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Autore: Trick    20/11/2011    7 recensioni
"Pareva essere una sorta di buffa maledizione – o di un sarcastico scherzo del destino, magari – ma ogniqualvolta decidevano di allargare la famiglia con un bel gatto o con un Kneazle, ecco spuntare un altro figlio".
Per tutti coloro che non hanno ancora capito che la loro coppia preferita è inspiegabilmente deceduta e continuano a chiedersi:
«Cosa sarebbe successo se avessi acquistato un'edizione del libro in cui Remus e Tonks sopravvivono e si trasferiscono nel Derbyshire?».
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Note dell'Autrice – sempre discutibilmente utili:
La mia visione di Andromeda Tonks è scriteriatamente mutata nel corso del tempo. All'inizio, credevo fosse adorabile, perché una Black che sposa un Nato Babbano non può che essere buona, gentile e adorabile. Poi sono cresciuta e ho capito che no, se uno è un bastardo, rimane bastardo. Voglio dire, pure Sirius Black è un Black atipico, ma rimane comunque un maledetto infame. Fighissimo infame, okay, ma sempre infame.
Nota numero due, in questa storia Andromeda Tonks sarà sempre definita con l'appellativo di signora Tonks”, perché a) non voglio confonderla con quella in versione mignon e b) fa più figo, perché pure Molly Weasley è sempre e soltanto “la signora Weasley”.

La Casa Stornella
Capitolo Sei
Cene di famiglia




È un dato di fatto come maghi e streghe invecchino ben più lentamente dei Babbani. I loro capelli tendono a ingrigire e a cadere attorno agli ottant'anni; le mani raggrinziscono, le ossa si piegano e i muscoli si sgonfiano solo dopo parecchie decine di anni; i denti si indeboliscono quando ormai si ha un secolo di vita alle spalle. Per qualunque Babbano, un mago di settant'anni non potrebbe mai dimostrarne più di una cinquantina – perfino una quarantina, se il mago in questione è particolarmente avvenente.
Andromeda Tonks, oltre ad essere una strega, era anche una Black, e c'era poco da stupirsi che all'età di cinquantacinque anni fosse ancora una delle più affascinanti donne dell'intera comunità magica. Sebbene la perdita del marito continuasse ad essere una profonda, profondissima ferita, la signora Tonks era stata in grado di restare saldamente in piedi, aggrappandosi con quanta più forza disponesse a tutto ciò che le era rimasto: prima uno, poi due, poi tre, e infine quattro nipoti con due genitori a suo parere inaffidabili si erano rivelati un motivo oltremodo sufficiente per mantenere la testa sulle spalle.
Amava sua figlia (e con il passare degli anni doveva ammettere di aver iniziato a nutrire un certo attaccamento anche nei riguardi di Remus), ma era troppo vivace e scalmanata. Ora che era diventata un pezzo grosso all'interno del Quartier Generale degli Auror, qualcuno già vociferava che ne sarebbe presto diventata il capo e Andromeda sapeva perfettamente quali sarebbero state le conseguenze: i suoi nipoti sarebbero cresciuti con una madre perennemente rinchiusa in un ufficio e un padre che rincasava alla sera tardi per poi sparire per ore a correggere centinaia di pergamene.
In realtà, la gestione del tempo e del lavoro a Casa Stornella era perfettamente equilibrata e sebbene la signora Tonks fosse perennemente contrariata, sapevano tutti che amava tenere i bambini quando la figlia e il genero erano entrambi impegnati con il lavoro. Ma era una Black, e il melodramma, in qualche modo, le era rimasto appiccicato come una Gomma Bolle Bollenti sotto la suola delle raffinate scarpette.
«...e mentre quella carogna di Catriona Chittock usciva dal negozio di Marjorie con quelle sue guance gonfie rosse quanto due pomodori, si è incastrata nella porta d'ingresso» stava raccontando con tono leggero la signora Tonks. «Una scena scandalosa, credetemi. Un Troll avrebbe causato meno imbarazzo».
Remus e Tonks sollevarono le teste dalla cena e si scambiarono uno sguardo eloquente. Sapevano entrambi che il contegnoso modo di raccontare della signora Tonks era tutto una farsa: lei e Marjorie McClan odiavano la signora Chittock dacché era ancora la signorina Pennifold, e nessuno dei due si sarebbe stupito, se avessero scoperto che tanto Andromeda quanto Madama McClan erano coinvolte nell'umiliante episodio.
