Capitolo 13
Quella sottile linea di
confine.
Compromettente.
Sì, era decisamente la
parola più azzeccata in quel momento. Compromettente.
Perché lo era, compromettente, farsi scoprire dal
padrone del locale a scambiarsi effusioni con la Kobayashi, vero? Soprattutto
quando quello, ridacchiando divertito, ne era uscito con un "Hisashi, va bene che sei venuto anche quando
non dovevi, ma se ti serviva un posto per limonare potevi chiederlo
tranquillamente: ho giusto di sopra una camera con un bel matrimoniale, eh?",
il tutto condito da una strizzata d'occhi.
Il primo pensiero del
cestista, in quel frangente, fu solo uno, e anche azzeccato, probabilmente. Era
più che sicuro, infatti, che lo zio di Akira avrebbe raccontato la scena al
nipote - e come non avrebbe potuto, d'altronde, se insieme quei due erano
peggio di due comari di paese? - ed era altrettanto sicuro del fatto che il
molto Porco e poco Spino gli avrebbe menato le palle fino allo sfinimento. E se
gli avesse spaccato il muso, al padrone, cosicché non potesse parlare?
No, era compromettente anche quello: non aveva
voglia di perdere anche il lavoro. Ma poteva benissimo spaccare il muso al suo
migliore amico se questo si fosse rivelato troppo rompicoglioni. Sì, poteva
funzionare!
Kiyo gli riservò
un'occhiataccia, vedendolo assorto mentre fissava la porta dalla quale il
signor Watanabe era sparito fischiettando. «Che c'è, mediti fuga?», gli chiese,
infastidita e arrossata per l'imbarazzo.
Quello si risvegliò dal
coma e le regalò un sorrisino mascalzone che le fece perdere un paio di
battiti. «Sì, e indovina? Magari posso accogliere l'offerta di Watanabe-san e
fuggire in camera da letto con te!». Non voleva essere serio, con quella
battuta, era solo una stupidaggine buttata lì per smorzare un po' di tensione e
imbarazzo. Allora perché quella stupida gli aveva dato uno spintone e l'aveva
mandato a quel paese senza nemmeno passare dal via?
«Ehi! Che diavolo ti
prende ora?», esclamò scocciato, afferrandola per un polso e fermandola. «Sei
un'isterica quando ti comporti così».
«Isterica io? E tu sei
un animale!», rispose lei, scansandolo. «Possibile che non riusciate a pensare
ad altro voi uomini?». Tutto ciò che lui le diede in cambio fu un'occhiata
attonita. «Possibile che stare con una ragazza implichi forzatamente il sesso?».
Hisashi si passò
stancamente una mano sul viso, mentre quella lo lasciava solo, prendendo il suo
silenzio come un segno affermativo. La seguì fin fuori il locale, mordendosi
più volte la lingua per non sbottare davanti ai clienti; i suoi amici e la
madre li seguirono con lo sguardo, perplessi e preoccupati.
«Ti senti quando parli?»,
le chiese, incrociando le braccia. «Parti in quarta e non dai neanche il tempo
agli altri di ribattere».
Kiyo si fermò, ma rimase
di spalle. Non voleva dargli la soddisfazione di vederle gli occhi lucidi.
«Che c'è, hai perso
l'uso della lingua d'un tratto?», disse sbuffando Hisashi. «Potevi tacere poco
fa, invece di ora, Isterica».
«Smettila di chiamarmi isterica!».
Mitsui sollevò un
sopracciglio, nel sentire quel tono così... isterico, non c'era altra parola
migliore di quella. «Continuerò a chiamarti così finché non mi spiegherai che
ti è preso e finché non la smetterai di darmi contro per qualsiasi cosa. Non
conosci il significato di "ironia", forse?». Le si parò davanti e la
costrinse a guardarlo. Si stupì molto quando vide le lacrime bagnarle il viso.
«Ehi, mi dispiace di averti fatta piangere, ma non volevo offenderti. Stavo
scherzando».
Quella borbottò qualcosa,
asciugandosi gli occhi con le maniche della giacca. «Sei un idiota».
«E tu sei acida. Dovrei
portarmi a letto un'acida isterica, secondo te?». L'occhiata fulminante che
quella gli lanciò ebbe il potere di farlo ridacchiare. «Deve aver fatto proprio
un bel lavoro quel tuo ex, se arrivi a non fidarti di nessun ragazzo».
