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Autore: A Midsummer Night_s Dream    29/05/2011    6 recensioni
La vita di Isabella Swan era sempre stata oggetto d’invidia per ogni ragazza: aveva dei genitori che l’amavano sopra ogni cosa, degli amici che considerava una seconda famiglia e tutto ciò che un’ adolescente può desiderare.
Amava molto la musica e per questo era stata fin da piccola un ottima ballerina e un eccezionale pianista.
I suoi genitori amavano sentirla suonare perché in quelle note riusciva a trasmettere i suoi sentimenti facendoli arrivare dritti al cuore di coloro che la ascoltavano.
Ma si sa tutto può cambiare in un attimo e questo Isabella lo ha imparato sulla propria pelle.
Al raggiungimento della maggior età fugge da una realtà che non sente più sua, da un mondo a cui non sente più di appartenere.
Diventerà tutto quello che non era mai stata, si dimostrerà fredda e cinica verso tutti ma solo chi la conosce veramente può capire che questa è solo una maschera.
Una maschera che serve a nascondere un dolore troppo grande.
Cosa accadrà quando un paio di occhi dorati entreranno a far parte della sua vita?
Riuscirà il proprietario di queste gemme preziose ad abbattere la sua dura corazza e a far riemergere la dolce e vecchia Isabella?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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POV BELLA



Quella notte per la prima volta dopo anni ebbi un sonno senza incubi e non so se questo era legato a due occhi color ambra che avevano popolato i miei sogni.
Scacciai subito quel pensiero dalla mente e dopo essermi alzata dal letto mi diressi in bagno per una bella doccia.
Osservai la mia figura avvolta in un piccolo telo bianco allo specchio.
Ero sempre stata considerata una ragazza molto bella: un piccolo viso a forma di ovale, un naso dritto, due labbra rosse e carnose ma la cosa che più colpiva chi mi guardava erano i miei occhi.
Dei grandi occhi celesti che una volta incantavano per la gioia, la felicità, la spensieratezza che trasmettevano ma che ora trasmettevano solo tanto, troppo dolore.
Senza di loro non vi era alcuna ragione per essere felice, per sorridere perché erano loro la causa di tutto ciò.
Sorrisi amaramente ai ricordi delle nostre litigate, ero sempre stata una ragazza moto testarda fin da piccola e questo era sempre stato motivo delle nostre discussione che ben presto si risolvevano con un abbraccio di famiglia.
Non riuscivamo a non parlarci per più di qualche ora, soprattutto io, che tornavo sempre da loro scusandomi per il mio comportamento infantile.
Sentii la voragine al centro del mio petto riaprirsi e sanguinare dolorosa mentre io mi accasciavo a terra in lacrime mentre un ricordo tornava in mente.


Inizio Flashback

“Bella amore dove sei?” disse la voce preoccupata di una donna che cercava la propria bambina.
Io sorrisi divertita mentre mi arrampicavo più in alto in uno degli alberi che si trovava nel nostro giardino.
Mia madre mi aveva sempre detto di non farlo, che era pericoloso ma io ero sempre stata testarda per i miei soli sei anni così ogni suo divieto corrispondeva per me ad una cosa divertente da fare.
“Bella per favore dimmi dove sei!” continuò mia madre e solo allora mi accorsi delle lacrime che rigavano il suo bellissimo volto.
Mi sentii subito una stupida e così cercai di scendere dall’albero in cui mi ero nascosta ma in quel momento un ramo su cui poggiavo il piede si spezzò facendomi cadere rovinosamente a terra.
Renèe attratta dal rumore della caduta venne verso di me trovandomi in lacrime per la paura che avevo provato.
“Oh mio dio Bells! Piccola come stai? Ti sei fatta male?” disse avvicinandosi e stringendomi a sé mentre io venivo scossa dai continui singhiozzi.
“Bells” disse mia madre prendendo il mio volto tra le sue mani “Dimmi ti sei fatta male?”.
Non riuscivo a parlare a causa del nodo che avevo in gola così scossi la testa in segno negativo e subito mia madre mi abbracciò stretta a sé.
“Piccola ti prego non farlo più mi hai fatto spaventare!” disse in tono di rimprovero ma che subito si addolcì quando notò le lacrime scendere copiose sul mio volto “Me lo prometti piccola?”
“S-si mamma” riuscii a dire tra i singhiozzi, immergendo il viso tra i suoi capelli “Te lo prometto. Ti voglio bene mamma”
“Ti voglio bene anch’io piccola” disse stringendomi a sé, iniziando a cantare la ninna nanna che aveva scritto per me e che riusciva sempre a calmarmi.