«Ci sono i Troll a Diagon Alley?» domandò con stupore Teddy, mentre i suoi occhi vispi brillavano di curiosità. «Perché non li ho mai visti?».
«I Troll non vivono in città» commentò rapidamente Alastor. «Vivono solo nei pressi dei fiumi, nelle foreste e sulle montagne».
«Lo so!» ribatté l'altro indignato. «Ma, magari, qualcuno poteva averceli portati».
«Non dire sciocchezze, Ted» lo ammonì con pratica accondiscendenza la signora Tonks. «Chi potrebbe mai essere tanto pazzo da portare un Troll a Diagon Alley?».
«Hagrid» rispose d'impulso Remus, mentre infilzava con aria scettica un pezzo agnello arrosto particolarmente bruciacchiato. «Lo scorso mese ha cercato di camuffare un Erkling da Gnomo. Non è una scelta particolarmente saggia, portare in una scuola un animale che si nutre di...» mosse la mano a mezz'aria con un gesto eloquente. «Beh, sapete entrambe di cosa si nutre».
«Di bambini» rispose con innocente candore Minima, alzando di colpo il viso dal proprio piatto e attirando su di sé diversi sguardi sconcertati.
«Che forza!» commentò dopo un istante di silenzio Teddy, con un bagliore preoccupantemente eccitato negli occhi. «Papà, possiamo...?».
«No, non compreremo un Erkling».
*

«È vero ciò che si dice sulla professoressa Sprite, Remus?» domandò con sincero interesse la signora Tonks, mentre sorseggiava un sorso di té con il mignolo destro alzato con estrema signorilità.
Remus sollevò perplesso entrambe le sopracciglia e le rivolse un sorriso gentile.
«Cosa, di preciso?».
«Ma che andrà in pensione alla fine del prossimo anno scolastico, ovviamente».
«Ah» disse lui. «No, in realtà, non ha ancora preso una decisione definitiva».
«Eppure, si dice che lei e la Preside McGranitt abbiano già trovato un sostituto».
«Ehm... beh, temo siano solo congetture, per il momento e...» si fermò improvvisamente, accigliato. Socchiuse gli occhi e scrutò la signora Tonks con profondo scetticismo. «Andromeda... da chi l'hai saputo?».
Lei dovette trovare quella domanda piuttosto ridicola, perché fece una smorfia che pareva voler dire “io sono Andromeda Tonks, santo cielo!”.
«Dal professor Lumacorno. Da chi altri, sennò? Tu non hai mai la decenza di informarmi su ciò che accade o non accade a Hogwarts. Non che Ninfadora dimostri un garbo maggiore, naturalmente, ma...».
«Oh, che Tosca m'aiuti!» esclamò Tonks, comodamente rannicchiata sul piccolo divanetto del soggiorno e con la testa mollemente sostenuta sul palmo della mano.
Remus l'aveva intravista occhieggiare con palese insistenza verso il grande orologio a pendolo dacché si erano accomodati per bere la consueta tazza di tè dopo la spaventosa cena. Aveva imparato a riconoscere il preludio ad una litigata “in stile Tonks” da parecchi anni, ormai, ed era più che pronto a trovare rapidamente una scusa per sfuggirne.
«Mamma, non puoi pretendere che io e Remus ti snoccioliamo tutto quello che succede a Hogwarts e al Ministero ogni dannata volta. Qualcuno potrebbe pensare che sei stata assoldata da qualche psicopatico terrorista».
«È questione di buona conversazione, Ninfadora. Non posso credere che...».
«Non chiamarmi Ninfadora!».
Remus chiuse le palpebre e appoggiò la nuca al cuscino della poltrona con un sospiro affranto. Forse, si disse, avrebbe potuto sgattaiolare al piano di sopra prima di essere tirato in causa: avrebbe fatto qualunque cosa, pur di evitare un simile pericolo. Dopo qualche minuto, la causa della discussione originaria era già stata dimenticata, ma ormai erano stati riaperti troppi vecchi quesiti per poter sperare che le acque si riappacificassero rapidamente. Remus considerò di lasciar loro almeno una dozzina di anni di tempo per sistemare la conflittualità del loro rapporto; avrebbe potuto prendere con sé i bambini ed emigrare all'estero fino a quel meraviglioso giorno. Si stava giusto crogiolando nella fantasia di un viaggio attraverso l'Europa centrale, quando si sentì tirare con insistenza la manica della camicia.
