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Autore: Wendigo    12/04/2011    7 recensioni
Era notte. Tutti dormivano, eccetto una persona che, non riuscendo a prendere sonno, si alzò dal letto e si diresse verso la cucina. Durante il tragitto, notò però una debole luce provenire dallo studio: pensò che suo padre avesse nuovamente lasciato acceso il camino, ma, aperta la porta, notò un uomo seduto sulla poltrona. Che non era poi suo padre.
"Entra pure, non essere timido". Incoraggiò l'uomo seduto sulla poltrona. Teneva in mano un piccolo libro che, da come era stato posto il segnalibro, aveva appena iniziato a leggere. "Che ne dici se ti racconto una bella storia?".
La persona si guardò attorno, sospettoso. Si domandava chi fosse quell'individuo ma, dato l'aspetto innocuo, decise di assecondarlo e in pochi secondi era già seduto di fronte a lui. "Chi sei?". Domandò comunque alla fine...
"Chi sono? Se proprio ci tieni te lo dirò dopo averti raccontato qualcosa", si fermò un secondo, "Ti piacciono le storie dell'orrore?".
La persona si chiese perché fosse così ossessionato a raccontarle delle storie ma, non vedendoci niente di male, accennò un "sì" con la testa. L'uomo aprì allora il libro, da cui iniziarono ad uscire fumi neri e voci. "Bene iniziamo".
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In una città presso Roma, un ragazzo di nome Marco aveva fatto una terribile scoperta: un tumore al polmone destro, troppo sviluppato per esportarlo con una operazione chirurgica.
Tutto era iniziato qualche mese fa, durante gli allenamenti di calcio. Infatti durante una sua azione, aveva iniziato a sentirsi quasi mancare e non riusciva perfettamente a respirare: ciò però non lo preoccupò molto, essendo durato nemmeno per più di cinque secondi, che furono comunque tremendi.
Un mese fa, iniziò invece a sentire sempre più frequentemente questo problema e cominciò già a insospettirsi, quando ricevette il colpo finale durante l’ora di storia: ci fu uno schizzare il sangue con una forte tosse e infine lo svenimento di quest’ultimo. Inutile a dire che venne chiamato l’ospedale il quale mandò in fretta e in furia una delle sue ambulanze per prelevarlo.
I genitori furono avvertiti e lo trovarono su un letto di quell’istituzione pubblica. Non ebbero neppure il tempo di parlarsi che un dottore, entratovi nella stanza, diede la notizia del tumore, confermato dalle analisi appena fatte.
I giorni seguenti non furono meglio di quelli passati: Marco perse ogni ragione che gli permettesse di trascorrere serenamente un giornata; cominciò a cadere in depressione e a chiedere invano l’aiuto o un conforto da Dio. Infine iniziò a detestare chiunque, al contrario di lui, avesse un futuro, compresi i suoi stessi genitori.
Un settimana fa, i suoi passatempi divennero: guardare film, mangiare e piangere.
Sei giorni fa, cominciò a marinare la scuola e ciò lo spiegò ai suoi dicendo - Tanto che mi servirà andarci ora mai? -. Fece di nuovo i suoi soliti esami. Gli venne confermata un’altra settimana, massimo due di vita.
Più depressione. Più pianti. Era arrivato al limite: avrebbe fatto di tutto per poter vivere, anche vendere l’anima al diavolo. Il quale lo ascoltò.
Quattro giorni fa, prima di fare sempre quegli esami, che per lui erano oramai futili, sapendo come sarebbero finiti, gli venne comunicato che il dottore Russi, che era solito farglieli lui, non era disponibile perché ammalato. Cercarono uno che lo potesse sostituire e lo trovarono.
Dieci minuti ci vollero prima del suo arrivo: per Marco un dottore valeva l’altro ma, come gli apparve davanti, gli saltò subito all’occhio il suo camice color nero.
- Perché indossa un camice nero? - chiese Marco avvicinandosi all’infermiera, la quale negò di vedere un dottore con un camice simile, neppure dopo che il ragazzo le indicò dove guardare.
