Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Araiha    04/04/2011    4 recensioni
Il rumore stridulo di una sveglia squarciò il silenzio. La povera ragazza presa alla sprovvista, cadde senza alcuna grazia dal letto sbattendo con il sedere sul pavimento. “ Per le mutande di pizzo di Giacomo Leopardi, che sempre sia lodato” sbraitò, lanciando con violenza quell'aggeggio infernale contro il muro. Il rumore cessò di colpo. Ovviamente l'idea di resettare la sveglia premendo l'apposito pulsante, non le aveva neanche sfiorato la mente.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Salve mie care lettrici, come va?

Scusate, come sempre il mio ritardo cronico, sono un disastro. Spero non mi abbandoniate!

Questo capitolo ci mostra in tutto il suo splendore la “dolce” Elena . Beh, che dire, leggete e fatemi sapere!

Baci Araiha

 

 

 

 

 

 

Delle volte il destino ti fa lo sgambetto, e tu non puoi fare altro che cadere e sorridere, sperando che la prossima volta non tocchi di nuovo a te.

Galatea trasse un profondo respiro regolare guardando la porta giallo limone. Doveva restare calma, in fondo chi mai le aveva giurato che Emanuele fosse single? Aveva prima di allora, affrontato situazioni ben più complesse, quindi si stampò sulle labbra il sorriso più falso del suo repertorio e seguì la scia di profumo costoso, che quella ragazza aveva lasciato. Anche quando giunta in cucina, vide quella Elena stampare un bacio a schiocco sul collo di un Emanuele ancora immerso nello studio, il suo sorriso non si incrinò.

Oh, quel suo sorrisino era ben collaudato! Da quando aveva dieci anni che era costretta a fingere di stare bene, ormai poteva insegnare in quel campo. Gongolò, dentro di se, solo per un istante per il suo stoico autocontrollo, poi si concentrò sulla ragazza, che nel frattempo si era seduta sul tavolo, stile segretaria che cerca la promozione.

Il fatto che era diversi centimetri più alta di lei le era saltato all'occhio dal primo istante, ora però poteva analizzare con più attenzione il suo aspetto. Aveva lunghi capelli castani che le cadevano con una piega perfetta sulle spalle (la pioggia molto probabilmente la dribblava con rispettosa reverenza!), occhi scuri contornati da lunghe ciglia ed una spessa linea di matita nera. Era truccata in maniera molto marcata, ma non appariva volgare, come non appariva volgare la minigonna che le fasciava i fianchi. Teneva la schiena diritta in una posizione di regale indifferenza, mentre le unghie perfettamente laccate di rosso ciliegia tamburellavano sul piano di legno. Era indubbiamente bella, di quella bellezza che attira gli sguardi adoranti di tutti gli uomini, e le frecciatine amare delle donne.

Elena fissava Gala di rimando, come se fosse in atto una guerra fatta di sguardi. In quel momento Galatea pensò a quanto potesse apparirle sciatta, con la tuta rosa e i capelli sparati in tutte le direzioni. Era normale quindi che Emanuele non la guardasse nemmeno, con tutto quel ben di Dio a portata di mano! Senza pensarci, spostò lo sguardo sul ragazzo ancora preso dalla lettura. Elena sembrò intercettare quel cambio di direzione, perchè subito spostò una mano tra i capelli di lui, in un gesto chiaramente possessivo. Possibile che fosse gelosa di lei! Pensò che non poteva neanche lontanamente competere con miss coscia-lunga. Ma la cosa sembrò lusingarla comunque, ed assegnò un punto al suo amor-proprio morente.

Sempre con il suo sorriso stampato in faccia, di quelli che sei costretto ad elargire quando ricevi un regalo mostruosamente brutto e pacchiano, ma non puoi dire niente, perchè senti già lo sguardo di avvertimento di tua madre perforarti la schiena. Semplicemente fare buon viso a cattivo gioco.

Comunque piacere, sono Galatea Ricciardi” : disse la ragazza, ostentando una spensieratezza che non la toccava. Ci fu un breve istante di silenzio durante il quale, le curatissime sopracciglia di Miss solo-io-la-tengo-in-questo-mondo-e-non-ho-nessunissima-intenzione-di-fartela-anche-solo-annusare, saettarono verso l'alto fino a raggiungere l'attaccatura dei capelli. Guardò la rossa dirimpetto a lei come se prima di allora, fosse convinta che non fosse in grado di formulare una parola, poi con una piccola smorfia che le deturpava le labbra carnose disse: “ Si, credo che abbiamo parlato a telefono per quanto riguarda l'appartamento”. Distolse poi lo sguardo, come se le seccasse anche la sua vista. Galatea si ricordò immediatamente di quella voce, ma certo, come poteva essersi dimenticata di quel tono sdegnoso e di quella R leggermente moscia. Dio, come la irritava quella R!