Fine Flashback



Mi rialzai da terra a fatica procedendo verso la mia stanza trovando subito l’oggetto che cercavo.
Un piccolo carillon faceva mostra di sé sulla scrivania, lo aprii e subito una dolce melodia invase la stanza ( http://www.youtube.com/watch?v=SsgIVWKUHVU   ).
I miei genitori me lo regalarono per il mio terzo compleanno, la notte non riuscivo a dormire per la paura che un mostro entrasse nella mia stanza e mi portasse via da loro.
Mia madre dopo quella sera compose una melodia al pianoforte, era una bravissima pianista ed era stata lei ad insegnarmi a suonare, ogni volta che ascoltavo quel dolce suono il mio corpo si rilassava all’istante e tutte le mie paure si scioglievano come neve al sole.
Così i miei genitori decisero di regalarmi un piccolo carillon dove avevano inserito la mia ninna nanna, Bella’s Lullaby così la chiamò mia madre, dicendomi che attraverso quella melodia era come se loro fossero sempre con me proteggendomi da qualsiasi male.
Un sorriso piegò le mie labbra mentre la melodia giungeva al termine così come il mio pianto.
Riposi con estrema cura quell’oggetto per me di inestimabile valore al suo posto e dopo aver sciacquato il mio viso mi preparai per il mio primo giorno di scuola.


*



Mi guardai un ultima volta allo specchio ( http://www.polyvore.com/cgi/set?id=31822239&.locale=it ), sistemando meglio il cappuccio che nascondeva il mio volto.
Avevo deciso di non mostrare il mio volto per due motivi:
1 non volevo che qualcuno mi riconoscesse, ero pur sempre il capo di una delle più importanti società finanziarie, il mio volto era già comparso su numerose riviste a causa degli eventi pubblici in cui era stata richiesta la mia presenza;
2 Volevo apparire come una ragazza scostante e asociale, non avevo intenzione di stringere legami di amicizia e il mio volto coperto insieme al comportamento avrebbero allontanato da me più gente possibile.
Mi guardai un ultima volta dopodiché presi le chiavi della mia macchina e mi diressi a scuola preparandomi mentalmente ad essere il nuovo oggetto di continue occhiate e attenzioni.


*



Come previsto, appena scesi dalla macchina tutti gli sguardi degli studenti si calamitarono sulla mia figura mentre dei borbottii riempirono l’aria.


Hai visto che macchina…

Sarà la solita riccona viziata…

Perché indossa il cappuccio? E’ così brutta?

Però dal fisico non sembra niente male…


Sbuffai infastidita e a passo veloce mi diressi verso l’edificio, lasciando quegli stupidi ragazzini ai loro pettegolezzi.
Non fu difficile raggiungere l’edificio numero 3, sulla facciata est era dipinto il grosso numero nero su sfondo bianco.
L'aula era piccola.
Portai il mio modulo al professore, un uomo alto e calvo, che secondo la targhetta sulla cattedra si chiamava Mr Mason. Quando lesse il mio nome mi fissò con l'aria di chi casca dalle nuvole ma almeno mi fece sedere in ultima fila, senza nemmeno presentarmi ai miei nuovi compagni di classe. Per loro era difficile osservarmi, ma in qualche modo ci riuscirono.
Io tenevo gli occhi bassi sulla lista di letture che avevo ricevuto dal professore.
Era piuttosto elementare: Brontë, Shakespeare, Chaucer, Faulkner.
Avevo letto già tutto. Tanto bastò a tranquillizzarmi... e ad annoiarmi.
Quando si diffuse il suono nasale e ronzante della campana, un ragazzo allampanato, con qualche problema cutaneo e i capelli neri come una macchia d'olio, si sporse dalla sua fila per parlarmi.
“Tu sei Isabella Swan, vero?”. Aveva l'aria del tipico cervellone, impac-ciato e pieno di attenzioni. Troppe attenzioni.
“Si” risposi monocorde e nel raggio di tre banchi da me, tutti si voltarono a guardarmi.
“Dov'è la tua prossima lezione?” chiese lui.
Controllai il mio orario “Ehm, educazione civica, con Jefferson, edificio 6”.
Ovunque guardassi, incontravo occhi curiosi.
“Io sto andando al 4, se vuoi ti mostro la strada...”.
Troppe attenzioni, decisamente. “Mi chiamo Eric”, aggiunse.
Abbozzai un sorriso “Grazie”.
Ci infilammo i giubbotti e uscimmo sotto la pioggia, che cadeva più fitta. Avrei giurato che la nutrita folla che ci seguiva a pochi passi di distanza fosse intenta a origliare la conversazione.
Mi passai la mano tra i capelli, solito gesto che rappresentava il mio nervosismo o il mio imbarazzo.

