Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Trick    08/06/2011    12 recensioni
"Pareva essere una sorta di buffa maledizione – o di un sarcastico scherzo del destino, magari – ma ogniqualvolta decidevano di allargare la famiglia con un bel gatto o con un Kneazle, ecco spuntare un altro figlio".
Per tutti coloro che non hanno ancora capito che la loro coppia preferita è inspiegabilmente deceduta e continuano a chiedersi:
«Cosa sarebbe successo se avessi acquistato un'edizione del libro in cui Remus e Tonks sopravvivono e si trasferiscono nel Derbyshire?».
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note dell'Autrice – sempre discutibilmente utili:
Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace e mi stra-dispiace! È tipo da... uhm, febbraio, sì, che non aggiorno. Lo so, sono un'inguaribile fan-writer poco professionale, non abbiatene. Questo capitolo aveva la stessa fretta di uscire di un bradipo stitico. Cioè, dico, avete letto questa metafora? Dovrebbe farvi pensare: «Oh, cavolo, la poverina è completamente in botta! Evitiamo di sovraccaricarla di problemi e non linciamola pubblicamente». Sarebbe effettivamente carino se non lo faceste.
Ehm... c'erano un paio di cosette che mi ero appuntata di scrivere in queste note, ma non trovo più il post-it. No, un attimo. Okay, dal mio cervello è partito un fiducioso segnale. Ah, ecco! Un sacco di voi altri mi ha chiesto quanti anni hanno i pargoli dei coniugi Lupin.
Di Teddy sappiamo che è nato più o meno i primi giorni dell'aprile del 1998 – di conseguenza ha nove anni. Io ho scelto il 3 di aprile, così, a stra-casaccio.
Alastor è nato il 18 settembre del 1999, quindi di anni ne ha otto. Andromeda è nata il 9 luglio del 2001, mentre Minima il 13 novembre del 2002 e, se la matematica non è un'opinione, la prima ha sei anni e la seconda cinque.
Un'altra cosa buffa/inutile/interessante/inutile/cretina/decisamente inutile che un'amica mi ha domandato dopo aver letto i primi capitoli è stata: «Ehi, ma 'sti bambini ce l'hanno, una faccia?».
«Ma che cavolo di domanda è?» le ho detto. Cioè, scusate un attimo... hanno la faccia che immaginate voi, come in tutte le cose che si leggono, grazie al cielo. Invece no, questa insisteva, insisteva, insisteva ed io mi sono ritrovata a cercare per il web quattro ragazzini che potessero anche solo lontanamente assomigliare ai miei immaginari giovani Lupin... che adesso vi sbatto pure qui sotto, mica crediate!
Teddy → VAI QUI
Andromeda e Alastor → ANCORA QUI

Minima→ E DI NUOVO QUI
Non so chi siano questi bambini, ma - giuro! - non li ho rapiti. Non so nemmeno se siano remotamente famosi. Erano lì, su Gugol Images, e li ho presi su. Il che, forse, significa che li ho rapiti, non so... se qualcuno li conosce, dite ai genitori che li ho trovati io, grazie.
E basta con 'ste boiate, va'.





La Casa Stornella
Capitolo Cinque
C'era una volta una storia vecchia




Come tutti i figli di maghi e streghe che avevano vissuto la cruda atrocità della guerra contro Lord Voldemort, anche i piccoli Lupin avevano tratto la conclusione che ciò che era accaduto, in sostanza, non fosse altro che un'avvincente fiaba – a tratti un po' triste, certo, ma con un bel lieto fine. Nelle loro menti, non esistevano brutalità come il sangue e le lacrime: c'erano solo gli eroi vittoriosi che sconfiggevano le forze Oscure, e tanto bastava ad alimentare la loro fervida immaginazione. Forse, se avessero potuto vedere realmente quanto curva e debole apparisse allora la figura di Harry – il paladino, il valoroso, il Prescelto – si sarebbero fatti fin da subito un'idea ben più diversa e matura di cosa, essenzialmente, tutto quello era costato loro; ma non erano che bambini, e certi aspetti della vita sarebbero rimasti un mistero ancora qualche anno.
Nelle centinaia di racconti che avevano sentito raccontare davanti al fuoco – o attorno alla lunghissima tavola della Tana, spesso – non c'era spazio per il grigiore delle battaglie e per il fiato pesante della morte. Non c'erano cattivi un po' meno cattivi, né buoni un po' meno buoni: c'erano solo parole fatte di coraggio, di onore e di giustizia.
In virtù della rinnovata pace, Remus e Tonks avevano omesso loro qualsiasi dettaglio potesse essere troppo sinistro e spietato per la loro età spensierata. Indiscutibilmente, le rispettive infanzie di entrambi – l'una distrutta dalla licantropia e l'altra dalla prima guerra contro Lord Voldemort – avevano notevolmente inciso su quella ferrea e insindacabile decisione. Non era ancora giunto il momento, si ripetevano.
