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Autore: Nenredhel    04/06/2011    3 recensioni
Dean è un umano, Castiel un elfo immortale, non potrebbero essere più diversi ma la vita li ha uniti con un affetto che vorrebbe andare oltre le soglie del tempo. Ma capire ed accettare un sentimento simile, può essere una prova assai ardua.
Il Signore degli Anelli!AU Elf!Cas/Wanderer!Dean
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Jo, John Winchester, Sam Winchester
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Middle Earth'
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Mornië en Amarth (L’Ombra del Futuro)

 

Dean conficcò la punta della spada nel terreno e si deterse il sudore dalla fronte con un braccio, mentre l’altro si puntellava sull’elsa semplice ma elegante della sua nuova arma. Sollevò lo sguardo e sorrise a Sam, che lo aveva appena disarmato, ponendo fine all’allenamento. Erano entrambi a petto nudo ed entrambi respiravano affannosamente, eppure Sam sembrava quasi non aver versato una sola stilla di sudore, mentre lui sentiva gocce calde scorrergli dalla nuca attraverso la schiena, solo per essere asciugate in rigagnoli gelidi dall’aria frizzante della primavera appena iniziata.

Si raddrizzò e staccò la lama dal terreno per riporla nel suo fodero, prima di andare a tendere la mano a Sam. L’Elfo gli afferrò brevemente il braccio, dopo avere riposto anche la propria lunga e leggera daga elfica, quindi si voltò alla propria sinistra, dove candidi gradini scolpiti nella pietra viva conducevano alla porta che dava sulle armerie di Imladris. Attorno a loro, anche se un poco discosti, giovani Elfi si allenavano, come loro, muovendosi sull’erba o tra gli alberi con una leggerezza che li faceva quasi apparire come danzatori. I loro corpi erano sottili, flessuosi e scattanti, velocissimi nei movimenti seppure non forti come poteva esserlo un uomo. Dean sapeva di poter sconfiggere la gran parte di quei giovani guerrieri in un corpo a corpo, avendo imparato negli anni come battere la loro velocità con la propria forza, ma sapeva anche che uno qualsiasi di loro avrebbe potuto ucciderlo con una freccia a cento piedi di distanza, in una notte senza luna.

Sam allontanò la mano dal braccio di Dean e la guardò con un’espressione strana, quasi perplessa, mentre sfregava tra loro tre dita.

“Sei appiccicoso” commentò, in un tono vagamente schifato e indubbiamente ironico.

“Sono sudato” sbuffò Dean, fingendo indignazione “Non tutti possono uscire da un combattimento come appena lavati e stirati” aggiunse, squadrando l’Elfo da capo a piedi, con ironia.

“Il problema è che sei lento e goffo con quella spada, Dean” lo canzonò allegramente Sam, mentre si avviava lentamente verso i gradini “E’ troppo pesante per te?” continuò con un sorriso giocoso, soppesando distrattamente la propria lama tra le dita.

“Ti ho solo lasciato vincere, lo sai Sammy” all’Elfo non piaceva quando lo chiamava Sammy, lo aveva sempre irritato, per questo Dean non aveva mai smesso di usare quel nomignolo “Avrei potuto disarmarti subito, ma dove sarebbe stato il divertimento?” fare lo spaccone era divertente, ma Dean doveva ammettere che non era abituato ad usare spade forgiate per gli uomini: erano più pesanti, larghe e molto diverse da maneggiare.

“Smettila di fare lo spaccone, o farai una pessima figura con chi è venuto ad ammirarti” lo ammonì Sam, facendo un cenno del capo in direzione dei gradini, che ora si ergevano proprio di fronte a loro.

L’Elfo si scostò dal fratello adottivo con la scusa di recuperare la maglia che aveva ordinatamente ripiegato a poggiato sull’erba, proprio accanto a dove stava ammonticchiata, in una specie di grumo scomposto quella di Dean, ma non smise un secondo di osservare i movimenti del ragazzo.

Dean sentì il consueto nodo alla gola e fastidiosa stretta di colpa al petto, quando vide dama Lisa, avvolta in un lungo e vaporoso vestito color madre perla, scendere con grazia la scala per fermarsi proprio davanti a lui. In quella posizione, ferma sul primo gradino, Lisa poteva puntare il proprio sguardo scuro negli occhi verdi del ragazzo dalla sua stessa altezza. Sorrise dolcemente, alzando una mano per accarezzare il volto sudato del giovane uomo, prima di parlare.

“Sei diventato un grande guerriero Dean. E del resto sei sempre stato un tenace combattente…”

“Mia signora” replicò Dean, chinando il capo in un gesto di educato saluto “Non dovresti avvicinarti, non sono presentabile” aggiunse, con voce vagamente malferma, abbassando per un secondo lo sguardo sul proprio petto nudo ed accaldato.

Era passato del tempo, avrebbe dovuto essere un esperto, ormai, a giocare a quel gioco di sguardi e complimenti, ma continuava a sentirsi terribilmente in colpa e tuttavia non riusciva in alcun modo a risolversi a mettere in chiaro le cose, né con Lisa, né con nessuno che abitasse nella casa della sua infanzia. Portare quel segreto lo stava uccidendo lentamente, e allo stesso tempo era l’unica cosa che lo teneva in vita. La sua vita era davvero un bel casino.

