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Autore: moonlightriver    09/04/2011    5 recensioni
Stavamo per cominciare una nuova vita ed io ero certo che sarebbe stata splendida come l’aveva descritta mia madre durante le notti passate in motel.
Ancora non sapevo che dei sogni di Kushina Uzumaki non ci si poteva fidare...

Naruto ha cercato per tutta la vita una casa, un luogo a cui appartenere... ma forse non è un lugo che cerca, è una persona...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Happiness is home

Titolo: Happiness is home

Pairing: Sasu/Naru

Rating: Arancione

Note:
Ok...so che molte di voi vorrebbero uccidermi perché ho interrotto due storie piuttosto seguite e latito da più di un anno sull’aggiornamento di Kamikaze XD...per questo motivo ho pensato di pubblicare questa storiella in 3 capitoli che languiva da circa 6 mesi sul desktop. Spero che gradiate il mio ritorno su Efp! ^^
Ps. La storia non è betata, l’ho corretta da sola ma la punteggiatura potrebbe essere leggermente orrenda XD...se qualcuno si offrisse di revisionarla sappiate che non mi opporrò X3...

 Parte 1

Il giorno in cui io e mia madre lasciammo Uzu, pioveva a dirotto.

A mia madre Kushina, quel piccolo paesino di periferia era sempre andato stretto; detestava le strade polverose e l’indolenza che sembrava regnare sovrana. Credo che anche essere continuamente additata come poco di buono non l’aiutasse ad amare il luogo in cui era nata e cresciuta.

Per la maggior parte della gente del paese mia madre era quella là, la ragazza da indicare alle bambine che facevano i capricci o alle proprie figlie, quando si accingevano ed uscire per la prima volta con il fidanzatino.

“Comportati come si deve! Non vorrai mica finire come quella là.”

Mia madre era finita incinta a soli quattordici anni, dopo aver intrattenuto una relazione con un uomo più grande di lei. Un uomo con una moglie e un figlio. Non ho mai conosciuto i dettagli della loro storia e ho deciso da tempo di non credere alle voci che giravano, ciò che so è che mia madre, ancora bambina, decise di tenermi malgrado tutto e tutti.

Vivevamo con mia nonna Mito. Lei sopportava mia madre perché era sangue del suo sangue e tollerava me perché ero sangue di sua figlia. Non era una nonna amorevole, di quelle che cucinano crostate e ti regalano le caramelle di nascosto. Il massimo che riuscivo ad ottenere erano delle mele cotte, con la cannella se era particolarmente di buon umore.

Non avevo amici; le mamme dicevano ai loro bambini di non giocare con me perché ero il figlio di una donna immorale, nato da una relazione peccaminosa.

Non ho mai conosciuto mio padre, non nel vero senso della parola. Sapevo il suo nome e lo osservavo, quando portava i suoi figli legittimi al parchetto.

Ci sono stati giorni in cui l’ho odiato, altri in cui ho desiderato disperatamente un suo sguardo. A volte immaginavo d’essere io il bambino che spingeva sull’altalena o la bambina a cui comprava il gelato; mi chiedevo come sarebbe stato avere un papà, una bella casa, tanti amici e una mamma normale che non somigliava ad una sorella maggiore.

Ripensandoci adesso la mia vita in quel paesino di provincia faceva piuttosto schifo.

Eppure piansi come se non ci fosse un domani, quando, dopo aver impacchettato i nostri averi, mia madre mi caricò in macchina quella mattina piovosa di novembre.

Avevo compiuto da poco otto anni, stavo lasciando tutto ciò che avevo sempre conosciuto per l’ignoto ed ero terrorizzato.

Mia nonna mi salutò con l’unico abbraccio che mi abbia mai donato e, accarezzandomi i capelli, mi sussurrò “Sei un bravo bambino Naruto.”.

Potrei giurare d’averla vista piangere, mentre la nostra macchina di terza mano si allontanava.

Forse, però, era solo pioggia.

*

Mi piacerebbe poter dire che mia madre sapeva ciò che stava facendo abbandonando Uzu dall’oggi al domani, ma la verità è che le prospettive a lungo termine non erano e non sono mai state il suo forte.

Vivere l’attimo, questo è sempre stato il motto di Kushina Uzumaki.

Così, vivendo l’attimo, percorremmo la statale Est senza una meta precisa, dormendo in motel scadenti e mangiando in altrettanto scadenti tavole calde.

Le stanze che affittavamo avevano sempre il pavimento ricoperto di moquette lurida, il colore poteva anche mutare dal classico rosso mattone ad un assurdo giallo limone ma lo strato di sporco rimaneva costante. Le lenzuola pizzicavano la pelle e puzzavano di stantio e il bagno aveva il soffitto macchiato d’umidità.

I locali in cui ci fermavamo a mangiare erano sempre pieni di camionisti, fumo e cameriere arrabbiate con il mondo.

