Fanfic su artisti musicali > Michael Jackson
Ricorda la storia  |       
Autore: CatMJ    19/04/2011    1 recensioni
La cronaca di una bellissima storia di amicizia vera, disinteressata, raccontata, attraverso i ricordi, dalle parole di una persona che ha amato Michael come un figlio e che ha combattuto, ogni giorno, contro un dolore devastante.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



 

 Sono infermiera privata e mi occupo, per lo più, di assistenza a pazienti facoltosi che si rivolgono alla clinica che mi ha assunta 20 anni fa e sono a disposizione di parenti che chiedono personale che si dedichi esclusivamente alle cure del loro congiunto ricoverato. Il mio nome è Abigail Coretti , sono nata negli U.S.A. ma sono di origini italiane e sono ‘nurse di notte’. Voglio raccontarvi la storia di un’amicizia molto particolare…..eh si, perché questo non è un semplice legame affattivo, come ce ne sono tanti, è qualcosa di più, di solido, che va oltre i confini dell’orgoglio, dell’interesse, dell’egoismo e persino della morte. E’ vero amore. Il racconto di un sentimento profondo che mi ha insegnato ad apprezzare ancora di più, quei valori autentici che, nella società attuale, vengono troppo spesso relegati in un angolo, come fossero solo polvere che non vale nemmeno la pena di raccogliere. Mi ha insegnato molto in sole quattro notti, questa esperienza, arricchendomi di un bene prezioso e per questo ho pensato di condividerla con voi. Io ve la ‘passo’ così come mi è ‘arrivata’, dalle parole di una donna che ha vissuto la propria esistenza, fin dall’età di nove anni, in un mondo dorato, quello delle celebrità  di Hollywood, ma che ha sempre conservato, a discapito della sua stessa felicità, uno spirito semplice, altruista e che ha avuto il privilegio di conoscere ed amare in modo del tutto disinteressato, una persona davvero speciale, come lei.
 
 
 
 
 
 
 

 

 
***
 
 
 
Quel pomeriggio alle tre mi raggiunse, nella mia casa di Los Angeles, la telefonata della caposala, Mrs.Wilder:
 
- Abby, sono Molly, scusa se ti disturbo, so che avresti dovuto riprendere servizio solo tra due giorni ma, vedi, stamane hanno ricoverato una persona molto importante, qui in clinica e il direttore della sezione cardiologica ha espressamente chiesto che fossi tu, ad occupartene. Non vuole che l’assistenza notturna a questa donna venga assegnata a qualcun altro.-
 
-Okay, puoi contare su di me. Mi dici il nome della paziente, o è top- secret?- chiesi per mascherare lo sconforto di vedere i miei ultimi due giorni di ‘libertà’ passarmi davanti con la valigia in mano.
 
- Mrs.  Taylor, Elizabeth Taylor. E’ stata ricoverata qui con un codice giallo, questa mattina, era disperata in preda ad una crisi di  pianto e il suo cuore già malandato non ha reagito bene, ha perso conoscenza ma per fortuna si è ripresa subito, il collasso si è risolto ma il Dr. Foster preferisce tenerla sotto controllo per qualche giorno, per sicurezza.-
 
Ero da poche ore ritornata a casa, dopo le ferie estive trascorse sulla Costa Amalfitana, a Positano, paese di origine dei miei nonni paterni, mi infilai la solita divisa con i pantaloni bianchi e la casacca color pesca, misi il mio fonendoscopio nella borsa, assicurai la molletta del cartellino di riconoscimento al taschino sul petto. La foto non era delle migliori ma chissà perché ogni volta che si posa per un documento , il risultato è sempre lo stesso: una faccia per nulla fotogenica nella quale stenti perfino a riconoscerti.
 

 
***
 

 
Camera 403, con la vista sulle colline di Beverly Hills, una delle migliori stanze che offre il reparto. Una grande finestra si affaccia proprio sul parco interno della clinica ed essendo al 6° piano, nelle sere d’estate limpide come quella del 14 luglio 2009, il cielo è più vicino e sembra di poter toccare le stelle.
 