“Non essere sciocco” ribatté immediatamente Lisa, seguendo senza ritegno, con gli occhi, lo stesso percorso che aveva fatto lo sguardo di Dean sul suo corpo “Tu sei sempre molto più che presentabile”

“E tu sei sempre troppo gentile, e troppo splendente perché i miei occhi possano reggere la tua vista” così andava meglio, i complimenti gli erano sempre fluiti naturali dalle labbra, come fosse nato appositamente per lusingare le signore. Era per questo, probabilmente, che aveva subito avuto un discreto successo nelle escursioni che aveva iniziato ad intraprendere, quando era solo un ragazzo, insieme a Sam, oltre i confini di Imladris. Quando lasciare i domini e la protezione del potere di sire John era ancora abbastanza sicuro per un ragazzo di sedici anni.

Dean si riscosse da quei ricordi, che avevano fatto comparire sul suo volto un sorriso non proprio adatto al corteggiamento di una dama di lignaggio come Lisa, ma quando si trovò ad incrociare il marrone scuro dei suoi occhi sentì di nuovo quel senso di colpa privarlo della voce. Per quanto tempo sarebbe potuto andare avanti così?

Lisa gli scostò, con la punta delle dita, alcuni capelli umidi dalla tempia, e quindi si avvicinò ulteriormente a lui come se volesse sussurrargli all’orecchio un segreto fondamentale. Dean seguì il suo viso che si avvicinava e percepì il suo profumo di fiori e pesche mature. Aveva lo stesso odore dolce di un frutteto in estate, ma per quanto piacevole ed inebriante potesse essere la sua pelle, non era quella che amava e che desiderava, non era il profumo che lo faceva sentire sicuro, completo, a casa. Il ragazzo allontanò gli occhi dal viso della splendida Elfa e, malgrado non avesse la vista acuta di un Eldar, scorse l’inconfondibile figura di sire John osservarli da un terrazzo al piano superiore, solo alcuni metri sopra di loro.

“C’è tuo padre” bisbigliò, in un soffio, mentre ancora sentiva Lisa avvicinarsi lentamente a lui, percependo un certo sollievo quando pensò che quella frase l’avrebbe probabilmente indotta ad allontanarsi.

Ma contro ogni suo pronostico, Lisa si limitò ad allargare il proprio sorriso. Spostò la mano che gli aveva accarezzato la guancia sul suo petto, appena sotto il collo, e posò una bacio rapido ma inequivocabile sulle sua labbra socchiuse di stupore. Solo un secondo, poi si allontanò, superandolo per continuare a camminare distrattamente fra gli Elfi che si allenavano, portando con sé il suo profumo di estate.

Dean era ancora immobile, troppo sorpreso per capire davvero cosa fosse successo, quando riuscì a riscuotersi fece scattare gli occhi verso l’alto, per controllare la reazione che aveva avuto l’Elfo che aveva sempre chiamato padre, ma sire John era già scomparso. Il ragazzo si morse un labbro, su cui sembrava essere rimasto impigliato un leggero sapore di pesche, e strinse una mano sull’elsa della propria spada bastarda, come se potesse trarne un qualche tipo di forza.

“Presto nostro padre vorrà parlarti” la voce di Sam, e la sua mano poggiata sulla spalla, lo riscossero dalle sue preoccupazioni, e Dean si voltò velocemente verso di lui per guardarlo in faccia, ancora più sorpreso di prima.

“Per… questo?” domandò, fra il perplesso e il preoccupato.

Sam si era sempre comportato come fossero veramente fratelli: diceva ‘nostro’ padre, giocava, rideva e scherzava con lui mandando al diavolo il rigido contegno e l’etichetta che manteneva diligentemente con tutti gli altri, perfino Elfi che conosceva da sempre. Eppure, in quel momento Dean non poteva fallire nel ricordare che sire John di Imladris non era veramente suo padre, solo un gentile signore degli Elfi che aveva deciso di raccoglierlo e crescerlo sotto il suo tetto. Lui non era suo figlio, non era un principe, e non era neppure un Elfo.

“La festa di Yestarë non ha celebrato solo l’inizio del nuovo anno, questa volta. Questo è stato un compleanno importante: sei un adulto ora, Dean, anche agli occhi degli Elfi. È tempo che tu assuma le tue responsabilità” spiegò Sam con una certa soddisfazione, spostando gli occhi tanto velocemente verso la figura ormai distante di Lisa, che quasi il su interlocutore non riuscì a coglierne il movimento.

Dean sentì la bocca improvvisamente arida, e il peso che gli aveva gravato il petto davanti all’Elfa, divenne tanto opprimente da impedirgli di respirare. Un anno, era passato quasi un anno ormai, e non l’avevano detto a nessuno… ma ora sarebbe stato costretto. Avrebbe dovuto parlare con John, spiegare a Lisa, e perfino a Sam. Il ragazzo fissò con inquietudine il viso chiaro e sorridente dell’Elfo, mentre si trovava a chiedersi se almeno lui, quello che considerava esattamente come un fratello, avrebbe capito. E se anche tutti avessero capito, poi cosa sarebbe successo? Cosa avrebbe fatto?