Nessuno dei loro figli sapeva chi fossero i Malfoy – nessuno li nominava mai, a Casa Stornella. Non che ce ne fosse bisogno, in effetti: Lucius Malfoy era ormai sprofondato oltre i cancelli della sua maestosa villa e, sebbene di tanto si vedessero ancora per Diagon Alley, né la moglie né il figlio sembravano intenzionati a far sentire la voce nella chiassosa ripresa della vita normale. Non sapevano di essere i più giovani discendenti di una delle più antiche e crudeli casate di Purosangue mai esistite; non sapevano che il corpo del nonno di cui Teddy portava il nome era stato ritrovato settimane dopo la morte, abbandonato ai rapaci e ai ratti nella buia foresta di Dean; non sapevano chi fosse stata e cosa avesse rappresentato per l'intera Gran Bretagna Bellatrix Lestrange.
Erano parte della prima generazione nata con la speranza di un futuro migliore, dopo secoli di guerre, scontri e lutti, e nessuno – nessuno – avrebbe avuto il coraggio di sporcare quell'innocenza che tanta fatica e sacrificio aveva richiesto.
Men che meno, fra l'altro, erano venuti a conoscenza della malaugurata fama di Serpeverde – un'idea di Remus, per lo più, poiché capitava ancora che Tonks si lasciasse sfuggire qualche velata allusione alla loro storica perfidia. Gli avevano raccontato di Hogwarts, gli avevano spiegato come avvenisse lo Smistamento, gli avevano descritto la magnificenza dei giardini e della Sala Grande e la straordinaria propensione che le scale del castello avevano per i cambiamenti inaspettati. Conoscevano la casa di Grifondoro, naturalmente, e con essa il coraggio, la nobiltà d'animo e la generosità; allo stesso modo, di Tassorosso conoscevano la lealtà, la determinazione e il sacrificio; di Corvonero, poi, conoscevano la saggezza, l'intelligenza e la perspicacia; infine, c'era Serpeverde, con la sua astuzia, la sua ambizione e la sua intraprendenza.
A Hogwarts non esistevano buoni e cattivi, e tanto bastava.
*


Se c'era qualcosa che proprio non si sarebbe potuto dire sul conto di Minima, era che fosse una bambina suscettibile – permalosa, magari, ma non suscettibile. Pareva non condividere le tipiche paure che accomunavano fra loro i bambini, ed era qualcosa che tanto Remus quanto Tonks avevano sempre trovato un po' preoccupante. Perfino Teddy, nonostante il carattere esuberante, spericolato e imprudente, covava di nascosto un paio di irragionevoli timori – era terrorizzato da quei buffi pagliacci a molla che scattavano fuori dalle scatole, ad esempio.
Al contrario dei fratelli, Minima sembrava immune alla paura.
Poi, l'anno prima, Andromeda aveva scoperto i resti di un piccolo cardellino nel retro del giardino. Il triste avvenimento aveva portato con sé una valanga di impietose domande sulla morte e sulla vita, e Remus, incredibilmente, si era ritrovato a pregare che gli domandassero come nascessero i bambini.
Si erano riuniti nell'accogliente salotto di Casa Stornella. Teddy era coricato a pancia in giù sul tappetto e si sorreggeva la testa con le mani, mentre dondolava nervosamente le gambe. Accanto al caminetto sfrigolante e ben più composto – come sempre – era seduto Alastor, mentre Andromeda aveva trovato posto fra le gambe di Tonks, che aveva iniziato ad accarezzarle distrattamente i bei riccioli chiari. Minima si era acciambellata ai piedi della poltrona di Remus, immobile e attenta.
«È come andare a dormire?» aveva domandato Alastor.
«Non proprio» aveva risposto alla fine Remus, grattandosi pensieroso la tempia destra. «Quando si muore, non si può tornare indietro – a meno che non si voglia diventare un fantasma, certo».
«E se diventi un fantasma, vuol dire che non muori mai più?» aveva chiesto Andromeda, perplessa.
«Si è già morti» l'aveva corretta Tonks con un sorriso storto. «Non puoi mica morire tutte le volte che ti pare».
«Non è una cosa bella. Perché l'hanno fatta, se non è una cosa bella?».
Remus e Tonks si erano scambiati un'occhiata eloquente.
«Così, noi tutti avremmo imparato quanto è importante la vita» aveva detto pacatamente Remus.
«A me, questa cosa della morte mi pare una fregatura» aveva commentato con decisione Teddy, scuotendo il capo verdognolo. «Se non sei più qui, dove vai?».
