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Autore: Many8    30/03/2011    6 recensioni
Bella afflitta da un trauma che ha segnato il suo presente e il suo passato,cercherà di dimenticare quest'ultimo, ma si sa dimenticare è difficile se quasi impossibile; un Edward umano, conoscerà la nostra protagonista e... Riuscirà il nostro invincibile supereroe a cambiare almeno il futuro della nostra piccola e dolce Bella? AH- OOC- raiting ARANCIONE.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Salve a tutti.

Io sono della categorie pochi amici, ma buoni. Non ho nulla in contrario a chi ha tanti amici, anzi, ma avere tanti amici vuol dire dedicargli del tempo, ed io non ho tempo xD.

Mi son dimenticata di dirvi la volta scorsa, che i commenti (recensioni) inferiori alle 10 parole mi saranno recapitati come messaggi privati, e non verranno visualizzati nelle recensioni della storia. A me, non importa un granché, risponderò in qualunque caso a tutti i vostri commenti.

Buona Lettura.
Edward.
“Anche per me, anche per me vale lo stesso...” disse, prendendo aria. “Anche tu sei diventato la mia vita, Edward, anche io voglio continuare a vivere con te. Anche io mi sento felice solo quando ci sei tu, qui, vicino a me.”
Mi abbracciò, ci fermammo quasi al centro della stanza, il suo capo nell'incavo del mio collo, il mio mento sulla mia testa.
In quel momento non servivano parole, completamente fuori luogo, insulse. Bastava il suo respiro accelerato sul mio collo, il mio cuore che batteva tanto forte, quasi troppo.
Le diedi un bacio sulla testa, lei alzò quest'ultima, facendo incontrare i nostri visi. I suoi occhi color cioccolato nei miei, quegli occhi che mi avevano ammaliato fin dal primo istante, il suo sguardo profondo, e quasi perso. Triste. E poi man mano che passavamo giornate insieme quegli occhi si erano accesi di una luce nuova, diversa. Quegli occhi sorpresi, delusi, amareggiati quando mi aveva visto con Tanya. Quegli occhi ancora una volta sorpresi, umidi, commossi, quando mi aveva ritrovato sulla terrazza.
Quegli occhi che ormai erano diventati il mio rifugio, dove scovare, cercare senza sosta. Dove potevo trovare i suoi turbamenti, le sue gioie, le sue paure, ma anche tutto il suo amore per me. Lo vedevo anche dal suo sguardo, cambiava quando si posava su di me, non era come quando guardava gli altri, era diverso. Più acceso, più bello.
Avvicinai le mie labbra alle sue, le dolci note accompagnavano la danza creata dalle nostre bocche, chiusi gli occhi, lasciandomi completamente andare. Non mi interessava di essere il primario, che non avrei dovuto, così esplicitamente, dare spettacolo. Non mi importava. Tutto ciò di cui ero interessato, era davanti a me, le sue labbra sulle mie, il suo petto così vicino al mio.
Ci allontanammo l'uno dall'altro, continuando a guardarci negli occhi, le mie mani portarono dei suoi ciuffi di capelli ribelli dietro le orecchie, che si erano liberati dalla grande coda in cui raccoglieva tutti gli altri.
Le presi la mano, portandolo ai lati della stanza, accanto al grande tavolo. Era stata una brava ballerina, anche se non lo sapeva, anche se continuava a dire il contrario, era brava, la più brava ai miei occhi.
“Credo qualcuno ti voglia,” dissi, vedendo Alice dirigersi sorridente verso di noi.
Sorrise, stringendo più forte la mia mano. Non volevo lasciarla nelle mani degli altri, e a quanto pareva neanche lei.
“Allora?” domandò Alice, davanti a noi.
“Allora cosa?” chiesi, a mia volta, guardandola.
“Posso rubarla?” disse, non aspettò una risposta, prese Bella a braccetto e la portò dall'altro lato della stanza, sorridendo e trillando qualcosa.
Bella guardò prima me, e, sospirando lasciò la mia mano, andando con lei. Come se avesse scelta.
Mi guardai intorno, riuscendo a visualizzare Jasper, di Emmett nemmeno l'ombra, si era dissolto, e con lui anche Rose. Mi diressi dal mio amico presente.
“Tutto solo anche tu?” domandai.
“Sì, Alice deve parlare con Bella, ha detto che doveva raccontarle tutto. Sono felice, in questo momento di non essere Bella,” iniziò, sorridendo.
“Neanche io,” guardai le ragazze, che si trovavano di fronte a noi. “Secondo te, cosa le starà dicendo?” Bella ed Alice erano sedute in un angolo, voltate una verso l'altra. La seconda parlava, gesticolava, sorrideva, seguita da Bella.
“Non lo so, ma sicuramente qualche particolare in più su tutto quello che è successo in questi mesi...”
“E cosa è successo esattamente in questi mesi?” dissi, malizioso. Mi voltai verso Jasper, che con un dolcino tra le mani scrollò le spalle.
“Tutto quello che è sfuggito ai tuoi occhi, fin troppo ciechi!” rispose, dando un piccolo morso alla pasta frolla.
“Bhè, adesso puoi dirmi tutto, anche i dettagli più succulenti, sono tutto orecchi,”
Si appoggiò all'armadietto dietro di noi, lo imitai.
“Tanto per iniziare, io ed Alice ci siamo fidanzati,” un altro morso al dolcetto, ed altre parole. “Poi, le ho chiesto di sposarmi...” lasciò la frase in sospeso, spostando lo sguardo da me, ad Alice. La guardava nel modo in cui io guardavo Bella. Con adulazione, con amore.
“Quindi ti sposerai...” biascicai.
“Sembra proprio di sì, te lo saresti mai immaginato? Me, dopo poco tempo di fidanzamento, sposato?”
“No, non me lo sarei mai aspettato da uno scapolo, secchione come te. È stato letteralmente una sorpresa, quando me lo hai detto mi sono chiesto davvero se non stessi scherzando, ma non è così. Il mio migliore amico, secchione, si sposa.” feci finta di asciugarmi una lacrima, come se fossi stato commosso.
“Anche io non mi sarei mai aspettato che tu andassi a Chicago solo per una donna. Eppure lo hai fatto, Edward. Le persone molte volte non sono come sembrano, cambiano, incontrano altre persone, scambiano idee e cambiano. Di poco, ma lo fanno. Lo hai fatto tu. L'ho fatto io. Io sono cambiato tantissimo da quando Alice è entrata nella mia vita. Neanche i miei riescono a riconoscermi più.” diede un altro morso, finendo così il dolcino.
Io era cambiato.
Anche Jasper se n'era accorto, anche mia madre mi aveva fatto notare quella cosa, un po' di mesi prima. Io ero cambiato. Grazie ad una fragile ragazza. Grazie a lei.
