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Autore: Stupid Lamb    11/05/2011    39 recensioni
"Mi chiamo Edward. Ho ventiquattro anni. Vivo in strada."
Mini-ff, OOC, All Human.
Genere: Dark, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun libro/film
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Nuovo esperimento/delirio

Nuovo esperimento/delirio.

Sei capitoli, ogni capitolo conta mille parole.

Posterò il giorno dopo aver aggiornato Farfalle Colorate.

Buona lettura.

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Pop Tart

 

Capitolo 1

 

Mi chiamo Edward. Ho ventiquattro anni. Vivo in strada.

A quattordici anni sono scappato dalla casa-famiglia in cui i Servizi Sociali mi hanno sistemato quando di anni ne avevo solo due.

Non ho mai conosciuto i miei veri genitori. Sapendo come vanno queste cose, suppongo che fossero due barboni come me, due drogati o, più semplicemente, due persone a cui non è mai importato nulla del proprio figlio.

Non credo di avere fratelli e sorelle. Alla casa-famiglia ci sono arrivato da solo.

Vivo a Brooklyn, adesso. Mi sono trasferito qui con Adam, il ragazzo di colore con cui ho progettato ed eseguito la fuga da Chicago. Era il mio migliore amico.

Adam è morto due anni fa per overdose. Aveva la mia età. Ventiquattro anni. Quando è morto io non c’ero o meglio, ero lì, ma ero troppo fatto per rendermi conto che stava morendo. Me ne sono accorto solo il mattino dopo, quando ho provato a svegliarlo.

Da allora non mi sono più fatto. Ho smesso anche di bere.

Ci chiamano barboni, ma la mia barba è corta. Rossastra, come i capelli. Sono alto, sono magro. Indosso sempre un vecchio cappello rosso da Babbo Natale. Mi ripara dal freddo.

 

Come fa un ragazzo come me a ritrovarsi in strada?

Facile: bisogna fare le scelte sbagliate.

Quando siamo scappati, Adam ed io avevamo in tasca duecento dollari. Li avevamo rubati dalle casse della casa-famiglia, dai dipendenti. Un dollaro al giorno, cinque dollari al giorno.

Pensavamo di essere furbi, di aver capito tutto.

I soldi sono finiti nel giro di una settimana. Fumavamo, mangiavamo, bevevamo.

Pensavamo di essere grandi.

Alla fine ci siamo ritrovati a fare l’elemosina per poter continuare a fumare. Siamo venuti a New York con l’idea di guadagnare più soldi per fumare e per bere.

Eravamo dei coglioni.

Abbiamo vissuto per due mesi in un appartamento vuoto, ma poi il palazzo è stato demolito.

Non avevamo da mangiare, ma avevamo sempre tanto alcool e tanta droga.

La gente ci scansava, e continua a farlo.

Perché dovrebbero fare la carità ad uno come me? Non la merito, e non sono neanche uno di quelli  che pensa di meritarla.

Mi vergogno nel chiedere denaro ai passanti, e mi limito ad accettare ciò che mi offrono volontariamente.

Sono stato picchiato, derubato.

Sono una fantasma travestito da Babbo Natale.

Sopravvivo e, tutto sommato, sono felice di poter aprire gli occhi ogni mattina.

 

La fila per il pranzo è lunga. Non mi stanco di aspettare, né di essere uno degli ultimi. Spero soltanto che la zuppa non finisca prima del mio arrivo.

Volendo, potrei andare ad un’altra mensa, una meno frequentata. Questa, però, è la più vicina al mio appartamento, ed è quella in cui vengono a prendere il pranzo i miei nuovi amici, Emmett e Jasper.

Sono davanti a me, adesso, ma non posso raggiungerli. Se avanzassi, gli altri mi salterebbero addosso e mi picchierebbero. Penserebbero che voglio rubargli il posto. Per questo mi limito a salutare Emmett e Jasper con un cenno del capo. Loro fanno altrettanto.

Non conosco la loro storia, non so neppure dove vivono.