“Così, c'è una bella differenza tra qui e New York, eh?” chiese lui.
“Già”
“Che grande cambiamento, dalla grande mela ad un piccolo e piovoso paesino come Forks dove l’evento più grave è rappresentato dalla scomparsa di un gatto”
A quelle parole non potei fare a meno di sorridere.
Eric mi accompagnò fino all'ingresso dell'aula,
nonostante le indicazioni fossero chiarissime.
“Be', buona fortuna” disse mentre aprivo la porta.
Gli rivolsi un sorriso debole ed entrai.
Il resto della mattinata trascorse più o meno allo stesso modo.
Il professore di trigonometria, Mr Varner, che avrei odiato in ogni caso soltanto per la materia che insegnava, fu l'unico che mi presentò ufficialmente alla classe, costringendomi a salutare i miei nuovi compagni che mi osservavano con occhiate curiose a causa del mio volto celato dal cappuccio.
Dopo due lezioni, iniziai a riconoscere qualche volto.
C'era sempre qualcuno più coraggioso degli altri che si presentava e mi chiedeva come trovassi Forks. Io cercavo di essere diplomatica, ma perlopiù mentivo. Se non altro, non ebbi mai bisogno della mappa.
Una ragazza si sedette accanto a me sia durante la lezione di trigo che in quella di spagnolo, e a pranzo mi accompagnò in mensa. Era piccola, molti centimetri più bassa del mio metro e sessantacinque, ma i suoi capelli ricci e arruffati compensavano quasi tutto il divario. Non ricordavo il suo nome, perciò sorridevo e annuivo mentre lei ciarlava dei professori e delle lezioni.
Non cercai nemmeno di seguire il suo discorso.
Ci sedemmo in fondo a un tavolo pieno di suoi amici, che mi presentò. Dimenticavo i loro nomi un istante dopo averli sentiti.
Sembravano stupiti dall'audacia che mostrava parlando con me.
Eric, il ragazzo di inglese, mi salutò con la mano dall'altro lato della sala.
Fu in quel momento, seduta a pranzo, impegnata a conversare con sette estranei curiosi, che li vidi per la prima volta.
Erano seduti nell'angolo più lontano e isolato della mensa.
Erano in cinque. Non parlavano e non mangiavano, benché ognuno di loro avesse di fronte a sé un vassoio pieno di cibo, intatto.
Non mi stavano squadrando, a differenza della maggior parte degli altri studenti, perciò potevo osservarli tranquillamente, senza temere di incontrare uno sguardo un po' troppo curioso.
Ma non furono questi particolari ad attirare, e catturare, la mia attenzione. Non si somigliavano affatto.
Dei tre ragazzi, uno era grosso, nerboruto come un sollevatore di pesi professionista, i capelli neri e ricci. Uno era più alto e magro, ma comunque muscoloso, biondo miele.
Il terzo era smilzo, meno robusto, con i capelli rossicci e spettinati. Sembrava molto più giovane degli altri, che avrebbero potuto anche essere studenti universitari o addirittura insegnanti.
Le ragazze erano sedute di fronte a loro. Quella più alta era statuaria. Il genere di bellezza che si vede nei cataloghi di costumi da bagno, di quelle che infliggono duri colpi all'autostima delle altre donne. Aveva capelli dorati, che le accarezzavano la schiena con un'onda delicata.
La ragazza più bassa era una specie di folletto, magrissima, dai tratti molto delicati.
I suoi capelli erano neri corvini, corti e scompigliati.
Eppure, c'era qualcosa che li rendeva tutti somiglianti. Ognuno di loro era pallido come il gesso, erano i più pallidi tra tutti gli studenti di quella città senza sole.
Tutti avevano occhi molto scuri, a dispetto del diverso colore dei capelli, e cerchiati da ombre pesanti, violacee, simili a lividi.
Quasi avessero tutti trascorso la notte senza chiudere occhio, o si stessero riprendendo da una rissa.
Eppure, il resto dei loro lineamenti era dritto, perfetto, spigoloso.
Ma non era questo il motivo per cui non riuscivo a distogliere lo sguar-do.
Li fissavo perché i loro volti, così differenti, così simili, erano tutti di una bellezza devastante, inumana. Erano volti che non ci si aspetterebbe mai di vedere se non, forse, sulle pagine patinate di un giornale di moda. O dipinti da un vecchio maestro sotto fattezze di angeli. Difficile decidere chi fosse il più bello: forse la ragazza bionda e perfetta, forse il ragazzo con i capelli di bronzo.

