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Autore: _thetimeofourlives    26/03/2011    0 recensioni
"Pensa a rammendare il cuore quando si spezza. Ripara il tetto nelle fitte gironate di pioggia. Prendi della stoffa, una toppa, un'asse di legno.
Ma invece di venire a casa mia, pensa a ripararti dal freddo. Penso a procurare tua madre del cibo con cui nutrirsi.
Io, chiamerò qualcuno a vivacizzare la mia stanza, un giorno. È una promessa che ti faccio."
"E io come faccio a vedere il risultato se non vuoi che venga oltre il confine?" chiese l'ometto.
"Immaginati una stanza piccola, chiusa, buia che si accende. L'immaginazione è miliardi di volte migliore della realtà."
"Però io… io vorrei veramente vederla!" si lamentò Terence.
"E allora un giorno, quando sarai abbastanza grande e il mondo abbastanza buono, ti porterò nella mia umile dimora."
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non sei un ladro, ometto.


Avevano passato gli ultimi mesi a nascondersi nella foresta durante i periodi di guerra.
A sentire proiettili che partivano dalla canna di un fucile, finendo per conficcarsi sotto la pelle.
Cicatrici che non sarebbero potute sparire facilmente.
E quando i nonni ti vedevano avrebbero esclamato: "Hey! Sei sulla buona strada per la guarigione!"
Ma loro non sapevano che i punti che il dottore ti aveva cucito sulla pelle avrebbero lasciato delle macchioline.

E allora la fanciulla aveva nascosto sotto le sue bianche braccia l'ometto.
Si era fatto piccolo piccolo e spesso, si ritrovava a giacere in quella specie di 'castello segreto'.
Almeno lì, le urla della madre, le grida dei caduti, la sofferenza dei doloranti, non avrebbero potuto toccarlo.
Ferirlo.
Era finalmente al sicuro, in quel mondo di fucili ed ordini.

"Vorrei solo che finisse." le confessò nell'orecchio.

Erano appoggiati ad un tronco nel mezzo della foresta.
Silenziosi, privi di parole da pronunciare. Perché esse si smorzarono proprio nei momenti in cui stavano per parlare.
Perché se l'unico suono che riuscivano a sentire, per quel pomeriggio d'inverno, era il silenzio, non lo avrebbero sprecato per niente.
Lo avrebbero conservato.
Perché si erano dimenticati il suo 'rumore'.
Il dolcissimo, tenerissimo, lieve rumore del silenzio.

"Un giorno torneremo a raccogliere le prugne sulle rive del fiume. Un giorno torneremo a correre liberi per i campi della Borgest. Finalmente un giorno, ometto, tornerai a portare al pascolo le capre dei vicini per sottrarne del latte di nascosto. Per poi scappare a casa e dire a tua madre che te lo avevano regalato. Ma non sei un ladro ometto. Ricordatelo sempre. I ladri sono loro. Perché rubano le vite agli innocenti. Ci tolgono la gioventù. Ma noi ometto, non abbiamo niente da temere. Noi non abbiamo fatto niente. Loro vivono sulle disgrazie altrui. Loro campano perché uccidono. Perché non è rimasto loro altro che la rassegnazione."
"Come facevi a sapere che rubo il latte alle capre dei vicini?"
"Ti vidi ometto. Giacevo immobile sulle rive dei fiumi." spiegò la fanciulla.
"E non avevi paura che i soldati ti colpissero?"
"A quel tempo non c'era la guerra ometto. A quel tempo, mi ricordo che portavo a spasso il gregge di mia zia per guadagnarmi qualche spicciolo per comprare il latte che faceva il maestro del villaggio. Era davvero buono. Costava un occhio della testa. E allora spesso, una volta che mi dava la bottiglia, pregavo che fosse misericordioso da aggiungere qualche litro. Ma non lo fece mai. E quando la carestia incominciò, i suoi affari fallirono. Aveva alzato i prezzi così tanto che la gente del paese non poteva permettersi neanche una goccia. E passavano davanti al suo negozietto guardando vogliosi quella gigante coppa che distribuiva il latte, posta dietro il bancone. Come se con i loro occhi potessero far compassione al signor Machingan. Ma lui, non li considerava mai." soffiò il vento, più forte.
"E adesso, lui dov'è?" curiosò il bambino.
"Non lo so sinceramente. Forse adesso siederà dietro al bancone mentre incrocia le mani, pregando il Dio che non attacchino la sua officina. Oppure sarà a casa dalla moglie a mangiare una calda zuppa. Come ultima opzione, penso che adesso stia piangendo sul davanzale del negozietto perché esso è stato bruciato dal fuoco dei soldati. Ma tutto ciò che ne rimane, è cenere."
"Io non ho mai assaggiato il suo latte."
"Io è una vita che aspetto un bicchiere del latte del signor Machingan."
"Andiamo in città allora. Prendiamo un ferro di cavallo e irrompiamo nel negozio." propose il piccoletto.
"E' troppo pericoloso!" obbiettò la fanciulla.
"Niente è mai troppo pericoloso! Vuoi morire senza ricordarti il gusto del suo latte?" la fece ragionare.
"No per-"
"Niente ma, se, però! Adesso vieni con me e ci beviamo qualche litro di quel latte. Così evitero di mentire alla mamma!"