«Non lo sa nessuno di preciso. In qualche posto divertente, immagino».
«Come un parco giochi?».
Remus aveva alzato le spalle.
«Forse. Non lo so».
«Ma tu sai sempre tutto!» aveva protesto con un sbuffo Teddy, fissando il padre con veemenza. «Non è giusto che non sai dove bisogna andare quando sei morto!».
«Questa è una cosa che non sa proprio nessuno».
«Perché?».
«Perché si muore una volta sola» ripeté Tonks. «E nessuno si è mai preso la briga di tornare indietro per farci sapere come va la morte, dall'altra parte».
«Non mi piace» aveva commentato titubante Minima, giocherellando nervosamente con i bottoni del pigiama. «Non voglio morire».
Remus si era umettato le labbra, riflettendo rapidamente su quale fosse la risposta da dare alla propria ultimogenita. Negli occhi di Minima c'era un luce timorosa del tutto nuova.
«La morte non è nulla di cui si debba avere paura» aveva spiegato lentamente, scrutando in tralice la moglie. Lei aveva annuito con un sorriso di incoraggiamento. «Se così fosse, dovremmo avere paura anche della vita».
«Non è vero» aveva ribattuto Minima con una vocina lamentosa. «Non sai nemmeno dove vai».
«È questo, tesoro, ciò che si teme. Non la morte, ma l'ignoto».
«Che cos'è l'ignoto?» si era informata Andromeda, voltando il capo per guardare la madre.
«Ignoto» ripeté automaticamente Alastor, bloccandosi qualche istante e chiudendo le palpebre con espressione concentrata. «Aggettivo riferito a ciò di cui non si ha alcuna conoscenza o esperienza; non identificato o non identificabile. Può indicare anche una persona sconosciuta o di cui non si è riusciti a stabilire l'identità. Espresso solo singolarmente, denota ciò che non si conosce e che ha quindi carattere di mistero».
Remus gli rivolse un sorriso gentile.
«Non avrei saputo dirlo meglio».
Minima parve aver perso interesse per l'argomento, poiché si era chiusa in un impenetrabile silenzio e non aveva più detto una parola. Né Remus né Tonks erano intenzionati a forzarla, così l'argomento era stato presto sostituito da qualcosa dai contenuti più allegri.
Dopo quella sera, Minima non aveva più parlato della morte, ma entrambi, tuttavia, sapevano che la questione fremeva ancora nella sua mente. Come Tonks ripeteva in continuazione, Minima aveva ereditato il brutto vizio del padre di tenere per sé i problemi; fin quando non avesse voluto lei, non se ne sarebbe più discusso.
Tonks dubitava che ci fosse questa sua delicata paura alla base della sua repulsione per Serpeverde, ma era più che intenzionata ad arrivare a capo della faccenda prima dell'ora di pranzo.
Quando raggiunse l'entrata di Scribbulus, trovò Minima accucciata in un angolino, con le gambe saldamente strette al petto e il busto scosso da violenti singhiozzi. Fece un respiro profondo – poiché quello era indiscutibilmente un pessimo presagio – e si sedette accanto a lei, accavallando un piede sull'altro.
«Che succede?».
Minima non diede nemmeno segno di averla udita. Tonks intrecciò le dita e si accorse che Teddy, Alastor e Andromeda erano in piedi accanto a lei, in silenziosa attesa. Si domandò per quale motivo Remus non li avesse tenuti con sé, quando sapeva perfettamente che Minima avrebbe difficilmente aperto bocca in loro presenza. Ne dedusse che la conversazione con il professor Lumacorno stava sviando verso un argomento ancora più delicato e fece un sospiro affranto.
«Perché non andate a dare un'occhiata alla vetrina del Serraglio Stregato?» propose loro con un sorriso un po' storto, indicando il negozio all'altro capo della strada con un cenno del capo.
«Sì!» esclamò entusiasta Teddy, lanciandosi rapidamente verso l'emporio di animali.
«Ho detto la vetrina, Teddy, non l'intero magazzino!» gli ricordò a gran voce Tonks, passandosi una mano fra i capelli. «State lì, dove posso vedervi» si rivolse agli altri due. «E se Teddy muove un solo piede fuori dal mio campo visivo, avete il permesso di atterrarlo e prenderlo a calci nel didietro».
Alastor e Andromeda ridacchiarono fra loro e si affrettarono a seguire il fratello, che già saltellava davanti al Serraglio Stregato in preda all'euforia. Rimasta finalmente sola con Minima, Tonks cercò di riprendere la conversazione.
«Cos'è successo?».
La bambina scosse con ferrea decisione il capo e Tonks, con un lieve sospiro, appoggiò la nuca all'ingresso di Scribbulus e iniziò a scrutare distrattamente le tegole del tetto dell'edificio di fronte.
