trascorrere la serata-
            -Oh, allora sei tu che hai il fidanzato?-
Nives pensò che fosse il momento giusto per farle capire che erano le ragazze a piacerle.
-Oh no, no, a me non piacciono i maschi-
Dalila la guardò dritta negli occhi e schiuse le labbra in chiaro segno di sorpresa, mentre Nives componeva un sorriso molto sornione. La cameriera diventò improvvisamente rossa e prese a balbettare.
            -Ah, ho capito... io, ehm... sì, ho capito-
Diventava ogni secondo più rossa e aveva preso a gesticolare animatamente farfugliando intercalari a raffica. Forse rendendosi conto di sembrare ridicola tacque di botto e piantò lo sguardo sul pavimento.
            -Tutto bene?- chiese Nives, dato che l’altra sembrava in preda ad una serie di ragionamenti complessi.
Dalila alzò di scatto la testa.
            -Io? Sì, sì... ehm...- si avvicinò col corpo all’altra ragazza e domandò a voce bassa – allora hai una fidanzata, è per questo che non vorresti essere qui?-
Nives si avvicinò nello stesso modo, finché i loro visi non furono alla stessa distanza di quelli dei ballerini che danzavano in sala.
            -No, non ce l’ho. Però alla fine non mi dispiace così tanto stare qua-
Inutile dire che la gradazione di rossore del volto di Dalila aumentava esponenzialmente ad ogni frase che Nives pronunciava con voce sicura di sé.
Non aveva posto le solite domande da eterosessuale curiosa, non si era allontanata ridacchiando o schifandosi come avrebbe reagito un’omofoba, non le aveva fatto alcuna battutina o dirottato la sua attenzione su altre ragazze in sala, era semplicemente arrossita. Per Nives era un indizio più che sufficiente e confermava il sentore che quella serata fosse per lei particolarmente propizia.
Prima che Dalila potesse dire qualsiasi altra cosa, chiese:
            -Lavori tutta la sera, oppure puoi fare una pausa? Se ti va possiamo andare da qualche parte a parlare. Io non riesco più a stare seduta, ho mangiato troppo...-
Il suo sorriso incoraggiante non trovava riscontri nell’espressione imbarazzata e confusa dell’altra ragazza. Subito abbassò lo sguardo e si strinse nelle spalle.
            -Non lo so, io... in cucina stanno preparando i dessert...-
            -Mmm, okay- Nives si ritrasse bruscamente dall’intimità che si era instaurata fra loro, mettendosi a giocherellare con le aste degli occhiali – forse non t’interessa. Scusami, non volevo infastidirti-
Dalila guardò prima lei, poi la sua mano che faceva ondeggiare le robuste asticelle nere. Fece un sospiro e, portata una mano all’elastico che teneva in ordine lo chignon, lo tirò per sciogliere i capelli.
            -Però forse qualche minuto possiamo parlare- disse senza guardarla, improvvisamente decisa e priva dell’insicurezza che l’aveva caratterizzata solo qualche secondo prima – torno un momento in cucina, arrivo tra poco-
Detto ciò si alzò, tornando a legare i capelli con cura, e si spostò dal tavolo per spingere il portone della cucina, lasciando Nives al tavolo assolutamente incredula ma certo esaltata per il buon fine che aveva avuto il suo tentativo.
 
