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Autore: Piccolo Fiore del Deserto    26/04/2011    1 recensioni
Quale gioia per una giovane madre apprendere di essere rimasta incinta. Un figlio che si sviluppa dentro di me, una nuova vita così legata alla tua, un nuovo individuo da proteggere e da amare sin dai primi istanti.
Avevo ventitre anni quando il medico mi disse che aspettavo il mio primo bambino.
Ma non potevo sapere che quasi al termine della gravidanza, un errore umano avrebbe sgretolato in mille piccoli pezzi, impossibili da ricostruire, la fonte della mia felicità.
[...]Bisogna imparare sempre dagli errori del passato, per non ripeterli nel presente.[...]
26 Aprile 1986 - 26 Aprile 2011. Un omaggio/ricordo a quel tragico evento.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Impossibile Dimenticare






Quale gioia per una giovane madre apprendere di essere rimasta incinta. Un figlio che si sviluppa dentro di me, una nuova vita così legata alla tua, un nuovo individuo da proteggere e da amare sin dai primi istanti.
Avevo ventitre anni quando il medico mi disse che aspettavo il mio primo bambino.
Ma non potevo sapere che quasi al termine della gravidanza, un errore umano avrebbe sgretolato in mille piccoli pezzi, impossibili da ricostruire, la fonte della mia felicità.




Yelena è tornata di fronte alla sua casa, come ogni anno, nel giorno del ricordo.
Non è sola. Altre persone si ritrovano su quelle strade ormai deserte e lasciate di nuovo alla natura, che incontrastata è tornata a prendere ciò che è suo.
Non possono rimanere troppo, il pericolo non è cessato, ma non riescono neanche a non adempiere a quello che ormai sembra essere diventato una sorta di rito al quale è difficile non partecipare.
I loro volti sono scavati, come se il dolore fosse tornato con violenza; i loro occhi sono umidi, pronti a far affiorare di nuovo quelle lacrime difficili da trattenere.
Quella che un tempo era la loro città, ora è un deserto in cui le radiazioni ancora rischiano di fare del male.
Yelena non ha paura.
Yelena ha già perso tutto.
A lei hanno già fatto molto male.
Il terrore è scomparso dal suo cuore, la paura dai suoi occhi. La tristezza riaffiora ogni volta, ma è facile da trattenere.
La rassegnazione ormai alberga in lei unita, però, alla speranza che le nuove generazioni non commettano gli stessi errori del passato; che altre vie vengano prese, ora che le scoperte sono avanzate, ora che è possibile ragionare e comprendere le cose, le informazioni, le tragedie quando ancora non è troppo tardi.
Yelena sospira, guardando la sua modesta casa dove un tempo era felice e sognava un futuro pieno di gioia accanto al suo uomo e al bambino che portava in grembo.
Ora non è rimasto che un involucro di ricordi. Una costruzione decadente che rimane in bilico tra la morte e la vita, così come ogni cosa in quel luogo.
Sembra di essere in un luogo in cui la realtà e l’altro mondo si congiungono.
Quella che un tempo veniva chiamata “città dei fiori” ora l’appellano “città fantasma”.
Il passaggio dalla vita alla morte. Qualcosa che ha vissuto anche lei nel suo cuore.
Non si muove. Sembra essersi fossilizzata dinanzi alla sua casa ma, dopo poco, volta lo sguardo verso l’involucro ormai pericoloso che dovrebbe proteggerli da un’ulteriore fuoriuscita di radiazioni.
Lo fissa ininterrottamente per qualche minuto, mentre una sola domanda, una sola parola compare come una luce nella sua mente piena di ombra: Perché?