“Chi se lo sarebbe mai aspettato,” mormorai, passando una mano fra i capelli. Guardavo davanti a me, con lo sguardo perso nel vuoto.
“Mi sono ritrovato a chiederle di sposarmi, e credo che per quanto affrettata si astata una delle scelte più ragionevoli e giuste della mia vita.” continuò. “Non ci sono parole per esprimere la felicità che ho visto nei suoi occhi quando le ho fatto vedere l'anello, non sai quanto ha reso felice me, vederla in quel modo. È indescrivibile,”
Sapevo di cosa stesse parlando, anche io provavo lo stesso sentimento quando stavo con Bella. Ed era impossibile descriverlo, dargli una consistenza tramite le parole.
Non si poteva descrivere il calore che sentivi nel petto, ogni volta che ti si avvicinava, ogni volta che la sfioravi, ogni volta che le tue labbra incontravano le sue.
Quando non riuscivi a dormire, perché lei era più importante dei sogni, perché lei era il tuo sogno.
E vivevi nel tuo sogno, in quello che avevi sempre creduto, che avevi sperato con tutto il cuore si avverasse.
“E credo che per te sia lo stesso, no?” mi domandò.
Mi voltai, guardandolo prima di annuire.
“Sì, è lo stesso.”
Per me era diverso.
Io e Bella avevamo un passato non del tutto roseo, dovevamo essere accorti l'uno con l'altra. Dovevamo cercare di non ripescare il passato, con qualche parola o frase.
Potevamo rovinare un bel momento, anche solo con una parola, che avrebbe riportato a galla ricordi spiacevoli.
Io non volevo che lei si sentisse diversa, che si sentisse troppo fragile senza di me. O con me al suo fianco.
“Bella si è ripresa, bene, no?!” disse, guardandola.
“Sì, a quanto sembra sta abbastanza bene,” le ragazze stavano ancora parlando, quella volta Alice ascoltava mentre Bella raccontava tutto.
“Cosa ha fatto sull'occhio sinistro?” mi domandò.
Lo scrutai. Potevo dirgli che Jacob, il suo ex fidanzato le aveva fatto del male?
No, per quel momento meglio tacere. Glielo avrebbe detto lei, quasi si fosse sentita pronta.
“Nulla di importante, adesso sta bene.” dissi sbrigativamente.
Avevo notato che camminava bene, che non provava dolore al ginocchio, o almeno così sembrava apparentemente.“Tutto bene qui, in mia assenza?” domandai, rompendo il silenzio. Spostammo lo sguardo dalle ragazze, che continuavano a ciarlare, e ci voltammo l'uno contro l'altro.
“Sì, qualcuno ha chiesto di te, altri che ti hanno visto in modalità zombie, no. Ma siamo contenti di rivederti sorridente, Edward, e siamo felici per la tua promozione in primario.” I suoi occhi color ghiaccio mi scrutavano, sorridenti.
Sorrisi, bonario, sincero.
“Anche io sono contentissimo di poter dirigere questo reparto, ho paura, e lo ammetto. Non so se ne sarà in grado, e non conosco ancora tutte le difficoltà che incontrerò. Ma voglio farlo, voglio riuscirsi, o perlomeno provarci.” solo allora stavo accorgendomi di tutte le paure che avevo; sarei stato in grado di portare avanti un intero reparto?
Quando avevo fatto il concorso non avevo realmente pensato che io potessi diventare primario. Pensavo che ci fossero tantissimi altri medici che avrebbero potuto prendere il mio posto, che sarebbero stati capaci. Però non potevo non essere contento, soddisfatto di me stesso, della mia vita.
Tralasciando gli errori, gli infiniti errori del passato potevo ritenermi fortunato e soddisfatto.
“Ci riuscirai, Edward. E ti meriti questo posto più di qualunque altro, qui. Sei un bravo medico. Hai lavorato tanto per non passare per colui che veniva spinto nel campo dai genitori medici. Lo hai dimostrato agli scettici che credevano che tu fossi un buono a nulla. E tu, più di qualunque altro meriti questo posto.”
“Grazie, Jasper. Non so come ringraziarvi per tutto ciò che avete fatto per me, per me e Bella. E per quello che anche adesso state facendo.” mi interruppe.
“Per prima cosa mi darai più permessi dal lavoro, poi-”
“Non se ne parla.” iniziai a dire, guardandolo severo. “E poi tu non fai parte del mio reparto, quindi non posso fare nulla per te.”
“Non per me, ma per Alice. Per esempio,” parlò, ridendo.
Scoppiai anche io in una sonora risata.
“E poi dovresti farmi il piacere di diventare il mio testimone di nozze.” disse, velocemente. Il suo tono era quasi scherzoso. Il suo sguardo si
abbassò in attesa delle mie parole.
“Cosa dovrei fare?” chiesi, come se non avessi sentito.
Perché io?
Non che non ne fossi contento di questa scelta. Ma era una richiesta troppo azzardata. Era sorpreso. E tanto.
“Il mio testimone di nozze, nulla di più.”
Nulla di più.
Abbassai il capo di lato, e lo guardai negli occhi che aveva puntato nei miei.
“Sarei felice di diventare il tuo testimone,” dissi, sorridendogli.
Sorrise anche lui di rimando, abbracciandomi velocemente.
“Sono felice che tu abbia accettato.”
Si allontanò da me, tornando a guardare la sua fidanzata (e la mia) dall'altra parte della stanza.
“Vado a recuperare Bella,” annunciai, dirigendomi, dopo che Jasper ebbe annuito, verso di loro.
Mi avvicinai lentamente, guardai Bella, seguirmi con gli occhi per tutto il tragitto e accennarmi un sorriso.
Il più bello che avessi mai visto.
L'unico che mi facesse tremare per le emozioni.
“Posso interrompevi?” chiesi, retorico. Il mio sguardo era solo per Bella.
“No.” rispose Alice, incrociando le braccia al petto. “Credi sia il momento giusto per interromperci?”
“Sì, visto che parlate da quasi un'ora.”
Alice storse il labbro superiore, girandosi dal lato opposto, mentre Bella sorrise e scosse leggermente il capo.
Porsi la mano a quest'ultima, che non esitò a stringerla, e ad alzarsi, mettendosi al mio fianco. Intrecciò subito le sue dita alle mie.
Con l'altra mano accarezzai il dorso della sua.
“E comunque, chi tace acconsente!” sentenziò, in tono irremovibile, Alice.
Girò i tacchi, e andò via, raggiungendo Jasper che parlava con un altro collega.
“Di cosa parlava, Alice?” domandai, eravamo uno di fronte all'altro.
Sospirò, prima di iniziare a parlare.
“Mi ha chiesto di essere la sua testimone di nozze,” scosse il capo. “Non le ho risposto nulla, perché ci hai interrotto, ma non credo che Alice mi avesse posto una domanda, era più un ordine.” continuò.
Sorrisi con lei.
“Bhè,” inizia, baciandole la fronte. “Siamo in due.”