«Posso raccontarti una storia da grandi, Minerva?» domandò d'un tratto, intrecciando fra loro le dita e arricciando il naso pensierosa.
Al suono del proprio nome di battesimo, Minima sollevò la testa con aria circospetta: era oltremodo insolito che qualcuno la chiamasse Minerva. Perfino Andromeda Tonks, che si era sempre dichiarata contraria a sciocchezze come i nomignoli, aveva preso l'abitudine di chiamarla semplicemente Minima. Alcuni dei loro conoscenti, oltretutto, dovevano faticare non poco prima di ricordare quale fosse, effettivamente, il vero nome della bambina.
«Molto da grandi, intendo» riprese Tonks, scrutandola in tralice.
Minima annuì una volta e si asciugò rapidamente il naso con la manica del vestito.
«È una storia che inizia molto tempo fa, quando nessuno di voi era ancora nato. Nemmeno io ero ancora nata, in effetti» iniziò a raccontare. «Tanti anni fa, c'era una famiglia Purosangue molto ricca, potente e temuta».
«Purosangue?».
Tonks si mordicchiò pensierosa il labbro inferiore, chiedendosi se esistesse realmente il modo di trasformare una storia ricca di orrore in una favola per bambini.
«È una parola un po' vecchia. Un Purosangue è qualcuno che non ha nessun parente Babbano. Ormai, non ce ne sono molti».
«Noi lo siamo?».
«No. I miei nonni erano Babbani» spiegò semplicemente Tonks. «E c'è stato un tempo in cui certi Purosangue credevano che i Babbani fossero... beh, che non fossero alla loro altezza e che non meritassero la magia».
«Ed è vero?».
«Certo che no. È una sciocchezza. Ma alcuni lo credevano al punto da odiare ogni Babbano, ogni figlio di Babbano e chiunque non condividesse il loro pensiero».
Minima aggrottò pensierosamente la fronte.
«Odiare non è una bella cosa» commentò placida. «Anche questa famiglia fortissima odiava così tanta gente?».
«Oh, sì... eccome».
«E perché li odiavano? I Babbani gli avevano fatto delle cose brutte?».
Tonks fece un profondo respiro.
«Niente di brutto. Li odiavano perché erano tutti pazzi. E cattivi. Molto, molto cattivi» rispose.
«Ed erano Serpeverde?».
Tonks annuì appena.
«Lo sapevo!» strillò infervorata Minima, picchiando i piedi per terra e guardando la madre come se questa l'avesse appena tradita. «Lo sapevo! Lo sapevo! Lo sapevo!».
«Ehi, uragano Minima, fammi finire!» la interruppe con un mezzo sorriso Tonks, afferrandole scherzosamente un orecchio e muovendole appena la testa. «C'era anche una ragazza. Una bella, giovane strega che faceva parte di quella famiglia di pazzi. E pure lei era una Serpeverde».
«Era cattiva, allora».
«No, non lo era. Era buona e gentile, e quando divenne più grande, s'innamorò perdutamente di un NatoBabbano – uno con i genitori Babbani. Quando la scoprirono, i suoi genitori andarono su tutte le furie».
Minima aggrottò confusa le sopracciglia.
«Perché?».
«Perché non volevano che lei lo sposasse».
«Perché?».
«Perché lui era un Babbano».
«Oh» commentò semplicemente Minima, grattandosi una guancia. «E poi?».
«La costrinsero a scegliere. Se avesse rinunciato a quel ragazzo, avrebbe vissuto nello sfarzo e nel lusso per tutto il resto della propria vita, circondata da oro, gioielli e bei vestiti. Sarebbe stata ricchissima».
«E se non lo faceva?».
«Se non avesse rinunciato a lui, avrebbe perso ogni cosa».
«Cos'ha fatto?».
Tonks fece un sorriso sghembo.
«Rinunciò alle montagne di Galeoni, ai ricchi manieri e agli abiti ricamati. Scelse di stare con il giovane di cui era innamorata e di affrontare ogni difficoltà della vita con le proprie forze. Sapeva a cosa sarebbe andata in contro: lui era uno squattrinato e lei non aveva più nulla, ma a nessuno di loro importava qualcosa. Rimasero poveri in canna fino alla fine, ma non smisero mai di amarsi».
«E lei era una Serpeverde?» domandò circospetta Minima, inclinando la testa. «Non ci credo».
«Potrai domandarglielo di persona, se vorrai» rispose divertita Tonks. «Stasera, a cena».
Minima scosse il capo.
«Ma stasera ceniamo dalla nonna».
Tonks fece un sorriso storto e le scompigliò i capelli scuri.
«Lo so».
*



   
 
Leggi le 12 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Trick