E allora si alzarono. E silenziosamente, attraversarono la foresta, oltrepassarono il confine e arrivarono al centro del villaggio.

***


Se la ricordava completamente diversa. Era andata a vivere dalla parte opposta del sole calante, solo per proteggersi.
Aveva dimenticato l'odore dei fiori che c'erano. Ma la fioraia che vendeva rose rosse per gli innamorati, non urlava più alcuna offerta.
Le biciclette che popolavano le stradine del centro erano accasciate lungo i muretti.
Aveva perso vita, quel villaggio. Aveva perso troppe persone.
Ma lei si ricordava ancora la strada per il negozietto. Quel luogo che era diventato come una seconda casa.

"Eccolo!" esultò silenziosa facendosi strada verso l'ingresso.
Prese una spranga e ripulì l'entrata dai massi che la bloccavano. Ed infine, mise piede in quel ricordo.

"Bentornata a casa!" le disse l'ometto entrando dopo di lei.
"Sarà bello qua?" chiese lei.
"Sì! Avevi ragione!"
Si sedettero e la fanciulla, dopo aver maneggiato accuratamente la coppa, porse una scodella di legno all'ometto.
Egli in risposta, accettò l'oggetto senza esitare.

"Assaggialo." consigliò.
Terry si portò la ciotola alla bocca e sorseggiò rumorosamente.
"E' buonissimo!" acconsentì notando che la donna aveva le lacrime agli occhi.
"Lo so. Lo sapevo che ti sarebbe piaciuto." pianse. Allora l'ometto si alzò all'istante e la serrò tra le piccole baccia.

"Facci ritorno un giorno. Quando sarai grande e avrai figli ometto. Portaci qualcuno che possa piangere con noi." soffiò.
"Lo farò. Se mi farai vedere la tua stanza." e sorrise.

Erano due stesse promesse. Entrambe, circondate da 'se' e 'ma'. In fondo, non avevano nient'altro da perdere.
Il mondo che usavano conoscere, stava andando in rovina. La luce del sole crescente, la mattina, era già un dono.
E non volevano pregare perché avevano già abbastanza.
Non avrebbero chiesto ad un Dio apparentemente inesistente di donare loro più di quanto potessero avere.
O anche solo immaginare.
Perché essere lì, quell'ora, quel giorno, quell'anno, quando fuori si scatenava il putiferio, era già un regalo molto importante.

"Perché non c'eri mai tornata prima?" le chiese sussurrando.
"Perché quando si è grandi, ometto, non si ha il coraggio di guardare in faccia il passato. Ti volti, gli giri le spalle, sperando che, dopo aver bussato alla tua porta per così tanti anni, se ne vada, stanco di aspettare-"
"Ma…" concluse per lei Terence.
"Sei perspicace ometto!" esultò accarezzandogli i biondi riccioli. "Ma lui rimane lì, conscio del fatto che, anche se non lo vorrai rivivere, sarai sempre lì ad aspettarlo. Ad invitarlo a non ferirti più. Ma come tu vuoi essere cieco, lui ti ripagherà con la stessa moneta."
"Che cosa ho io nel mio passato?" chiese l'Ometto.
"Non lo so." riflettè lei. "Guardati indietro e raccontami."
Lui, prese letteralmente il suo consiglio: si girò verso le sue spalle e osservò attentamente ciò che lo circondava.
Poi, tornò fra le sue braccia ed iniziò a raccontarle ciò che di più prezioso aveva.