«Papà, la mamma e la nonna litigano ancora?» pigolò tristemente Andromeda.
«No, no, no! Non stanno litigando» mentì con un sorriso di spudorata serenità lui, aggiustandole un ricciolo biondo dietro all'orecchio sinistro. «È solo il loro modo di parlare l'una con l'altra, questo. Sai, quando sono insieme, hanno così tante belle cose da raccontarsi che vogliono essere certe che l'altra le senta bene».
«Ecco perché urlano sempre».
Remus dovette appellarsi a tutto il suo controllo per non scoppiare a ridere. In quel preciso istante, alle sue spalle, la signora Tonks stava gridando qualcosa a proposito di un vestito di pizzo che non era mai stato sufficientemente apprezzato dalla figlia e quella, da gran donna di classe qual era, lo aveva appena paragonato al deretano di un Goblin – o qualcosa del genere.
«Papà?» riprese con più sicurezza Andromeda.
«Sì?».
«Non riusciamo più a trovare Minima».
*

«Che significa “sparita”, Alastor?» s'informò accoratamente la signora Tonks. «Come può Minerva essere “sparita”?».
Ritti in mezzo al corridoio del primo piano, i tre bambini si scambiarono uno sguardo preoccupato.
«Non vogliamo sgridarvi» li rassicurò in fretta Remus, infilando le mani nelle tasche e appoggiandosi alla parete con aria tranquilla. «Vogliamo solo capire dove può essersi nascosta».
«Non lo sappiamo!» scosse la testa Alastor. «Prima stavamo giocando a nascondino e poi non l'abbiamo più vista! L'abbiamo cercata dappertutto, ma è come se fosse sparita nel nulla!».
«Beh, direi che ha proprio vinto, allora» commentò divertita Tonks.
«Che sciocchezze» commentò la signora Tonks. «E dove dovrebbe essere andata? Nel forno insieme al mio rognone?».
«Oh, no! Alastor, Dromeda! Andiamo!» gridò allarmato Teddy, precipitandosi verso le scale e seguito a ruota libera dal fratello e dalla sorella. «Dobbiamo salvarla prima che quello se la mangi!».
«“Quello”?» ripeté oltraggiata la signora Tonks. «“Quello” è il mio rognone!».
Tonks ebbe la creanza di attendere giusto un paio di istanti prima di scoppiare in una sfrenata risata. Remus si portò una mano alla bocca per trattenere le risa, ma quando la signora Tonks lo fulminò con un'occhiata, si dimostrò molto accorto nell'assumere un'espressione assolutamente colpevole e pentita. Tonks, al contrario, continuò a ridere sfrenatamente ed ebbe qualche problema ad informarli che sarebbe scesa lei, in cucina, per controllare che i figli non combinassero qualche guaio. Remus e la signora Tonks riuscirono a sentire la sua risata fin quando non si fu richiusa la porta della cucina alle spalle.
«Il mio rognone è davvero così cattivo?» domandò lei qualche secondo dopo, con un'espressione talmente affrante e delusa che Remus proprio non se la sentì di assentire.
«Certo che no» le rispose con sfrontata sicurezza. «Coraggio, Campanellino, dove preferisci cercare la nostra Bimba Sperduta?».
La signora Tonks aggrottò torva le sopracciglia.
«Era una battuta?».
«Ehm, avrebbe dovuto esserlo, sì».
«Una battuta Babbana?».
«Sì. Sì, temo di sì...».
Lei annuì un paio di volte, mentre Remus si umettava imbarazzato le labbra.
«Era ridicola» commentò francamente la donna, avviandosi lungo il corridoio con passo pratico. «Da' un'occhiata nelle camere da letto, mentre io controllo in soffitta».
«Certo».
«Ah! Remus! Un'ultima cosa...» lo richiamò improvvisamente la signora Tonks.
«Sì?».
Le labbra della strega si arricciarono in un sorriso di bieca soddisfazione.
«Bada che io ho sempre tifato per Capitan Uncino».
*

Erano anni che la signora Tonks non risaliva la piccola scala di legno che portava alla soffitta della sua piccola e curata villetta. Erano così tanti, in effetti, che quasi aveva dimenticato quanto fosse scomoda, di che colore fosse e quanto fosse poco illuminata. Mentre apriva la piccola porticina chiara con un movimento sbrigativo della bacchetta, si rese conto per l'ennesima volta di non averla mai dimenticata – di non averla mai richiusa.