La ragazza provò di nuovo ad intavolare una conversazione degna di questo nome, e chiese:“Quindi frequenti anche tu la facoltà di lettere?”. Se aveva letto l'annuncio sulla bacheca, doveva per forza essere passata per la facoltà. Elena sembrò non tollerare più la sua voce, schioccò la lingua sotto il palato con stizza e rispose: “Si, terzo anno”. Distolse un'altra volta lo sguardo, ma la voce della rossa richiamò ancora la sua attenzione “Cosa vorresti fare dopo la laurea?”. Se le sue domande la irritavano così tanto, avrebbe continuato all'infinito. Quella ragazza le suscitava un'antipatia sviscerata, era più forte di lei, ed iniziava anche a sospettare che la cosa non aveva niente a che fare con Emanuele. Era soltanto una cosa istintiva, forse dipendeva dagli astri in opposizione: ecco, questo è la conseguenza di avere una nonna mezza pazza.

Non so ancora, probabilmente l'insegnante” rispose con tono esplicitamente scocciato. “Probabilmente la prostituta”: pensò Galatea di rimando. Fissava gli occhi della sua nemica, il cui nervosismo cresceva in modo esponenziale, come testimoniava il ritmo più serrato che le sue unghie producevano contro il legno del mobile. Intanto lei esultava per la gioia e la soddisfazione che come droga le irretiva i sensi. Poggiò un gomito sul ripiano di fianco a lei, e la guancia sul palmo aperto. Poi con tono volutamente troppo confidenziale chiese:“Tu invece dove abiti, Elena?”.

Il modo in cui pronunciò quel nome lo fece suonare come una sorta di insulto. Credette persino di aver visto un tremito isterico percorrerla da capo a piedi. Miss coscia-lunga dilatò le narici come un toro pronto all'attacco, strinse le labbra in una linea sottile e scostò una ciocca ondulata di capelli castani che le era caduta sugli occhi, con un movimento secco. Poi rispose: “ Qui vicino”. Breve e lapidaria. Elena si stava davvero irritando, Galatea non riusciva a capire il perchè di quella reazione, eppure si stava godendo quell'infantile soddisfazione. La conversazione durò su questa linea, per alcuni minuti, durante i quali la rossa poneva quesiti sempre più intimi, come se stesse conversando con un'amica di vecchia data, e l'altra rispondeva sempre in modo più breve e acido. Ad ogni scambio di battute la tensione si faceva sempre più alta e come corrente elettrica riempiva tutta la stanza.

Emanuele continuava a leggere per nulla interessato alla conversazione, ricurvo sul suo tomo, era come se avesse le cuffie nelle orecchie. La sua coinquilina fu quasi sul punto di urlargli: “Guarda, che qui, io e la tua ragazza stiamo per prenderci per i capelli. C'è gente che pagherebbe per vedere una cosa del genere”.

Giunse a termine il tramonto, e il grigio di quel pomeriggio lasciò il posto al nero cielo sbiadito della sera, che certo non preannunciava un miglioramento climatico. Stanca ormai di quel gioco che durava ormai da troppo, (il volto di Elena aveva assunto una tonalità di rosso porpora non molto rassicurante) inventandosi una scusa sul momento, Galatea infilò ai piedi gli stivali di gomma e indossò il giaccone pesante, e si accinse a fuggire il più in fretta possibile. Prima però, di poter uscire dalla porta, riuscì a scorgere la coppia che si stava esibendo in un profondo e svergognato bacio, proprio nella sua adorata cucina. Senza rendersene conto sbattè dietro di se la porta forse con troppa forza.

Non prese l'ascensore, e dopo tre rampe di scale l'aria fredda le investì il volto. Aveva ancora i capelli umidi, quindi alzò il cappuccio del giaccone viola sulla testa e affondò le mani nelle tasche. Necessitava di una lunga passeggiata, quindi con passo lento iniziò a percorrere la strada dove si trovava il suo palazzo. Gli stivali sfregando tra di loro producevano uno strano suono che le faceva compagnia, mentre le macchine sfrecciavano al suo fianco alzando una nube di piccole goccioline d'acqua. La pioggia si era calmata, ma dai tetti, dai parapetti e dalle insegne, qualche gocciolina cadeva ancora, in una squallida imitazione.

Credeva di essere cresciuta eppure si lasciava ancora abbindolare, che stupida che era. Come aveva potuto pensare che un tipo come Emanuele: educato, e scostante, potesse anche solo guardarla? Guardare lei, che era un disastro in tutto, lei che non riusciva a stare ferma, lei che si comportava come un camionista tedesco, lei che era in grado di fare le più plateali figure di merda, lei che non aveva neanche una famiglia. Una lacrima le rigò il volto al ricordo. Una sola ebbe il privilegio di solcare ancora quella strada, poi si riscosse e cancellò quell'ultima frase.