Non aveva pensato a quello che poteva o non poteva accadere, quando aveva iniziato tutto ciò? Non gli era sembrato importante, comparato a quello che provava quando era con lui, ma ora? Ora il futuro era qui. Responsabilità voleva dire iniziare ad avere a che fare con il mondo e con le sue leggi. Il tempo dei giochi era finito, e nel mondo reale lui era solo un orfano, un uomo mortale, uno fra i tanti. Le fiabe non facevano parte della realtà, il sangue reale, sangue immortale per giunta, non si mischiava al suo comune sangue mortale: queste erano le regole del gioco. Ma lui non era mai stato bravo a giocare secondo le regole, vero?

“Su, non fare quella faccia! Andrà tutto bene. Nostro padre ti vuole bene e ha molta stima di te, Dean” cercò di rassicurarlo Sam, dandogli due veloci pacche sulla schiena prima di staccare la mano e tornare a guardarla con la medesima occhiata perplessa di poco prima “Ora vai a lavarti però, sei ancora appiccicoso”

“Sono ancora sudato!” lo rimbeccò immediatamente Dean, sospirando nel notare quanto potesse essere schizzinoso quel suo fratello adottivo e quindi avviandosi velocemente su per le scale, dopo aver agguantato quello straccio appallottolato che era la sua maglia.

Sì, quell’Elfo schizzinoso e gioviale avrebbe capito, e in ogni caso sarebbe sempre stato dalla sua parte. Non solo lo credeva, ne era certo. Non solo Sam lo considerava come un fratello, per lui era a tutti gli effetti suo fratello, niente gli avrebbe fatto cambiare idea. Era sicuro di questo perché era sicuro che niente avrebbe potuto fare cambiare idea a lui stesso.

Questa idea gli scaldò il cuore abbastanza per trovare il coraggio di mandare mentalmente al diavolo le leggi del mondo degli adulti. Non si sarebbe arreso, avrebbe lottato per la propria felicità. Le regole potevano essere cambiate, se erano ingiuste.