«Oh, non immagini
quanto», rispose quella, chiudendo gli occhi e premendosi le tempie con due
dita. Mal di testa in arrivo, perfetto. Quando li riaprì Hisashi era
terribilmente vicino al suo viso, tanto che nel vedere la sua cicatrice sul
mento ebbe quasi l'istinto di sfiorargliela - con i polpastrelli o con le
labbra?
«Ti prometto che se
dovesse capitare di trovarmelo tra i piedi gli farò pagare tutto con gli
interessi e i danni morali, ok?», le sussurrò in un orecchio,
solleticandoglielo con le labbra.
«E io ti staccherò la
testa a morsi se dovessi metterti nei guai».
Lui sorrise, malizioso.
«Oh-oh, ti preoccupi per il nemico?».
«Deficiente».
«Isterica».
«Chiamami nuovamente
così e inizierai a cantare come una soprano, perché ti avrò staccato le palle
con un calcio».
Hisashi scoppiò a
ridere, mentre lei lo spintonava via e gli voltava ancora le spalle.
Questa volta per
nascondere l'ombra di un sorriso.
«Ah, meno male hanno
fatto pace! Su, giovine, sgancia i soldi! Ho vinto io, poiché sono proprio un
geniaccio delle scommesse!», sbraitò Hanamichi, mentre gli altri lo maledicevano
in tutte le lingue del mondo per aver fatto saltare la loro copertura.
«Hana, sei una
lavandaia», asserì Hime, uscendo dal suo nascondiglio e scuotendo il capo
mestamente, mentre Nobunaga tentava di darsela a gambe quatto quatto pur di non
dover pagare quel disgraziato - che però se ne accorse prima e lo sedò con una
bella testata, mandando in fumo tutti i suoi buoni propositi e quel poco di
materia grigia che gli era rimasta nel cranio. Lui, che sperava veramente che
quella ragazza gli stracciasse le palle a calci, accidenti a lei e alle sue
parole vane! Aveva perso più di mille yen!
«Non crediate che questa
bravata resti impunita, maledette scimmie», fece Hisashi, tornando a lavoro. «È
proprio vero il detto: Dio li fa e Dio li accoppia».
«Anche se sarebbero da accoppare», concluse Kiyo, trucidando i
due con lo sguardo. L'unica che trovò la scena divertente, ovviamente, fu Hime,
che contagiò subito dopo anche la signora Tamaki, uscita subito dopo,
incuriosita.
*
«Ohi, quant'è che manca
all'inizio dei Campionati?», chiese Mito, ficcandosi una mano in tasca e
l'altra a reggere la cartella, sulle spalle.
«Due settimane... non
vedo l'ora!», rispose una saltellante Hime per il gemello, che stava
sbadigliando con le fauci spalancate, distrutto dal sonno.
Lunedì era arrivato per
tutti, dopo un fine settimana carico di novità, qualificazioni e risse. Sì,
risse con tanto di cerchio di persone a fare il tifo - chissà di chi si
trattava? Nobunaga, infatti, si era rivelato un gran taccagno attaccato alla
pecunia e non aveva voluto dare la somma in palio a Hanamichi, dicendo che la
scommessa non era valida; le scuse che tolse fuori come un coniglio dal
cappello furono molteplici, una peggio dell'altra: non gli aveva stretto la
mano, non aveva mai detto di scommettere veramente ma la sua era più una
supposizione che altro... fino ad arrivare alla goccia che fece traboccare il vaso.
Veramente all'inizio io me medesimo avevo detto che avrebbero fatto pace, ma tu sei talmente rincoglionito che probabilmente quei capelli rossi ti
hanno mangiato il cervello.
Immediata era arrivata
la risposta.
Maledetta Scimmia Spelacchiata! Sei tu quello con i capelli
lunghi! I tuoi vivono una vita propria, idiota!
Hime non aveva fatto in
tempo a dire una preghiera a Buddha che quei due avevano già iniziato a
suonarsele di santa ragione.
Ebbene, il lunedì era
arrivato per tutti, così come stava arrivando una furia in bicicletta che
rischiò di investire qualsiasi cosa respirasse e che avesse la malaugurata
sfiga di trovarsi sulla sua direzione.
