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Autore: Josie_n_June    19/06/2011    0 recensioni
Io sono Andrés. Sono un Assassino.
E, per quanto mi fosse permesso da questa particolare accezione della mia vita, facevo una vita piuttosto normale.
Questo finché mia sorella non è scomparsa. E adesso sono in un casino immane, costretto a cercare cripte, risolvere enigmi e a volare in Tunisia in compagnia di ladri ed esperte di mitologia in cerca di un fantomatico vaso.
Inutile nascondere che la cosa non mi entusiasma. Ma, se voglio liberare mia sorella, ho bisogno di trovare quel fottuto vaso. E, ovviamente, prima che ci arrivino i Templari.
24 Dicembre 2010. Una Vigilia di Natale del cazzo. 
Genere: Azione, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Andrés'
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25 dicembre 2010
Dominavamo la strada tra i lampioni, che ci sfrecciavano accanto come flash sfocati.
Mi è sempre piaciuto guidare di notte, soprattutto la moto, soprattutto nelle grandi città. Anche semplicemente muovermi, in effetti, ma non avrei potuto andare così veloce.
E, inutile dirlo, la velocità mi esalta. O mi tranquillizza, a seconda dei casi.
Quella notte speravo nel secondo effetto.
La Dimora si trovava nel Distretto del Centro e, dato che Sole abitava in Villaverde, dovevamo fare un po’ di strada. Superammo Plaza Mayor, e continuammo su Calle Mayor fino a svoltare in Calle San Nicolas, vedemmo sulla nostra destra San Nicolas de Bari e andammo avanti fino ai Jardines de Lepanto. A quel punto presi Calle de Vergara fino a girare a destra in Calle del Espejo.
Rallentai davanti all’anonimo edificio dai vetri in plexiglass e mi avvicinai al citofono. Invece di suonare, premetti una combinazione specifica di campanelli.
Il cancello si aprì immediatamente, ed io imboccai la piccola discesa che conduceva al garage sotterraneo.
Posteggiai vicino all’entrata e spensi la moto. Mi lanciai un’occhiata alle spalle.
“Non devi piegarti così tanto quando siamo in curva.”
Sole sciolse la ferrea presa attorno alla mia vita e scese goffamente dalla moto.
“Oh, senti, non va bene se mi piego, non va bene se sto ferma, ma guidi tu o guido io?”
Io sorrisi davanti alla sua esasperazione. A Sole non era mai piaciuta la mia moto.
Scesi anch’io, tirai giù il cavalletto e mi tolsi il casco. Poi andai a slacciare quello di Sole, glielo tolsi e le scompigliai i capelli scuri. Lei mi guardò malissimo.
Appoggiai i due caschi sulla sella e mi avviai verso l’uscita del parcheggio. Sole mi seguì.
“E’ solo che dopo tutte le volte che ti ho portata dietro sei ancora incapace. E dovresti tenerti meglio, tutte le volte che piego ho paura di farti cadere.”, la provocai.
Un modo come un altro per stemperare la tensione.
“Mi piacerebbe sapere”, replicò Sole alle mie spalle, legandosi i capelli, “Come avete fatto tu e Navarro ad arrivare fino a casa mia.”
Io feci una smorfia.
“Lascia perdere.”
Lei rise, e anch’io fui capace di una risatina stentata.
Afferrai il freddo corrimano di metallo delle scale, e le salii due gradini alla volta. Aprii la porta d’acciaio sul pianerottolo. Qulla oppose l’usuale resistenza data dal meccanismo di sicurezza, ma si aprì alla mia spinta.
Ci trovammo nell’ingresso, davanti ad un’altra porta, stavolta di legno e vetro. Nonostante sembrasse meno solida della precedente, io sapevo benissimo che chiunque avesse provato a forzarla avrebbe avuto vita breve. Sole si mise al mio fianco, mentre io stupidamente esitavo.
“Che c’è?”
“Niente.”, dissi. “E’ solo strano farlo davanti a te.”
Estrassi la lama celata. Lei non sussultò né indietreggiò come mi ero aspettato.
Quel momento fu davvero bizzarro. Era come se, improvvisamente, la mia vita da Assassino –la vita che, da quando ero stato inziato al Credo a diciotto anni, era diventata la mia vita vera, e non più la mia vita segreta- e la vita che avevo vissuto da bambino a giocare con Sole –che prima del giuramento era la mia vita vera, mentre adesso era diventata la mia vita segreta- avessero finalmente deciso di incontrarsi. Si presentavano e prendevano un caffé insieme. Il fatto che Sole fosse lì mi faceva anche pensare che una delle due ci stesse provando con l’altra.
Ma perché vi sto annoiando con le mie farneticazioni?
Allungai il braccio e feci entrare la lama celata nella minuscola fessura che c’era al posto della maniglia, e con uno scatto la ritirai dentro la manica. La porta si aprì.
Questo non tanto perché la lama fungesse da chiave, quanto per il gesto di richiamarla nella placca metallica; la velocità con cui torna dentro è inimitabile, e attivava una serie di sensori che io stesso avevo creato e che, modestamente, erano stati adottati in tutte le Dimore del mondo.
Inoltre, ognuna delle nostre lame celate ha un codice; la serratura lo legge e lo trasmette ad un computer che elabora i dati. Nome, cognome, età, giorno ed orario della visita, foto. E se la foto non corrisponde alla faccia del tizio che sta cercando di entrare, la porta si arrabbia.
Io varcai la soglia, spingendo Sole davanti a me. L’ultima misura di sicurezza, anch’essa di mia invenzione, era che, se la telecamera nascosta nell’architrave della porta trasmetteva al computer l’immagine di qualcuno tentava di entrare dopo un Assassino, magari minacciandolo, mentre la porta era aperta, scattava l’allarme ed una trappola nel momento in cui il tizio armato superava la soglia.