 

~~~

 

Dean tuffò le mani nella piccola bacinella ricolma di acqua fredda e se la gettò sul viso, lasciando che gli scorresse fra i capelli e sul collo, scacciando un po’ del calore dovuto all’allenamento. Aveva gettato la maglia appallottolata in un angolo e, dopo essersi rinfrescato quanto bastava, soppesò gli indumenti presenti nel suo baule per alcuni secondi, prima di prendere tra le dita una leggera tunica di seta blu scuro. Sentiva ancora le pelle vagamente appiccicosa per l’allenamento, ma Castiel gli aveva detto che lo avrebbe aspettato al laghetto poco prima del tramonto, e l’acqua fresca del piccolo specchio d’acqua sarebbe stata perfetta per fare un bagno. Senza considerare che aveva ottime probabilità di convincere l’Elfo ad immergersi con lui.

Si infilò la tunica sulle spalle, ripose accuratamente la lama bastarda nel baule, e stava per prendere velocemente la porta, quando tre colpi al battente lo fecero sobbalzare. Dean osservò la porta chiusa con un sopracciglio inarcato ed un’espressione perplessa per alcuni secondi, prima di andare ad aprire. In 25 anni non era capitato spesso che qualcuno bussasse alla sua camera: normalmente la gente entrava e basta.

Quando si ritrovò davanti all’autoritaria figura di sire John in persona, Dean sentì una specie di blocco di granito piantarsi nella sua gola, rischiando di strozzarlo e senza la minima intenzione di spostarsi. Aveva preso seriamente le parole di Sam, ma non avrebbe mai pensato che il momento della fatidica chiacchierata sarebbe giunto così presto. Paralizzato da mille pensieri diversi, il ragazzo rimase sulla porta, senza parlare, e senza invitare il padrone di casa ad entrare, il che era probabilmente la cosa peggiore che potesse fare.

“Padr…” Dean si morse la lingua prima di finire di pronunciare la parola: ora era adulto, non poteva continuare a chiamare ‘padre’ quello che in effetti era il suo signore protettore “Mio signore” si corresse, scostandosi dallo specchio della porta per lasciargli l’accesso.

John rimase evidentemente sorpreso dal suo comportamento, e sorrise sollevando le sopracciglia, mentre entrava finalmente nella stanza. “Non è necessario che usi le parole del cerimoniale, quando siamo soli, figliolo” replicò bonariamente, poggiandogli una mano sulla spalla mentre lo superava, dirigendosi verso il grande letto al centro della camera “Mi sembri nervoso, Dean. Perché?”

Il ragazzo seguì attentamente i movimenti dell’Elfo, e alla sua domanda soppesò almeno dieci risposte diverse, prima di decidere che probabilmente la verità sarebbe stata la strada migliore. Non era certo nuovo a piccole bugie e sotterfugi: non era mai stato un bambino tranquillo, e rifilare qualche menzogna per salvarsi dalle punizioni non gli era mai sembrato grave. Ma qui c’era già in ballo un bugia, o meglio una verità non-detta, enorme, non gli sembrava proprio il caso di peggiorare la situazione.

“Perché penso di sapere perché sei venuto”

John gli sorrise di nuovo, un sorriso che gli apparve triste e pieno di orgoglio al tempo stesso, la qual cosa apparve perlomeno strana al giovane uomo. L’Elfo poggiò una mano sul letto, accanto a sé, invitandolo a sedere insieme a lui, e non parlò finché non furono entrambi comodi, uno di fianco all’altro.

“Certo che lo sai, sei un ragazzo intelligente” esordì l’Elfo, sospirando “Eppure sei solo un ragazzo…”

Dean corrugò la fronte mentre osservava gli occhi verdi dell’Elfo abbassarsi sul pavimento, come se quel discorso fosse molto più difficile per lui di quanto potesse esserlo per il suo stesso figlioccio. Il giovane avrebbe voluto dire qualcosa, forse esortare l’Elfo a parlare, forse rassicurarlo, ma rimase in silenzio, in prudente attesa.

“Vedo cosa ti lega a mia figlia, Dean” ricominciò John, ma di nuovo si interruppe subito, come non fosse soddisfatto di ciò che aveva appena detto “Ciò che lega lei a te” si corresse, tornando finalmente a puntare i propri antichi e profondi occhi del colore dei prati in primavera sul volto del ragazzo che aveva cresciuto come un figlio “Ma ci sono molte cose che non capisci. Che sei troppo giovane per poter considerare”

“No… padre” iniziò a replicare Dean, perché malgrado tutta la paura che potesse avere di perdere ogni cosa, non voleva più nascondersi. Ma John gli impedì di proseguire, poggiandogli una mano sulla guancia in una carezza pesante e forte come le sue grandi mani.

“Tu sei… meglio di qualsiasi cosa potessi sperare nella mia vita. Hai superato ogni aspettativa che io o i tuoi genitori potessimo avere, e ancora hai tanta strada davanti a te, che ti porterà fare cose grandiose, cose che nemmeno puoi immaginare” la voce di John di Imladris non era più profonda e pacata come soleva essere, ma spezzata e carica di emozione e d’orgoglio e Dean si sentì invadere il petto di un affetto di cui non aveva mai realizzato la vera forza “Ma non puoi chiedermi di darti mia figlia, perché non puoi chiedermi di condannarla a morte” concluse, mentre il suo tono sembrava farsi pesante come il martello che forgia le spade migliori, per la tristezza.

Dean spalancò gli occhi, senza capire, semplicemente fissando a bocca socchiusa il volto ancora sorridente eppure addolorato dell’Elfo che lo aveva appena fatto sentire più forte ed importante di quanto avesse mai sperimentato, semplicemente pronunciando poche parole.

“Io… non capisco, padre” replicò infine, perché c’era una paura, il sussurro di una comprensione che non voleva accettare, che aveva iniziato ad insinuarsi in lui. Voleva ancora spiegare a John come stavano realmente le cose, chi e quale strada avesse scelto ormai un anno prima, ma prima voleva sapere. Voleva conoscere quello che il signore di Imladris aveva da dirgli, perché comprendeva che non riguardava solo Lisa.

“Lisa è mia figlia. Non è completamente un Eldar e c’è una scelta che può fare, riguardo alla sua vita. Io so che lei sceglierebbe di buon gado la breve vita degli uomini, per te…” iniziò a spiegare l’Elfo, fermandosi finché non vide la comprensione scendere sul viso di Dean “Ma se pure potessi convincerla a non rinunciare alla vita degli Eldar, non potrei sopportare di vederla vagare senza forza e senza più sorriso per l’eternità, consumando la propria anima nel dolore, per la tua morte”

Dean sentì come se qualcuno avesse preso tutte le promesse di felicità che di cui si era riempito il cuore, e vi avesse messo invece solo la certezza di un cupo destino di dolore e morte. Non si era mai sentito inferiore agli Elfi che lo avevano allevato, non li aveva mai invidiati e non aveva mai desiderato avere la loro vita eterna, perché gli piaceva essere come era e godere a pieno di ogni giorno, ma ora… ora gli sembrava che ogni giorno di sole, di cui gli era sembrato di godere di più proprio perché il numero dei suoi giorni era contato, non valesse più niente. Ora il suo sangue, il suo corpo tanto caduco, la sua nascita gli sembrava solo disgraziata. E la morte un maledizione, e non un dono dei Valar.

Perché i Valar avevano messo nel suo cuore felicità e amore, se le loro uniche conseguenze avrebbero potuto essere morte e dolore? Sentì i propri occhi inumidirsi all’improvviso, e contrasse le labbra per non mostrare le proprie debolezze a colui che chiamava padre, a colui che voleva rendere orgoglioso.

“Io so che ami Lisa, Dean. Per questo ti chiedo di non legarla a te, di non condannarla alla morte o al dolore eterno” Dean non riuscì a fare altro che annuire, quando sentì le ultime parole del suo signore, quindi distolse lo sguardo da lui, per riuscire ad asciugare il dolore che voleva colargli sulle guance, e strinse le mani in pugni di rabbia impotente quando sentì le braccia di John di Imladris circondargli le spalle e accarezzargli amorevolmente la testa.

“Mi dispiace, Dean. Mi dispiace così tanto, figliolo”

 

~~~

 

Ora capiva. Ora finalmente comprendeva tutta l’inimicizia che Gabriel e Balthazar avevano continuato a riversare su di lui per anni, ora capiva anche le parole velenose e brutali che Gabriel gli aveva rivolto prima che lui e suo fratello partissero, l’ultima volta, per fare ritorno alla corte del loro padre, il signore di Bosco Atro.