«Dovrebbe seriamente
farsi controllare quei freni», disse Yoehi, corrugando la fronte.
«Tra lei e il Volpino non
saprei chi sia meno pericoloso su due ruote», commentò Hanamichi.
Manco detto e il rossino
si ritrovò gambe all'aria e una ruota di bicicletta ficcata tra le natiche. Il
viso gli divenne cremisi peggio dei suoi capelli, per poi tendere ad una
colorazione più violacea. Se fosse per il dolore o per l'affronto Hime e Yoehi
non osarono chiederlo, ma era altamente probabile che tra poco sarebbe
scoppiato peggio di una pentola a pressione.
Due secondi più tardi si
scatenò l'inferno su Kanagawa.
Hime e Yoehi si
defilarono immediatamente, ormai consci che non sarebbero riusciti a risolvere
le cose con le buone maniere. Sana era appena scesa dalla sua bici e, sistemata
la chitarra sulle spalle, aveva aperto la borsa di scuola e ne aveva tolto
fuori un mazzo di volantini colorati, distribuendoli ai passanti.
«Buongiorno Nacchan! Ti dai al volantinaggio, ora?», la salutò Hime,
con un sorrisone da orecchio a orecchio.
Quella ricambiò,
sospirando poi avvilita. «Mia zia mi ha incastrata con un concerto di fine
anno. Stiamo cercando dei buoni membri per il gruppo che suonerà, speriamo di trovare
qualcuno. Tu sai per caso se qualche tuo amico suona?».
Hime ci pensò su un
attimo, guardando pensierosa il suo amico. «Credo che uno dei due gemelli abbia
a che fare con la batteria, ma non saprei. Potresti chiederlo a loro, dato che
sei nella stessa classe». Poi schioccò due dita, fulminata. «Ora che ci penso,
Ryota strimpella con il basso... il che è un po' il colmo, a dir la verità».
«Il Tappo suona il basso?!»,
esclamò Hanamichi ammaccato dalle botte con il suo miglior nemico, ora
inginocchiato e piegato in due da una risata sguaiata, con le lacrime agli
occhi. «Questo è troppo anche per me! Ahaha!».
Le due donzelle
dovettero ricorrere a tutto l'autocontrollo di cui disponevano pur di non
scoppiare a ridere davanti al diretto interessato, appena sceso dalla moto con
la sua bella Ayako.
«Ehi, che diavolo ha da
ridere questo idiota?», chiese Miyagi, osservando perplesso il suo amico. In
risposta Hime prese sotto braccio Sana e, con la scusa di aiutarla con i
volantini, si dileguò, trascinandola via.
«Comunque, perché io non
sapevo niente di questo concerto?», domandò poi la Sakuragi, leggendo il
contenuto di un volantino arancione.
«Perché è ancora tutto
campato in aria, ma conoscendo mia zia sono sicura che si farà».
«Ma è un concerto retrò!
Ah! Non vedo l'ora!», strillò entusiasta la rossa, trapanando un timpano
all'amica. «Devo convincere tutta la squadra a venire e a travestirsi, ci sarà
da divertirsi! Possono venire anche persone di altre scuole?».
Sana, nonostante tutto,
fu travolta dal suo entusiasmo. «Oh, sì, credo di sì!».
«E poi...», aggiunse
Hime, con un sorrisino malefico dipinto sulle labbra. «Il primo gennaio è il
compleanno di Ede, potremmo fargli una sorpresa!».
L'altra ci pensò un po'.
«Dici che verrebbe?».
«Oh, di questo io non mi
preoccuperei... lascia fare ai Sakuragi!». La risata della rossa fu quantomeno
inquietante, ma Sanako rise, divertita. Quella ragazza era una sagoma, non
c'era che dire.
Qualche minuto più tardi
Hime si volatilizzò alla volta del suo ex-Capitano, ben decisa a rompergli le
scatole di prima mattina; probabilmente voleva già ventilargli l'idea di
vestirsi per il concerto di fine anno, dato che lo salutò saltandogli sulle
spalle e spalmandogli il volantino in faccia per farglielo vedere.
Sana, nel frattempo,
raggiunse Kiyo, che si stava fumando la solita sigaretta mattutina prima di
entrare nello stabile scolastico.
«Sana», la salutò,
sbuffando il fumo in alto, per non affumicare l'amica. «Quelli che sono?».