-Buona sera, Mrs.  Taylor - spinsi lentamente la porta che era appena socchiusa. Una donna di spalle, seduta su di una sedia a rotelle, guardava fuori dalla vetrata, la mano sotto il mento, indosso una vestaglia di seta bianca e piume di struzzo.
 
-Tu devi essere Abigail, vero?- si voltò verso di me facendo girare la carrozzina.
 
-Si, sono io ma mi chiami pure Abby, Mrs. Taylor - le sorrisi.
 
Era la prima volta che la vedevo di persona e ne rimasi subito incantata; da quegli occhi, traspariva una dolcezza indescrivibile, il loro colore inusuale, che le era valso il titolo di ‘diva dagli occhi viola, riusciva a regalarle una luce intensa che le illuminava il viso, facendola apparire più giovane. Sapevo che fosse bellissima, lo sapevano tutti, in tutto il mondo, ma guardarla così da vicino era come entrare a far parte di un sogno, era come toccare con mano l’essenza della bellezza, conservata intatta nel tempo su di un corpo che ospitava in sé un’anima buona, resa fragile dalle prove  cui la vita l’aveva sottoposta.  Il tono di voce era pacato, sereno, forse solo rassegnato.
 
- Puoi chiamarmi Liz, se vuoi, lo preferisco- annuì con la testa.
 
-Come si sente, Liz?-
 
-Mmmh…….- il suo sguardo si abbassò, aprì lentamente le braccia e le abbandonò subito dopo in grembo, stanche, sospirando.
 
Bussò alla porta un inserviente ed entrò ad appoggiare una tazza sul tavolino della stanza.
 
-Le ho fatto preparare del tè, se lo gradisce. Ma prima deve prendere queste- mi avvicinai porgendole un piattino con tre capsule, dopo aver zuccherato il tè. Spostò con un dito quella bianca e blu. Ne bevve solo due.
 
-E’ buffo, non trovi?- mi domandò girando lo sguardo verso il finestrone, la luna era alta nel cielo e illuminava la stanza – tutta una vita a lottare contro gli spettri  dell’anima, le proprie paure, le insicurezze, i nemici nascosti travestiti da amici, che aspettano il momento propizio per approfittare delle tue debolezze e ferirti, spingerti a fondo, di nuovo. Dover combattere con quella parte di te che è la tua vita ma che alla vita ti preclude………uff….- sbuffò scuotendo piano la mano per farmi capire di lasciar perdere, di non dare ascolto alle sue parole.
 
-Le accendo la luce….-
 
-Non importa, Abby, adoro la penombra e il chiarore lunare mi fa stare bene.-
 
-Manca una capsula Liz,la prenda.-
 
-E’ il mio sonnifero, giusto? Grazie Abby ma non stasera. Voglio stare sveglia, voglio poter guardare la Luna.-
 
Avevo  sentito  nelle sue parole un velo di profondo rammarico, misto a malinconica tristezza; capii che  aveva bisogno di sfogarsi, parlare un po’, lenendo in tal modo quel dolore sordo che le attanagliava il cuore, segnato da una ferita che non si sarebbe forse mai più rimarginata. Spostai  la sedia che era in fianco al letto e mi misi a sedere accanto a lei, mi  prese la mano tra le sue, affusolate e morbide, tiepide, ben curate.  Le unghie erano laccate con  uno smalto color corallo che la sua amica Cindy, le aveva applicato nel pomeriggio. Guardava  il cielo.
 