 

Eravamo rimasti in pochi nella sala dei medici.
Jasper era andato in reparto per un'emergenza, mentre tutti gli altri addetti al mio reparto, erano andati ognuno al proprio lavoro.
Eravamo rimasti solo io, Bella, Alice, Emmett e la sua fidanzata. C'eravamo seduti in cerchio, raccontando, ridendo, scherzando.
Bella sembrava stesse a proprio agio, continuava a sorridere come gli altri, alcune volte mi guardava, come se fosse insicura, cercava il mio sguardo, mi guardava intensamente, e sorrideva.
“Dobbiamo andare,” dissi, allungandomi verso di lei e sussurrando tali parole al suo orecchio. “E' tardi.”
Annuì.
“Noi andiamo,” annunciai, alzandomi. Mi seguì anche Bella, portandosi al mio fianco.
“Sì, hai ragione,” cantilenò Rose. “E' tardi. Anche io devo tornare a casa.”
“Non resti in ospedale?” le chiese Emmett, prendendole la mano.
“No, torno a casa. Sono stanca e non mi sento molto bene.” rispose.
“Sicura di voler andare da sola?” le domandò il fidanzato.
“No, non preoccuparti, riesco a guidare fino a casa.”
Li ignorai, e andai da Bella che aveva ricominciato a parlare con Alice.
“Andiamo?” le chiesi, intrecciando le mie mani alle sue.
Annuì nuovamente.
“Ciao, Alice.” le diedi un bacio sulla guancia e ricambiò il saluto. “Salutami Jasper. Ci vediamo tra due giorni.”
“Ok, a presto.” se ne andò e prima di varcare la soglia, salutò anche Rose.
Aggiustai una ciocca di capelli di Bella, dietro ad uno orecchio.
“Sei stanca?” chiesi, comprensivo. Avevamo fatto un viaggio di varie ore durante la giornata, era stato stancante, anche per me. Mi sentivospossato, stanchissimo.
“Abbastanza,” rispose, appoggiando la sua testa sul mio petto e chiudendo gli occhi. Le accarezzai la testa, con una mano, mentre con l'altra la schiena.
“Adesso andiamo a casa mia. Prima di addormentarti ti farà vedere il mio appartamento.”
“Non vedo l'ora,” disse, alzandosi dal mio petto e guardandomi entusiasta.
Non sapeva della sorpresa che l'attendeva.