«Hanno tutta l'aria di
essere volantini, Kobayashi», fu il commento sarcastico di Hisashi, che era
comparso dal nulla alle sue spalle.
«Mitsui, il tuo spirito
di patate mi stupisce ogni giorno che passa. Non è che sei troppo simpatico?».
Sanako roteò gli occhi,
divertita dal loro battibecco. «Sto cercando componenti per il concerto di fine
anno. Idee?».
I due non fecero neanche
in tempo a rispondere che Hanamichi, ancora senza fiato per le risate, si
appese alla spalla del compagno di squadra che, tra un singhiozzo e l'altro,
afferrò solo l'indispensabile per partire per la tangente anch'esso: Ryota suona il basso... il basso, capisci?!
Sana e Kiyo decisero di
lasciarli soli a crogiolarsi nelle loro risate - Rukawa avrebbe sicuramente
commentato con qualcosa simile a "Due
dementi al prezzo di uno" - e non videro che Ryota, sempre più
perplesso, iniziò a capire che il soggetto di quell'ilarità fosse lui. Perché
diavolo quegli idioti scoppiavano a ridere e riprendevano più forte solo
guardandolo?
Lo capì all'ora di
pranzo, quando raggiunse sulla terrazza mezza squadra più i seguaci di
Sakuragi, Kiyo e Sanako. Quest'ultima gli si avvicinò per chiedergli qualcosa
riguardo un concerto e appena lui ammise di suonare il basso fu la fine. E non
poté neanche fare niente per evitarlo; che fare quando una decina di persone
schiamazzava fino alle lacrime? Punirne uno per educarne cento, forse? No, non
sarebbe servito a niente, accidenti a loro. Poi un'idea gli balenò in mente e
si unì alle loro risate.
Lui era il Capitano.
*
«Che diavolo di ore
sono?», ringhiò Hisashi, col fiato corto alla prima manager.
Quella controllò
l'orologio del cronometro e ghignò. «Le sei meno dieci, Mitsui. Manca ancora
un'ora e dieci minuti prima che possiate vedere le docce, quindi torna ad
allenarti».
Quello imprecò a denti
stretti. «Quel nano maledetto, non si può neanche scherzare!».
«Lo sai che prende la
questione della sua altezza con molta serietà», lo rimbeccò Ayako, incrociando
le braccia.
«La sua bassezza, vorrai dire», puntualizzò
Hanamichi, che si beccò immediatamente un calcio nel di dietro dal diretto
interessato.
«Voi due, continuate
così e rimarrete in panchina a vita», sibilò il Capitano, gli occhi che
fiammeggiavano di rabbia e frustrazione. «Cos'è, grandi e grossi voialtri che
siete già stanchi?».
I due bisonti ingoiarono
il rospo e tornarono alle loro fatiche. Akagi, dall'altra parte della palestra,
guardava soddisfatto la scena. Aveva fatto un'ottima scelta con Ryota, non
poteva dire il contrario, pensò il Gorilla, ridendo intimamente come un
esaltato.
«Ehi Gori, puoi anche
toglierti quel ghigno dalla faccia, si vede che stai godendo come un riccio»,
disse Hime, defilandosi un attimo dall'arduo compito di allenare le matricole.
«Ci mancherebbe altro, è
anche più divertente vederlo da fuori che viverlo», disse quello. «So bene cosa
stia passando Miyagi e non lo invidio, puoi stanne certa».
«Oh, dai! Non ti
manchiamo nemmeno un pochino?», piagnucolò lei, appendendosi al suo braccio e
guardandolo con occhi supplicanti.
«Meno di zero!».
«Bugiardo!», gli soffiò
Kogure alle spalle, divertito per quel suo moto di orgoglio; sapeva bene che
non avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura che quei pazzi scalmanati gli
mancassero più di qualunque cosa – basket incluso, ovviamente.
«Hime-san! Facciamo un one-on-one così perfeziono il mio
attacco e la mia difesa?», le chiese Araki, porgendole una palla e guardandola
speranzoso. Potersi strusciare contro di lei con la scusa di giocare era
un'idea degna di un pianificatore come lui!
La ragazza strinse gli
occhi castani, esasperata. «Ho un'altra idea. Dato che non ci sarò io in campo,
perché non scegli un tuo compagno e vi allenate insieme? Anzi, mi sembra
un'ottima idea: scambiatevi a turno e vediamo che combinate».