Un po’ complesso ma indispensabile.
Comunque, ci ritrovammo dentro.
Ci sono tre principali sedi della Confraternita nella Penisola Iberica; a Lisbona, Madrid e Valencia. Io sono stato in tutte e tre, e posso dire senza ombra di dubbio che quella di Madrid era di gran lunga la più bella.
Lo stile emirato arabo non stonava affatto con gli impianti ad alta tecnologia installati nella stanza principale. Occupava tutto il piano con venti postazioni computer; una parete era occupata interamente da un planisfero Peters con luci di diversi colori, che lampeggiavano come quelle che avevo visto un’eternità prima ammiccare dalle finestre della strada dove abitava Eva.
Soltanto guardandolo con molta attenzione ci si accorgeva che non era dipinto sulla parete, ma proiettato su un gigantesco schermo ultrapiatto ad alta definizione. Le lucine in movimento segnalavano gli Assassini, quelli in azione e quelli fermi in tutto il mondo.
Non erano tante come si potrebbe pensare. Noi Assassini, a differenza dei Templari, non abbiamo una gerarchia che comprende superiori e poveri disgraziati mandati a fare il lavoro sporco. Abbiamo un Maestro, certo, ma siamo tutti Assassini, anche se alcuni di noi svolgono un ruolo diverso. Per questo siamo pochi. Relativamente, ma meno dei Templari.
Visto che siamo così pochi, e che nessuno di noi rimane fermo a lungo, non abbiamo tutti il tempo di lavorare per mantenerci da soli. Noi, però, non abbiamo un’industria farmaceutica multimiliardaria, e non la vogliamo; la discrezione è parte del nostro essere, e di certo questo non sarebbe discreto.
Così in ogni Dimora del mondo c’è un Assassino esperto d’informatica, che trasferisce periodicamente dai conti di qualche società molto ricca piccole quantità di denaro su diversi conti fantasma che risalgono a noi. Non prendevamo mai, comunque, più di quello che ci serviva, oltre ad una quota mensile capace di mantenere noi e le nostre basi operative ed efficienti.
Io ero l’hacker della Dimora di Valencia.
Quella di Madrid, la più grande di Spagna, aveva un piano completamente adibito a palestra, comprendente normali attrezzi e simulazione virtuale, oltre agli alloggi dei componenti e alla sala di lavoro e pianificazione dove ora ci trovavamo.
Non mi sfuggì lo sguardo brillante di Sole.
“Com’è essere qui?”, le domandai.
“Soddisfacente.”, mi sorrise lei. “E’ bello scoprire di aver avuto ragione su di te... Su di voi.”
“Ho sempre saputo che lo sapevi.”, le sorrisi anch’io. “E sono contento di non spaventarti... o disgustarti.”
“So molte cose.”, replicò Sole con aria seria. “Per questo mi fido di te e non ho mai smesso.”
Credo che l’avrei baciata, se le circostanze non fossero state tanto penose.
Invece mi voltai e mi avvicinai velocemente ad uno dei computer. Smossi il mouse ed il monitor s’illuminò immediatamente. Sole mi raggiunse e si chinò sul computer, mentre io digitavo velocemente un codice sulla tastiera numerica.
“Cosa fai?”
“Cerco il video di sorveglianza.”
E fu quello che feci. Modificai la registrazione della stanza d’ingresso sostituendola con qualche minuto in cui era vuota. Poi cancellai la registrazione della mia visita fatta attraverso la lama.
Fortunatamente non c’erano altre videocamere all’interno dell’edificio, perché non c’era motivo di dubitare dei confratelli. In quel momento, mi resi conto di quanto fosse stupida quell’idea.
Conclusi rapidamente la procedutra, e poi accedetti ai file della Confraternita. Niente password, niente segreti tra di noi.
Sole continuava a sporgersi oltre la mia testa per vedere il monitor.
“E ora che fai?”, chiese di nuovo.
“Cerco riferimenti ad Elissa e ad una sezione B.”, le risposi pazientemente.
Usai un programma explorer per fare più in fretta, e rapidamente mi presentò i risultati.
O, per meglio dire, non mi presentò proprio un cavolo.
Feci una smorfia che non sfuggì a Sole.
“Non c’è niente?”
“No.”, risposi.
“Questo non è possibile.”, disse lei con decisione. “Riprova.”
E riprovai, usando le parole Didone, Cartagine e di nuovo sezione B.
Niente.
“Deve esserci qualcosa.”, insistette Sole. “Non c’è un’area protetta da una password?”
“No.”, le risposi in tono neutro, e nel frattempo già cercavo ciò di cui parlava Sole.
Devo ammettere che ci misi un po’ a trovarla. Niente da commentare, il supervisore -noi li chiamiamo Rafiq, per abitudine- non era un completo in capace. Nonostante questo, riuscii in poco tempo a guadagnarmi l’accesso alla serie di file protetta.
Come non detto; c’erano evidentemente dei segreti, tra gli Assassini. Ed era normale, a pensarci bene. Era inverosimile che sapessimo tutto di tutti. I miei confratelli non sapevano di Sole, né avrebbero saputo di Eva.
Quello che mi chiedevo era che cosa il Rafiq –anzi, i Rafiq- avesseto voluto nasconderci.
Il primo file che aprii era un documento di testo, uno a caso di una lunga serie conservata in una cartella priva di titolo. Era scritto in un carattere tanto piccolo che dovetti avvicinare il viso al monitor per riuscire a leggere. Sembrava una comunicazione di servizio.
Il titolo recitava: ‘News about PTP A’.
Il simbolo in alto a destra era quello che testimoniava che il mittente era il Sommo Maestro.
 