Dalila attraversò la cucina fino a giungere in un piccolo bagno riservato ai dipendenti, dove si chiuse a chiave per riflettere con calma.
Si toccò le guance con una mano e scoprì di averle calde: guardandosi allo specchio notò il suo volto solitamente pallido acceso di un rossore intenso.
Pensò a quello che aveva appena fatto.
Era forse impazzita? Come aveva potuto prendere iniziativa a quel modo?
Rivide nella sua mente il momento in cui, dopo un’iniziale insicurezza, aveva accettato la proposta di quella sconosciuta ragazza. Dapprima aveva titubato pensando all’orario lavorativo, al fatto che si trovasse di fronte ad una perfetta estranea di cui non sapeva nulla, al pensiero che comunque lei ce l’aveva, una fidanzata.
Tuttavia proprio al ricordo di Tiziana si era impadronita di lei una sicurezza tale che le aveva schiarito le idee e suggeritole quello che doveva fare, spingendola quindi ad accettare l’invito della ragazza.
Certo era stato bello essere per una volta padrone della situazione e decidere autonomamente quel che voleva fare. Passato però quell’attimo la spavalderia si era dissolta e quello che prima le era sembrato un legittimo sussulto d’orgoglio si trasformò in un gesto sconsiderato.
Che cosa le era preso? Con che coraggio si sarebbe ripresentata nel salone?
Allora pensò subito ad un modo per dire a quella ragazza che no, non andava bene stare assieme a lei, perché non sarebbe stato giusto nei confronti della sua fidanzata.
Dalila si guardò nello specchio e notò che il rossore prima tanto evidente cominciava a scemare. Osservò il suo riflesso più a lungo del solito e sciolse nuovamente i capelli, liberando una cascata di ricci castani; li frizionò con la mano per conferirgli volume e avvicinò il volto allo specchio per guardarsi più da vicino.
Pensò che forse, con un po’ di trucco, avrebbe anche potuto essere carina; avrebbe potuto piacersi un po’ di più, forse.
Viveva continuamente in quel complesso d’inferiorità e si sentiva insignificante se paragonata a Tiziana.
Tiziana era bellissima, aveva due occhi stupendi, un corpo forse non slanciato ma abbastanza formoso per essere desiderabile, aveva quel modo di sorridere che la mandava completamente in estasi: avrebbe potuto perdersi nella contemplazione di quella smorfia accattivante, dei suoi denti perfetti, delle sue labbra carnose. Perfino il naso le piaceva, lo trovava carino e arcuato al punto giusto, in modo che si adattasse alla forma del viso.
Voltandosi di profilo prese in esame il suo e delusa constatò che squadrato com’era non aveva niente a che vedere con quello della compagna.
Insomma non c’era niente, nessuna categoria, nessun ambito in cui avrebbe potuto superarla. Fermamente convinta di essere inferiore, si considerava una privilegiata, perché Tiziana le permetteva di stare insieme a lei. A volte si domandava se la compagna non provasse nei suoi confronti un sentimento di pietà, di compassione, se non stesse con lei solamente perché impietosita dal suo caratteristico patetismo.
Si sentiva al sicuro con lei, sapeva che niente e nessuno avrebbe potuto farle del male, perché Tiziana non l’avrebbe permesso. D’altronde Dalila non aveva alcuna intenzione di spezzare questo legame in quanto senza sarebbe stata sperduta, indifesa, senza motivo d’esistere.
Si spostò una ciocca di capelli dal viso, ma quella ritornò ad ostruire il suo campo visivo.
Quella ragazza non aveva davvero niente in comune con Tiziana: più magra di lei e più alta, ma dai lineamenti più spigolosi, meno armoniosi e priva di forme, quasi androgina.
Non le aveva badato molto all’inizio, ma dal modo in cui l’aveva guardata per tutta la serata, Dalila doveva aver catturato la sua attenzione.
Come spiegare altrimenti i sorrisi e gli sguardi insistenti?
Non che lei si fosse ritenuta in grado di piacerle, tuttavia quale altro significato poteva essere attribuito alla stretta marcatura cui era stata sottoposta?
Certo, pensò, qualunque altro cliente non sarebbe venuto in suo soccorso per aiutarla a raccogliere le posate, specie considerando il genere d’ospiti che albergavano in quell’hotel.
E così aveva fatto colpo.
Provò a considerarsi per la prima volta da un occhio esterno, cercò di capire cosa mai poteva essere stato nel suo fisico ad attirare quella ragazza. Aveva tenuto i capelli legati, perciò per quanto potessero essere belli non doveva essere stato questo il motivo di tale interesse; non indossava altro che una semplice divisa, formata da pantaloni neri e camicia bianca, non un abitino provocante, perciò anche il fattore abbigliamento era da scartare; come trucco aveva osato cerchiare gli occhi di un leggero strato di matita nera, che comunque aveva sbavato nel momento in cui era scoppiata a piangere, in cucina.
Questo le riportò alla mente Tiziana e ricordò che una volta la compagna, al termine di un amplesso piuttosto gratificante, aveva esplicitamente lodato il suo portamento ed espresso il desiderio di voler essere bella e aggraziata come lei. Dalila era ovviamente arrossita e schermendosi le aveva domandato come potesse desiderare una simile cosa, quando, almeno secondo il suo giudizio,Tiziana era già perfetta di suo.
Si era dunque sentita rispondere di non sapere minimamente a cosa dovesse essere associato il termine bellezza.
Più per fede e per assecondare l’opinione dell’amante che per sua reale convinzione, Dalila non aveva ribattuto più nulla, asserendo di essere in possesso di una particolare bellezza non comune a tutte quante.
Riprovò a guardarsi allo specchio. Forse la ragazza era stata attirata da questa sua presunta grazia? Poteva essere così superba da considerarsi bella?
Dopotutto, pensava, era stata Tiziana a farglielo notare per la prima volta, questo egoistico pensiero non era stato partorito dalla sua mente; sapeva che Tiziana era molto vanitosa e godeva immensamente quando le si ricordava come fosse attraente, dunque per lei doveva essere molto difficile ammettere che qualcun’altra poteva superarla in quel campo.
 