I gemelli Shimura per
poco non scoppiarono a ridere nel vedere l'espressione di pura delusione che
comparve sul viso di Masuhiro. Era proprio senza speranza.
«Più veloci, forza!», gridava
intanto Ryota, battendo le mani. «Hanamichi, muovi quelle gambe lunghe che ti ritrovi! Usale tu che le hai, avanti!».
«Ryo-chan! Sei uno
schiavista peggio del King-Kong!», esclamò Sakuragi. «Maledetto il tuo
inesistente senso ironico!».
«Corri, spilungone,
corri! Come se avessi il diavolo alle calcagna!», disse con un sogghigno
beffardo l'altro.
«Stai con un sadico, te
ne rendi conto, vero?», domandò Hime all'altra manager, riparandosi
preventivamente la testa rossa in previsione di una sventagliata.
Ayako ridacchiò. «No, è
solo permaloso. Come lo sono tutti in questa squadra, d'altronde».
«Non è che potresti
rabbonirlo un poco? Sai, questi animali ci servirebbero integri e possibilmente
vivi per il Campionato Invernale».
«Oh, ma ci arriveranno,
tranquilla!», disse quella, strizzandole un occhio. «È solo per oggi, lascia
che si vendichi».
«Hn,
sarà ma mi sembra che anche tu ci stia godendo. Sono circondata da sadici!».
«E tu hai appena detto
un Hn degno
di Rukawa, complimenti!». Ayako scoppiò a ridere nel vedere l'amica inebetita e
con le guance in fiamme. «Ma come sei permalosa anche tu».
«Taci», sibilò Hime,
imbarazzata. «Dovresti saperlo bene anche tu che stando una vita a contatto con
qualcuno prima o poi prendi a parlare come lui. Chi va con lo zoppo impara a
zoppicare, dice il vecchio saggio». L'occhiatina furbetta dell'altra e l'u-uh poco convinto che la manager fece
la mandarono in bestia. «Ti ho già detto che Ede è solo un amico. Capito?
A-mi-co! Non mi interessa».
«Chi non ti interessa,
Hicchan?».
Maledette siano le orecchie lunghe di Hanamichi! «Corri ad allenarti
invece che origliare i discorsi altrui, scansafatiche!», strillò con le fauci
spalancate, più rossa che mai. Quello, terrorizzato, se ne andò sbraitando come
un ossesso che anche sua sorella si era trasformata in Godzilla e che nessuno
gli voleva più bene, povero piccolo genio
incompreso.
Hime lanciò una veloce
occhiata scocciata a Kaede, ignaro di tutto e, nonostante fosse sudatissimo per
l'allenamento bestiale a cui il loro Capitano li stava sottoponendo, era
concentrato e determinato a non cedere neanche di un passo. Lui era un
campione, voleva diventare una stella nel firmamento del basket e un vero
giocatore non si permetteva il lusso di mostrare debolezze. Poche volte era
caduto e ogni volta era riuscito a rialzarsi più forte di prima. Hime ripensò a
quelle volte, a quando lo aveva sostenuto nei momenti difficili, a quando gli
aveva dato la carica per riprendersi e ritrovare lo spirito giusto e la
concentrazione; lei era sempre stata presente nella sua vita. E lui? Lui
sarebbe sempre stato presente? Ora più che mai aveva bisogno di un amico con
cui sfogarsi delle sue paure e delle sue preoccupazioni. Era lui l'amico per
eccellenza, ma era anche l'unico con cui non poteva confidarsi. Quella
situazione stava diventando insopportabile e insostenibile; e cosa peggiore:
non sapeva come uscirne incolume e senza fare danni.
«Dimmi la verità, Hime»,
le disse seriamente Ayako, in un sussurro. «Se non ci fosse quel Kiyota,
cambierebbe qualcosa?».
La ragazza socchiuse le
labbra, voltando lo sguardo quando Kaede si accorse di essere osservato. Si
spaventò a morte quando si rese conto che sì, probabilmente sarebbe cambiato
tutto.
*
Tornarono a casa alle
otto e mezza, tra una cosa e l'altra. I ragazzi si erano attardati parecchio
sotto le docce, troppo stanchi per muovere un solo muscolo e spostarsi dal quel
massaggio piacevole dato dal getto d'acqua sulle spalle.
