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Autore: Lady Antares Degona Lienan    02/06/2011    4 recensioni
Era bellissima, china sulle ginocchia mentre stracciava delle violette riducendole a solo un gambo e qualche coriandolo colorato.
Quando due destini s'incontrano e incastrano così perfettamente è giusto che proseguano insieme il loro cammino. Tra vampiri, monasteri e fiori, però, a volte vien da chiedersi perché la vita sia così complicata. Nota per la prossima esistenza: ricordati di non innamorarti di una Blackmore.
Julian e Sophia Lord
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Non c’era riposo quella notte. Costretto a credere a verità più grandi di lui e a teoremi il cui senso sfuggiva alla propria mente si agitava inquieto nel suo letto. La realtà cui aveva sempre affidato la propria vita era costretta a ripiegarsi su di un nuovo modello: un altro lancio di dadi. Le lettere dell’Onorabile Eloise s’infrangevano contro i suoi occhi, cozzavano con il ritmo quieto della sua esistenza; sarebbe stato errato dire che aveva avuto paura: più di una volta lui e Sophia avevano errato, seguiti da Jordan, lungo le vie della città, incauti e sconsiderati. Solo adesso capiva i rischi cui erano andati incontro. E adesso? Adesso che non poteva più trovar coraggio nella mascella ben fatta di Jordan, adesso che Sophia non era con lui, adesso aveva paura. Chinò il capo verso le proprie mani e cercò di non piangere.

 

in Vento et rapida Aqua

Prologo

 

 

Quando si sforzava, riusciva a ricordare: suoni, colori, forme della sua infanzia; attimi rubati a un passato che non gli apparteneva più, cancellato dall’abbandono. Curioso come la sua mente creasse immagini tanto vivide, non essendo lui in grado di maneggiare nemmeno un carboncino. Ogni qual volta che tornava con la mente agli istanti dell’addio, un enorme portone si schiudeva davanti a lui lasciando passare alcuni raggi di luce. Il respiro sincopato di una donna, forse sua madre. Un sopracciglio curvo, forse suo padre. Un sorriso gentile, forse una Sorella – Suor Leticia, che lo aveva tenuto stretto a sé nelle prime notti?

Per arrivare a dei fotogrammi completi, tuttavia, doveva spingersi oltre, oltrepassare il portone e camminare a lungo. Lì, lì dove la strada che aveva seguito sfociava in una stanza buia, lì giaceva il ricordo più caro, e più profondamente custodito.

Lo avevano tenuto per un paio di giorni isolato, per verificare che fosse in salute – ma questo lo capì solo più tardi, con il passare degli anni. Quando lo portarono a conoscere gli altri bambini orfani si nascose dietro la gonna scura di Suor Leticia sperando di sparire al suo interno, di diventare invisibile, di tramutarsi in stelo d’erba e passare il resto della sua vita a piegarsi dolcemente con il vento e a farsi calpestare da piccoli piedi: ovviamente il miracolo non avvenne – forse era troppo presto per ricominciare a sperare in qualcosa - e si ritrovò davanti ad una schiera di ragazzini dai denti mancanti e i capelli spettinati. Uno in particolare lo spaventava: aveva gli occhi azzurri e una zazzera bionda dai riflessi opachi. Julian si vide specchiato in quei cerchi d’acqua e provò una sensazione terribile – come se qualcosa gli stesse stringendo lo stomaco per indurgli dei conati di vomito. Il bambino biondo lo stava fissando, il mento in alto e il naso svettante sul viso tondo. « Julian, questo è Alexander. »

Attimi di silenzio. « Salutalo, avanti. Alexander, lui è Julian. È nuovo e non conosce nessuno: puoi fare in modo che non si senta solo? »

Julian sperò con tutta l’irrazionale spinta emotiva di cui gli infanti sono capaci: sperò che il bambino dagli occhi azzurri lo degnasse appena di uno sguardo, annuisse di fronte alla richiesta di Suor Leticia e lo lasciasse poi in pace. Voleva esplorare il luogo e voleva farlo da solo. Alexander tuttavia gli tese una mano piccola e delicata e lo invitò a stringergliela. « Ciao. », gli disse. « Ciao. », rispose lui affidando la sua mano in quella dell’altro.