Aprì il rubinetto e raccolta l’acqua nelle mani unite a coppa, si sciacquò il viso più volte.
Quella ragazza l’aveva trovata carina, la stava spudoratamente corteggiando, l’aveva riempita di velati complimenti come Tiziana non aveva mai fatto. Improvvisamente tutto le apparve più chiaro e i pensieri cominciarono a snodarsi nella sua mente assumendo caratteri ben precisi.
Non c’era mai stata per lei alcuna gratificazione, Tiziana non si era resa conto dell’amore e dell’attaccamento che Dalila provava nei suoi confronti. Non doveva essersene resa conto, perché altrimenti non l’avrebbe mai trattata a quel modo, non l’avrebbe umiliata così come aveva fatto poche ore prima.
Dalila non metteva in dubbio che fare l’amore e passare del tempo assieme in quella camera fossero un modo per dimostrarle che l’affetto era ricambiato, tuttavia cominciò a farsi strada in lei un sentimento sconosciuto, che non aveva mai provato prima.
Cominciò a pensar male e a considerare l’amante, per cui fino a poco prima nutriva una soggezione e un rispetto assoluti, sotto una luce diversa.
Se Dalila era realmente dotata di tale bellezza, perché mai era costretta a subire quelle continue umiliazioni? Perché Tiziana non la riempiva di complimenti e non faceva mai nulla di carino nei suoi confronti?
Perché nel giorno di san Valentino non aveva mostrato un minimo di romanticismo, fosse anche stato un piccolo pensierino, un biglietto di auguri?
Una sorta di sussulto d’orgoglio fu quello che la indusse a ragionare in quel modo, a considerare Tiziana non più come l’unica persona da cui poter essere ricambiata, ma come una perfida strega il cui scopo era quello di soggiogarla e convincerla di non aver alcun valore, di essere insignificante.
Tutti i sorrisi maliziosi e accattivanti, tutte le parole suadenti pronunciate nei momenti d’intimità, ma soprattutto la reazione divertita di fronte al suo gesto premuroso di qualche ora prima, assunsero tutto un altro significato.
Tiziana era cattiva.
Sì, soltanto una persona malvagia ed egoista avrebbe potuto ordire un simile piano: farle credere di essere l’unica a saper apprezzare la sua bellezza interiore, l’unica ad averla conosciuta veramente e l’unica che l’avrebbe mai amata, per nascondere invece il processo di umiliazione e mortificazione a cui la stava sottoponendo.
Tanto più la induceva a credere che fosse innamorata di lei, tanto più Tiziana la utilizzava come strumento per ingigantire il suo ego.
Era come se Dalila fosse uno specchio deformato attraverso cui Tiziana rifletteva se stessa in modo iperbolico; era un giocattolo su cui la ragazza sfogava la propria tensione verso l’individualismo.
Accettando i limiti che comunque le venivano imposti dalla società, non potendo affermare se stessa in modo universale, riversava le sue frustrazioni su Dalila sapendo che le avrebbe permesso di appagare la sua superbia.
 
 Alla luce di tali considerazioni si impadronì di lei una certa sicurezza che la portò ad affermare:
            -Perché dovrei aver bisogno di lei? Perché non è possibile che una ragazza s’interessi a me? Perché devo tenere verso di lei obblighi che, stando al modo in cui si comporta, non considera importanti?-
Voltò le spalle allo specchio e osservandosi la punta delle scarpe rifletté a voce alta.
            -È stata cattiva con me, prima. Cosa crede, che sia sempre lì ad aspettarla, che non possa pretendere anch’io dei diritti, ogni tanto?-
Piano piano crebbe in lei un sentimento di odio, di rancore nei confronti della compagna, con un’intensità tale che nel proseguire i suoi ragionamenti stringeva i pugni e le labbra come per contenersi.
Dalila non aveva mai provato tali sensazioni e se all’inizio il suo organismo, come per reazione ad un corpo estraneo che tenta d’introdursi all’interno, le concesse un momento di lucidità necessario a valutare se realmente fosse quella la strada da intraprendere, l’attimo dopo trasformò il rancore in un desiderio di rivalsa e vendetta.
Animata da una risoluzione che le impediva di titubare anche solo per un secondo, raccolse nuovamente i capelli nella coda e data un’ultima occhiata al suo riflesso fece scattare la serratura e uscì dal bagno.





Note dell'autrice: il prossimo capitolo, la cui pubblicazione non dovrebbe tardare molto, sarà anche l'ultimo. L'ho già scritto, devo semplicemente rileggerlo e correggerlo, per cui penso che entro la fine della prossima settimana possa considerarsi pronto. Passo quindi a ringraziare quelli che hanno inserito la storia fra le preferite e le seguite e naturalmente quelle che l'hanno recensita! I commenti di qualsiasi genere sono sempre graditi, grazie a voi che avete speso del tempo per farmi conoscere il vostro parere. 
   
 
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