«Sono distrutta!»,
sbuffò Hime, poggiando la testa sulle gambe del suo ragazzo, giunto a casa loro
con la sorella per stare in compagnia. «Oggi Ryota è stato incredibilmente bastardo.
Dici che se l'è presa per stamattina?».
Hanamichi tirò la testa
all'indietro contro il divano, mentre Arimi lo osservava divertita. «Probabile.
Oggi ha ricordato i tempi gloriosi dell'Era Akagi; questo è il Post-Negrierismo!»,
piagnucolò. «E comunque tu non puoi parlare, Hicchan, non hai fatto niente se
non l'allenamento con le nuove leve».
«Guarda che è sfiancante
sopportare quell'Araki!».
Nobunaga rizzò
immediatamente le orecchie. «Ancora quell'idiota? Ma devo proprio cavargli gli
occhi, allora!».
Hime ridacchiò,
stringendosi una sua mano contro il viso. «Mi faresti un grande favore, mio
cavaliere! Ma non in palestra, altrimenti devo ripulire le tracce
dell'omicidio, e sangue e parquet non vanno molto d'accordo».
«Tutto per la mia dama
preferita! Nobunaga il Prode ti difenderà da qualsiasi Puffo voglia disturbare
la tua quiete! Ahaha!», esclamò Nobunaga lo Sbruffone, facendo roteare gli occhi
a Sakuragi e ridacchiare la ragazza.
«Nobu-chan, non so
perché ma l'immagine di te su un cavallo bianco mi rende perplessa», commentò
la sorella. «Forse perché anche tu sei come un cavallo... pazzo come un
cavallo, intendo».
«No, Ari-chan, di equino ha solo la chioma, questo qui».
«Ohi, ancora con questa
storia?».
Hime gli passò una mano
tra quella testa indiavolata. «Perché non li tagli? Almeno un po', per
cambiare».
«Mi hai già fatto la
stessa domanda, una volta, e se non sei rincoglionita ricorderai bene cosa ti
ho risposto», fece Kiyota, sollevando il mento indispettito. «I miei capelli non-si-toccano».
Hanamichi si avvicinò
all'orecchio della sorellina della Scimmia, con un sorriso malizioso. «E se
glieli tagliassimo nel sonno?».
Arimi sbarrò gli occhi.
Ormai aveva capito che qualsiasi cosa dicesse quel Sakuragi avrebbe dovuto
prenderlo con le pinze, perché era altamente probabile che lui si prendesse sul
serio, se gli avesse dato un po' di troppa corda! «Ma... ma no, gli verrebbe un
infarto e io rimarrei senza fratello!».
«Appunto!», esclamò esaltato
quello, facendole scuotere il capo, nonostante tutto divertita.
«Senpai, tu sei tutto
matto!». Hanamichi si gasò quando la
vide ridere per le sue battute. Allora qualcuno lo trovava davvero divertente!
Il campanello suonò poco
dopo e Hime fu costretta a strisciare verso l'ingresso, dato che quel poltrone
del fratello non aveva nessunissima intenzione di schiodare il suo bel sodo
fondoschiena dal divano. Appena si ritrovò Kaede davanti perse tutto il colorito
del viso. Quello sguardo non prometteva niente di buono.
«Ede, che sorpresa!
Pensavo che a quest'ora fossi caduto in letargo, dopo la sfaticata di questa
sera», disse in un sorriso più falso di un Kobe Bryant che giocava nei Chicago Bulls.
«Dobbiamo parlare».
Cazzo. Kaede Rukawa che chiedeva di parlare?
La fine del mondo era
vicina.
«Certo, vieni, entra! Ci
sono anche...».
«Hn,
no, senza Scimmie nei paraggi».
La fine del mondo era terribilmente vicina.
«Ehi, Hicchan! Chi è?»,
domandò Hanamichi dal salotto.
«Ma porca miseria,
alzati, no? Che razza di padrone di casa sei?», lo rimbeccò Kiyota. Il suono di
cuscini che colpivano teste arrivò fino ai due amici.
«Prendo una giacca e
arrivo», disse Hime in un sussurro, il cuore che le batteva inspiegabilmente
troppo veloce.
Hime, è Kaede, per tutti i Kami! Calmati!
Nobunaga la guardò
appena ricomparve dall'uscio di casa e si accorse subito di qualcosa che non
andava. «Tutto bene?».