Per un po’ fu divertente, una specie di campeggio durante il quale potevo mangiare patatine fritte e gelato a colazione, pranzo e cena, andare a letto quando più mi aggradava e non ero costretto a lavarmi 3 volte al giorno.

Fu quando l’odore di fritto cominciò a nausearmi e dichiarai che la doccia era la miglior invenzione del genere umano che compresi quanto quel vagabondare mi avesse stancato.

Mia madre era ancora nel pieno della fase born to be wild quando le chiesi per la prima volta dove eravamo diretti.

“Verso l’aurora Naru-chan, ” mi rispose ridendo e scompigliandomi i capelli biondi.

Quelle parole, che per mia madre avevano il sapore della libertà e dell’avventura, su di me ebbero un effetto shoccante. La sensazione di assoluta precarietà, che avevo provato abbandonando Uzu, tornò più viva che mai.

Non avevamo un posto dove andare.

Da quel giorno in poi tormentai mia madre, diventando sempre più petulante. Volevo una meta, volevo una casa, amici con cui giocare, volevo tornare a scuola, volevo una vita normale.

Alla fine mia madre cedette, credo più perché i soldi cominciavano a scarseggiare che per le mie rimostranze.

Ci stabilimmo a Degarashi perché, passando per la sua via principale, notammo un cartello con su scritto:

Si cercano operatrici di Call-Center

Chiamare 02xxxxxx98.

Segnai il numero sul mio palmo con un pennarello verde trovato sotto il sedile e lo recitai a mia madre quando, trovato un telefono pubblico, si voltò verso me e sorrise svampita mentre ammetteva d’averlo già dimenticato. Fece il colloquio quello stesso pomeriggio, con la stessa felpa che aveva sporcato di cioccolato a colazione, i jeans spiegazzati e i capelli rossi raccolti in una treccia scarmigliata. Mi chiedo ancora oggi come abbia ottenuto il posto.

In ogni caso tornò con un sorriso smagliante che sapeva di vittoria e mi annunciò che non solo era un’impiegata della Hiroaki Inc. ma che aveva addirittura trovato una casa per noi.

La casa in questione era un piccolo bilocale piuttosto squallido, situato in un condominio aziendale nella periferia della città. Un cucinino con zona giorno, il solito bagno macchiato d’umidità, una camera da letto: niente di eccezionale ma dopo due settimane di vagabondaggio mi sembrò il paradiso.

Stavamo per cominciare una nuova vita ed io ero certo che sarebbe stata splendida come l’aveva descritta mia madre durante le notti passate in motel.

Ancora non sapevo che dei sogni di Kushina Uzumaki non ci si poteva fidare.

Il nostro soggiorno a Degarashi durò circa tre settimane durante le quali si susseguirono una serie di avvenimenti che diventarono uno schema fisso per gli anni a seguire.

Inizialmente le cose andarono piuttosto bene, il vicinato fu accogliente, mia madre s’inserì bene sul posto di lavoro ed io cominciai a frequentare la scuola di quartiere. Essendo il bambino nuovo, non avevo ancora molti amici ma un paio di ragazzini che abitavano nel mio stesso interno mi salutavano, se m’incontravano sulle scale la mattina, e poco dopo presero ad aspettarmi per fare la strada insieme. Era la cosa più simile a degli amici che avessi mai avuto e questo mi rese euforico.

Poi tutto andò in malora. Cominciò con una banale conversazione fra vicine; la Signora Ighe incontrò mia madre nel cortile esterno una sera e, chiacchierando del più e del meno, le disse la frase che cambiò tutto.

“Certo non deve essere facile occuparsi di un fratellino a tempo pieno per lei che è così giovane, “.

Mia madre la guardò a dir poco allibita e replicò leggermente scocciata “Naruto è mio figlio Signora.”

La signora Ighe spiazzata replicò poche parole di circostanza e si dileguò.

Il giorno dopo tutti sapevano che Kushina Uzumaki, la graziosa ragazza dell’interno 7, era in realtà una poco di buono, una sfacciata che si permetteva di sbandierare in giro l’esistenza di un figlio di 8 anni, quando lei ne aveva solo 22.

L’intero condominio ci ostracizzò e i bambini che erano stati carini con me smisero di parlarmi.

A scuola ero molto indietro, a causa del trasloco, e presto mi trovai in seria difficoltà. Nel giro di due settimane fui etichettato asino della classe e, poiché neanche nello sport ero mai stato una cima, divenni oggetto di scherno da parte dei miei compagni.

Mia madre, in risposta ai pettegolezzi condominiali, cominciò ad uscire con un collega che le faceva la corte sin dal primo giorno. È un eufemismo dire che fu un disastro; l’idiota le spezzò il cuore e la sputtanò in ufficio e fuori.

Tre settimane e tutto era tornato come ad Uzu.

Tre settimane e rimpacchettammo i nostri averi, li caricammo sulla nostra vecchia Desoto e partimmo verso l’alba.

Era il 15 dicembre e la neve mi sembrò fango, lo stesso che avevo nel cuore.

.....Tbc....

 

  
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