 

Scendemmo con Rosalie fino al parcheggio, l'accompagnammo alla sua auto e ci salutammo lì.
Il cielo si era coperto di tante nuvole minacciose, pronte a scatenare un acquazzone.
“Dobbiamo muoverci, prima che si metta a piovere,” sussurrai a Bella, velocizzando il mio passo.
Anche lei fece lo stesso.
Salimmo in macchina, il tempo di mettere in moto ed iniziò a piovere. Man mano sempre più forte.
“Ecco.” dissi.
Bella sbadigliò silenziosamente, ed infine sorrise.
“Fortunatamente siamo al coperto.”
“Sì. Adesso sì, ma dovremo lasciare l'auto nel vialetto di casa, e quindi non riusciremo a portare dentro le valigia. Oppure faremo un bel bagno.”
Mi guardò scettica.
“Non preoccuparti, riusciremo ad uscirne asciutti infine.” e risi.
Passarono alcuni secondi poi parlò:
“Edward,” sbottò.“Ritorneremo alla radura, vero?”
Stavamo uscendo dal grande parcheggio dell'ospedale.
“Sì,” presi la sua mano, malgrado stessi guidando, e la strinsi nella mia. “Ci verremo presto.”


Eravamo arrivati fuori dalla grande villa dei miei genitori.
“Eccoci arrivati,” sussurrai, credevo stesse dormendo, ma non era così. Aveva alzato immediatamente la testa quando avevo parlato.
Mi abbassai, prendendo un telecomando dal portaoggetti, ed aprì automaticamente i cancelli. Si rivelò un grande giardino, ed in fondo un villa bianca, con tante finestre ed un portico con la porta d'ingresso.
Bella si schiarì la gola.
Premetti l'acceleratore, facendo il giro del giardino sul terriccio.
“Dovevo aspettarmi una cosa del genere, ma non era nelle mie idee.” disse, con gli occhi quasi sgranati, stupefatti.
“Ti piace?” chiesi, prima di fermare la macchina. Malgrado la pioggia si riusciva a vedere la casa abbastanza bene.
“Sì,” rispose, deglutendo. “E' davvero molto bella.”
Fermai la macchina a venti metri dal portico.
“Dobbiamo scendere qui, più avanti non si può andare.” dissi, indicando la struttura davanti a noi.
“Certo...” rispose, senza distogliere l'attenzione dalla casa.
Aprì la portiera dell'auto scendendo, e fece lo stesso Bella. Iniziammo a bagnarci a causa della pioggia.
La presi per mano e senza fiatare ci dirigemmo velocemente in casa. Sotto il grande portico ci fermammo, e attese che prendessi (che recuperassi) le chiavi dalla giacca.
“I bagagli verrò a recuperarli dopo, devo prendere un ombrello.” dissi, avvicinandomi alla porta e aprendola.
“Non è importante, puoi prenderli anche domani.” I suoi capelli erano bagnati, ed anche la giacca ed i pantaloni.
“E come ti cambierai?” domandai, facendola entrare in casa. L'ingresso portava a due piccoli corridoi. Uno che conduceva al mio appartamento, mentre l'altro alle scale, e, quindi, a quello dei miei genitori.
Rimase in silenzio per qualche istante quando varcò la soglia di casa, guardandosi intorno.
“Avrai qualcosa di tuo, no?” sussurrò, un istante dopo.
Girò su se stessa, osservando ogni particolare. Infine, si voltò verso di me, corrugando la fronte.
La zittì, portandola al mio appartamento. Accesi tutte le luci, entrando in salotto.
Qui ebbe la stessa reazione, si girò intorno, e rimase interdetta.
“Mi è alquanto familiare,” balbettò.
Sorrisi, avevo sperato che se ne accorgesse.
“E' il tuo...” mi interruppe continuando lei.
“Il mio progetto, quello che ho fatto io.”
“Sì, è lui. Sono riuscito a recuperare i progetti, e li ho messi in atto. Vuoi vedere il resto della casa?” domandai, accarezzandole il braccio. Era a qualche passo da me, intenta a guardare ciò che la circondava.
Annuì debolmente, e la condussi in ogni angola della casa.
Tutto era come l'aveva disegnato lei. Era l'esatta riproduzione dei suoi progetti, tutti i dettagli, da quello meno appariscente a quello più, erano stati riprodotti nella realtà, ed in quel momento erano in bella mostra nella mia casa.
Bella rimase sorpresa, non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere.
Arrivati in camera mia, volteggiò per tutta la stanza, fermandosi accanto al letto.
“Quando hai fatto la ristrutturazione?” domandò. Aveva le mani in grembo, era infreddolita.
“Tra il mese di luglio e agosto.”risposi, avvicinandomi. Era bagnato quanto lei, ed i vestiti mi si erano attaccati addosso.
“Perché lo hai fatto, Edward?” chiese, scettica. Poco dopo, prima che io rispondessi, rabbrividì.
“Cosa: ho fatto?”
“Perché hai ristrutturato la tua casa come avevo progettato io, perché contornarti di cose che risvegliassero in te il mio ricordo?” ripeté.
“Perché sono troppo masochista. Per ricordarmi di te ogni tal volta tornassi in questa casa. Per non dimenticarmi di te, per mantenere attivo
sempre il tuo ricordo.” terminai, guardandola intensamente negli occhi.
Mi abbracciò, buttandosi fra le mie braccia. Premette la sua testa, quasi violentemente sul mio petto, ed io non potetti far altro che abbracciarla, e donarle calore, e amore.
“Volevo che tu fossi presente in qualche forma nella mia vita, anche solo in questo modo così stupido, ma era importante.” spiegai; le baciai il capo, stringendola, se possibile, ancora di più al mio petto.
“Preferisco far parte della tua vita in questo modo!” disse, la sua voce era rotta dal pianto.
I nostri freddi e bagnati corpi erano a contatto l'uno dell'altro, sentivo quasi i nostri cuori correre in sincrono sotto la sottile stoffa degli indumenti, le baciai di nuovo il capo bagnato, prolungandolo, inspirando il suo profumo dolcissimo, miscelato a quella della pioggia.
“Anche io,” iniziai a dire, “Anche io voglio che tu continui a far parte della mia vita in questo modo. E voglio fare lo stesso anche io.”
Annuì, allontanandosi da me, e asciugandosi gli occhi con la manica della maglia che indossava, anche quella bagnata.
Rabbrividì nuovamente, le diedi un bacio veloce, ma allo stesso tempo intenso sulle labbra.
“Vai a farti una doccia calda, stai tremando,” dissi, prendendo l'occorrente.
Glielo passai.
“Tieni, prendi questi. Domani andrò a prendere le nostre valigie.” pioveva troppo, si sentiva, nel silenzio della notte, lo scrosciare irrefrenabile
dell'acqua.
“Non preoccuparti, mi accontento di tutto,” si stropicciò gli occhi, e soffocò un sorriso.
“Dopo possiamo andare a dormire.” annunciai, “Io vado nel bagno degli ospiti, se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiamarmi.”
Annuì, e si diresse verso il bagno.
La vidi chiudere la porta e poi andai in bagno a fare una doccia.
Sotto lo getto dell'acqua calda pensai. Mi immersi nei miei pensieri.
Era strana l'emozione che provavo in quel momento, sembrava irreale, la stessa sensazione di quando sai che quello è un sogno. Mi era capitata
qualche volta in cui riuscivo a riconoscere un sogno, che ripetevo a me stesso, durante il sonno, che tutto quello che mi accadeva intorno era irreale. Ed era lo stesso, in quel momento, sotto la doccia. Con Bella a pochi metri da me.