Lei sorrise,
tranquillizzandolo. «Sì, tutto bene. Mi devo assentare per un po', tornerò
presto».
Hanamichi si decise ad
alzarsi. «E dov'è che vai a quest'ora?». Appena vide Kaede poggiato contro lo
stipite della porta, vestito con una giacca in pelle nera e un paio di jeans
blu, spalancò gli occhi. «Che devi andare a fare con la Volpe, Hicchan?!».
«La Volpe?!», strillò
invece Kiyota, balzando dalla poltrona e guardando con odio il suo acerrimo
nemico.
Hime sedò tutto
diplomaticamente. «Semplice, un amico ha bisogno di me e io per gli amici ci
sono sempre. Tornerò sana e salva, tranquilli», disse ridacchiando
nervosamente. Diede un bacio sulla guancia a Hanamichi e al ragazzo,
lanciandone uno anche ad Arimi; poi seguì Kaede, preparandosi al peggio.
Perché aveva la netta
sensazione di conoscere il nocciolo del discorso che avrebbero affrontato?
Rimasero in silenzio per
tutto il tragitto, un silenzio diverso dai loro soliti. In quella quiete c'era
tensione, c'era nervosismo... e dell'altro, forse.
Kaede la portò sul lungo
mare, a quell'ora deserto e frequentato da poche coppiette che si arrischiavano
a uscire con quel venticello fresco di Novembre. Il mare era calmo e nero, a
qualche decina di metri da loro, e rifletteva la figura eterea della luna,
quasi piena. Hime si rilassò un poco chiudendo gli occhi e inspirando a fondo
il profumo della salsedine che tanto le piaceva. Le dava un senso di libertà,
l'odore del mare. Se avesse potuto scegliere cosa essere nella vita successiva
avrebbe decisamente optato per una sirena; l'idea di poter vivere un'intera
esistenza nuotando la esaltava. E poi aveva anche i capelli rossi, sarebbe
stata un'Ariel perfetta. Magari non sapeva cantare bene come lei, ma avrebbe
trovato qualcos'altro da fare, sicuramente.
Non dissero niente per
altri cinque minuti, lì, seduti sul muretto che dava sulla sabbia, ad ascoltare
il placido movimento delle onde. Poi fu Hime a spezzare quel momento idilliaco.
Per la prima volta nella sua vita non riusciva a sopportare tutto quel
silenzio.
Tentò una via scherzosa
e ammiccante, tanto per spezzare la tensione che ormai si tagliava a fette.
«Allora, mi hai fatta uscire al freddo e al gelo per portarmi romanticamente al
mare?».
«Non fare la finta
tonta, non ti si addice». I suoi occhi blu si spostarono sull'amica, che si
osservava senza particolare interesse le punte dei piedi. «Ultimamente sei
strana».
«Solo ultimamente?»,
chiese sarcastica lei. Kaede l'ammonì con lo sguardo e lei sospirò. «Non riesco
a nasconderti proprio niente, eh?».
«Hn,
no». Incrociò le braccia, in attesa, ma vide che lei non si decideva a parlare,
quindi la incalzò. «Sei fastidiosa, così, vedi di farti passare
quell'espressione o dimmi che diavolo ti prende, così te la faccio passare io».
«Oh, frasi lunghe e
articolate! Fai progressi, Ede, complimenti!».
Lui, in risposta, le
diede uno spintone, rischiando di cappottarla sulla sabbia.
«Sai, è buffo», iniziò
Hime. «Sei l'ultima persona a cui non potrei dirlo».
Kaede sembrò ferito da
quelle parole, perché sgranò gli occhi. Un gesto che gli vedeva fare solo
quando qualcuno lo stupiva durante una partita di basket.
«Non prenderla male,
Ede, davvero. Ti adoro e ti direi tutto, credimi». Lui la osservò e dal suo
sguardo Hime capì che le stava tacitamente chiedendo: E allora perché diavolo non mi parli e mi dici cosa ti preoccupa?
«Io lo so cosa hai».
La ragazza si morse un
labbro. «Oh, bene, allora questo discorso non ha motivo d'esistere».
«Riguarda la discussione
con Sanako in terrazza».
Bingo.
