Capitolo 2
Why don't you just go home?
Gerard aveva dormito per tre o quattro ore. Al suo risveglio venne accolto da un
bel mal di testa, una sensazione di nausea e ancora, di nuovo, quella voce acuta
nelle orecchie.
«Quindi
è così che passi le tue giornate? A trascinarti tra un bicchiere di birra e un
antidepressivo? Deve essere davvero entusiasmante.». Gerard evve di nuovo dei
brividi. Ora la sbronza era passata, non poteva essere un'allucinazione data
dall'alcool, perché Alex era ancora lì, ancora con quella felpa viola e quello
sguardo intenso e vivo, e lo guardava con una smorfia sul volto, e le braccia
incrociate sul petto.
«Chi sei?» chiese lui, con una certa disperazione nella voce.
Non voleva essere pazzo. Ci mancava che dopo aver perso Alex, e poi Frank, ora
avesse perso anche la sua sanità mentale «Sono pazzo? O sono diventato
sensitivo?».
Lei rise. Si, era proprio la sua risata. Gerard sentì un tuffo al cuore. Non
importava chi fosse, o cosa fosse. Era semplicemente bellissimo riaverlà lì,
sentirla parlare, sentirla ridere.
«E io che ne so? Mica sono Dio.».
Ok, questa era Alex, non c'erano più dubbi. Gli venne istintivo sorridere.
«Comunque...» continuò lei, spostandosi una ciocca di capelli
da davanti agli occhi «Che facciamo? Andiamo da Frank?» chiese suonando come una
bambina. Sgranò gli occhi, quei suoi occhioni scuri, e Gerard non capì più
nulla. Non c'era niente di più strano ma reale. Alex era lì davanti a lui, che
lo guardava con quello sguardo supplichevole del quale era stato vittima già
tante, tantissime volte.
E Alex voleva andare da Frank. A Gerard si strinse lo
stomaco.
«Non mi pare il caso.» mugugnò.
Lei alzò gli occhi al cielo sbuffando «Ah, che palle Gee, alza quel culo e
andiamo da Frank.».
Gerard sollevò un sopraciglio «Perché vuoi andare da Frank?» chiese.
Alex sorrise maliziosa «Perché ci vuoi andare tu...»
disse, col tono più ovvio del mondo.
«Quindi sei la mia coscienza?»
«Che importa chi sono e chi non sono? E poi,» aggiunse
ridacchiando «...fa molto Fight Club, non è vero? "Lo so perché lo sa Tyler"!»
aggiunse divertita.
«Stai quindi dicendo che tu sei il mio alter-ego, ora?»
domandò Gerard confuso. Era una situazione ridicola, probabilmente se qualcuno
lo avesse visto lo avrebbe fatto rinchiudere in una casa di cura per giovani
malati mentali che parlano con il non-si-sa-cosa-sia della loro amica in coma.
Alex sbuffò ancora una volta «Era una battuta, Gerard,
avresti dovuto ridere e dire "Si, Alex, hai ragione, sembra proprio Fight
Club, ci manca che cominciamo a picchiarci e facciamo esplodere qualcosa!",
e invece stai sempre lì a farti mille domande che non vuoi farti realmente...».
Lui non disse nulla.
«Ora andiamo da Frank, di grazia?» chiese di nuovo Alex.
«Beh, sei anche più importuna della Alex vera!» sbuffò
Gerard, roteando gli occhi «E sai che ti dico, io non voglio essere tuo amico!
Voglio che si risvegli Alex in carne ed ossa! Non voglio te!» disse poi
esasperato. Non sapeva più cosa pensare.
Lei fece spallucce «Fantastico, comportiamoci da bambini di quattro anni ora.
Beh, e pensa se Alex non si svegliasse mai più. Ti ritroveresti completamente
solo, senza un briciolo di vita sociale e senza nemmeno un'amica immaginaria con
la quale chiacchierare...».
«Alex si risveglierà! Perché dici che non si sveglierà?»
chiese lui preoccupato. E se fosse stata davvero un fantasma o uno spirito o Dio
sceso in Terra ed avesse la capacità di predire il futuro e quindi gli stava
solo anticipando che Alex non sarebbe mai uscita da quel coma? Cominciò ad
agitarsi. Il cuore riprese a battere fin troppo velocemente per i suoi gusti.
«Perché sei tu a pensarlo. Io dico ciò che pensi.»
rispose lei con tanta semplicità. Cominciò a girare per la stanza guardandosi
intorno. Gerard la osservò per un pò. Beh, se era un'allucinazione, era
incredibilmente reale, quasi viva. Guardò il comodino accanto al letto. C'erano
un mucchio di bottiglie vuote. Senza nemmeno pensare, ne afferrò una al volo e
la scaraventò contro di lei.
L'avrebbe colpita in pieno volto se non fosse...
Gerard si guardò intorno. Era sparita. Era sparita nel nulla. Cominciò di nuovo
a sudare freddo. Era inquietante. Qualsiasi cosa fosse, era inquietante, e la
bottiglia si era sfrantumata contro il muro e poi era caduta in mille piccoli
frammenti verde scuro sul parquet di ciliegio e Gerard non sapeva più cosa
pensare. Era sicuro che fosse lì. Ci aveva parlato. E poi l'aveva guardata negli
occhi, e lo sguardo di quella Alex era proprio come quello della Alex vera che
conosceva lui, e poi ecco che in un millesimo di secondo era sparita e lui non
sapeva più se c'era mai stata o meno.
Però ora che era sparita nel nulla fu assalito dall'ansia.
Nonostante non fosse vera e quasi sicuramente lui era l'unico a vederla, era
comunque una buona compagnia. O una compagnia e basta. Andava bene lo stesso,
vera o non vera, spirito, allucinazione o coscienza che fosse. Era l'unica che
gli stava rivolgendo la parola, negli ultimi tempi.
«Ok. Andiamo da Frank. Ti prego torna!» disse infine Gerard
supplichevole. Non osava ripensarci, altrimenti si sarebbe fatto pena da solo.
Parlare con un essere inesistente era davvero ridicolo.
Non rispose nessuno. Né una voce, né un rumore, né
un'apparizione.
«Perfetto. Allora sai che c'è?! Che da Frank ci vado da solo!»
esclamò poi afferrando una giacca dallo schienale di una sedia in un angolo. La
infilò alla svelta e si guardò intorno un'ultima volta prima di aprire la porta
ed uscire. Nessuno.
L'indecisione di Frank cominciò presto a stancarlo. Quella
era la scelta più ardua che aveva dovuto fare in tutto il giorno, se non voleva
contare dover decidere se uscire di casa o meno. Alla fine sospirò, rassegnato.
Prese entrambe le confezioni di cereali, sia quelli al cioccolato bianco a forma
di stelline che quelli ai frutti rossi a forma di lettere dell'alfabeto, e le
mise nel carrello.
Stava cominciando ad odiare tutta la monotonia e la tristezza che gli tenevano
compagnia durante il giorno, da quando era successo l'incidente. E poi sentiva
quel bisogno di parlare con Gerard e chiedergli scusa per tutto quello che gli
aveva detto. Non dormiva nemmeno più, la notte, perché l'immagine del viso
triste e deluso di Gee che lo guardava mentre lui stupidamente gli vomitava
addosso colpe su colpe che poi a pensarci bene nemmeno aveva, lo torturavano
appena chiudeva gli occhi.
Nessuno poteva farci nulla se Alex era in coma. Non era colpa
loro. Gerard voleva solo fare un bel gesto facendole riparare la macchina.
Alex stessa teneva così tanto ai My Chemical Romance che comunque non avrebbe
mai lasciato che Frank rinunciasse ad uno show per andare a servire caffè ai
tavoli. Se lo ripeteva ogni volta, ogni dannata volta, ma era inutile.
Poteva crederci per qualche secondo, ma poi tornava a sentirsi uno schifo per
non aver previsto quell'incidente. E poi si sentiva uno schifo per come aveva
trattato Gerard, per come gli aveva detto "Lasciami stare, smettila di
cercarmi!", e non era nemmeno vero. Per come aveva trascurato Mikey, che da
Alex aveva imparato a far finta di niente, ma forse era quello che stava peggio
di tutti, e non stava nemmeno più andando a scuola, e puntualmente andava a
trovarla all'ospedale e si vestiva carino e la guardava come se fosse bellissima
anche così pallida e smunta e morta. Perché quella non era Alex.
E voleva dannatamente chiarire ogni cosa con Gerard. Ne
sentiva un gran bisogno. Si, si disse, vado a parlarci stasera!
Poi una mano su una spalla lo fece tornare sul pianeta Terra, più precisamente
in una corsia del supermercato. «Frank?» era una voce giovane e femminile, e
veniva proprio dalle sue spalle «Frank Iero?».
Lui si voltò incuriosito, e si trovò di fronte ad una ragazza della sua stessa
età, con dei capelli castani lunghi fino alle spalle e un sorriso cordiale sulle
labbra sottili.
Doveva conoscerla. Aveva un volto noto. Era certo di averla
già vista da qualche parte.
«Si?» domandò, scrutandola. Indossava un'anonima felpa grigia
ed un paio di jeans scuri.
«Ciao! Sono Jamia...» lo salutò lei ancora sorridente,
accompagnando le parole con un cenno della mano. «Jamia Nestor. Ricordi? Scuola
elementare...» aggiunse poi quando notò l'espressione confusa di lui.
Frank ci pensò un attimo, poi sorrise «Ma certo! Jamia! Siamo stati anche
fidanzati per tipo due ore durante educazione fisica!» esclamò quando un flash
di lui che le tiene la mano all'età nove anni gli attraversò la mente.
Effettivamente era rimasta uguale «Come va?».
Jamia scrollò le spalle timida «Tutto bene, lavoro all'ospedale di Belleville e-».
Frank le agitò una mano davanti al volto per farla smettere di parlare «All'ospedale
di Belleville? Sul serio?!» chiese con un certo entusiasmo nella voce.
Lei arrossì imbarazzata «Si. Beh, sono solo un'infermiera.
Non c'è niente di tanto emozionante nel cambiare flebo ai pazienti...».
«No, è... è che c'è una mia amica e tipo...» disse senza più
alcun entusiasmo nella voce «C'è questa mia amica in coma, sai...» spiegò.
«Oh. Mi dispiace. Non sarà mica quella Alexis Barone?» disse
lei che aveva assunto ora un'aria più seria e dispiaciuta «Credo che il suo caso
stia a cuore a tutto l'ospedale ormai. Sai, non ha nemmeno i genitori...»
commentò a voce bassa.
Frank fece un respiro profondo. «Beh... però dicono che dal coma ci si
risveglia, no? Cioè, può succedere, giusto?» chiese d'un tratto con un velo di
speranza negli occhi, ed un accenno di sorriso.
Jamia sorrise allegra «Certamente! E secondo me lei ce la farà! Sembra davvero
una ragazza forte!» disse alimentando le sue speranze. Ora finalmente Frank
sorrideva sincero «Si, lo è! Ed è vero che in alcuni casi, sia una buona cosa
parlare ai pazienti in coma? Cioè, magari ti sentono e tornano da te?» aggiunse,
e sembrava un bambino curioso in un museo di dinosauri. Lei annuì energica «Assolutamente,
bisogna fargli sentire la propria presenza, secondo me!».
«Fantastico! Allora posso chiederti un favore?».
Lei lo guardò con un sopracciglio sollevato «Ehm... si, suppongo di si...».
Frank ora sembrava davvero gioioso, e l'abbracciò velocemente per poi
allontanarla un pò, tenendogli le mani sulle spalle, per guardarla negli occhi «Allora.
E' una situazione un pò complicata, e tipo, io vorrei davvero parlarle e
raccontarle tantissime cose, così sai, quando si sveglierà sarà aggiornata su
tutto. Solo che beh, ci sono delle altre persone che hanno davvero bisogno di
parlarle, così io non voglio rubargli il loro tempo e ogni volta rimango lì a
guardarla, e non ho la forza di dire niente...» disse tutto d'un fiato. Lei lo
guardava in silenzio, cercando di capire il senso del discorso. Era il solito
Frank, proprio come lo ricordava da bambino, quando gli veniva in mente qualche
particolare idea e te la raccontava come se avesse trovato un rimedio per una
rara malattia o costruito una navicella spaziale innovativa con un pezzo
di cartone ed un barattolo.
«Insomma, le ho scritto delle cose, e magari tu quando sei a
lavoro hai finito di cambiare tutte le flebo e tutto il resto non so, potresti,
se ti va e se hai tempo, leggergliele...» disse infine. Si zittì subito, però,
come se ora la richiesta che aveva fatto gli sembrasse davvero stupida. Guardò
Jamia, che gli sorrideva.
«Ok, no, devo sembrarti un pazzo... non importa, fai finta
che non te lo abbia mai chiesto...» aggiunse poi arrossendo.
Jamia continuava a sorridergli, quasi divertita da quel Frank così agitato «Per
me va benissimo. Oggi faccio il turno di notte, se vuoi puoi darmele e me le
porto all'ospedale.» acconsentì infine, strappando un'altro abbraccio a Frank.
«Fantastico! Possiamo andare a prenderle ora, se vuoi!
Facciamo subito!» esclamò il ragazzo tutto contento. Lei annuì, lieta di poter
aiutare in qualche modo. Infondo non le costava nulla.
Si avviarono insieme alla cassa del supermercato e Frank si offrì di pagare
anche le due cose che stava comprando Jamia, per ringraziarla del favore che si
era offerta di fargli. Poi uscirono in fretta da lì, stringendosi nei rispettivi
cappotti quando il gelo che arieggiava per le strade di Belleville li colpì
violentemente.
«Finalmente
ti sei deciso!».
Gerard fece un salto spaventato, mettendosi poi una mano sul petto come per
fermare il cuore che aveva accellerato i battiti dallo spavento. Si guardò
intorno, per controllare che nessuno lo vedesse parlare con il nulla.
Alex era apparsa improvvisamente al suo fianco, e non c'era stato uno
spostamento d'aria, né si era sentito alcun rumore di passi. Lei era
semplicemente sbucata dal nulla quasi urlandogli nelle orecchie.
«Sei tornata...» mormorò parlando dal lato destro della
bocca, come per non farsi sentire da nessuno, nonostante il viale fosse
desolato.
«Gerard, la prossima volta che provi a tirarmi dietro una
bottiglia ti uccido.» disse lei fulminandolo con lo sguardo.
«Non so perché l'ho fatto...» sussurrò lui continuando a
guardarsi intorno circospetto.
«L'hai fatto perché sei un coglione paranoico...».
Alex indicò l'altro lato del marciapiede. Gerard sentì un tuffo al cuore. C'era
Frank, bello come al solito, che camminava sorridente al fianco di una ragazza
che lui non aveva mai visto prima. Lui portava due sacchetti di plastica con
della spesa dentro. E lei gli parlava senza mai smettere di sorridere un attimo.
Sembrava si stessero divertendo, mentre a Gerard si stava torcendo ogni singola
parte del corpo. Lo stomaco, il fegato, il cuore e le budella. Era un dolore
esteso a tutto il corpo. Un fastidio che gli scorreva nelle vene.
«E quella sarebbe?». Il tono della voce di Alex era
infastidito e quasi arrabbiato.
Gerard sospirò, cupo in volto «Non lo so...».
«Beh, sembra che si stiano divertendo... Ecco cosa succede
quando te ne stai rintanato in casa ad autodistruggerti. Frank si rifà una vita.
Mi pare ovvio.».
Era ridicolo. Non poteva essere vero. Però Frank stava lì con quella ragazza e
non sembrava né triste, né spaesato, né solo, a differenza sua. Era lo stesso
Frank del solito, allegro e sorridente ed energico ed incredibilmente bello, da
fargli mancare l'aria.
«Sono un coglione. Infondo Frank è stato abbastanza chiaro
riguardo il fatto di non volermi più. Fanculo.» borbottò, girando i tacchi per
tornarsene a casa. Alex lo seguì a qualche passo di distanza.
«Penso che dovresti proprio bere. Non senti il bisogno di
bere?» chiese quasi urlando, dopo un pò.
Gerard si sedette alla panchina della fermata dell'autobus. Non gli andava di
camminare da solo. Questa Alex gli stava facendo venire un gran mal di testa ed
era veramente stancante e opprimente. Non riusciva a capirlo. Non riusciva
nemmeno a capire perché dovesse parlare con un'allucinazione. Stava decisamente
diventando pazzo. Tutta quella storia lo aveva portato alla pazzia, ecco
cos'era. Così si sedette sulla panchina, accanto ad un'anziana signora con una
pesante pelliccia marroncina avvinghiata addosso.
«Quindi ora te ne vai a casa a bere?» disse di nuovo Alex.
Gerard pensò di ignorarla, e il fatto di essere in presenza di una terza persona
lo tratteneva volentieri dal risponderle. Pensava che così magari se ne sarebbe
andata un'altra volta. Magari questa Alex immaginaria avrebbe gettato la spugna,
si sarebbe annoiata di perseguitare uno che tanto non le rispondeva, e sarebbe
sparita.
«Allora? Prenderai anche qualche psicofarmaco? Ti fanno
parecchio bene, non è vero?» insisté lei. Gerard sbuffò continuando a fissare un
punto vago sull'asfalto della strada di fronte a lui. «Quelli che hai preso
l'altra sera non erano affatto male.».
Lui deglutì «Eri lì anche l'altra sera, quindi?» domandò titubante.
La signora accanto a lui lo guardò con la coda dell'occhio, scostandosi
lievemente da lui con aria preoccupata.
«Io ci sono sempre.» rise Alex.
Frank ringraziò Jamia sulla porta di casa sua. Le aveva dato una piccola pila di
lettere scritte con una penna nera, su fogli ricavati qua e là, come se Frank
avesse sentito l'urgenza di raccontare qualcosa ad Alex ed avesse dovuto farlo
nel momento stesso in cui aveva sentito il bisogno di farlo. La ragazza sorrise,
intenerita da tutta la dolcezza di quel ragazzo, che sperava di poter aiutare
così la sua amica a risvegliarsi dal coma. Era un pensiero davvero dolce e
romantico.
Lo salutò promettendogli di leggergli tutte quelle lettere entro un paio di
giorni, lo avrebbe fatto ogni volta che ne avesse avuto il tempo.
Frank sorrise contento, richiudendosi la porta di casa alle
spalle. Questa era fatta, finalmente aveva trovato un modo per raccontare tutto
quello che stava succedendo ad Alex, senza nemmeno rubare del tempo dell'orario
di visita a Mikey, e sopratutto senza doverla osservare sdraiata così immobile
in quel letto.
Non gli importava nemmeno che Jamia, una ragazza qualsiasi con la quale aveva
frequentato le scuole elementari una vita fa, venisse a conoscenza dei suoi
segreti più intimi, delle sue paure e delle sue notti in bianco a pensare a
Gerard. Non gli importava assolutamente nulla, finché tutto ciò servisse a
qualcosa.
- - -
E poi boh, pubblichi un capitolo
un pò così, come viene.
LOL vabbè, se vi piace recensite, se non vi piace recensite, sennò fate come vi
pare. Grazie a tutti proprio tutti per le recensioni del primo [avevo scritto
primolo ma fortunatamente me ne sono accorta in tempo, ma sono una persona
generosa e voglio condividere con tutti voi la mia capacità di fare errori vari
quando ho incredibilmente sonno. XD] capitolo e tutto il resto.
XOXO
AH! E per la cronaca, quando dico
ossessionatamente che Alex muore, non prendetemi alla lettera. Perché io sono
molto lunatica e magari ieri doveva morire e oggi si deve risvegliare entro
mezz'ora... XD