Allora, era stato infastidito dalla sua violenza, quando lo aveva sbattuto malamente contro una colonna, per nasconderlo alla vista di tutti e sibilargli la sua minaccia, ed era stato forse spaventato dal fatto che i due Elfi sembravano avere capito perfettamente quale fosse la situazione, ma soprattutto lo aveva considerato pazzo e malvagio, quando gli aveva detto chiaro e tondo che lo avrebbero ucciso, piuttosto che permettergli di portare via Castiel dalla sua famiglia.

Ora capiva: la rabbia, le minacce, perfino la violenza. Gabriel aveva ragione, naturalmente, aveva sempre avuto ragione, era semplicemente stato troppo arrabbiato per spiegargli le sue motivazioni.

Dean deviò dal sentiero che conduceva direttamente al laghetto, dove lui e Castiel erano soliti incontrarsi, al riparo da sguardi indiscreti, e si diresse invece più a monte, verso la zona dove stava il declivio erboso ed il torrente dove l’aveva baciato per la prima volta. Il sole stava tramontando, ma il ragazzo sentiva il bisogno di pensare, di mettere ordine nella propria testa e nel proprio cuore, ma soprattutto di raccogliere la forza per fare ciò che andava fatto.

Quando era riuscito ad asciugare le lacrime e a rendere salda la propria voce, aveva comunicato la propria ferma decisione a sire John, e per quanto il suo protettore fosse stato tanto stupito quanto addolorato da una decisione così drastica, aveva acconsentito alla sua richiesta di libertà e lo aveva abbracciato forte prima di lasciare la sua camera. Se ripensava alla sfumatura chiara dei suoi occhi quando lo aveva guardato, pieno di orgoglio, per l’ultima volta, Dean capiva che avrebbe sentito la mancanza di quello sguardo per il resto della sua vita. Tanto quanto avrebbe sentito la mancanza del blu profondo di quelli di Castiel, gli stessi occhi di cui ora stava rifuggendo lo sguardo.

Il ragazzo costeggiò con passo lento il ruscello finché non trovò le rocce bianche che generavano la piccola cascata che andava a gettarsi nel laghetto dove lui e l’Elfo avevano trascorso così tanti pomeriggi e serate. Si fermò, sopra di esse, ad osservare la piccola radura sottostante, la superficie dell’acqua resa rossa come rame dalla luce morente del sole e le ombre che si allungavano, nere e sfumate, tra gli alberi, e non gli riuscì di scorgere in alcun modo la figura dell’Elfo che avrebbe dovuto aspettarlo. Forse, alla fine aveva fatto troppo tardi, e Castiel era tornato solo al palazzo.

Appoggiò una mano dove la sottile cascatella si divideva in mille rivoli, a formare un cristallino velo d’acqua in movimento, sopra il sottile strato di morbido muschio che nascondeva l’accecante candore delle rocce del piccolo declivio. Solo qualche metro più in là, l’erba vinceva di nuovo sulle rocce, e scompariva tra i fusti sottili delle betulle e dei salici, declinando dolcemente verso la conca che ospitava il laghetto. Le foglie e le fronde rigogliose degli alberi nascondevano, splendide sentinelle dai corpi flessuosi come ragazze appena sbocciate, la piccola radura da ogni lato, tranne dal punto sopraelevato dove il ruscello si gettava per quelle rocce, giù per poco più di un metro e mezzo. Il punto dove lui si trovava, e l’unico dal quale un osservatore avrebbe potuto spiare lì dentro, ed era praticamente impossibile spiare senza essere visti. Per questo, oltre che per la bellezza discreta e spontanea di quel luogo, lo avevano eletto a loro rifugio.

Dean soppesò la strada più semplice, tra gli alberi, poi scese cautamente tra le rocce, lasciando che l’acqua fresca gli schizzasse sul viso e inumidisse la stoffa leggera della sua tunica scura. Si ancorava, con le mani, alle rocce rese sdrucciolevoli dal torrente, e sceglieva accuratamente dove mettere i piedi, per non rischiare di scivolare sul muschio bagnato. Infine, raggiunse la grossa roccia piatta dove solevano sdraiarsi durante i pomeriggi più caldi, per godere della vicinanza fresca dell’acqua, e sedette, togliendo rapidamente i bassi stivali e lasciando penzolare le gambe fino a sfiorare la superficie del lago con le dita dei piedi.

Spostò indietro le mani e vi si puntellò, alzando gli occhi al cielo che si colorava di blu cobalto, scivolando in un viola pallido e infine nel rosso più intenso, verso ovest. Un tordo lanciò il suo grido, da qualche parte lassù tra gli alberi, e mille voci di fringuelli e rondini risposero, attraversando il cielo in voli incrociati. Sembravano cantare alla primavera, sembravano prendere in giro al sua malinconia con i loro gridi felici, schernire la libertà appena conquistata con quei voli spensierati.

