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Autore: Lilith82    13/06/2011    9 recensioni
Questa storia è stata "necessaria" per me. Necessaria da scrivere. Necessaria da condividere. E' la prima fan fiction che abbia mai scritto in vita mia. L'ho cominciata quasi due anni fa. Rileggerla ora, mi fa un certo effetto, lo ammetto. Ma la amo come il primo giorno! Ed anche se, probabilmente, farò delle piccole modifiche, la lascerò intatta il più possibile. E' il mio seguito di Breaking Dawn, necessario, appunto, perché non sapevo rassegnarmi alla fine della saga. E' la storia di Renesmee, di Jacob, di Edward e di tutti gli altri.
Spero vi piaccia. Fatemi sapere.
dal primo capitolo:
"Poi riuscii a muovere le dita di una mano, non che lo avessi voluto, ma quel piccolo movimento mi permise di riprendere contatto coi miei confini fisici, sentii le gambe sfiorate da gambe infuocate, sentii il petto vicino ad un altro torace, grande e ardente, sentii le guance tenute in due grandi mani brucianti, sentii le mie labbra contro le sue grandi labbra scure, come ghiaccio avvolto dal fuoco e capii:
Jacob Black mi stava baciando!"
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Jacob Black, Renesmee Cullen, Un po' tutti | Coppie: Jacob/Renesmee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Intact world'
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eccomi qua! ;-)

con un giorno di ritardo e con la febbre... :-(((
dunque, come vi ho già accennato, ho scritto i primi capitoli di questa storia talmente tanto tempo fa che quasi non mi ci riconosco più... però, mi piacciano così come son venuti fuori, allora...
Forse, un po' ingenui, ma molto dolci... <3
I nostri Cullen sono un tantinello teatrali e melodrammatici, ma questo lo sapete già... :-P
però, fidatevi, la storia "ingranerà" presto una marcia più alta!
dunque, se mi scrivete tante recensioni, il 4° lo posto giovedì! :-P
Lillastaavoi... :-PPPP


CAPITOLO 3: FUGA
 
Decisi di calmarmi e di asciugarmi, attenta a non fissare la mia immagine allo specchio.
Quando ebbi finito, avevo riacquistato un po’ di lucidità.
Mi resi conto che non sapevo come stava Jacob, che avevo bisogno di sapere come stava Jacob!
Feci il numero al volo: “Nonno?”
“Renesmee, tesoro” la sua voce dolce e tonante era già una rassicurazione per me.
“Volevo sapere... Jacob come sta?”
“Jacob, certo...” esitò, ma solo un istante ”ha una lussazione dell’omero, in effetti. Ma niente ossa rotte. Gli ho fatto una fasciatura semirigida... Renesmee?”
Avevo smesso di respirare e lui se n’era accorto.
“Piccolina: Jacob sta bene, sai come è fatto, si riprenderà presto!” disse, come se l’avesse detto alla me di qualche anno prima.
“Sì... lo so, nonno” risposi sospirando.
“Se stanotte riposa, domattina sarà come nuovo. O quasi...”
La sua mezza battuta riuscì a farmi sorridere e la sua serenità mi sollevò.
“Grazie, nonno!”
“Di niente, tesoro” la sua voce dolce più del solito.
“Ah... Renesmee” aveva cambiato tono, era quasi circospetto “tuo padre dovrebbe essere a casa ormai...”
In effetti c’era, il suo profumo non avrebbe dovuto sfuggirmi: miele e lillà, dolce e affascinante.
“E’ qui, in giardino” non riuscì a nascondere l’astio nella voce.
Mio padre era davanti al piccolo laghetto dietro casa, con lo sguardo fisso nel sole ormai al tramonto. Era il suo posto preferito per pensare ed anche il suo momento preferito: il tramonto, perfetto per i pensieri malinconici...
I raggi del sole, sbucati dalle nuvole, gli si riflettevano addosso irradiando arcobaleni dalle sfumature rubre.
Era bellissimo, come al solito.
Bellissimo e triste, non potei trattenermi dal pensare, e dal sentirmi un po’ in colpa.
“Dovreste parlarne...”  il nonno interruppe i miei pensieri.
“Lo faremo... prima o poi” riuscii a promettergli.
Lo sentì sorridere dall’altro capo del telefono.
“Non riuscirete a restare arrabbiati a lungo. Non ci siete mai riusciti!”
Mai prima d’ora... pensai, ma qualcosa nello sguardo che mio padre rivolse alla finestra mi addolcì.
“Forse hai ragione tu” dissi a Carlisle, ma non era lui che volevo rassicurare: era il volto che mi fissava dal giardino, mesto e preoccupato, dolce e avvilito.
Sorrise un po’, ma non riuscii a ricambiare: avevo appena realizzato che aveva ascoltato tutto, pensieri e parole.
Il solito padre discreto!
“Oh... sono arrivate!” il nonno mi distolse.
Sapevo a chi si riferisse: mia madre, nonna Esme e zia Rosalie erano state perentoriamente trascinate da zia Alice in un pomeriggio di shopping estremo.
“E’ quasi primavera e non avete niente da mettere!” ci  aveva ammonite.
Ciò era lontano anni luce dalla verità, e dai guardaroba strabordanti di tutta la famiglia Cullen, ma era impossibile dire di no a zia Alice, specie in fatto di shopping. Io mi ero salvata dicendole che mai e poi mai avrei saltato la caccia con Jacob, e lei aveva ceduto, mi aveva sorriso, dolce e comprensiva, e aveva ceduto. Imbarazzante.
“Nonno...” mi restava solo una cosa da chiedergli “Jacob è andato...” non riuscii a dire -via-
“...a casa” concluse lui.
“Ok ciao”
“Ciao tesoro”
Jacob era a casa: la casa che divideva con Seth e Leah da quando aveva dovuto lasciare La Push, per me.
Imbarazzante!