- Scusatemi per l’attesa - disse non appena arrivato - tu devi essere Marco Romano. Prego, dopo di te -. Era abbastanza inquietante ma il ragazzo non aveva alcun motivo per aver paura di lui, dopo tutto era un dottore.
Le analisi andarono come al solito e come al solito diedero sempre gli stessi risultati.
- Povero ragazzo - sospirò il dottore col camice nero - così giovane, eppure prossimo alla morte -. Iniziava a dargli sui nervi questo e sicuramente gli avrebbe dato un pugno in faccia se non avesse detto prima - ti piacerebbe poter vivere ancora? Ti non morire di cancro? -. “Cosa?” fu l’unica cosa che pensò Marco in quel momento.
- Allora si o no? - chiese con un tono più severo il dottore - rispondi -.
- Si - disse balbettando. Non sapeva se fosse una buona idea: “Al diavolo” pensò subito dopo “Voglio vivere”. – si – ridisse con più convinzione. Il dottore sorrise, come se avesse appena vinto alla lotteria.
- Bene. Uccidi qualcuno con questo pugnale entro questa sera e ti prometto che domani sarai completamente guarito dal tumore. Sano come un pesce -. Suonò il cellulare e il dottore rispose andando via. Solo allora comparì il solito dottore Russi ma a Marco non importò più di tanto. Dio aveva ascoltato le sue preghiere; ma anche se fosse stato il diavolo gli andava comunque bene.
Sicuramente poter vivere era ciò che aveva desiderato più di ogni altra cosa; ma chi gli diceva che uccidendo si sarebbe salvato davvero? Che sarebbe guarito? Risposta: nessuno.
La voce di quel dottore gli rimbombava in testa e qualcosa cominciò come a dirgli che avrebbe funzionato davvero. Era disperato ed era pronto anche ad uccidere tre di persone per potersi salvare.
Escogitò un piano, decise la vittima e scese la notte. Sebbene aveva calcolato ogni cosa, era lo stesso preoccupato per ciò che stava per fare, chi stava per uccidere: un suo fidato amico che, ricevuto un suo messaggio dove chiedeva di incontrarlo al parco, si era affrettato a venire. Non trovandovi però nessuno, l’ignaro si mise ad aspettare.
Marco cominciò ad avvicinarsi piano piano alla vittima designata, col pugnale di quel dottore tra quelle sue mani inesperte. Arrivatogli abbastanza vicino, lo colpì alla schiena una volta, due volte, tre volte, fino a quando non vide uscire più una sola goccia di sangue da quel corpo orribilmente mutilato. Ci fu una risata che rimbombò in quel parco. Ma non apparteneva né Marco e di certo neppure al suo amico.
Finito il lavoro corse in fretta e furia a casa sua. La mattinata seguente apparve più sereno e felice del solito, o per meglio dire, da quando aveva scoperto quel suo tumore. I genitori si rallegrarono.
Volle andare a verificare quella promessa e con suo grande stupore, accompagnato da quello del dottore Russi, scoprì che era realmente guarito: il cancro non c’era più.
Quella stessa giornata decise di fare una festa, che non si era mai vista a Roma. Invitò chiunque: amici, parenti, sconosciuti che aveva incontrato tornando a casa. E mentre se la stava godendo, felice di non avere più il cancro, ci fu un rumore, seguito da una calda sensazione lungo la sua pancia. Qualcuno l’aveva sparato e perdeva sangue.
- Questo è per mio fratello, sporco assassino - disse un ragazzo, che con la pistola in mano, stava piangendo. Marco lo riconobbe subito: era il fratello di quello stesso amico che aveva ucciso per poter vivere.
Perdendo sangue, cadde a terra stremato e, solo allora, vide tra la folla quello stesso dottore, avente sempre quel suo camice color nero. - Tu! - gli gridò Marco, come nel dire “non mi avevi promesso di farmi vivere?”. Questo avvicinatosi al povero morituro, si chinò per guardarlo dritto in quei occhi marroni che lentamente perdevano vigore.
- Ti avevo promesso di guarirti dal tumore, niente di più -. Gli occhi del ragazzo si chiusero, per l’ultima volta, immersi nelle lacrime.
   
 
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