Ricordava perfettamente l'espressione di sua nonna quando le carezzava il volto tondo da bambina e le lunghe trecce di fuoco, e le diceva: “gli uomini sono tutti uguali, bambina mia, sporchi, stupidi, egoisti ed egocentrici. L'unica cosa che hanno di buono, è che si fanno facilmente manipolare da noi donne. Io sono certa che Dio sia donna, perchè un essere superiore non può che essere una donna”. Poi le sorrideva, le rughe attorno agli occhi si stringevano ordinate, e la faceva sedere sulle sue ginocchia. Quanto le mancava!

Era giunta là dove la strada terminava con un incrocio, quindi decise di voltarsi e tornare in dietro. Ma una tabella rossa e oro, su cui erano incise le seguenti parole “Bar il vecchio lampione” attirò la sua attenzione. Non era mai stata lì, ma le sembrava un posto molto carino. Forse una cioccolata calda l'avrebbe aiutata a rincuorarsi e a riscaldare le sue membra intirizzite.

Entrò nel bar e il trillo di un campanello annunciò la sua presenza. Il locale era piccolo ed accogliente, il bancone era di mogano scuro e lucido ed oltre esso vi era un'antica macchina per il caffè di un luccicante color oro, ancora in uso. La luce era soffusa e prevalevano i toni scuri, ma la cosa non le apparve opprimente come in molti altri luoghi. Sembrava che la cosa lo rendesse ancora più familiare e misterioso. Si diresse verso i tavoli abbassando il cappuccio, e si sedette vicino al camino scoppiettante anche se era ancora pieno autunno. Il tavolino era rotondo e con le gambe sottili, mentre le sedie erano foderante con morbido broccato blu. Appoggiò i gomiti sul tavolino e aspettò con pazienza l'arrivo del cameriere, mentre nella stanza aleggiava un delizioso odore di cannella.

Il cameriere arrivò poco dopo, perfettamente a suo agio nella sua divisa nera e dorata. Aveva un viso tondo e leggermente arrossato sugli zigomi sporgenti, occhi piccoli e chiari e un grosso paio di baffi grigi. Dimostrava a massimo 60 anni. Le si avvicinò con passo morbido e sicuro e una volta giunto al suo fianco le sorrise in modo paterno. “Buongiorno signorina, benvenuta nel mio bar...” la voce dell'uomo, che si era rivelato il proprietario del luogo, era chiara ma bassa, come a voler preservare quel clima di quiete. “...posso provare ad indovinare cosa vuole ordinare? Sa lo faccio con ogni mio cliente, ed ho sempre indovinato.” proseguì con tono fiero. A Galatea, quell'uomo le sembrò subito simpatico, quindi sorrise cordialmente ed annuì. L'anziano barista sembrò rallegrarsi per quella risposta, quindi si portò l'indice a picchiettarsi la tempia e strinse gli occhi, tanto che parvero scomparire sotto le folte sopracciglia. “Cioccolata calda,... e un piatto di biscotti fatti in casa. Giusto?”la ragazza rimase sbalordita da quell'abilità e rispose con lo stesso tono leggermente al disotto della media. “Giusto! Siete davvero bravo”. “Eh già, anni di esperienza...torno subito con la sua ordinazione” le sorrise un ultima volta poi si diresse verso il bancone dove vi era un ragazzino emaciato che quando era entrata non aveva visto.

Fissò le fiamme che vibravano all'interno della cornice di marmo e si chiese, cosa stessero facendo i due piccioncini da soli in quel momento. Un'immagine ripugnate si formò davanti ai suoi occhi, tra le fiamme. Per fortuna qualcuno la distolse dai suoi pensieri poggiando una tazza sul tavolino dirimpetto a lei. L'uomo poggiò sul piccolo piano anche un piattino ricolmo di vari tipi di biscotti dall'aria invitante. “Ho messo nella cioccolata anche della vaniglia, aiuta a rilassarsi e pensare lucidamente” le fece l'occhiolino, e si diresse verso un altro cliente. Galatea prese un piccolo sorso del liquido scuro e sospirò di piacere.

Si ricordò di aver visto diverso tempo fa un libro che si intitolava “ tutto ciò di cui hai bisogno nella vita, è un amico che ha la cioccolata”, beh non l'aveva mai letto, ma sapeva, anche solo dalla copertina che aveva fottutamente ragione.

 

 

 

Vorrei ringraziare chi ha commentato lo scorso capitolo:

RossyMelly

Slyterin

Frandra

TeddyBibby

e tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite e le preferite.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Araiha