Erano trascorsi nove anni dacché vi era salita, con Remus accanto a lei, le mani saldamente strette attorno ai suoi fianchi e la voce roca che sussurrava frasi confortanti di cui la signora Tonks non aveva mai davvero ascoltato le parole. Ed era stato sempre Remus a incantare il baule in cui avevano religiosamente riposto la maggior parte degli oggetti che erano appartenuti a Ted in modo che librasse sopra le loro testa, verso quella soffitta oscura in cui sarebbe rimasto per sempre sepolto. Non era necessario che Andromeda seguisse quel grigio corteo. Non era necessario che nessuno di loro lo seguisse, ma fu naturale: era come una richiesta mai espressa, come un fatto di ineluttabile concretezza – come qualcosa da cui non potevano sfuggire. C'era Remus, accanto alla signora Tonks, e c'era Tonks, subito dietro, con i capelli scoloriti e il piccolo Teddy con la chioma variopinta fra le braccia. E poi c'era l'altro Ted, quello dentro al baule che guidava tutti loro verso quell'ultimo congedo familiare.
Risalire quelle scale, per la signora Tonks, era una sfida che aveva continuato ad evitare da quel giorno. Non sapeva dove avesse trovato la naturalezza di lasciare a Remus il compito di stanare Minima nelle stanze da letto. Una parte di sé, si rese improvvisamente conto, non aveva nemmeno pensato a cosa avesse sigillato nella soffitta.
Mentre posava il piede sul primo gradino, sorrise serenamente. Era certa che se lui fosse stato ancora vivo, avrebbe perfino avuto la sfrontatezza di dirgli: “Ce l'ho fatta, Ted. Ce l'ho proprio fatta”.
*

L'istinto della signora Tonks non la deluse affatto: Minima era proprio lì, dove meno ci si sarebbe aspettato di trovarla.
Era piuttosto raro che i suoi nipoti si inoltrassero nella soffitta. Non che mancassero di spirito d'avventura (Teddy ne era così ricolmo che avrebbe potuto dividerlo con altri dieci bambini e sarebbero comunque stati tutti troppo curiosi), ma avevano imparato che i loro pellegrinaggi in quell'anfratto polveroso avevano sempre il potere di rattristarla, in un modo o nell'altro. Poco importava che fosse a causa di una vecchia pipa sbeccata o di una sciarpa gialla e nera di cui domandavano insistentemente informazioni: la nonna diventava sempre malinconica e silenziosa, mentre raccontava loro di quanto fumasse o di cosa facesse a scuola il nonno. Come se avessero stretto fra loro un tacito accorto, quei piccoli furti di passato si erano fatti via via sempre meno frequenti.
«Minima?» la chiamò gentilmente la signora Tonks.
Minima era seduta a gambe incrociate sotto al lucernario al centro del tetto e sembrò fingere a tutti i costi di non aver sentito la voce della nonna.
«Minerva?» ritentò con maggiore insistenza quella, avvicinandosi lentamente a lei. Ad ogni passo, leggere nuvolette di polvere si sollevavano attorno a lei. «Minerva, cosa fai quassù?».
«Volevo vincere» mormorò la bambina con aria distratta. «Qui non mi cercava nessuno».
«Non stento a crederlo. Non si riuscirebbe a trovare nemmeno un Gigante, con questo buio».
Non ottenendo nessuna risposta, la signora Tonks iniziò ad avvertire un insolito disagio ed Appellò una vecchia poltrona che ammuffiva in un angolo da decenni.
«Gratta e netta».
Riconobbe ciò che Minima stringeva fra le piccole mani solo dopo essersi seduta. Sebbene fosse trascorsa una vita intera dal giorno in cui la Gazzetta del Profeta aveva pubblicato quell'articolo, per lei sarebbe stato impossibile dimenticarsene. Nulla di quanto giaceva in quella soffitta poteva essere dimenticato.
«Dove hai trovato quel ritaglio di giornale?» le domandò subito, accorgendosi troppo tardi dell'involontario tono brusco.
«Qui» rispose lei, alzando appena il mento.
La signora Tonks imprecò mentalmente. Non sarebbe nemmeno riuscita a spiegare per quale diavolo di motivo avesse conservato quel diavolo di articolo per tutti quegli anni. Risaliva all'inverno del 1981 e non le aveva mai causato nient'altro che dolore; eppure, per qualche strano motivo, non era riuscita a trattenersi dalla necessità di conservarlo.