-Sai, Abby, quando lo conobbi era poco più che un ragazzino. La cosa che mi colpì maggiormente fu la sua timidezza che lo portava ad abbassare lo sguardo ogni qualvolta gli veniva rivolta la parola. Me lo presentò un amico, Quincy Jones, durante una di quelle cene a Hollywood, dove si è obbligati ad ingozzarsi di ostriche e champagne, se vuoi far vedere che sei ancora una del giro, sei ancora sulla breccia e devi dispensare sorrisi a destra e a manca, se non vuoi finire sulle pagine dei giornali come  ‘ la star sul viale del tramonto;  quelle serate che finiscono immancabilmente con l’essere particolarmente noiose e che ti lasciano in eredità, per la mattina successiva, un feroce mal di testa che ti costringe a letto tutto il giorno  fino a che non decidi di prendere le gocce, sempre lì in agguato sul comodino e che ti permettono di chiudere finalmente gli occhi e spegnere i pensieri per alcune ore, facendoti ritrovare te stessa.
Ricordo che si sedette al tavolo, accanto a me. Mi guardava con quegli immensi occhi scuri, ammirato, quasi incredulo ma compresi che si sentiva fuori posto, in quel contesto. Così iniziai a parlargli, per metterlo a suo agio, di quanto mi piacesse la sua musica, il suo modo di ballare, di quanto mi entusiasmasse il suo stile, domandai quali fossero i suoi progetti per il futuro e gli dissi  anche del fatto che conoscessi il suo trascorso artistico con i fratelli alla Motown, ma mi resi conto che  questo argomento lo metteva in imbarazzo, come se  lo infastidisse e così intavolai un discorso  incentrato sul suo rapporto con Quincy, che anche lui chiamava semplicemente “Q”.
“E’ il padre che non ho mai avuto, disse “con lui posso parlare, esporre le mie idee, scherzare. Mi capisce, sa come prendermi, è un vero amico, gli voglio molto bene.”
Sapevo che il suo travagliato rapporto con il padre lo aveva segnato profondamente, che lo aveva privato del suo essere bambino obbligandolo a crescere in fretta, a lasciarsi alle spalle la spensieratezza per diventare uomo e vestire i panni di un ‘attore’ in un mondo spietato e illusorio. Non mangiò quasi nulla, quella sera, si capiva che era a disagio e non vedeva l’ora di andarsene.
Due giorni dopo mi telefonò scusandosi per essere stato poco di compagnia e per aver lasciato la festa prima che terminasse. Gli dissi che non importava, che anch’io mi annoiavo a morte, in quelle occasioni.
Ci sentivamo spesso al telefono ma non riuscimmo mai ad incontraci. Gli impegni di lavoro sembravano aumentare, per fortuna o purtroppo……..
Io precipitavo sempre più nell’abisso delle mie frustrazioni, insoddisfatta della vita, piangevo spesso, entravo e uscivo dalle cliniche dove tutto sembrava avere un senso finché il fantasma della depressione non tornava a farmi visita mentre lui, diventava Michael Jackson, avrei tanto voluto potergli stare più vicina, essere più presente per proteggerlo dalle insidie che la scalata al successo comporta - si asciugò una lacrima.
Era il 1986 una sera mi chiamò e, con l’entusiasmo di un ragazzino, mi annunciò che il 12 settembre sarebbe stato trasmesso ad Epcot, in Florida, il suo primo cortometraggio ispirato alle fantasie disneyane che lui ha sempre amato particolarmente. Aveva una sorta di venerazione per Walt Disney, forse perché era in grado di restituirgli quei sogni di fanciullo che egli non aveva mai potuto fare. Così assistetti alla prima di ‘Capitan EO’, insieme a lui che , per l’occasione, aveva indossato il costume di scena. Era bellissimo, aveva uno sguardo angelico e si capiva che era animato da buone intenzioni. Con quel film desiderava mandare al mondo un messaggio di pace e amore, questa era la sua fiaba, questo era il suo sogno.-
 
-Mi perdoni, Liz- la interruppi  alzandomi dalla sedia- è molto tardi, dovrebbe  riposare, adesso – le dissi a bassa voce mentre avvicinavo la carrozzina al letto. L’aiutai a coricarsi e le diedi la compressa di tranquillante che le avrebbe assicurato un sonno sereno.
Le tenni la mano finché non si addormentò, misi la sedia accanto al letto, mi sedetti  e aprii il mio libro.
 

 
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Michael Jackson / Vai alla pagina dell'autore: CatMJ