Quella non era una
domanda, era un'affermazione bella e buona, perfettamente ferma e sicura. Hime
fu grata alla notte e ai pochi lampioni, cosicché Kaede non potesse vederla
arrossire. «Ti ritieni così importante da crederti la causa delle mie
preoccupazioni?».
Kaede corrugò la fronte.
«Ovvio».
«Egocentrico pallone
gonfiato!», sbottò lei, riempiendo d'aria le guance e voltando lo sguardo.
Lui sospirò
pesantemente, affondando i piedi sulla sabbia e piantandosi davanti a lei; si
chinò sull'amica e poggiò i palmi delle mani sul muretto, accanto ai suoi
fianchi. «Sei strana e io voglio sapere perché», disse, deciso a non darle
possibilità di scampo. «A costo di tenerti sveglia tutta la notte».
Hime fece una smorfia.
«Di questo non mi preoccuperei. Tu che rimani sveglio con me tutta la notte non
è un fatto credibile». Appena si accorse dell'occhiataccia fulminante
dell'amico si affrettò a dire: «Ok, ok, la smetto di dire cazzate. Non
guardarmi così, però. E staccati, non starmi così addosso». Lo spintonò via,
scendendo dal muretto e allontanandosi di qualche passo. Quando lui le chiese
con lo sguardo il perché di quella reazione rispose: «Perché siamo cresciuti,
ecco perché».
Kaede la fermò per un
polso e se la spinse contro il torace, abbracciandola da dietro. Un gesto che
faceva raramente e solo per lei. Hime sospirò e chiuse gli occhi,
abbandonandosi tra quelle braccia che avevano circondato sempre e solo lei.
«Rivoglio la mia
migliore amica».
«Non se n'è mai andata,
Ede. Solo che ogni tanto ha dei momenti in cui sarebbe da prendere a schiaffi».
«Hn,
vero». Il numero 11 dello Shohoku nascose il viso tra quei capelli indiavolati
e ne ispirò il profumo. «Neanche io vado via, stupida».
«Neanche quando ti
innamorerai follemente di una splendida ragazza - dopo che io avrò ovviamente approvato?», gli chiese, con
una piccola punta di divertimento e forse gelosia nella voce.
«Non accadrà». La sentì
rilassarsi e sorridere. Ma lui non le disse che quel diniego non era riferito
all'ipotetica possibilità di sparire, un giorno; aveva già incontrato la
splendida ragazza che lei tanto temeva e non aveva bisogno di andarsene e
dimenticarla. Era lei, la sua splendida ragazza.
«Ti voglio davvero bene,
Ede», gli strinse le braccia che aveva l'avvolgevano e tirò indietro il capo,
per guardarlo in viso. Gli sorrise e, in punta di piedi, gli baciò una guancia
gelida. Lo sentì rabbrividire e subito disse: «Torniamo a casa, c'è freddo... e
tu non puoi prenderti il lusso di raffreddarti, prima donna dei miei stivali».
Kaede le pizzicò un
fianco e lei scoppiò a ridere, prendendolo per mano e iniziando a correre, come
facevano da bambini, quando lui era triste e lei voleva solo sollevargli il
morale e non fargli pensare a quella bella signora che non sarebbe mai più
tornata, ovunque fosse andata.
Il cestista scosse il
capo, reprimendo a stento un mezzo sorriso, e la osservò saltellare
all'indietro, mentre rideva allegra come quella bambina che l'aveva conquistato.
Continua...
* * *
E dopo mesi rieccomi! No, non sono morta né ho intenzione di
mollare questa faticaccia, perché ci sono troppo affezionata, tranquilli! Vi
scrivo da Siviglia, ormai sono qui da un mese e il tempo a mia disposizione si
ritaglia in poche ore dopo cena, capitemi! :/
Anyway, so già
cosa state pensando dopo aver letto questo capitolo: e ora con la Nobu-Scimmia?
L'unica cosa che posso dirvi è che avevo in mente questo piccolo
"intoppo" già prima della stesura di Wild Boys, quindi dovevo metterlo... era lì che gridava per essere
scritto. Sono curiosa delle vostre reazioni e delle vostre speranze, or ora! ;)
Spero di aggiornare entro la fine del mondo,
a presto!
Marta.
PS: vi ricordo il mio account
di Facebook che utilizzerò per gli aggiornamenti
e le novità di EFP, chiunque voglia aggiungermi è liberissimo di farlo. (: