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Autore: bababortola    01/06/2011    6 recensioni
Fanfiction ambientata fra la 2x15 e la 2x16
(Klaine)
Era come se Blaine si fosse presentato come un libro aperto. Era spontaneo, gentile e tutto questo pareva non costargli la minima fatica. Era come se lo conoscesse da sempre.
Ma ora, poteva dire di essere al fianco di quello stesso ragazzo?
Era vero, si conoscevano relativamente da poco.
Forse non aveva mai veramente conosciuto Blaine. Ma Kurt ancora non sapeva che mai, come in quel momento, era in grado di poter conoscere a fondo il suo amico come non aveva mai fatto.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Finn Hudson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3.
La voce di Finn aveva fatto eco per tutta l’officina.
“Hey Burt… ti disturbo?” aveva detto con un velo di imbarazzo. Non entrava mai nell’officina.
“Niente affatto Finn, dimmi pure” fece una voce ovattata che Finn capì, dopo un attimo di spaesamento, provenire dal sotto di un’auto a cui Burt lavorava da un po’ di giorni.
“Ecco… tu mi conosci bene ormai, abbiamo parlato un sacco di volte e mi hai sempre detto che avrei potuto parlarti di qualunque cosa.” Non sapeva se sentirsi a disagio o meno, gli piaceva parlare con Burt, aveva sempre la risposta pronta a tutto, quindi perché non chiedergli un consiglio?
Burt sbucò fuori dal suo lavoro e si mise in piedi davanti a lui, con un’espressione preoccupata.
“E’ successo qualcosa?”
“Oh no! No.. no, nulla di grave” lo tranquillizzò subito Finn.  “Ho bisogno di un consiglio… è per una ragazza, e non mi sento molto a mio agio a parlarne con mia madre. Capisci no?” disse con timidezza.
Burt fece sì con la testa, con l’aria di chi aveva già capito tutto. Si mise a sedere e indicò al figliastro una sedia davanti a lui.
“Su, siediti” fece paterno.
Finn obbedì e attese in silenzio che il patrigno dicesse qualcosa. Burt, d’altra parte, non sentendo Finn proferire parola decise di cominciare lui.
“Si tratta di Rachel?”
“No no…” disse con un velo di tristezza “E’… Quinn.”
“Quinn? La ragazza incinta dell’anno scorso?”
Finn annuì. “E’ fantastica. E’ bella, misteriosa… affascinante…”
“Ma…?” lo interruppè Burt.
“Ho l’impressione che mi stia solo usando.”
“Usando??” fece Burt con tono incredulo.
“Per il titolo di reginetta! Non fa che parlare del ballo, di come saremo popolari,… e io non so più cosa pensare!” sbottò.
“Ok, ok…” lo calmò Burt portando le mani avanti “Il punto qui non è quali siano i tuoi sospetti, il punto qui è cosa lei provi per te, te l’ha mai detto?”
Finn ci pensò un momento.
“…Si, ha detto che il suo posto è accanto a me, ma non ho ben capito cosa intendesse dire.”

Burt lo scrutò ancora, aspettando che il figliastro capisse che invece la ragazza era stata molto eloquente. Secondo lui.
Finn invece guardava per terra, come se la polvere sul pavimento dell’officina avesse potuto dare una risposta ai suoi problemi. Il patrigno vide la richiesta di aiuto e decise di prendere parola di nuovo.
“Senti Finn, la base di un rapporto serio è la fiducia reciproca. E’ chiaro che questa ragazza ha passato un periodo molto duro, quello che mi sembra di capire è che ha bisogno di ritrovarti e che ha bisogno di te.”
“Di me?” fece Finn perplesso.
“Esatto. Quando vuoi davvero bene a una persona, fai di tutto per proteggerla. Il tuo compito è proteggerla, è una ragazza ed è la tua ragazza. Le donne non sono come noi uomini, loro non cercano il divertimento di una storia. Loro sanno già che quello che le renderebbe davvero felici è un rapporto con una persona di cui possono fidarsi. E noi uomini, credi a me, ci mettiamo, davvero, troppo tempo a capirlo.”
Burt ora teneva quell’espressione, quell’espressione rassicurante e seria che solo un padre può tenere. Quell’espressione che Finn non aveva mai davvero conosciuto ma allo stesso tempo aveva cercato faticosamente, senza mai trovarla e che ora si trovava lì, davanti a sé, negli occhi verdi del signor Hummel. Gli bastò quello per convincersi che Burt aveva ragione. Inoltre, aveva usato le sue stesse parole che aveva usato con Quinn, un po’ diverse forse.
“E’ chiaro?”
“Si…” fece Finn alzandosi con un sorriso “grazie Burt”.
“Non c’è di che” disse, e tornò al suo lavoro.

-

In quei giorni faceva caldo. Erano appena i primi di Aprile ma la primavera aveva ormai fatto il suo ingresso. Quel giorno il sole picchiava davvero forte, il cielo era limpido. Era una giornata particolarmente bella. Kurt guardava fuori dalla finestra, incantato dal paesaggio primaverile del cortile della scuola senza badare minimamente a alla lezione di scienze.
Non sappiamo a cosa stesse pensando. Forse viaggiava con la mente e sognava ad occhi aperti guardando gli alberi coprirsi di fiori, come fanno gli innamorati. Forse non aveva voglia di seguire la lezione. Forse aveva preferito isolarsi dal resto della classe, senza chiaccherare con nessuno, dato che oggi il suo amico non c’era. Forse era soltanto in attesa che l’ultima campanella suonasse.
Alla fine suonò. Kurt sapeva già dove andare e che direzione prendere. Afferrò la sua cartella e se la mise a tracolla e si mosse a grandi passi verso il parcheggio. Mise in moto e tenne il piede premuto sull’accelleratore per quindici minuti buoni, senza mai fermarsi. Si era ricordato della strada benchè ci fosse passato solo una volta, non era trafficata ed era tutta un susseguirsi di curve ad esse. Un posto un po’ sperduto e inusuale per collocarci una casa.
Il verde si faceva più vasto a ogni metro. Ci si doveva, poi, infilare con l’auto in una nicchia formata da alberi che andavano a formare una specie di arco. Da lì in poi, la strada era asfaltata da pietre piatte e terra, quasi come delle mattonelle. La casa poi ti compariva praticamente davanti, non era grande ma in buono stato. Per nulla somigliante a una casa di campagna o a una fattoria, (tanto meno ad una villa) ma più che altro a una casa di periferia. Tutto questo a soli quindici minuti di auto dal centro. Assurdo!
Kurt tirò un sospiro di sollievo quando vide scritto sopra il campanello il cognome che cercava. Con un po’ di timore, premette col dito il pulsante sotto la scritta “Anderson”.
Anche se avesse voluto non avrebbe potuto tirarsi indietro, qualcuno doveva aver visto la sua macchina fermarsi là vicino e la sua figura dirigersi verso la porta.
Stava là ad aspettare, i secondi divennero più lenti.
Dopo un po’ la porta si aprì e con grande sorpresa di Kurt ad aprire fu una ragazza. Con una rapida occhiata Kurt potè constatare che non si trattava della madre di Blaine, dato che saltava all’occhio che avesse circa la sua stessa età. Portava i capelli raccolti in una coda scompigliata, delle lunghe ciocche in libertà le incorniciavano il viso, finendo con dei ricciolini. Indossava una giacca Letterman, (come quelle che indossano i giocatori di football) sopra un top nero e dei jeans sgualciti e strappati. Non assomigliava per niente a nessuna delle sue amiche.
“Posso aiutarti?” disse con occhi interrogativi, dopo averlo squadrato anche lei da capo a piedi.
“Sono un amico di Blaine. Oggi non c’era e sono venuto a portargli i compiti.” Un piccolo pretesto per andare a controllare che Blaine stesse bene dopo l’incidente del giorno prima, e per scusarsi per essere stato così sgarbato, forse.
La ragazza davanti a lui cambiò espressione.
“Ooh… ma che gentile!” disse illuminandosi di un sorriso sincero. “Ma purtroppo Blaine adesso non è in casa, ecco è… uscito un attimo a comprare delle cose, non so quando tornerà.” Disse poi evitando lo sguardo dell’altro. “Mi dispiace così tanto però, hai fatto molta strada? AH, comunque Blaine non si sentiva molto bene oggi, sai, dei… giramenti di testa” disse la sconosciuta continuando a sorridere. “…Ma domani verrà a scuola! Sei stato comunque gentile a preoccuparti. Sei un suo amico vero?”
Kurt fece sì con la testa, un po’ sorpreso per la marea di parole che la ragazza stava buttando fuori con così tanta naturalezza.
“Ho capito, beh, dai pure a me i compiti. Penserò io a darglieli e a dirgli che sei passato.”
“Oh, certo. Tieni pure.” Disse Kurt porgendogli un paio di libri e una pila di fogli. Tentativo fallito.
“O dio, che stupida. Non ti ho chiesto neanche come ti chiami.”
“Kurt Hummel” disse lui sorridendo.
“Kurt Hummel” disse lei scandendo il nome sulle labbra “Kurt… Hummel… cercherò di ricordarmelo. Beh, allora ciao Kurt e grazie per essere passato.”
“Di niente” rispose Kurt. La porta si chiuse alle sue spalle e si diresse verso la macchina che distava solo pochi metri. Si accorse solo in quel momento che non sapeva minimamente come si chiamasse la ragazza che fino a quel momento gli era stata davanti, e che non sapeva effettivamente chi fosse. D’altronde gli aveva detto che Blaine stava bene, e che il giorno dopo l’avrebbe rivisto a scuola, cosa c’era di cui preoccuparsi in fondo?
-
“Chi era Nelly ?”
Una donna, circa sulla trentina, stava seduta sul divano. La testa, tenuta da un palmo della sua mano, non si mosse per rivolgersi alla figlia, ma continuava a guardare davanti a sè, incantata dalle fiamme del caminetto.
Nelly si poggiò alla porta, continuando a stare in piedi e guardò sua madre. “Era un amico di Blaine.”
“Sa dov’è?” disse voltadosi di scatto.
“No, è venuto solo per passargli i compiti. Credeva che fosse qui.”  e sospirò chiedendosi a cosa stesse pensando sua madre mentre parlava con quel ragazzo alla porta. “Non l’ho mai visto sai?…” disse cercando di sviare su un altro argomento.
La donna si voltò di nuovo sconsolata, coprendosi il viso con le mani fece un lungo sospiro.
“Mamma…” tentò di dire Nelly “… Mamma, tornerà. Lo sai meglio di me.”

“…Non capisco”
“Non dev’essere andato molto lontano” disse mettendosi vicino a lei. “Starà via giusto il tempo che lui starà qui. Poi quando sarà sicuro che lui se ne sarà andato via, tornerà.”
Sara, così si chiamavala donna, si alzò dal divano. Si asciugò gli occhi da quello che, se non l’avesse interrotto sul nascere, si sarebbe rivelato un pianto interminabile e si diresse verso la sua stanza.
“Nelly io vado al lavoro. Rimani a casa e non invitare nessuno.”
“Va bene mamma”
Nelly avrebbe potuto benissimo mettersi a urlare, strepitare, rompere oggetti come aveva fatto nei giorni precedenti, ma le sembrava davvero troppo e anche se ne aveva tutte le ragioni non poteva farlo mentre sua madre era sull’orlo di una crisi di pianto come una quattordicenne. Inoltre sarebbe apparso poco originale e improduttivo dopo tre giorni di guerra e urla e la distruzione di cinque piatti e un quadro. Quell’ambiente non aveva fatto che peggiorare la situazione e far fuggire Blaine da casa. No, per quella sera avrebbe obbedito a sua madre senza fare storie.
--
“Sono a casa” disse Kurt poggiando le chiavi nel tavolino. Il salotto che di solito era occupato da suo padre e Finn che guardavano la partita di chissà quale campionato, era vuoto. Si sporse leggermente verso la cucina, quanto bastava per constatare che la porta era aperta e che tutta la sua nuova famiglia era intenta in quella che doveva essere la preparazione della cena. Suo padre, in ginocchio sul pavimento, controllava attentamente la temperatura del forno, mentre Carole e Finn tagliavano le verdure. Non si erano nemmeno accorti del suo arrivo.
“Tesoro, fai così: prendi le foglie di prezzemolo e le accartocci tutte come se fossero una pallina e poi le sminuzzi finemente. Ah, e non voglio fare un condimento di dita, quindi stai attento.”
“Così?” disse Finn confuso.
“Che succede qua?” chiese Kurt sulla porta della cucina.
 “Oh… tuo padre si è messo in testa che deve saper cucinare un agnello come si deve” rispose Carole sorridente.
“E come procede?” fece Kurt alzando un sopracciglio incredulo.
“Magnificamente” disse Burt senza togliere gli occhi dal forno.
“L’odore sembra buono” disse Finn.
“Io non mi fiderei troppo” fece Kurt saccente “Tutti gli esperimenti culinari di papà si sono sempre rivelati dei fallimenti. Fossi in voi temerei per un avvelenamento da cibo.”
“Io non farei così tanto il presuntuoso. Mi sono messo d’impegno e sembra promettere bene” disse Burt.
“Finn, lascia stare, ci penso io alle verdure” disse Carole “perché voi ragazzi non andate in salotto e aspettate che la cena sia pronta?”
I due fratelli si sedettero nel divano. Finn si impossessò del telecomando alla ricerca di qualcosa da guardare.
“Non c’è qualche gara di auto o qualche partita in programma stasera?”
“No… non sembra almeno” disse il frattello con gli occhi fissi sullo schermo mentre faceva zapping fra i canali. “Dove eri?” chiese poi.
Kurt non seppe se dire a Finn che era stato a casa di Blaine. In fondo non aveva fatto nulla di male e non l’aveva neanche trovato in casa, ma sapeva che a Finn Blaine non piaceva molto e per un momento fu tentato di dire una bugia. Poi, però ripensò al loro rapporto di fratelli già instabile che con delle bugie sarebbe stato compromesso ancora di più.
“Ero a casa di Blaine”
“Ah si?”
“Si, era malato e sono passato per dargli i compiti. Non pensare male.”
Il fratellastro lo guardò storto con un sorriso “O dio, non ho affatto pensato male! Fratello ti fai troppe paranoie!”
Forse era vero. Kurt arrossì per l’imbarazzo. “E tu dove eri?”
“Io sono sempre stato qui.”
“Non sei uscito con…” Kurt ci pensò un attimo “… con chiunque tu stia al momento?”
Finn lo guardò con aria triste, ricordanosi della sua incasinata vita sentimentale.
“S-scusa” disse Kurt con imbarazzo.
“No, no… figurati.”
“Stai con Quinn vero?”
“Si…” si alzò dal divano, forse per evitare di dire al fratello che aveva parlato di ragazze con suo padre, facendolo sentire escluso in qualche modo. O forse per evitare che le parole elaborate di Kurt avessero potuto smontare in pochi secondi la sua convinzione che Quinn ci tenesse davvero a lui. “Non c’è niente di bello alla tv, guardala tu. Io vado in camera.” Disse con finta naturalezza.

“Oh! Accidenti Burt!” Il signor Hummel aveva accidentalmente schizzato dell’olio da cucina sul maglione rosso carminio della signora Hudson. “L’avevo appena comprato!”
I passi svelti di Carole si sentivano per tutta la casa, si dirigevano al piano di sotto, nella lavanderia.
“Mio padre ha fatto danno?” disse Kurt sdraiato nel divano vedendo Carole con il maglione macchiato in mano scendere le scale.
“Si, ma non l’ha fatto apposta.”
“Non preoccuparti, la camicetta che portavi sotto ti sta anche meglio”disse sorridendo da bravo figlio amorevole.
Carole rispose con un sorriso e scese le scale.
Dalla cucina veniva un gran concerto di rumori, stoviglie, coltelli, l’acqua del rubinetto che scorreva.. tanto che Kurt credette di aver avuto un’allucinazione quando gli parve di sentire il campanello suonare. D’altronde, tutti erano in stanze diverse e quello più vicino alla porta era lui, ma chi poteva mai essere a quell’ora della sera?
-
Era assurdo. Assurdo e scortese. Non si ricordava se i suoi genitori glielo avessero mai detto ma, lui, di suo, aveva appreso nella sua vita che disturbare un’unità familiare all’ora di cena è pura scortesia. E se gli avesse davvero aperto? Cosa avrebbe detto? Che cosa avrebbe fatto? No, no, sarebbe dovuto tornare indietro, non neccessariamente a casa, no. Magari avrebbe dormito sotto un ponte fino al giorno dopo, e poi forse, sarebbe ritornato a casa. No, era assurdo suonare a casa di Kurt, per poi dirgli che cosa? Non lo sapeva, ma allo stesso tempo non gli era parso nella mente nessuna idea migliore. Ma no, non poteva suonare il campanello.

*din-don*

Ok, aveva suonato davvero il campanello. Magari avrebbe tirato fuori una scusa come del tipo
‘Hey, ciao, ho bucato una ruota!’ …ma quale ruota! Camminava da tutto il giorno e solo da qualche ora aveva capito quanto potesse fare freddo a Lima a una certa ora della sera.
Non aveva la minima idea di cosa dire se Kurt avesse aperto. E se ad aprire non fosse stato Kurt? Sbiancò al solo pensiero di trovarsi davanti il signor Hummel e di rimanere là senza dire nulla.
Ok, si sarebbe soltanto limitato a dire ‘Mi scusi per l’ora, ma Kurt può uscire un attimo per parlare?’ si, si… sembrava promettere bene come scusa. Ma poi? Cosa avrebbe detto? O dio, quanto avrebbe voluto non aver suonato affatto. Per un attimo sperò che nessuno avesse sentito il campanello. Sarebbe stato perfetto.
Non sentì nessuna voce, anche se le luci dentro casa erano accese. Stava per voltarsi e tornare sulla sua strada quando…

“Blaine, cosa ci fai qui?” chiese Kurt, in piedi sulla soglia della porta.

Blaine si sentì come paralizzarsi, cercò dentro di se quel poco di calma e buonsenso che gli era rimasto dopo quella giornata e fece un passo verso di lui pronto per parlare.
Aprì appena la bocca, ma le parole gli morirono sulle labbra, così, senza preavviso mentre Kurt continuava a guardarlo.
“Scusa per l’ora ma…” disse con un filo di voce guardando in basso. “…M-ma…ma io…”  gli occhi gli si riempirono di lacrime in un secondo.
Kurt chiuse la porta dietro di se e fece un passo verso di lui senza dire nulla.
Fu un attimo. Blaine si gettò fra le braccia dell’amico in un avido abbraccio. Premette la testa contro la sua spalla e abbandonò l’insensato proposito di trattenersi. La camicia di Kurt si riempì in pochi secondi delle lacrime di Blaine, che piangeva, cercando di trattenere i singhiozzi.
Kurt non disse nulla, lo strinse a sé soltanto e capì che davvero, qualcosa non andava. 

  
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