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Autore: BlackPearl    25/04/2011    18 recensioni
La domanda del giorno, da una settimana a questa parte è: "Ma Iz, non sei contenta?"
La mia risposta? No!
Ma siete stupidi o cosa? Cos'è tutta questa voglia di avere fratelli? A me essere figlia unica andava più che bene. E mio padre mica lo capisce che io un fratello non lo voglio!
Tantomeno quel decerebrato. Meno che mai quel decerebrato.
Che oltre ad essere decerebrato è cafone, testardo, odioso e anche bello. Il che è ancora peggio, perché non c'è giustizia divina!
Col caratteraccio che si ritrova, doveva avere il naso grosso e gli occhi storti, invece è dannatamente bello...
[Momentaneamente in stand-by]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Prologue
Blend





Fighting


Mi svegliai alle otto e mezzo di sera, tutta intontita.
Avevo bevuto la camomilla e mi aveva dato un po' di sollievo, poi ero crollata.
«Almeno il mal di testa è passato.» Commentai ad alta voce, mettendomi a sedere. Allungai una mano per accendere la luce del comodino quando una voce mi fece gelare sul posto.
«Menomale.»
«Oddio, Johnny! Mi hai spaventato a morte!» Gridai col cuore in gola. 
«Come sei sensibile...» Accesi la luce e vidi che era sdraiato sul suo letto col braccio sugli occhi.
«Ma perché devi dormire qui? C'è una stanza vuota, lo sai?»
«Quella stanza non ha la tv.» Disse senza togliere il braccio dal viso. Presi un cuscino e glielo tirai in faccia.
«Te la compri, una tv.» Ricevuta la cuscinata davvero poco delicata, si alzò e mi fronteggiò.
«Esiste la privacy, sai? Forse dove sei cresciuto tu vivevate tutti insieme in una tenda strappata, ma qui no!» Continuai, tagliente.
«Sai quanto me ne sbatto della tua privacy? Io sarò cresciuto in una tenda ma almeno non sono viziato e scostumato come te!»
Quelle poche frasi erano bastate per farmelo detestare con tutta me stessa. Mi sentivo come se mi avessero schiaffeggiata.
Punta nell'orgoglio, me ne andai in bagno sbattendo la porta. Ne uscii qualche minuto più tardi per andare a chiamare Bianca.
«Ti ha detto davvero così?! No, non ci credo!» Fu il suo commento sconvolto quando le raccontai la nostra conversazione di poco prima.
«Credici.» Non sapevo cosa dire. La situazione si spiegava da sola.
«Beh, potreste... convivere pacificamente senza dirvi nulla. Lo fanno anche i fratelli di sangue...» Suggerì lei, cauta.
«Come no. Mio padre mi farà una predica al giorno, se non lo tratto bene.»
«Allora non ti resta che fingere, amica mia.»
Non mi resta che piangere, vorrai dire.

«Ragazzi! A tavola!» La voce squillante di Betty chiamò a raccolta l'allegra famigliola che in breve fu riunita davanti a un piatto di arrosto fumante. Io, ovviamente, finii di fronte a Johnny.
«Izzie, come va la testa? Spero meglio.» Domandò premurosa la madre di quell'essere ignobile. Le sorrisi e mi costrinsi a rispondere.
«Va molto meglio, grazie. Merito anche della camomilla, sicuramente.» Papà mi guardò compiaciuto. Per lui era davvero importante quella donna, e avrebbe fatto di tutto per tenersela stretta, anche sacrificare sua figlia. Beh, sacrificare forse non è il termine appropriato, ma insomma...
«Oh, mi fa piacere. La camomilla funziona sempre anche con me.» Tagliò l'arrosto e mi diede la mia porzione. Mi strinse la spalla affettuosamente e sorrise mormorando un complimento che non sentii, persa nelle mie congetture mentali.
Come aveva fatto quella donna oggettivamente gentile e garbata a partorire quel rifiuto umano? Come?
Forse aveva preso dal padre. Sì, il padre doveva essere un cinghiale.
«Se ne volete ancora ce n'è per tutti.» Aiutai Betty a servire l'insalata. Non mi sembrava giusto starmene con le mani in mano, specialmente perché non avevo intenzione di lavare i piatti.
«A me no.» Disse Johnny quando arrivò il suo turno. Annuii e passai a papà, ma Betty me lo impedì, riprendendo suo figlio.
«Come no? Mangiala, Johnny, è buona e ti fa bene.» Tornai con le pinze di plastica sul piatto di Johnny, che rifiutò ancora, guardandomi storto.
«Ho detto di no, sei sorda?» Disse rivolto a me.
Rimasi a fissarlo, indecisa se sorvolare o infilzargli le pinze nel naso.
Guardai mio padre e Betty, con un'espressione che parlava da sola: Ma lo vedete? No, dico, lo vedete? Poi dite che sono io!
Nessuno e dico nessuno proferì parola per prendere le mie difese. Così servii papà e Betty e mangiai in silenzio. Johnny ticchettava la forchetta sul tavolo, mettendo a dura prova i miei nervi. Infilzavo le foglie di insalata immaginandovi la sua faccia, e le masticavo con altrettanta veemenza.
Poi ripensai alle parole di Bianca.
Io ero una brava ragazza. Avrei fatto la brava ragazza. Niente parolacce, niente risposte acide, niente di niente.
Almeno ci provo. Poi, nel caso, ci sono sempre le pinze per l'insalata.