Quest’ultimo ad un tratto si voltò nella mia direzione e subito riconobbi quegli occhi: era il ragazzo dell’altro giorno, Edward.
Voltai il capo all’istante, non riuscivo a reggere quello sguardo intenso che sembrava volermi leggere dentro.
“E quelli chi sono?” chiesi alla ragazza della lezione di spagnolo, di cui avevo dimenticato il nome.
Mentre lei alzava lo sguardo per capire di chi parlassi ma forse per il mio tono di voce l'aveva già intuito.
“Sono Edward ed Emmett Cullen, assieme a Rosalie e Jasper Hale. Quella che se n'è andata era Alice Cullen; vivono tutti assieme al dottor Cullen e sua moglie. Sono tutti figli adottivi. Gli Hale sì sono davvero fratello e sorella, gemelli - i due biondi - e sono in affidamento” disse, con un filo di voce.
“Però stanno assieme. Voglio dire Emmett e Rosalie, e Jasper e Alice. E vivono assieme” e nella sua voce sentii tutta l'indignazione e la condanna della cittadina, così almeno sembrava al mio orecchio critico.

“Eh allora? Sinceramente non ci trovo nulla di strano, non compiono nessun incesto” dissi brusca, odiavo i pregiudizi, e con le mie parole attirai gli sguardi sbalorditi dei ragazzi che stavano al tavolo.
Cercai di rimediare rivolgendole un'altra domanda.
“Sembrano un po' grandi per essere ancora in affidamento”
“Adesso sì, Jasper e Rosalie hanno diciotto anni, ma vivono con Mrs Cullen da quando ne hanno otto. È una specie di zia o qualcosa del genere”
“È davvero un bel gesto... prendersi cura di tutti quei ragazzi, nonostante siano giovani e tutto il resto”
dissi con voce ammirata pensando a quella donna.
Durante la conversazione, non potei fare a meno di lanciare continuamente svelte occhiate al loro tavolo.
Continuavano a guardare il muro senza mangiare.
“Hanno sempre abitato a Forks?”
chiesi ad un tratto, non so perché ma quella strana famiglia mi incuriosiva molto.
“No” rispose lei e il tono di voce sottintendeva che la risposta doveva essere ovvia anche per una nuova arrivata come me “Si sono trasferiti un paio d'anni fa, vengono da un qualche posto in Alaska”.
Istintivamente provai compassione e sollievo.
Compassione perché, belli com'erano, restavano degli emarginati, chiaramente malvisti.
Sollievo perché non ero l'unica nuova arrivata, né di certo, e sotto nessun punto di vi-sta, la più interessante.

Guardai ancora una volta verso il loro tavolo, soprattutto mi persi ad osservare Edward.
La ragazza come se mi leggesse nel pensiero continuò a parlare.
“Il ragazzo più giovane si chiama Edward. È uno schianto, ovviamente, ma non sprecare il tuo tempo. Non esce con nessuna. A quanto pare qui non ci sono ragazze abbastanza carine per lui” disse con aria di disprezzo. La volpe e l'uva. Chissà quando era toccato a lei essere rifiutata.
Mi morsi un labbro per non riderle in faccia. Poi guardai di nuovo verso il ragazzo, i suoi occhi erano rivolti altrove ma le guance mi parvero alzarsi come se stesse ridendo anche lui.

Il suono della campanella mi risvegliò dai miei pensieri e così mi apprestai a raggiungere la mia ultima lezione della giornata: biologia.














__________________

Buon pomeriggio a tutti...
Eccomi qui con un nuovo capitolo dove Bella icontrerà per la prima volta il resto della famiglia Cullen.
Cosa ne pensate vi è piaciuto?
Spero recensirete in tanti, ho visto che la storia non ha molte recensioni e se non vi piace o avete qualche critica da fare potete pure farlo.
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite e preferite. Vi adoro! =)
Un bacio,
martina.

P.S.: le parti in corsivo che parla dei Cullen è tratta dal libro Twilight di Stephenie Meyer.


 
   
 
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