Non lo sentì avvicinarsi, non lo sentì nemmeno emergere gocciolante dall’acqua, assorto com’era ad ascoltare i richiami degli animaletti della foresta, mischiarsi con il ritmico sciabordio del torrente che si fondeva con le acque placide del laghetto. Non ebbe il benché minimo sentore che lui fosse lì, finché non gli poggiò le mani bagnate sulle cosce, un bacio umido alla base del collo.

Sobbalzò e quasi scivolò in acqua, quando sentì le sue labbra succhiargli appena la pelle sopra la clavicola.

“Cas!” esclamò, indeciso se ridere o suonare arrabbiato, ma non ebbe il tempo di decidere, perché le mani dell’Elfo strinsero le sue gambe all’altezza delle ginocchia, e Dean perse la presa sulla roccia, cadendo in acqua, infine, con un tonfo sonoro.

Emerse immediatamente, passandosi una mano sulla faccia e tra i capelli, mentre prendeva una grossa boccata d’aria e soffiava via acqua da labbra e naso, cercando di non annegare.

“Ma cosa…?” iniziò a domandare, non appena inquadrò il viso sorridente e completamente innocente di Castiel.

“Puzzavi” rispose con semplicità, all’improvviso decisamente serio e forse anche vagamente schifato “Avevi bisogno di un bagno”

Dean aprì la bocca per replicare ma si bloccò. Non poteva resistere, non poteva tenere la sua espressione seria e corrucciata, nemmeno la tristezza invincibile che ancora sentiva dentro di sé poteva impedirgli di ridere, di fronte a quel sorriso candido. Era stupefacente come Castiel potesse fare qualcosa di terribilmente buffo o dire qualcosa di assolutamente ironico, senza neppure rendersene conto.

“Potevi almeno farmi togliere i vestiti”

“Posso farlo ora” o incredibilmente sensuale… Castiel si avvicinò velocemente a lui, muovendosi nell’acqua come non avesse fatto altro nella vita, senza apparire goffo o impacciato, ma sempre elegante e sicuro di sé come un ballerino alla prima dello spettacolo.

Come aveva potuto lui attirare l’attenzione di una creatura del genere? Come aveva fatto ad essere così terribilmente fortunato e sfortunato al tempo stesso?

L’Elfo afferrò il bordo della sua tunica e gliela sfilò con un unico gesto dalla testa, quindi gli poggiò una mano sul collo, proprio dove poco prima aveva posato il bacio che lo aveva fatto sobbalzare, e avvicinò le labbra alle sue: calde, gocciolanti d’acqua e leggermente dischiuse.

Dean si rendeva conto che avrebbe dovuto allontanarlo, essere inflessibile, ma la parola ‘no’ sfiorò solo vagamente la superficie della sua mente, mentre si sporgeva verso di lui, catturando il suo labbro inferiore fra le proprie per suggerne tutte le piccole stille che vi si erano fermate, incastrate come diamanti liquidi fra le pieghe della sua bocca. Quando sentì la lingua di Castiel sporgere per potergli accarezzare la pelle, infilò le dita fra i suoi capelli fradici e si spinse contro il corpo nudo del compagno.

Aniron le (Ti voglio)” gli  sussurrò l’Elfo sulle labbra, mentre le sue mani gli scorrevano sul ventre, fino ad arrivare al bordo dei suoi pantaloni gonfi d’acqua.

Il giovane uomo sospirò e strinse il pugno tra la capigliatura castana dell’Elfo: ora capiva cosa aveva voluto dire, quando quella mattina gli aveva bisbigliato che lo avrebbe aspettato al laghetto, per dargli il suo regalo di compleanno. In quel lungo anno, si erano baciati ed accarezzati in molti modi, ma non avevano fatto nulla di più, perché questa era la maniera degli Elfi, e non poteva credere che ora, propria ora…

Premere le mani sul petto del compagno, per costringerlo ad allontanarsi da lui, fu la cosa più difficile che avesse mai fatto. E non faceva male solo nel petto, ma anche in tutto il resto del suo corpo, che già non desiderava altro che stringersi a quello di Castiel, e ricevere le attenzioni delle sue mani e delle sue labbra. Ma non poteva permettergli di farlo, non poteva permettergli di darsi completamente, o non ci sarebbe stato più ritorno da quell’oscuro futuro di dolore che continuava a vedere di fronte a loro.

“No, Castiel… no” sospirò, senza sapere bene cosa aggiungere, camminando piano e goffamente nell’acqua bassa, per riavvicinarsi alla grossa roccia piatta dove era stato seduto fino a poco prima. Vi appoggiò le mani e attese che il freddo del lago quietasse del tutto il suo corpo, prima di tornare, con un balzo, a sedere sul bordo.

Castiel era rimasto dov’era, e lo guardava la fronte corrugata ed un’espressione preoccupata negli occhi blu. Emergeva con tutto il busto dall’acqua, ed era terribilmente difficile, per Dean, guardarlo e resistere alla tentazione di rituffarsi e tornare da lui, per prenderlo e stringerlo in ogni modo che poteva. E ancora più difficile era incrociare il suo sguardo: non c’era mai stato nessuno che sapesse leggere sul suo volto quello che gli passava per la testa come Castiel, e lui non voleva che l’Elfo capisse tutto prima che fosse lui a dirglielo.