"Ma io avevo mio padre. Andavamo a caccia tutti insieme. Spesso mi sgridava perché quando pescavamo lasciavo che i pesci scappassero. Ma io non volevo vederli saltare perché in fin di vita! Io così li rigettavo nel laghetto. Mi ricordo il mio riflesso. Mio padre. Le sue possenti mani che afferravano la mia vita e mi riportavano sul legno della barca affinchè io non cadessi oltre. Poi mi rigirava il suo cappello nero perché troppo lungo. Mi arrivava sin sugli occhi e perciò io non vedevo oltre la riga dell'orizzonte. Poi un giorno andammo in paese. Le vecchiette che sedevano sui cigli delle strade a commentare noi che arrivavamo. Sempre dietro a sparlare, sparlare e fare le oche!" rise sbattendo gli occhi."E là mi comprò questo ciondolo."
disse porgendo alla donna la catenelle che aveva al collo. L'aveva notata. Ma non gli aveva mai chiesto da dove provenisse.
"Questa è una farfalla. L'orefice sbagliò l'incurvatura delle ali, vedi? Allora mio padre andò su tutte le furie! Aveva speso tutti i soldi che tenevamo per regalarmela. Ma dato che avevo compiuto tutto il lavoro nella scuderia dei vicini, mi degnò di questo dono. E quando costrinse il poveretto a rimarcarmela bene, egli sbuffò sonoramente e litigò con mio papà per altri quaranta minuti buoni. E io che tiravo la sua maglia e gli urlavo di smetterla. Io non volevo niente di perfetto.
Volevo solo qualcosa che mi ricordasse mio padre.." afferò malinconico.
"E te lo ricorda?"
"Certo! Prima di andare a letto veniva nel letto con me e rotolatà il ciondolo attorno alla cordicella. E io gli intimavo di non farlo perché avevo paura si rompesse. Ma per fortuna, è ancora intatta. Poi però, la guerra se lo portò via con se. Non so che cosa gli sia realmente successo. Forse lo ha ucciso un soldato. Oppure è caduto ed è morto. Ma sta di fatto che non c'è un giorno, in cui non mi manchi."
"Ti stringo più forte perché il calore di due corpi riscalda di più. Dedico a tuo padre questa lacrima, perché possa riposare in pace."

E cosa aggiungere? Cosa dire se non quelle parole? Nessuno dei due sapeva che la guerra avrebbe potuto spazzarli via.
Ma in cuor loro, speravano che un briciolo di fortuna li avrebbe assistiti in quel grande cammino, chiamato vita.

***


"Non mi hai mai raccontato niente di te!" le strillò facendola accomodare sotto le sue lenzuola calde.
"Cosa vorresti che dicessi?"
"Non lo so. Raccontami di te." provò.
"Bhe, facciamo prima a scoprire cosa vuoi sapere."
"Vorrei sapere come si chiama tua mamma!"
"Si chiamava Jane. Era una donna un po' tozza, con profonde rughe sotto gli occhi per l'eccessivo lavoro. Coltivava nei campi del re. Si era indebitata qualche anni prima e così, per portarci avanti, aveva dovuto lavorare presso i suoi campi. Erano talmente vasti che un giorno, quando mi ci portò, impiegai ore per ritrovare il punto di raccolta. Ma era una donna che avrebbe fatto di tutto per procurarmi del cibo con cui nutrirmi. Quindi, si abbassò anche a diventare una semi-schiava." "Anche lei ti guarda!" sospirò Terence.
"Sì, anche lei mi guarda."
"E tuo padre?"
"Io non ho mai conosciuto mio padre. Del resto, era scappato subito dopo la mia nascita. Non seppi mai chi lui fosse. Ma non importa."
"Forse anche lui ti guarda."
"No. Non è lui che guarda me, sono io che guardo lui."
"E cosa gli dici?"
"Gli dico che è un uomo. Ma che non si è comportato come tale."
"Non hai mai cacciato con lui?" le chiese incredulo alle parole che la fanciulla stava 'sputado'.
"No. Però so come si caccia. E anche come si pesca, anche se non sono brava come te!" e sorrise di cuore.
"E non hai nessuna catenina?" domandò ispezionandole il collo.
"No."

E allora lui afferrò la sua. Quel piccolo ciondolo era fra le mani di quel piccolo ometto.
Iniziò a tirare i fili e quando essi si spezzarono, legò al braccio della fanciulla una parte. L'altra, se la legò al suo polso.

"Adesso hai qualcuno da ricordare!" soffiò.
"Avrei avuto qualcuno da ricordare anche prima."
E lo coprì con il caldo di una coperta di lana. Una lana ormai spezzata, che aveva il necessario bisogno di essere ricucita.

"Ho paura del buio sai? Mio papà mi faceva compagnia durante le serate di pioggia."
"Ci sono io qui con te, stasera." affermò stringendogli la manina.
"Sai combattere i fantasmi?"
"Quali fantasmi?"
"Quelli della notte!" esclamò Ometto come per appurare l'ovvio.
"No, quelli della notte no." confessò.
"E allora non puoi tenerci al sicuro!" si lamentò il piccoletto.
"Ti dirò una cosa, ma ascoltami bene." e Terry anuì. "Io so combattere i fantasmi del passato."
"E sono pericolosi?" domandò spaventato.
"No. Siamo noi che li rendiamo pericolosi. Non ci possonon né toccare, né ferire. Oppure, non più." "Ma come sono?"
"Sono tanti. E forti. Ma con l'aiuto di un alleato, possiamo sconfiggerli."

"E noi li sconfiggeremo?"
"Sai Terence, la risposta è una sola: sì."
  
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