Ma a differenza dei sogni, potevo affermare che quella era la pura verità, la pura realtà.
Uscì dalla doccia e velocemente mi asciugai e rivestì. Andai in camera mia, per controllare che Bella stesse bene. Dal rumore che sentivo stava asciugando i capelli.
I miei genitori erano al piano di sopra, e saperli così vicini a Bella era strano.
Con Carlisle un primo ostacolo era stato scavalcato, aveva conosciuto Bella, le aveva parlato, e lei non si era mostrata troppo timida, ma completamente a suo agio.
Con Esme sarebbe stato ancora più semplice, Esme era materna, era dolce, era disponibile in qualunque momento e aveva la capacità di mettere a proprio agio le persone con cui parlava.
Sarebbe stato molto più semplice che con Carlisle.
Anche perché Esme era donna, era come Bella. E per il passato di quest'ultima relazionarsi con le femmine era molto più facile, più naturale.
Ero abbastanza tranquillo. Pacato.
“Edward?” domandò, Bella, destandomi dai miei pensieri.
“Sì?” dissi, immediatamente sobbalzando.
“Nulla, avevi lo sguardo perso nel vuoto.” e scrollò le spalle. L'osservai avvicinarsi a me, indossava la mia maglietta, una maglia grande anche per me che le faceva da camicia da notte. Era bellissima, con i capelli per metà umidi, anche se aveva gli occhi stanchi e assonnati.
“Ho messo gli indumenti sporchi nella cesta in bagno...”
“Hai fatto benissimo,” si sedette sul letto, guardando me, che ero steso sul materasso. “Ti va una cioccolata calda?”
“Sì, vengo con te.” disse, mentre mi alzavo.
“No, non preoccuparti, faccio in fretta. Tu riposati pure.” Mi alzai, e camminando a piedi scalzi andai in cucina.
Un cioccolata calda non era il massimo, era solamente settembre e non c'era realmente il bisogno di riscaldarsi, ma credevo fosse perfetta prima di andare a dormire, dopo aver mangiato tanti dolci alla festa per festeggiarmi.
Ritornai in camera con due tazze piene di cioccolata fumante, quando entrai Bella era distesa in posizione fetale, mi dava le spalle.
“Bella?” sussurrai, richiamando la sua attenzione. Non si girò. Posai le tazze sul mio comodino avvicinandomi a lei. Gattonai sul grande letto tondo, portandomi accanto a lei. Respirava profondamente, le sue palpebre calate sugli occhi: dormiva.
La sua espressione era dolce, delicata.
Preferì non svegliarla, la presi in braccio, portandola sotto le coperte, e mi stesi accanto a lei, cingendole la vita, e annusandola. Le baciai l'orecchio, e si mosse.
Mugolò qualcosa, girandosi verso di me.
“Mi sono addormentata,” disse, sbadigliando.
“Non preoccuparti,” e le baciai il naso.
Le mie mani sui suoi fianchi, sulla mia maglia che indossava.
Posò lo sguardo sulle tazze ancora fumanti dietro di me, e sorrise.
“Hai portato la cioccolata.”
“Sì, ne vuoi?” le chiesi.
Lei annuì e si alzò, mettendosi seduta.
Mentre, io presi le due tazze e passandogliene una. Iniziò a sorseggiare, guardandomi.
“Edward, non ho capito una cosa...” iniziò a dire, corrugando la fronte.
“Dimmi,” l'esortai a continuare, e bevvi un sorso.
“Perché eri a Chicago?” chiese inizialmente. Mi guardò e con un gesto della mano, veloce, mi fermò. Stavo già iniziando a spiegare. “Edward, non fraintendermi. Ovviamente, non potevo e non mi sarei mai aspettata una cosa del genere. Quando ti ho riconosciuto non mi sembrava vero, quando mi hai raccontato tutto mi sono chiesta se stessi dormendo o meno. Ma perché eri lì? Per me, o cos'altro?” domandò. Si era agitata, i suoi occhi continuavano a sgusciare da una parte all'altra della stanza, senza mai soffermarsi nei miei.
“Per te.” dissi, deciso. Era seduta con le gambe sotto le coperte, e la tazza fra le mani. E vidi finalmente i suoi occhi. Erano lucidi. “Sono venuto con l'intenzione di cercarti. Di trovarti,” Posai la mia cioccolata sul comodino, incrociando le gambe e stando in quel modo seduto. “Ma non sono riuscito a trovarti, Chicago era grande, e per le conoscenze ristrette non sono riuscito a capire dove alloggiassi. Sono andato sul terrazzo, sperando che fossi lì, che avessi trovato, almeno tu, il posto di cui ti avevo parlato, ero scettico, ma dovevo fare quest'ultimo sforzo. E poi mi sono accorto di te, quando sei salita sul terrazzo, ti ho vista avvicinarti. In quel momento avrei voluto abbracciarti, correre da te, e baciarti. Ma non l'ho fatto, mi sentivo pronto per dirti di me, per raccontarmi del mio vero passato, di fartelo scoprire. E se avessi esitato almeno un minuto, se avessi posato il mio sguardo nel tuo per almeno un millesimo di secondo, sapevo che non sarei più riuscito a proseguire il mio racconto.” terminai, accarezzando le sue cosce, delicatamente.
Posò anche lei la tazza sul comodino, dalla sua parte, allungandosi per qualche istante. Tornò a guardarmi, a prendere le mie mani nelle sue, a stringerle spasmodicamente, senza tregua.
“Non sai quanto io abbia sperato, tutte le volte che salivo lì sopra di vederti. E non posso esprimere le mie emozioni quando ti ho visto.”
Le baciai le labbra, lentamente, poi tornai a parlare.
“Ho sperato con tutto me stesso, con tutte le mie energie che tu stessi lì. Che ti ricordassi del tuo amico. Di ciò che ti avevo detto in ospedale.”
“Non ho mai dimenticato nulla, Edward. Ogni parola, ogni frase la ricordo ancora.”
“Anche per me è lo stesso, non avrei mai potuto dimenticare una cosa che riguardasse te.” conclusi; mi avventai sulle sue labbra, e la feci stendere sotto di me, continuai a baciarla,a quella volta con più impazienza, con più passione.
Chiusi gli occhi, abbandonandomi alle emozioni che sentivo, alla miriade di emozioni che provavo in quel momento, anche lei, molto probabilmente, fece lo stesso, sentivo il suo respiro accelerato correre con il mio, sentivo le sua mani tra io miei capelli, le mie mani sulla sua schiena. Le mie labbra sulle sue. Incastonate perfettamente come pezzi di uno stesso imballaggio.
Cercai di essere più dolce e delicato possibile, cercai di farle capire dai miei gesti l'amore che provavo, incondizionato, per lei; per non farle venire in mente le brutalità che aveva subito, per non farla irrigidire.
“Sei tutta la mia vita adesso,” dissi a pochi centimetri dal suo volto, con il fiatone.
“Anche tu,” mi baciò il labbro superiore, con delicatezza. Quasi non sentì il suo tocco. “Anche tu, per me.”
Si addormentò sul mio petto, pochi minuti dopo.
Io ci avrei messo ancora un po', avrei ripensato a tante cose contemporaneamente, troppe, quasi.
Cullato dal respiro regolare e dolce di Bella.