Man dâr, Dean? (Cosa c’è, Dean?)” domandò l’Elfo piano, avvicinandosi con lentezza a lui e tornando a poggiare le sue mani bagnate sulle gambe ancor più fradice del ragazzo.

“Non va bene, Cas. Questo… non va bene” replicò il ragazzo, tenendo lo sguardo basso per non dover incrociare quello del compagno.

“Perché? Cosa succede?” chiese con più frenesia, e il suo tornare ad usare la lingua comune fece sembrare la sua voce meno dolce, più aspra e concitata.

“Non è mai stato giusto ma… non potevo vederlo. Sono stato uno sciocco, Castiel” voleva andarsene, allontanarsi. Non poteva sopportare di restare lì, davanti a lui, quasi tra le sue braccia, a spiegargli perché doveva lasciarlo.

Una lettera, una lettera sarebbe andata bene. Poteva metterla nella sua stanza, e poi scivolare via nella notte, senza salutare nessuno, scomparendo come non fosse mai stato lì, come non avrebbe mai dovuto essere. Forse lo avrebbe odiato, ma in fondo sarebbe stato meglio così, no?

Dean sentì la mano di Castiel posarsi sulla sua guancia, costringendolo ad alzare il mento, a guardarlo finalmente negli occhi, e ancora una volta il ragazzo sentì l’impulso di rifuggire il suo tocco, il suo sguardo, la sua vicinanza che amava tanto da spezzargli l’anima.

“Che cosa stai dicendo? Chi ti ha messo in testa queste cose?” continuò a domandare Castiel, e le sue parole non uscirono più con la velocità dell’ansia: la sua voce si fece grave, roca, profonda e lenta, mentre pronunciava quelle domande che sembravano sospese fra la paura e la minaccia.

“Castiel tu… non posso restare. Non posso legarti a me!” sbottò Dean, come fosse arrabbiato con lui, afferrando il suo braccio forse per allontanarlo, forse per aggrapparsi a lui.

Castiel lo afferrò per fianchi e lo attirò verso il bordo della roccia, più vicino a lui, senza mai lasciare che la sua mano si allontanasse dal suo viso, senza mai distogliere gli occhi da quelli chiari e cupi al tempo stesso di Dean.

“Non sei tu che mi leghi a te. Sono io che scelgo, io ho scelto. Im thellin melethron nin an… (Ho scelto il mio compagno per…)” sussurrò Castiel, avvicinando lentamente il volto a quello del ragazzo, ma lui lo interruppe prima che potesse concludere la frase.

“Non te lo lascerò fare, Cas!” esclamò, scattando all’indietro con la schiena ed alzando gli occhi al cielo ormai sempre più nero, come per spezzare l’incantesimo che gli occhi dell’Elfo sembravano esercitare su di lui. Respirò profondamente, e solo dopo alcuni secondi tornò a cercare, tra le ombre sempre più fitte, il volto del compagno “Guardati Castiel. Sei splendido, forte e tanto antico quanto appari giovane. Hai tutto il mondo ai tuoi piedi. Sei un principe degli Eldar e la tua vita può essere lunga come quella delle montagne. Io non posso lasciare che tu faccia questo errore, e la getti via…” Dean allungò le mani per incorniciarvi il volto dell’Elfo, fingendo di ignorare la lacrima che pendeva dalle sue ciglia scure, fingendo di averla scambiata solo per un’altra goccia d’acqua.

Perché quegli occhi lo guardavano come se lo avesse sempre saputo? Come se in quell’anno di sorrisi spensierati, per lui ci fosse sempre stato il cupo sottofondo della paura che questo giorno sarebbe presto arrivato? Perché ora, mentre trovava il coraggio di fare a pezzi il proprio stesso cuore per salvare la sua vita, gli sembrava di fare a brani anche lui, pezzo per pezzo, uccidendolo fin d’ora di dolore?

“Con me, il tuo futuro sarebbe una sofferenza senza fine. Come posso condannarti a questo?” disse, serrando la mascella come se qualcosa lo avesse colpito, parlando più a se stesso che all’Elfo di fronte a lui, per convincere ancora una volta quel suo cuore testardo che questa era la cosa giusta da fare.

Castiel allungò una mano e lo afferrò per la nuca, velocemente, violentemente, impedendogli di allontanarsi ancora e posando le labbra sulle sue con tanta forza da fargli male.

“E’ una mia scelta! Non ti azzardare a fare le mie scelte per me!” gli sibilò sulle labbra, baciandolo di nuovo ed afferrandogli un braccio, stringendo fino a lasciare i segni della sua mano sulla carne.

Dean affondò in quel bacio senza poterselo impedire, senza neppure rendersi conto delle dita del compagno che affondavano nella sua carne nel tentativo disperato di trattenerlo. Non seppe quale dei Signori dell’Ovest gliene avesse dato la forza, ma infine, ansimante, al limite della sopportazione fisica e psicologica, guardò dritto in quello sguardo che ora, velato dalle ombre della notte, appariva nero come la pece. Lo guardò a lungo e intensamente, come volesse scolpire ogni segno ed ogni sfumatura dei suoi occhi nell’anima, poi si alzò di scatto.