«Papà, posso parlarti un momento?» Johnny era uscito con degli amici e Betty stava lavando le stoviglie.
Mi avvicinai al divano e mi sedetti accanto a mio padre.
«Papà... perché deve dormire in camera mia? Voglio dire, non hai paura che mi veda nuda o cose del genere? O che provi a violentarmi mentre dormo? No?»
Papà rise e mi guardò come se fossi stupida. «Iz, siete fratello e sorella.»
«Fratellastro e sorellastra. E voi non siete nemmeno sposati. Quello può fare quel che gli pare.» Provai a farlo ragionare.
«Io mi fido di lui.»
Okay, solo io avevo un padre così. Solo io. Dov'erano finiti i genitori apprensivi e opprimenti che non ti lasciavano sola nemmeno col tuo migliore amico?
Erano finiti con l'aver resettato il cervello, dalla modalità "papà" alla modalità "compagno perfetto". In realtà anch'io sapevo che Johnny non avrebbe mai osato toccarmi... ma insomma, non esisteva anche la violenza psicologica? Nessuno pensava alla mia povera psiche?
«C'è qualche problema?» Betty si impicciò subito. E papà ovviamente non riusciva a tenersi un cecio in bocca nemmeno a spararlo.
«Izzie non vuole dormire con Johnny.» Beh, se non altro non aveva detto "Izzie ha paura che Johnny la violenti".
«Oh, ma non preoccuparti! Johnny è tranquillo... non russa nemmeno!» E certo, è suo figlio, non potrebbe mai essere sgarbato!
«Sì, ma...» Provai a protestare.
«Sai, non ha ancora superato del tutto la paura del buio. Non ha mai dormito da solo.»
La notizia mi fece illuminare d'immenso. Johnny aveva paura del buio? Hahahahahahahaha.
«E ha anche paura dei clown.» Rise la madre, in vena di confidenze.
«Allora se mi travestissi da clown e lo attaccassi di notte gli verrebbe un infarto?» Domandai, serafica.
Betty e papà mi guardarono storto. «Stavo scherzando!» Ridacchiai e me ne andai in camera.