«Questa sei tu, nonna?».
Con un profondo respiro, la signora Tonks allungò una mano verso di lei e afferrò la vecchia stampa con la sensazione che si sarebbe sbriciolata fra le sue dita. Venne attraversata da un brivido di freddo nell'incrociare ancora una volta gli occhi scuri e alienati di Bellatrix.
Non l'aveva mai temuta – mai, nemmeno quando aveva tentato di ucciderla dopo la sua fuga – ma c'era sempre stato nel suo sguardo qualcosa di tremendamente spaventoso. Era sempre stata sbagliata, Bellatrix, fin da quando erano nate. Era sempre stata troppo spaventosa e sbagliata, perfino in una famiglia spaventosa e sbagliata come quella dei Black. La sorella maggiore le rideva da quella fotografia con arrogante presunzione, come se volesse rimarcare di aver vinto qualcosa di quella maledetta guerra, nonostante tutto. Era probabilmente un'idea malsana, ma la signora Tonks aveva davvero l'impressione che Bellatrix fosse lì per ricordare soltanto a lei, ventisei anni dopo essere stata fotografata, che aveva perduto. Bellatrix si era sbarazzata di Ted, alla fine dei giochi – e in qualche assurdo modo aveva vinto lei.
«No» smentì in fretta. «No, non sono io».
«E chi è? Sembri proprio te».
La signora Tonks si umettò nervosamente le labbra e appoggiò stancamente il capo alla poltrona.
«Nessuno» mentì con voce flebile. «È solo una donna che mi assomigliava molto. Non ha niente a che fare con noi».
A parte il fatto che ha ammazzato tuo nonno.
Se Minima trovò quella risposta poco esauriente, non lo diede a vedere. Si alzò con calma dal pavimento, si scrollò un po' di polvere dalle ginocchia e mosse qualche passo in direzione della nonna, accanto la quale rimase in silenzio per qualche istante, fissando intensamente la vecchia fotografia.
«È bella, ma tu sei più bella» commentò con innocente schiettezza.
La signora Tonks le carezzò leggermente i capelli scuri con un lieve sorriso sulle labbra. Lei e la sorella maggiore si erano sempre assomigliate ben più di quanto nessuna delle due avrebbe desiderato: i suoi capelli erano un poco più chiari, ma ricadevano con la stessa composta eleganza sulle spalle; i suoi occhi erano solo vagamente più grandi, ma brillavano della stessa energica determinazione; le loro labbra avevano la stessa linea sottile, ma le sue sorridevano con maggiore frequenza. E amavano entrambe nello stesso feroce modo, con la stessa totale devozione – ma, alla fine, Bellatrix aveva scelto di essere fedele all'uomo sbagliato.
Minima le assomigliava più di quanto la signora Tonks non avesse immaginato e, allo stesso tempo, le assomigliava molto meno di quanto non avesse potuto sperare. Ne aveva tragicamente ereditato l'aspetto (e talvolta aveva quasi l'impressione di parlare con la stessa bambina che un tempo era stata sua sorella), ma della casata dei Black non era rimasto niente che potesse rigenerare in lei quella perversione e quell'insana follia che Bellatrix aveva fomentato per tutta la vita. Minima era Minerva Lupin, e tanto bastava a placare le chiacchiere insistenti che si levavano da Diagon Alley. Era un caso, tutt'al più, un buffo scherzo della sorte.
I Black non si vogliono proprio estinguere!” esclamava qualcuno talvolta.
Un parte della signora Tonks, tuttavia, continuava a temere che un giorno quella malsana somiglianza avrebbe potuto causarle dei problemi. Bellatrix faceva parte di un passato troppo presente e drammatico per poter essere dimenticata e Minima, per sua disgrazia, rischiava di venirne intaccata. Come la signora Tonks, Minima sfoggiava impunemente tutti i tratti riconducibili alla famiglia Black, e la signora Tonks era perfettamente a conoscenza di quante difficoltà si trascinassero dietro.
«Nonna?».
«Sì?».
«Raccontami la storia della ragazza che si è innamorata ed è scappata di casa».
La signora Tonks sorrise di nuovo. Ma, forse, pensò mentre aiutava Minima a salirle sulle gambe, Bellatrix non era riuscita a vincere proprio un accidente.
   
 
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