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Autore: alex7153    10/04/2011    3 recensioni
La abbracciò.
Una lacrima iniziò a rigarle il viso. Un’altra. E un’altra ancora.
Non ce la faceva più, doveva liberarsi del peso che teneva dentro fin da troppo tempo ormai e lui lo sapeva bene.
“Bri, guardami.” I suoi occhi si persero in quelli di lei.
Anche lui sapeva cosa volesse dire non poter ricevere l’affetto di un padre per molti anni.
“Bri parlagli. Devi dirglielo. David è una persona ragionevole.” Le lacrime continuavano a bruciare sul viso. Erano ancora stretti l’uno all’altro.
“Non voglio Tom.” Riuscì a dire tra un singhiozzo e l’altro.
“Allora scrivigli.”
La lasciò dall’abbraccio, aprì il cassetto della scrivania e ne estrasse carta e penna.
La ragazza lo guardava senza più forze quando ad un tratto fece qualche passo verso il grande tavolo, si sedette e osservò il foglio bianco sfiorandolo con le dita.
Non sapeva cosa scrivere ma appena appoggiò la punta della penna sulla carta le parole le uscirono come un fiume in piena.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dear father-Capitolo 1

Dear Father

CAPITOLO 1

“Cosa diamine vuol dire che l’auto non è ancora arrivata?! Ho specificato chiaramente che l’auto avrebbe dovuto essere qui già due ore prima del nostro arrivo, e ora mi dite che non c’è?!” 

Un ragazzo moro osservava da dietro i suoi occhiali la scena.

Il manager era alquanto alterato e stava urlando in tedesco contro una donna che lo guardava, incapace di rispondere. Arrivò alle sue spalle un uomo alto e robusto che poggiò le mani sulle spalle della donna, invitandola ad allontanarsi. 

 “Signor Jost ci scusiamo per il disguido ma l’autista che avrebbe dovuto riportare l’auto ieri sera ha avuto un incidente con la stessa.” disse l'uomo in un perfetto tedesco.

Doveva essere il direttore pensò.

Aveva una voce pacata, sembrava che l’ira del manager non lo toccasse poi molto. Probabilmente era abituato a scene come queste. 

I pensieri del moro furono interrotti quando si sentì preso in causa dall’amico. 

“Ah perfetto ci mancava solo questa! Non solo abbiamo dovuto aspettare per tre ore i due mister America ora dobbiamo farcela a piedi fino all'Hotel!” disse in un soffio un ragazzo dai capelli lunghi e piastrati.

“Finalmente qualcuno che riconosce la mia bellezza con un titolo adeguato, anche se è riduttivo dire mister America!” disse beffardo il moro. 

“Tom credo che Georg volesse insultarti non apprezzarti. E poi non è colpa nostra se ci sono state turbolenze durante il viaggio” rispose un ragazzo identico a lui, se non fosse stato per il trucco pesante attorno agli occhi e i vestiti decisamente attillati rispetto a quelli “comodi” del primo. 

“Nooo ma non mi dire! Credevo si fosse preso una cotta per me. Beh se mai dovessero piacermi gli uomini tu saresti il primo a saperlo caro!” finì a malapena la frase quando una ragazza con un vestito blu che lasciava poco all’immaginazione, le passò di fianco.

 Il ragazzo la squadrò dalla testa a i piedi per poi sorriderle sghembo.

 "Devo constatare che esista una sola remota  possibilità che questo accada!" rise il biondino accompagnato da un sorriso del frontman del gruppo, che vide  il fratello ancora intento ad osservare il fondo schiena della ragazza. 

“Bene. Il direttore ci ha chiamato dei taxi per raggiungere l’albergo, la limousine sarà pronta domani mentre per voi…” disse l’uomo porgendo ad ognuno dei ragazzi un mazzo di chiavi “…ha messo a disposizione quattro auto per l’intera durata del soggiorno qui a Milano. Le potrete trovare in albergo.” 

“Devo dire che l’attesa ha ripagato. Spero solo che vadano veloci!” disse il piastrato più a sé stesso che agli altri. 

“L’importante ora è che andiamo noi! Siamo già in ritardo per l’intervista e se non ci sbrighiamo saremo in ritardo anche per lo shooting fotografico delle due!” urlò il manager che ormai era svanito dietro le porte scorrevoli dell'uscita.

 

Si misero in viaggio.

David osservò silenzioso il paesaggio dal finestrino per tutto il tragitto.
Si sentiva strano, quasi impotente come se qualcosa più grande di lui gli stesse per piombare addosso da un momento all'altro.

Non gli piaceva Milano.
Portava con sè troppi ricordi ormai passati. Sebbene una volta potessero essere definiti felici, ora gli lasciavano solo dell'amaro in bocca.
Sì, voleva che quella settimana finisse velocemente.
Chiuse più volte gli occhi stringendoli, come se, con quel gesto, potesse ritrovarsi comodamente seduto sull'aereo di ritorno a casa.
Era ancora tutto lì, gli edifici, gli alberi, le persone.
Era ancora a Milano.

 

***


Scese lentamente dal letto per poi dirigersi verso il bagno.

 L’immagine che le appariva riflessa non le si addiceva, delle goccioline di sudore si erano cristallizzate sulla sua fronte, i suoi occhi erano accerchiati da occhiaie e i capelli neri solitamente mossi erano annodati e aggrovigliati.

 Erano ormai le sei del mattino, la luce del sole che cresceva inondava la stanza di una felicità che non le apparteneva. Aveva dormito ben poco quella notte, disturbata dagli assordanti ricordi che le riecheggiavano nella mente. 