Avevo preso sonno. Sì, nonostante avessi dormito più di sette ore la stanchezza non mi aveva abbandonato ed ero riuscita a prendere sonno. L'ultima occhiata alla sveglia impresse nella mia mente i due zeri che segnavano l'inizio del nuovo giorno.
Ma non poteva mica andare tutto liscio.
Stavo sognando di Michael Jackson che mi invitava a ballare. Eravamo al centro della pista, illuminata da una debole luce blu, tutte le ragazze mi guardavano invidiose e lui stava per baciarmi, stava proprio per baciarmi quando la porta del locale sbattè facendo sussultare tutti dallo spavento. Cercai di riacchiappare Michael che si era distratto, ma ecco che un'altra porta si chiuse bruscamente, e un'altra ancora, e una luce forte ci accecò tutti...
«Che ci fai ancora sveglia, ragazzina?»
Mi coprii gli occhi con le mani, tentando di afferrare l'ultimo ricordo di quel sogno meraviglioso. Johnny aveva acceso la luce e stava cercando qualcosa nei mobili della stanza, sbattendo le ante come se niente fosse. Quando gli occhi si abituarono alla luce gialla, ne aprii uno per guardare la sveglia, che segnava l'una meno venti.
«MASEIUNIMBECILLEOCOSA?!» Saltai giù dal letto furiosa come una belva. Lo raggiunsi e gli diedi uno spintone sul petto, facendolo indietreggiare di qualche centimetro.
Lui alzò le mani e provò forse a fare lo stesso, ma lo fermai minacciandolo di urlare. «Non mi toccare, animale!»
Non gli diedi il tempo di rispondere, partii in quarta e se avessi potuto avrei sputato veleno su quella faccia da schiaffi.
«Ma sei proprio un cretino, eh?! Arrivi a l'una di notte, accendi la luce, fai un casino assurdo... ma dove stai, allo zoo? Ti ricordo che non vivi da solo, anche se dovresti, essere inutile e indegno, e per quanto tu possa fregartene degli altri esiste una cosa che si chiama rispetto, e non mi interessa se non sai cosa significa, vorrà dire che lo imparerai, altrimenti col CAVOLO che ci dormi nella mia camera, hai capito 
brutto infame asociale?!»
Terminai il mio sermone e nel deglutire sentii un forte bruciore alla gola: avevo parlato a voce ragionevolmente bassa per non fare troppo rumore ma ci avevo messo la stessa foga con la quale avrei altrimenti urlato.
Avevo il fiatone e la testa che girava. Mi ero alzata di scatto ed ero ancora mezza intontita per il sonno.
Ci guardammo in cagnesco per parecchi minuti. Fortunatamente la camera di papà era dal lato opposto della casa, dovevamo fare proprio un gran chiasso per riuscire a svegliarli.
Fondamentalmente Johnny non aveva dato fastidio a nessuno. Solo a me.
Alzai le sopracciglia per invitarlo a rispondere ma lui si girò e continuò ad aprire gli armadi.
«Mi potresti gentilmente dire che s-»
«Mi potresti gentilmente dire dove cazzo è il mio pigiama in mezzo a questa spazzatura e potresti altrettanto gentilmente stare un po' zitta? Mi fa male la testa, lasciami in pace.» Mi fece il verso, accompagnando il tutto con una smorfia arrogante.
Risi.
Sì, perché non potevo fare altrimenti. Cedetti a una risata isterica e mi affacciai nell'ultimo mobile che lui aveva aperto. Tirai fuori il suo pigiama e chiusi l'anta in fretta, sperando di chiudergli le dita dentro. Purtroppo lui fu più rapido di me.
Gli tirai il pigiama in faccia. «Spazzatura ci chiami la tua di roba, stronzo.» Mi morsi la lingua. Niente parolacce. Niente parolacce.
«Come no. I vestiti di mia nonna sono più alla moda.» Non raccolsi la provocazione e tornai al mio letto.
«Vatti a lavare che puzzi come uno scaricatore di porto.» Simulai un conato di vomito. Lui mi ignorò totalmente e se ne andò in bagno sbattendo la porta.
Non era nemmeno capace di spegnere la luce. Pure la coda aveva, pure la coda!
Strinsi i pugni e mi buttai col viso nel cuscino, per soffocare l'urlo che non riuscii a trattenere.
Lo scrosciare dell'acqua della doccia mi fece calmare un po', e ripresi a respirare a un ritmo lento e regolare. Sperai che almeno, riaddormentandomi, sarei riuscita a continuare il sogno interrotto.
Di sicuro avrei iniziato a praticare la boxe, pensai, se le cose non fossero cambiate. Almeno per sfogarmi, e che cavolo.
«Billie Jean is not my lover... she's just a girl... mh-mh I am the one...» Johnny canticchiava le parole della canzone di Michael, cercando di imitare il suo tono di voce. Non ci arrivi nemmeno lontanamente, ciccio!
Sentii il suono dell'interruttore che veniva spento e un secondo dopo Mister Simpatia fece la sua comparsa in camera.
Accese la luce e io imprecai silenziosamente. «Non ce la fai proprio a non dare fastidio, eh?»
«No.» Rispose semplicemente. Alzai lo sguardo e quasi mi caddero le braccia.
«Tutto quel casino per un pigiama e alla fine dormi in mutande?! Oh, Dio, dammi la pazienza...»
Lui trattenne a stento una risata, guardandosi i boxer e la canottiera bianca, e rimise a posto il pigiama. Almeno quello.
Notai che non si era asciugato i capelli. Li portava piuttosto lunghi, gli sarebbe venuto un raffreddore, come minimo.
«Non ti sembra un po' esagerato andare a dormire mezzo nudo e coi capelli bagnati?»
Lui sbuffò mentre si sistemava sotto le lenzuola. «Ma non ti spegni mai?»
Spalancai la bocca, indignata. Gli volevo fare un favore e risparmiargli un malanno, e lui... ma vai a cogliere, Johnny, vai!
«La luce.» Gracchiai, sospirando. 
Per la prima volta mi ascoltò senza dire nulla. Non che gli costasse chissà che. Aveva allungato il braccio di una decina di centimetri oltre il letto e l'aveva spenta.
«Hai altro da dire? Posso dormire?»
POSSO DORMIRE? Tu mi hai tenuta sveglia fino alle due di notte, o quasi, e mi chiedi se PUOI DORMIRE?
Dio onnipotente, davvero, io non vorrei ucciderlo, ma...
«Dormi. E muori nel sonno, possibilmente.» Borbottai. Poi sorrisi e ripresi a parlare: «Se il buio ti fa troppa paura posso tenerti la mano.» Cercai di trattenere una risata ma degli sbuffi mi tradirono.
Lui mi mandò all'altro paese - non nel modo fine in cui lo facevo io, ovviamente - e si girò dal lato opposto, dandomi la schiena.
«Notte.» Biascicai, ancora ridendo.
Finalmente un po' di pace.






Bene. Salve! Come state? Io sono in piena crisi, le vacanze stanno per finire e mi aspetta un mese di torture prima dell'esame. Spero di riuscire ad anticiparmi con la scrittura...
Il capitolo è corto, lo so. I prossimi saranno più lunghi, promesso.
Dunque dunque. Come si vogliono bene, vero? Però hanno già qualcosa in comune, anche se non se ne sono resi conto... lui, il Re del Pop! La storia è ambientata nel duemilanove, anno della sua morte. E' una specie di tributo, a modo mio.
Voi avete fratelli o sorelle che non sopportate?

Un abbraccio,
Sara.
   
 
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