Fu in quel momento che la vide, seppur in un primo istante solo con la coda dell’occhio e per una manciata di secondi. Poi Alexander lo strattonò a sé portandolo verso la sua piccola cerchia di amici. Poteva essere un caso o una scelta mirata, ma tutti i ragazzini avevano gli occhi chiari. Julian deglutì, lanciò uno sguardo indietro, verso la Suora, ma quella se ne stava andando come una barca con il vento in poppa: non aveva scampo. « Io… » disse. « … io. Vado di là! »

Si girò, in un mezzo tentativo di fuga che terminò ai piedi della bambina che aveva notato prima. Era bellissima, china sulle ginocchia mentre stracciava delle violette riducendole a solo un gambo e qualche coriandolo colorato. Quando alzò gli occhi su di lui Julian si accorse di star fissando l’ennesimo paio di imbarazzanti occhi cerulei. A disagio, quasi fosse un escluso – escluso dai giochi ancora prima di potervi partecipare, in ultima analisi – si adagiò sull’erba accanto a lei, seguito in ogni suo gesto da quello sguardo attento. « Chi sei? »

« Mi chiamo Julian. »

« Io sono Sophia. Da dove vieni? »

« Da Aldenor. »

Sophia rise stringendo nelle mani i petali del fiore che aveva appena distrutto. « Qui siamo ad Aldenor, sai? » disse, canticchiando e volgendo lo sguardo verso il roseto.

« Non ti piacciono i fiori? »

« Mi piacciono le rose. »

« E gli altri fiori? »

« Non hanno un buon profumo, sai. S’infila su per il naso e non esce più. Le rose hanno un profumo fortissimo ma che svanisce subito. »

Julian raccolse le ginocchia al petto e vi si rannicchiò sopra. La bambina parlava di cose strane, di profumi e faccende da femmina, per cui non si sprecò ad ascoltare ciò che lei stava dicendo. Quando una farfalla colorata si posò sul dito medio della mano destra perse completamente il filo del discorso, finendo catapultato in un universo dalle mille sfumature. Si riebbe solo quando la farfalla fu spazzata via da una folata improvvisa di vento. Sophia cantava una buffia melodia. Gli lanciò un’occhiata in tralice: Julian la colse solo grazie ad un lampo d’azzurro che gli fiocinò la testa. Alla bambina non piaceva essere ignorata.

« Scusami! », disse, « Ma era una bella farfalla. Comunque siamo amici, no? »

La bambina ripiegò un paio di volte le palpebre sulla cornea e sull’iride, poi si buttò le violette alle spalle. « Non mi piacciono le violette. A me piacciono le rose. E quella farfalla non era colorata, era grigia. Così grigia da sembrare uno spettro. »

« Portami una rosa, se vuoi essere mio amico. », gli disse mentre camminava verso la casa dei bambini. « Una rosa del roseto bello. »

A Julian non servirono spiegazioni per indovinare che nessun bambino del Monastero di Nostro Signore della Selva (Sheliak) sarebbe dovuto entrare in quel giardino.

 

 

 

 

 

 

 

Non sono un’amante delle note, siano esse a inizio o fine pagina, per tanto non mi dilungherò: del passato di Julian e Sophia Lord non si sa molto, così come non ci è dato sapere nei particolari il loro carattere. Mi sono attaccata alle poche descrizioni, ai pochi dialoghi, e ho cercato di dipingerli nella loro fanciullezza – adolescenza, pur prendendomi un paio di libertà riguardo le manifestazioni della discendenza di sangue. Ho scelto di trattare questi due personaggi perché adoro Julian e perché egli ha avuto un effimero momento di gloria in cui ho erroneamente pensato che fosse lui l’erede Blackmore. Sophia veniva da sé!

Non so assolutamente come siano gli ordini dei Monasteri nel mondo dell’autrice: io ci ho messo delle suore, ma non è che sia molto sicura. Nomino spesso dei Cartigli e degli strumenti usati nel nostro mondo, non sapendo bene cosa usare o inventarmi. I capitoli sono divisi in due tipologie. Passato / presente, stesso tempo prima e dopo il prologo, due capitoli per ciascuna tipologia. Mi piaceva l’idea della simmetria, e così avevo modo di seguire bene la sottocornice del presente a cui ho dato ampio spazio nel capitolo due, che è diciamo il passaggio di testimone tra custode passato e custode presente.

Questa storia partecipa al concorso indetto da Mirya sul forum di Efp. La rosa ne è il tema dominante. Rispetto al prologo inviato ho corretto solo due refusi (in cui il povero Jordan era stato chiamato Julian così, a furor di popolo). Ho cercato di allontanarmi il più possibile dallo stile dell’autrice, ma non è che la cosa mi sia riuscita benissimo, soprattutto nel primo capitolo: forse quello sarà ricorretto e cambiato maggiormente. In ogni caso vi rimando alle prossime note per varie ed eventuali. Prossimo aggiornamento domattina /stasera.

Il titolo riprende un passaggio dei Carmina di Catullo, ma mentirei se dicessi di ricordarmi con precisione quale.

   
 
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