Ci siamo conosciuti un anno fa, quando mi hanno protetto da due vecchi.

Una volta preso il pranzo, bisogna uscire dalla mensa con gli occhi spalancati e il cibo stretto al petto. Quel giorno ero distratto, ma Emmett e Jasper mi hanno aiutato a recuperare la frutta che avevo in un sacchetto. Sono stati buoni. Gli sono debitore.

 

Emmett e Jasper mi aspettano all’uscita. “Hai fatto la spesa?” dice il primo.

E’ quello più simpatico. Jasper è il più cupo.

“Ho preso la zuppa e le polpette. Mi hanno dato anche un pezzo di torta,” aggiungo a bassa voce.

“Sei andato dalla biondina, non è vero? E’ quella che dà le porzioni giganti.”

“Alice è la più gentile.” Jasper indica una delle postazioni, dietro la quale c’è una donna bassa con i capelli neri. In genere è molto silenzioso, per cui ogni parola che esce dalla sua bocca vale oro.

La donna dai capelli neri sembra averlo sentito, perché solleva la testa e ci saluta con un gesto della mano.

“Andiamo, Romeo,” dice Emmett, “o faremo tardi. Domani potrai tornare da Giulietta e chiederle di sposarti. Ciao, Edward. Ci si vede. Mi raccomando, occhio a quei sacchetti. Oggi non ho tempo per fare l’eroe.”

Mi dice la stessa cosa ogni giorno.

Con i sacchetti fra le braccia vado a rubare in un minimarket. E’ più facile se ho già qualcosa fra le mani. Il cappello da Babbo Natale e il mio sorriso fanno credere alla gente che sono un barbone buono, uno di quelli da non temere.

 

I sacchetti pesano, e ne sono felice.

Il mio appartamento è la stazione della metropolitana di Dean Street. La stazione è chiusa da quindici anni, ed è perfetta per me. Calda, sicura. Ogni tanto devo proteggermi dagli altri barboni che vorrebbero portarmela via, ma non posso lamentarmi.

Scendo i gradini e sposto il cancello-porta arrugginito. Le coperte sono nella stessa posizione in cui le ho lasciate tre ore fa.

Appoggio i sacchetti a terra e le sfioro i capelli. Sta dormendo. “Bella? Sono tornato, ho portato da mangiare.”

Apre gli occhi lentamente.

“Mi hanno dato anche il dolce.”

Apro un sacchetto mentre lei si mette seduta.

“Hai freddo?”

“No,” risponde. “Però ho fame.”

“Tieni.” Le do la torta. “Mi hanno dato anche le polpette di carne.”

Ci diamo un bacio sulle labbra.

“Grazie, Edward.” Si muove poco, e non posso biasimarla.

Sono preoccupato, ma lo nascondo bene.

“Più tardi andrò a cercare un materasso nuovo. Questo è da buttare.”

“Non preoccuparti, sto bene,” dice, mentre mastica velocemente.

E’ affamata. Vorrei darle molto di più.

“Ho pensato ad altri nomi,” dice ad un certo punto. “Mi piacerebbe Michael. O Patrick.”

Prende la mia mano, la porta sul pancione. “Lo senti?”

“Si sta muovendo?”

Annuisce. “Manca poco,” dice, sorridendo. “Sei felice?”

Siamo due senzatetto che vivono in strada, che rubano per mangiare. Aspettiamo un bambino.

“Sì,” rispondo. “Sono felice.”

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L’idea per questa mini ff è nata dal video degli Smashing Pumpkins per la canzone che s’intitola Try, Try, Try. Potete vederlo qui, ma vi avviso: è molto crudo. (Se invece volete semplicemente ascoltare la canzone e leggere il testo, andate qui.)

La ff non sarà altrettanto cruda ed esplicita, ma non sarà un’esplosione di fluff.

 

Grazie in anticipo a chi lascerà un commento, e grazie a Lele Cullen, che crede in me sempre e comunque.

 

   
 
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