Il giorno dopo quando mi svegliai trovai Bella osservarmi, mi sorrise dolcemente, ed io la imitai.
Ci demmo un veloce bacio del 'buongiorno', e ci alzammo.
Diversamente dalla notte precedente le nuvole erano quasi del tutto scomparse, si riusciva a scorgere, dietro alle nubi rimaste, il sole.
Facemmo colazione (anche se per l'ora poteva essere definita anche un piccolo spuntino di metà mattinata), attorno all'isola della cucina, come una qualsiasi coppia di innamorati. E, per la prima, sentì un'aria normale tra noi, un'aria serena, rilassante.
“Pranzeremo con i miei, oggi.” l'avvisai.
Deglutì, e annuì.
“Allora devi prendere la mia borsa, Edward. Mi servono i miei indumenti.” disse, debolmente.
“Certo. Anzi, ora vado subito, puoi anche aspettarmi qui.” mi alzai, pulendomi con un fazzoletto la bocca, e dirigendomi verso la porta di casa.
Rientrando in casa più di una volta, per portare, sia le mie, che le sue valigie.
“Non dovevi...” le dissi, appena tornai in casa. Nei pochi minuti che ero stato assente aveva iniziato a mettere in ordine la cucina, in quel momento aveva le mani in ammollo nei piatti insaponati.
“Voglio sentirmi utile,” iniziò a dire, strofinando con una spugnetta sul piatto che avevamo usato. “Non posso essere servita da te, e non voglio sembrare una bambola incapace di tutto.” aveva terminato, senza mai voltarsi verso di me.
“Per prima cosa,” iniziai, “Per questo abbiamo una signora delle pulizie,” dissi, avvicinandomi a lei, e cercando in qualche modo di toglierle la spugnetta dalle mani. “Secondo: non sei una bambola. Sei molto più bella, e vera! Infine, non devi per forza sentirti in debito, e quindi riscattarti, in questo caso non devi.” continuai, prendendo il sapone e riponendolo al suo posto, e cingendole la vita.
Si asciugò le mani con un strofinaccio che sembrò uscire dal nulla, si divincolò dalla mia presa ed infine riprese il sapone.
“Ed invece lo faccio.” sentenziò. Era la sua risposta definitiva.