“Edward” mia madre era già in giardino, lui aveva chinato la testa sulla sua spalla.
“Raccontami” gli disse lei prendendogli il viso tra le mani, piena di preoccupazione.
Lui la fissò negli occhi per un secondo, come volesse perdersi nello sguardo della moglie.
“L’ha baciata” le disse infine in un sussurro, come sopraffatto da una grande fatica.
“Maledetto cane!” ringhiò lei e fece per voltarsi, come volesse andare a cercarlo ovunque si fosse rifugiato.
“Gli ho lussato una spalla” la rassicurò lui.
“Bravo!” si complimentò la mamma.
Ci pensò un attimo: “ma allora?”
“Renesmee...” chiarì lui accennando con la testa alla finestra da cui sbirciavo impudente.
In fondo, lui non aveva fatto altro che spiarmi tutto il giorno!
Fui costretta ad acquattarmi veloce perché la mamma si era voltata verso di me, per poi rivolgersi di nuovo a lui, sempre più confusa riguardo alle ragioni del suo turbamento.
“E’ assolutamente arrabbiata con me!” puntualizzò lui, con un tono a metà strada fra il triste ed il risentito.
“Oh...” riuscì a dire lei  “capisco”
Lui aveva di nuovo la testa sulla sua spalla, il volto nascosto fra i capelli lunghi della sua compagna.
“Devo parlarle” sussurrò lei “avrei dovuto farlo da tempo” aggiunse a se stessa scuotendo il capo.
“No!” quasi gemette lui.
“Edward, amore, non è più possibile evitare l’argomento! E Renesmee é...” sembrava volesse dire grande, ma lo sguardo di lui la trattenne: era freddo, di ghiaccio come quando voleva nascondere un dolore.
“Va bene” si arrese, con gli occhi di caramello persi nell’ultimo spicchio di tramonto.
“Edward...” cominciò lei poggiando una mano brillante sulla guancia iridescente del marito “andrà tutto bene!”
“Farete pace presto. Non riuscirete a tenervi il broncio per molto. Non ci siete mai riusciti!”
Sorrise, occhi negli occhi con il suo unico amore, persi l’una nell’altro, e nelle ultime luci del giorno, brillanti di una luce un po’ opaca.
Mi parvero ancora più irreali del solito, come personaggi immaginari.
“Mai prima d’ora” sospirò lui, amaro, distogliendo lo sguardo dal suo paradiso personale, per tornare a pensare all’ingrata figlia a cui aveva appena inferto un colpo al cuore, come una piccola lama, sottile ma affilatissima: era la consapevolezza di averlo ferito.
Hai cominciato tu, papà! pensai stizzita e andai a cacciarmi sotto le coperte.
Quel giorno era davvero troppo lungo!