Decise di farsi una doccia per far scivolare via tutti i suoi pensieri, per estraniarsi dal mondo per un tempo infinito. 

Osservò l’orologio che segnava le sette in punto. Era presto. 

“Beh ho tutto il tempo necessario per trovare qualcosa da mettere” si disse aprendo le ante dell’armadio. 

Niente, dopo un’ora di ricerche non trovò nulla che potesse addicersi a un appuntamento come il suo. In fin dei conti cosa avrebbe potuto indossare ad un appuntamento di lavoro che potesse contemporaneamente andare bene per una rimpatriata famigliare? 

Prese il cellulare. “Sono le otto e un quarto, se Claudia dorme ancora credo che le farebbe piacere sentire la mia soave voce al posto del fastidioso allarme di una stupida sveglia! Che dici Akira?” 

Sabrina guardò la cagnolina abbaiare e scodinzolare felice. Prendendo il comportamento della sua piccola amica come un consenso, compose il numero e inoltrò la chiamata. 

“Uhm…” 

“Buon giorno anche a te!” disse immaginando la faccia dell’amica. 

“Bri per quale assurdo motivo mi stai chiamando così presto? Non mi sembra la mia sveglia sia già suonaaah…” un rumoroso sbadiglio interruppe la frase “…hata”. 

“Beh scusa se mi preoccupo per la salute della mi migliore amica!” disse con tono acido mentre si versava del caffè caldo in una tazza. 

“Devo dire che ti sei alzata di buon umore! Prima mi svegli e poi mi rispondi come fossi tu la vittima!”  aspettò una risposta ma dall’altro capo del telefono udì solo silenzio. 

“Bri tutto bene?” 

“Oggi...” aspettò qualche secondo prima di finire la frase. Non ne sarebbe stata del tutto consapevole finché quelle parole non le fossero uscite dalla sua bocca, e questo lo sapeva bene. 

Prese fiato. 

“Te l’avevo detto che oggi avrei dovuto tenere lo shooting dei Tokio Hotel e che quindi avrei rivisto mio padre.” 

Era fatta ormai l’aveva detto. Lo avrebbe rivisto. Avrebbe rivisto lui. Lui che si era ormai scordato di avere una figlia, lui che girava per il mondo troppo preso dal suo lavoro, troppo occupato a gestire la vita di quattro ragazzi piuttosto che chiamare la sola ragazza di cui avrebbe dovuto importargli veramente.

Ma cosa avrebbe dovuto aspettarsi?

David Jost era un uomo d’affari, lo era sempre stato e l’immagine da bravo paparino non gli si addiceva. No, non gli si addiceva per niente. 

“Sabri.. se hai bisogno vengo immediatamente da te. Basta che mi dai dieci munti per vestirmi” 

“Sì ti prego vieni! Non so cosa mettermi ed è da ore che cerco qualcosa da indossare e…” una fragorosa risata la interruppe. 

“ Che cavolo ti prende adesso?” sbottò.

“Scusa è solo che credevo fossi agitata perché avresti dovuto rivedere tuo padre e invece non sai quali vestiti mettere! Vammi a comprare una brioche e prepara il caffè che tra mezzora sono da te!” 

“Grazie!” 

“Prego, ma ricordati che ti devo svegliare una di queste notti!!” disse scherzando l’amica. 

“Sì certo, a dopo Claudia!” 

Si infilò i primi vestiti che le capitarono tra quelli ammucchiati sul letto, mise il guinzaglio ad Akira e uscì.

***

Il campanello suonò insistentemente.

"Arrivo un attimo!"  urlò la ragazza dalla sala.

"Bonjour medemoiselle! Sono stata assegnata a una certa Sabrina Jost, è lei?" disse una ragazza minuta e bionda.

"Oh oui mademoiselle! Je suis Sabrina mais vous pouvez m'appeler Bri!" disse sorridente la mora porgendole la mano.

"Non so cosa tu mi abbia detto. In ogni caso sono venuta a farti da stylist mia cara e come ricompensa vorrei la mia brioche!"

"È in cucina insieme al caffè." la bionda seguì l'amica che le versò il caffè e le diede la brioche alla marmellata. Si sedettero in silenzio a sorseggiare la brodaglia nera.

"Allora come stai tesoro?" la bionda la guardò come una madre preoccupata per la propria figlia. Le faceva tenerezza quell'aspetto di Claudia.

Erano completamente diverse. Claudia espansiva e solare e allo stesso tempo protettiva; Sbrina era timida, introversa e orgogliosa, troppo orgogliosa per poter ammettere di soffrire.

"Sto bene. Tanto è inutile preoccuparsi, lui non sa neanche che esisto. Mi creo problemi da sola..." rispose fissando la parete bianca della cucina.

"Beh ma è comunque tuo padre. E anche se lui non sa chi tu sia, non puoi comportarti come se nulla fosse!" la sua amica stava male e lei non sapeva che fare.

Cercava di capirla ma quando era lì per lì a far crollare quel muro, Sabrina ne costruiva uno ancora più alto, ancora più spesso, ancora più indistruttibile.
Non le aveva mai parlato molto del suo passato a Berlino, sapeva solo che sua madre era morta di cancro quando lei aveva solo dodici anni e che si dovette trasferire a Milano dalla nonna materna; sapeva che suo padre era un manager ma niente più, non le aveva raccontato altro.

"Lo so ma non posso nemmeno presentarmi a lui come sua figlia! Comunque andiamo a cercare qualcosa da mettermi addosso." si diresse verso la camera da letto seguita dalla bionda.

Sarebbe stata una lunga giornata.

  
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