“Andiamo?” le chiesi, porgendole la mano.
“Sì,” disse, guardandosi per un'ultima volta nello specchio. “Sono pronta.”
“Sei un incanto.” Era bellissima; i suoi capelli 'boccolosi' le ricadevano sulle spalle, indossava dei jeans, ed una camicia bianca che faceva risaltare tutti i suoi tratti.
Arrossì, abbassando lo sguardo.
“Non scherzare!” riuscì a balbettare infine.
“Non sto scherzando, sei bellissima.”
“Andiamo, va', è meglio!” disse, trascinandomi verso la rampa di scale che portava verso l'appartamento dei miei genitori.
Salimmo a passo misurato, bussando, prima di entrare in casa.
“Avanti,”risposero i miei genitori.
Erano a pochi metri dalla porta, sorridenti.
Vidi Bella abbozzare un sorriso, e avanzammo insieme.
“Buongiorno,” salutò, timidamente. Riuscì a scorgere le sue gote rosse.
“Buongiorno, ciao, Edward.” dissero insieme.
Mia madre era una signora di quarantacinque anni, e sembrava molto più piccola della sua età. Ovviamente, non aveva i miei stessi tratti
somatici, non eravamo madre e figlio biologici, ma ci assomigliavamo molto caratterialmente. Avevo imparato molto da lei, l'avevo quasi imitata nei suoi modi di fare, avevo seguito i suoi esempi, avevo imparato ad essere più gentile, altruista, generoso, tutto grazie a lei, con l'aiuto di mio padre, Carlisle.

“Io sono Bella.” porse la mano a mia madre, liberandola dalla mia stretta.
Mia madre sorrise maggiormente, rispondendo.
“Esme,” si interruppe, la mano di Bella tornò nella mia. “Sono felice di fare la tua conoscenza.”
“Per me è lo stesso.” rispose, senza esitazione. “Salve, signor Cullen.”
“Ciao, Bella. E per favore, chiamami Carlisle.” la corresse.
“Andiamo in sala da pranzo?” domandò mia madre.
“Certo.” dissi, seguendo i miei genitori.
Diedi un bacio sulla tempia a Bella, sussurrandole all'orecchio:
“Mi piace tantissimo quando le tue guance si colorano di rosso.” per risposta ebbi prima un sorriso, poi una leggera gomitata.
“Non sei affatto gentile.” Iniziò, sussurrando. “E poi non sono tanto arrossita,” tentennò, sapeva che non era la verità.
“Oh, no. È solo una mia impressione allora.”
Ed un'altra leggera gomitata.

 

“La posso aiutare io, se vuole.” disse Bella a mia madre.
Quest'ultima aveva chiesto aiuto per ultimare le pietanze, e Bella si era offerta di darle una mano.
“Certo, vieni.” le rispose, lasciando me e mio padre a continuare ad apparecchiare la tavola.
Entrarono nella stanza adiacente, e mio padre incominciò a parlare.
“Non sai tua madre quanto sia felice di vedere una tua fidanzata qui,” prese dalla credenza i piatti e sottopiatti, iniziando a distribuirne quattro sulla tavola. “E' euforica come una bambina da ieri sera. Mi ha chiesto di descrivere Bella, e l'ho dovuto dare,” disse, scuotendo la testa, con un sorriso sulle labbra.
“Sono felice anche io,” mi fermai, e presi un respiro profondo. “Tu cosa ne pensi?”
“E' davvero graziosa, non avrei potuto immaginare una persona più adatta a te. E si vede che è innamorata.” mi guardò, scrollando le spalle bonariamente.
Il rapporto con i genitori adottivi era diverso da quello di genitori biologici. Inizialmente quando vivevo con Esme e Carlisle continuavo a chiedermi se meritavo loro, se mi volessero davvero, se mi desiderassero. Il cuore del piccolo bambino, che poi era diventato uomo, sapeva che l'amore dei genitori era incondizionato, oltre qualsiasi limite, ma continuava a chiedersi sempre le stesse cose, aveva paura di deluderli, di causargli un dispiacere. E che dopo ciò lo spedissero in un'altra famiglia, in un'altra parte del mondo.
Crescendo, il bambino aveva abbandonato questa paure, facendo spazio ad altre, più imponenti, più sopraffacenti.
La paura che il passato tornasse, che anche loro morissero, e che il ragazzo si ritrovasse nuovamente solo. Senza nessuno.
Anche con l'aiuto dei psicologi, l'appoggio della sua mamma e del suo papà, non era riuscito a mettere da parte le angosce. Solo quando aveva deciso di non vivere ancorato al passato era riuscito a migliorare. Nettamente. Era diventato più forte, era diventato un ragazzo normale.
Quel ragazzo era diventato un uomo. Me.