“Posso?” la mamma era già alla porta
“No, mamma, ti prego... no!”
“Tesoro, dobbiamo parlare”
“No! Ti prego, non ora!”
“Hai ragione: avremmo già dovuto farlo!”
Era dentro, seduta sul bordo del mio letto, io avevo nascosto la testa sotto il cuscino.
“Mamma...” mi lamentai.
“Piccola mia” mi disse lei, infinitamente dolce, mentre con una mano fredda mi accarezzava i riccioli ramati che sbucavano dal mio nascondiglio.
“Perchè? Mamma... perché? Perché tutto deve cambiare?”
Continuò ad accarezzarmi i capelli.
Quella era la sua risposta, dunque?
In qualche modo, mi rassicurò, mi voltai piano e mi misi a sedere sul letto.
Lei era la mia mamma, a lei potevo chiedere.
La mia mamma era bellissima, e non solo perché era una giovane vampira, lei era sempre stata bella! I suoi occhi erano stati identici ai miei, marrone cioccolato, ora si erano fatti dorati, di un’ambra caramellata, come quelli di papà, come fossero un unico sguardo. I capelli scuri le incorniciavano il viso a cuore, la pelle era di porcellana chiarissima, il corpo sinuoso ed elegante quasi quanto zia Alice. Era una vampira forte e dotata, ma, soprattutto, una mamma dolce e appassionata, il mio idolo, insomma!
A chi altri avrei potuto chiedere?
“Perché papà lo ha ferito?”
I suoi occhi si accesero di dispiacere ed indignazione allo stesso tempo.
“Jacob non avrebbe dovuto!” soffiò tra i denti.
“Andiamo mamma... non ha mica ammazzato nessuno!”
Mi guardò sbalordita.
“Lui... lui...”
Perché provavo a difenderlo? E perché non ci riuscivo affatto?
“Lui... scherzava” mi arrampicavo sugli specchi.
“Ecco... sicuramente era uno dei suoi scherzi!”
Decisamente, mi arrampicavo sugli specchi!
Mi fissò in silenzio, ancora confusa dalla mia reazione, quindi, il suo sguardo si fece comprensivo.
“Renesmee, Jacob era molto serio, oggi!” disse piano, proprio come se parlasse a una bambina di  sette anni!
Mi mandò nel pallone: “Che significa, mamma? Non capisco!”
La confusione mi stava velocemente portando alle lacrime.
Mi tirò a sé, abbracciandomi e aspettando che mi calmassi.
Continuava ad accarezzarmi i capelli.
Io feci un respiro profondo e lei cominciò, con voce dolce e melodiosa.
“Ricordi quando ti ho parlato dell’imprinting?”
“Sì, quella roba da licantropi” feci io, spostandomi per guardarla.
“Anche Jacob mi ha accennato una volta, vagamente...”
“Già...” sospirò lei “ è il modo in cui i licantropi trovano le loro compagne, loro le vedono” spiegò.
“Come Sam e Emily” le feci eco io “o Quil e Claire, e Rachel e Paul...”
“... e Jacob” aggiunse.
“Jak...” la voce morì in gola, sembrava mi stessero strangolando.
“Jacob ha avuto l’imprinting quando tu sei nata” proseguì concentrandosi sulle mie reazioni.
Non riuscivo ad articolare i pensieri.
Automaticamente, il mio sguardo corse lungo le pareti della stanza: erano tutte tappezzate di foto mie e di Jacob. Io, in fasce, in braccio a lui, raggiante, io, bimbetta, che giocavo a palla con lui, io in groppa a Jacob versione lupo-gigante, e, poi, una di pochi giorni prima, l’aveva attaccata lui personalmente, sotto lo sguardo torvo di mio padre, io e Jake sorridenti, occhi negli occhi. Il suo sguardo mi riportò alla mente ciò che aveva detto la mamma, una volta, a proposito dell’imprinting.
“Loro le vedono” aveva spiegato “ed è come un cieco che veda il sole per la prima volta!”
“No... no... no...!” in un attimo anche mio padre fu nella stanza, entrambi cercavano di rassicurarmi, di abbracciarmi.
“No... non mi toccate!” s’immobilizzarono “Io devo... uscire di qui!”
Spalancai la finestra, in preda ad una vera e propria reazione isterica.
“No, Renesmee!” la mamma mi aveva afferrato il braccio
“Ti prego, mamma!” scongiurai in lacrime.
“Ma dove...?” iniziò.
“Vado dalla nonna... vado a dormire dai nonni.”
Esitò.
“Ti prego, non posso stare qui!” feci correre lo sguardo lungo le pareti ricoperte di foto e su mio padre, il suo sguardo era... insostenibile!
Mi lasciò il braccio.
“Grazie” dissi volando giù dalla finestra.
Probabilmente li avevo feriti entrambi, ma non potevo restare, non potevo vedere, non potevo accettare!