“Non posso… avo iston avo nesto le, Castiel (non posso non salvarti, Castiel)” disse, una volta in piedi, guardando il suo corpo chiaro che emergeva dalle acque scure per un’ultima volta, prima di allontanarsi con passo veloce tra gli alberi, senza nemmeno rendersi conto di avere lasciato un pezzo d’anima, insieme alla sua tunica scura, tra le acque di quel laghetto.

 

~~~

 

Era notte, notte fonda, ma quello era un palazzo popolato di Elfi, e questo significava che non era mai completamente addormentato. Aveva salutato tutti, brevemente, con poche parole vaghe ed un abbraccio, tutti tranne Castiel, perché sapeva che non sarebbe stato in grado di dirgli addio di nuovo.

Si mosse il più silenziosamente che poteva, come gli avevano insegnato gli Elfi nel corso degli anni, e raggiunse le stalle senza problemi. Lì lo aspettava Impala, la sua giumenta nera. Non era molto che era con lui, John gliel’aveva portata personalmente il giorno del suo compleanno, ma non appena era montato in sella, gli era sembrato che quell’animale fosse stato, in realtà, sempre parte di lui. Impala capiva al volo quello che voleva, non aveva nemmeno bisogno di condurla con le briglie, e si muoveva come un tutt’uno con il suo corpo: non avrebbe potuto desiderare compagna migliore, per i suoi peregrinaggi. Le accarezzò il collo amorevolmente, le mise la sella e le infilò i finimenti, senza che lei protestasse o facesse un solo rumore. I suoi grandi occhi scuri lo guardavano, e sembravano capire il suo stesso dolore, quanto difficile fosse per lui partire e quanto fosse importante farlo in silenzio, senza clamore, senza che nessuno se ne accorgesse.

Non sarebbe uscito dalla strada principale: vicino alle stalle c’era un sentiero che spesso i cavalieri usavano per andare a caccia o per lunghe passeggiate. Si inoltrava subito in una fitta macchia di alberi, e lo avrebbe condotto, nascosto, fino alla strada che portava all’apice del passo oltre il quale avrebbe lasciato la valle di Imladris, giù verso il guado del Bruinen e poi a nord, nelle terre selvagge.

Impala cavalcava più veloce che poteva sul sentiero non troppo ampio, leggera come se nemmeno toccasse il terreno e silenziosa come il volo di una libellula. La luna non era ancora sorta, quando lanciò la giumenta al galoppo sulla strada principale, inspirando a fondo l’aria fresca della notte, mentre il suo lungo e grigio mantello elfico svolazzava, rendendolo solo un’altra macchia scura fra le ombre. Raggiunsero la sommità del passo, inseguiti da pochi raggi di luce lattiginosa, e Dean tirò le redini per fermare Impala proprio lì sopra, lì dove finivano i domini del signore di Imladris, quindi smontò di sella e guardò, nel cielo, la splendida dama d’argento - Ithil come la chiamavano gli Eldar - far risplendere il palazzo di Gran Burrone come una gemma intrecciata alla terra. Non era solo il suo cuore che lasciava lì, era un intero brano della propria esistenza. Se mai sarebbe tornato a vedere quel paesaggio, sarebbe stato una persona diversa, più vecchia, più dura, forse più saggia, sicuramente più sola.

Dean sospirò e si voltò per rimontare in sella e porre un muro di roccia fra lui e la tentazione di tornare alla propria casa, nascondendosi nelle sue stanze invece di affrontare ciò che andava fatto, ma una mano sulla spalla lo prese alla sprovvista. Il ragazzo estrasse velocemente il proprio corto pugnale elfico, la cui lama perfetta ed intonsa scintillò nella notte, saettando verso chiunque avesse osato assalirlo alle spalle nelle terre di sire John, ma il suo polso venne intercettato da una mano altrettanto salda, che lo bloccò ad un centimetro dal proprio cuore.

Il suo assalitore aveva il volto celato dall’ombra del suo cappuccio, ma nemmeno in un milione di anni Dean avrebbe potuto confondere le labbra che, illuminate dalle stelle nel cielo, sussurrarono vicino a lui.

“Pensavi di scivolare via senza salutare?” c’era ironia nella sua voce, ma il ragazzo pensava di sapere perché il suo cappuccio continuava a celargli gli occhi.

“Perché mi hai seguito? Perché sei venuto?” gli chiese lui con voce dura, rivestendosi di un freddezza che non credeva di avere, che gli faceva paura.

L’Elfo lo spinse contro il fianco della giumenta, che nitrì debolmente ma non si spostò, strinse in un pugno una manciata della stoffa che gli copriva il petto, e lo baciò con la forza della disperazione e la dolcezza dell’abbandono, assaporando più che poteva, finché poteva, il suo gusto caldo e pieno, che già iniziava a sapere di estraneo, prima di bisbigliare “Istag dregi, dan avo istag nuithag nin an meli le (Puoi fuggire, ma non puoi impedirmi di amarti)”

Castiel lasciò che le lacrime scorressero liberamente sul suo bel viso bagnato dalla luce candida della luna appena sorta, mentre lo guardava svanire al galoppo verso un futuro in cui non poteva seguirlo.

 

   
 
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