 

Eravamo tornati da varie ore a casa mia, Bella si era dedicata a mettere a poso le sue cose, le avevo fatto spazio nel mio grande armadio, così che potesse sistemarsi.
Entrai in camera, e sul letto, accanto alla valigia ancora aperta c'era un contenitore di pillole.
“Bella?” la chiamai. Era nella cabina armadio, s'affacciò, guardandomi.
“Oh.” disse solamente, quando mi vide con il pacchetto in mano. Si avvicinò cautamente.
“Non è nulla,” prese le pillole dalla mia mano.
“Posso sapere?” le chiesi. Erano dei calmanti, ed oltre alla loro funzione potevano fare ben altro.
“Non è nulla, Edward,” abbassò lo sguardo, posandolo sulla coperta.
Le presi il mento tra indice e pollice e le alzai il viso.
“A me puoi dire tutto. Tutto, Bella.”
“A Chicago. Avevo problemi ad addormentarmi, continuavo a fare incubi, come quelli che continuavano a tormentarmi all'ospedale, e prima. Ho
preso queste, per dormire meglio, e non voglio che ti pensi ad altri scopi o...”
“Io non penso nulla.” le dissi, annuendo. “Hai avuto incubi in questi giorni, con me?” domandai, in seguito.
Scosse la testa. “No, nessun incubo, per fortuna, tu sei il mio calmante personale.” appoggiò la testa sul mio petto, stringendo con le braccia il
mio busto.

Le cinsi la schiena, facendo aderire i nostri petti.
“Possiamo gettarle queste, quindi.” conclusi. Presi la sua mano, accompagnandola in cucina. Buttò le piccola ad una ad una nella pattumiera, triste.
“Vieni qui.” le dissi, portandola di nuovo in camera.
La feci sedere sul letto, mi inginocchiai e presi dal cassetto il quaderno giallo. Glielo porsi.
“Questo è tuo. L'hai lasciato in camera, in ospedale.”
Sorrise, malinconica.
Lo prese con mani tremanti, aprendolo e sfogliando le pagine. Vide il ritratto che mi aveva fatto, accarezzò la pagina, osservandolo triste. Passò alle nostre mani con il fiore e sorrise amaramente.
“Sai,” si interruppe, spostando lo sguardo su di me. “E' da tanto che non disegno, non ci riesco e non ci sono riuscita per tanto tempo. Con Jacob non avevo voglia di fare un ritratto di mettermi al lavoro. Con te è molto più diverso. E' come se tutto fosse tornato normale, dai momenti di totale limbo, alla tranquillità.” Gattonò sul letto, fino ad arrivare alla valigia ed aprire uno scompartimento nel retro. Ne estrasse qualcosa che non riuscì a focalizzare bene, lo strinse tra le mani, era colorato.
Mi portò al centro del letto con lei, uno di fronte all'altro, le sue gambe divaricate sulle mie.
“Questo, questo credo te lo ricorda.” portò le sua mani davanti al mio petto, aprendole.
Un fiore. Appassito, blu, l'iris.
L'iris che le avevo dato nella radura dell'ospedale. L'aveva ancora. Era tra le sua mani.
“Ce l'hai ancora?” chiesi sbalordito.
“Sì, mi ha aiutato molto,” sospirò, si avvicinò a me. “Con Jacob, mi ha aiutato a lasciarlo una seconda volta, a dirgli la verità.” le accarezzai la tempia, dove c'era ancora il livido ormai poco visibile. “L'avevo tra le mani quando mi hai chiamata, il giorno del mio compleanno. Mi ha aiutato moltissimo, non puoi immaginare quanto.”
Mi guardò, la guardai.
Le nostre bocche si incontrarono, restarono in contatto per un tempo quasi indefinito, e con il fiato corto, la fronte sulla sua, le dissi:
“Ti amo.” non c'era parola più esatta per esprimere le mie emozioni, i miei sentimenti per lei.
Sorrise, un sorriso che contagiò anche gli occhi, li illuminò, li rese magici.
Non potetti far altro che guardarli e rimanerne ammaliato.

Ok, è finita. Inizio a piangere sul serio. :sigh:

Nel frattempo che le lacrime scorrono: ho scritto questa OS per il concorso “A spasso nel tempo con Edward e Bella” organizzato da Stupid Lamb, Federob e Lele Cullen. Se volete fare un salto questo è il link: Fiori di Ciliegio.

Questo è tutto, all'epilogo, Many.

   
 
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