Nella grande sala di casa Cullen, la stessa da cui ero uscita per la caccia poche ore prima, quando ancora il mondo girava nel venso giusto, c’era una specie di riunione di famiglia.
C’erano tutti.
Probabilmente, Carlisle li stava aggiornando sui recenti avvenimenti perché quando entrai si voltarono verso di me.
“Buonasera” esordii  “io sto bene, benissimo!” scandii.
“E’ tutto a posto, tutto assolutamente a posto!” proprio come una matta!
“Ho solo bisogno, un estremo bisogno, di stare da sola!” mi fissavano con sei tonalità di sbalordimento diverse, mi sembrò che lo zio Emmett stesse trattenendo le risate. Tipico.
“Io adesso vado in camera mia, di sopra” proseguii piano, neanche avessi sei revolver puntati addosso.
“A dormire” esitavano tutti.
“Ci vediamo domattina” aggiunsi in fretta.
“Vi prego!” implorai prima di sgattaiolare su per le scale.
 La risata tonante di zio Emmett non si fece attendere, sentii zia Rose ammonirlo.
Gli sembra divertente! pensai chiudendomi la porta alle spalle. Da creatura immortale e spensierata quale era i miei drammi dovevano parergli questioni insignificanti. Insignificanti fatti di una adolescenza semivampirica: l’unica adolescenza semivampirica in giro su questo pianeta, che sarà mai!
Accidenti! Quell’idiota di un licantropo aveva appiccicato le sue foto anche lì, le nostre foto.
Le strappai via e le gettai in un cassetto della piccola scrivania, quindi, mi cacciai a letto.
Nonostante non me ne fossi resa conto, ero incredibilmente stanca.
In fondo, avevo appena trascorso la più assurda giornata della mia assurda vita!
Avevo appena preteso asilo dai nonni senza tante spiegazioni perché ero fuggita da casa mia dopo che mia madre mi aveva rivelato che il mio migliore amico era legato a me, per la vita, dalla più potente di tutte le magie Quileute. Chissà perché... quello le era sembrato il modo migliore per aiutarmi a far pace con mio padre che aveva ferito il suddetto migliore amico, scatenando così la più furiosa discussione che avessimo mai avuto. Ah... dimenticavo: avevo rischiato di morire annegata! Subito prima che il mio migliore amico scatenasse tutta quella disgraziata catena di assurdità dandomi il mio primo bacio!
Se avessi potuto, avrei gridato. Dentro di me, comunque, lo stavo già facendo!

  
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