Altro
giorno, altra telefonata. Marco aveva chiamato suo padre verso le undici del
mattino, ora in cui sapeva che il genitore poteva rispondere perché in ufficio.
-
Non sono in ufficio. – aveva detto il padre a Marco.
-
Ah… no? E dove sei, dunque? – domandò Marco, con la cornetta del telefono di
Emanuele premuta sull’orecchio sinistro.
- A
casa. Sto… ehm… sbrigando alcune faccende con una persona. – Il tono era
imbarazzato, e Marco se ne accorse. Tuttavia non riuscì a tradire una risata, e
subito il padre lo apostrofò – Ma insomma, quando ti decidi a tornare? Non è
ancora finita la visita da questo tuo amico?!? A me
serve l’auto! –
Tentato
dal dirgli la verità, Marco fece per aprire bocca e
spifferargli tutto quanto, ma si trattenne, pensando alla fattura dell’auto.
Chiuse gli occhi, cercando di filtrare tutta la preoccupazione che aveva
dentro, respirando profondamente. Il padre gli chiese cos’avesse, non perché si
preoccupasse del suo stato di salute, quanto perché poteva capire che suo
figlio stesse nascondendo qualcosa.
-
Niente, papà. Ho avuto solo un piccolo capogiro, niente di grave. –
-
Sarà meglio. Beh insomma, fai un po’ quello che vuoi, ma non rovinare l’auto! –
-
Non preoccuparti, papà… - disse, e salutando in fretta, chiuse la
comunicazione. Adesso per un bel po’ di
tempo sei sistemato. Pensò Marco, allontanandosi verso la cucina.
L’appartamento
di Emanuele era veramente molto ben tenuto. Non c’era neanche una cosa fuori
posto, e l’arredamento era anche di buon gusto. Dato che lui non c’era, decise
di fare un giro turistico.
Le
pareti erano ornate da poster di gruppi musicali, o locandine di film. Sui
mobili c’erano un sacco di gadget tipo quelli che si vedono nelle vetrine degli
articoli da regalo, ed un sacco di libri stipati in una libreria. Per lo più
romanzi di Stephen King, genere horror.
In
cucina c’era un normalissimo piano cottura con una credenza ed i cassetti,
tutto perfettamente pulito ed in ordine. Ed un tavolo ad angolo con due sedie,
il che fece pensare a Marco che Emanuele non ricevesse mai troppe visite alla
volta.
Ciò
che lo colpì maggiormente, fu la stanza da letto del giovane tassista.
L’armadio, interamente tappezzato di fotografie di ragazzetti giovani prese da
riviste, conteneva un sacco di annotazioni del tipo “mi piaci” e “ti vorrei”.
Poco lontano dal letto c’era anche una piccola scrivania con sopra un computer.
Marco lo toccò, e vide che era acceso. La schermata si aprì su Facebook. Scoprì che il suo cognome era “Ricciarelli”, che
non era nato a Milano bensì a Viterbo, che aveva fatto solo tre anni di scuola
superiore e che era nato l’undici giugno del 1982.
Incredibile la quantità di informazioni
che puoi trovare su Facebook pensò di nuovo,
chiudendo quella schermata e sentendosi attirato da una cartella del computer.
“Vittime”, lesse Marco nella sua mente. Sgranò gli occhi, impaurito.
Con un doppio click aprì la cartella e vide che conteneva un bel po’ di
cartelle. Queste cartelle a loro volta contenevano un piccolo documento di
testo e delle fotografie…
Ragazzi
bellissimi, efebici, molto ben tenuti erano ritratti nelle fotografie. Ed erano
ragazzi di ogni parte d’Italia. Marco fece un “ha” di stupore nel vederle, e si
rallegrò che anche il tassista fosse gay. Non si rallegrò più di tanto invece
quando vide la foto di una sua recente conoscenza.
Anche
Brian era stato una “vittima” di Emanuele, e le nota
esplicativa sul foglietto di testo diceva “…Ragazzo
sexy, molto dolce prima del rapporto e molto piccante durante. Pelle liscia e
sedere sodo. Veramente una bomba sexy, non è mai stanco di fare sesso.” Nel leggere quelle parole, Marco arrossì, nel sentire
che in mezzo alle sue gambe qualcosa si stava muovendo di nuovo.
Ma che cosa ti salta in mente adesso?
Non vorrai mica masturbarti qui? E poi a te questi ragazzi qui, così femminili
non ti piacciono. Piuttosto cerca di allontanarti da qui, che se quello torna e
ti becca a curiosare nel suo computer, ci fai una figura di merda!
- Sì,
hai ragione… - mormorò Marco alla sua voce interiore, quella del Marco
Pragmatico, che era in allerta più che mai. Chiuse tutte le cartelle, rimise a
posto la schermata sulla pagina di Facebook e si alzò
dalla scrivania. Passando per lo specchio vide che il suo occhio si era
tumefatto sul serio, dandogli l’aspetto di un panda. In più, non ci vedeva bene
senza i suoi occhiali, persi chissà dove mentre veniva pestato dai corridori.
Appena torna mi faccio accompagnare a
comprarne un altro paio… pensò, e si distese sul divano, a pensare quanto
fosse stato fortunato ad incontrare Emanuele. Nella malasorte, gli era andata
abbastanza bene. Solo una cosa lo turbava: quell’espressione di Emanuele alla
fine del suo racconto. Una volta tornato dal bagno il ragazzo l’aveva salutato
dicendogli che poteva stare a casa sua quanto voleva
(aggiungendo scherzosamente che non c’era nulla da rubare) e che sarebbe
tornato al massimo nel pomeriggio. Non abituato a tanta cordialità, il giovane
Marco aveva accettato non vedendo quale altra soluzione poteva adottare, e si
era disposto a passare quelle ore da solo, in casa di uno sconosciuto. Per ovvi
motivi di vista, non poteva guardare la televisione, per cui si mise a leggere
uno dei libri di Emanuele, rompendo la sua tradizionale passione per i fumetti
manga. Tuttavia, l’interrogativo sull’espressione di Emanuele rimaneva.
Chissà cosa mi nasconde…