Un tocco sulla spalla la spinge a girarsi, ma non sobbalza. Chi ha perso tutto, riesce a non lasciarsi prendere troppo dalla paura.
Osserva Irina, un’anziana signora con gli occhi umidi, che la guarda con comprensione, prima di dirle di andare.
Il tempo è finito.
Non è una visita di piacere, una sorta di turismo come quello che le persone curiose, o malsane, vogliono fare in quel luogo. No, il loro è un ritorno ai ricordi, perché nulla va dimenticato, soprattutto le catastrofi.
Bisogna imparare sempre dagli errori del passato, per non ripeterli nel presente.
Yelena lo ha imparato, ma quante persone riescono davvero a comprenderlo?
Annuisce lievemente con il capo ad Irina e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo verso la sua casa, si appresta a seguire il resto del gruppo all’uscita.
Prima di andarsene, una volpe le attraversa la strada, spingendola a fermarsi un poco.
La fauna e la flora sembrano aver occupato quel posto ormai lasciato dagli umani.


Yelena ora è sola.
C’è un altro deserto da affrontare, prima di tornare alla vita.
Un altro luogo dove la morte risiede.
Il cimitero è pieno di lapidi, molti i morti da quel terribile giorno in cui accadde il disastro nucleare peggiore della storia.
Ma tra le tante, ce ne è una bianca, dove è facile notare il volto di un neonato.
Una mano scende rapida a sfiorare quel volto sereno, quei piccoli occhi che sembrano osservare il mondo con confusione e meraviglia, e quella testa troppo grossa per un bambino di appena un giorno…
Una lacrima scende dai suoi occhi. Dinanzi a lui non riesce più a trattenersi.
Il suo bambino. Il suo piccolo angelo innocente.
La sua fonte di vera gioia.

Una gioia sgretolata per colpa di uno stupido errore umano.




26 Aprile 1986

È notte quando Yelena sente il piccolo muoversi dentro di lei, dandole un calcio. Si sveglia di colpo, impaurita, prima di sorridere all’irruenza del suo bambino.
Sarà un piccolo calciatore, pensa tra sé.
Dopo poco torna a dormire, tranquilla, pensando a quando potrà tenerlo finalmente tra le mani.
Yelena, come tutti gli altri abitanti di Pripyat, non immagina minimamente che quella notte, a seguito di un test privo di sicurezze nella centrale nucleare adiacente alla città, è fuoriuscita una nube radioattiva i cui venti hanno trasportato nei territori vicini.

Al mattino Yelena si sveglia tranquilla, come il resto della città.
La vita riprende nella sua solita routine, come una ruota che gira senza sosta.
C’è chi addobba la piazza per la festa imminente del primo maggio, chi controlla con sguardo vigile i bambini che giocano felici nei cortili, e nulla lascia presagire eventi tragici.
In fin dei conti, dall’alto tutto tace.

Ben trentasei ore dopo l’incidente, una serie di autobus giungono a Pripyat. Tutti vengono invitati a lasciare le loro cosa a gran velocità.
Yelena, come il resto della popolazione, non riesce a prendere che poche cose, prima di seguire il marito in uno degli autobus.
È spaventata e confusa, ma gli stessi sentimenti si scorgono nei visi degli altri passeggeri. C’è chi chiede ai militari se e quando potranno tornare nelle loro case; la risposta sembra essere positiva, anche se non accadrà presto…
… ma non sanno che il presto si tramuterà in mai.
Yelena si stringe al marito e posa una mano sul pancione, come se volesse proteggere il suo bambino ed essere, allo stesso tempo, protetta dal suo amato.
Dal finestrino osserva Pripyat farsi via, via, più lontana, fino a trasformarsi in un puntino e poi… il nulla.

Un mese dopo Yelena è in ospedale.
Suo figlio sta per nascere e il suo cuore sembra impazzire dall’immensa felicità.
Presto potrà tenere il suo esserino tra le braccia, quel bimbo tanto amato e voluto.
Il parto non si presenta facile; i medici propendono per il cesareo.
Yelena avrebbe voluto un parto naturale, ma cede per amore del suo bambino, in fondo per lui farebbe qualsiasi cosa.
Ora tutto procede con più tranquillità, fino a quando il piccolo viene alla luce, urlando il suo saluto al mondo.
Ma il mondo non è stato carino con lui, e ciò si nota negli sguardi seri dei medici e in quelli spaventati delle infermiere.
Laddove dovrebbe esserci gioia, c’è paura e sgomento, oltre a un’insolita tristezza.
Il mondo è stato crudele con lui, infierendo su quel suo piccolo e povero corpicino.
Yelena lo guarda e lo shock la fa rimanere senza parole.
Vede crollare tutti i suoi sogni e la sua gioia.
Guarda quella testolina deformata e non riesce a reprimere un urlo: non di paura, ma di pura rabbia contro il mondo, contro quegli uomini e i loro stupidi test nucleari che hanno reso il suo bambino malformato.
Passato quel primo momento di sconforto, l’amore materno subentra e Yelena tende le braccia verso la sua creaturina. Lui, seppur malformato, è suo figlio, il sangue del suo sangue, parte di lei.
Lo stringe con delicatezza a sé, accarezza quella testolina troppo grande per un neonato e lo bacia.
Calde lacrime escono dai suoi occhi, mentre coccola il suo primo e unico figlio, a cui ripete spesso parole magiche come a volergliele imprimere nella mente e nel cuore.
“Ti voglio bene.”



Mikhail non riesce a superare la prima settimana di vita.
Yelena non riesce a credere che il suo bambino sia  morto.
Per molti giorni smette di parlare e di mangiare, se non quel poco per non seguirlo nella morte.
Con il tempo riesce a emergere da quell’oscurità che l’ha avviluppata con forza, grazie all’amore immenso di suo marito e dei suoi familiari.
Tuttavia prende la decisione di non provare più ad avere figli.
Altre donne sono rimaste sterili o hanno perso i loro figli dopo le prime settimane di gravidanza; altri bambini sono nati con malformazioni ben più gravi del suo piccolo.
Non vuole più rischiare. Non è giusto far soffrire un bambino.





26 Aprile 2011

Venticinque anni sono passati ma c’è chi ancora grida ad alta voce di creare nuove centrali nucleari, perché esse sono il futuro per il mondo.
Ma queste cose possono essere comprese, forse, solo da chi ha affrontato di persona un evento tragico come Chernobyl, o da chi è particolarmente sensibile e di mentalità aperta da ascoltare, guardare, informarsi prima di parlare.
A persone come Yelena, lo scoppio della centrale nucleare, e la conseguente fuga di radiazioni hanno ucciso l’unico figlio che tanto desiderava ma anche la sua stessa vita e il suo futuro.
Per lei il nucleare è un passato difficile ancora da accettare. Un passato che si deve comprendere per non compiere ancora gli stessi errori.

Yelena, sola davanti alla tomba del suo bambino, gli dona un ultimo saluto mentre il giorno volge al termine.
Solleva lo sguardo verso il cielo; all’orizzonte il sole sta tramontando, lasciando sfumature che tendono dal rosso al violaceo.
Guardandolo sorride lievemente, confidando nella tenue speranza di un futuro migliore per tutti.







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Un piccolo omaggio-ricordo a un evento tragico avvenuto a Chernobyl esattamente nella notte tra il 25 e il 26 aprile del 1986.
Non ero ancora nata, ma mancavano pochi mesi alla mia nascita, e seppur l'abbia scoperto più tardi, questa tragedia mi è entrata nel cuore ed è impossibile dimenticare. Come poterlo fare, in fondo?
Non sto a dire troppo sul discorso Nucleare, perché non è questo il luogo dove parlarne, ma quello che penso a riguardo si riflette anche nella storia.

I nomi e la vicenda sono tutti frutto di fantasia, seppure bambini malformati siano nati realmente a causa di quelle maledette radiazioni.
Pripyat, come saprete, era una città adiacente alla Centrale. Un tempo veniva chiamata Città dei Fiori - come ho scritto anche nella storia - ora viene vista come una vera e propria Città Fantasma.

Che dire. Non so neanche se l'ho scritta bene, ma questi sono i casi in cui non bado molto all'aver scritto tutto perfetto. Sono storie che nascono dal cuore e vogliono essere una sorta di omaggio a eventi tragici che non dovrebbero più ripresentarsi.

Tutto qui. Ho già detto troppo.
   
 
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