 
Ci sono arrivate alcune fonti che affermano il passaggio alla sperimentazione umana. Civili nei pressi della loro sede di Denver sono scomparsi, presumibilmente rapiti dall’Organizzazione.
Non sappiamo se stiano avendo successo, e stiamo agendo in modo da fermarli, ma si sta rivelando complesso.

Ancora nessuna notizia dall’infiltrato; è passato quasi un anno. E’ possibile che non abbia modo di farci pervenire i suoi messaggi, ma a questo punto è d’obbligo cominciare ad accettare l’idea di averlo perso.
Ad ogni modo, se ancora è attivo ed è dalla nostra parte, potremmo perderlo al primo passo falso.
 
Per questo, devo chiedervi di tenere i confratelli all’oscuro di tutto, almeno per il momento. Creerebbe soltanto del panico ed un’agitazione che rischierebbe di scoprirci.
Per quanto ci abbia provato, per ora non trovo altra soluzione che quella di tacere.
 
William M.

 
 
Controllai velocemente la data: 22 Novembre 2009. Risaliva a circa un anno prima.
“Si riferisce a quello di cui ti hanno parlato sia Navarro che il Templare?”, mi chiese Sole, riscuotendomi.
Annuii. Mi ero dimenticato che anche lei conosceva benino l’inglese -lingua in cui era scritto il messaggio- e mi stavo già preparando a tradurglielo.
“Esatto. Guarda.”
Le indicai il titolo dell’e-mail.
PTP A.: Prototype Animus.”
“Perché vogliono tenervi all’oscuro di tutto?”, domandò Sole, dopo un lungo attimo d’attonito silenzio. “Se la Confraternita fosse unita, non vi sarebbe più facile contrastare l’Abstergo, e questa pazzia?”
“No.”, le risposi semplicemente. “Noi Assassini siamo persone sveglie, ma anche teste calde, in buona percentuale. Non voglio generalizzare, ma tutti crediamo nella causa, e non penso che riusciremmo stare con le mani in mano: se si venisse a sapere, temo ci fionderemmo tutti a Denver, decretando la fine di quel povero disgraziato all’interno.”
“Ah, capisco.”, commentò Sole.
Forse capì così in fretta perché conosceva me.
“Perché Denver?”, chiese poi.
Mi strinsi nelle spalle.
“E’ una delle sedi più grandi. E, anche se ti sembrerà anacronistico, è in un buon punto strategico.”
“Dopo Assassini e Templari nel 2010, niente mi sembra più anacronistico.”
Con un mezzo sorriso, aprii un secondo documento.
Anch’esso era un file di testo. Si chiamava ‘Effetti esposizione PTP A.’.
A quanto pareva, la Confraternita aveva già qualcuno impegnato a lavorare sull’aspetto tecnico e scientifico. Non era da escludere che si lanciassero nella progettazione di una nuova versione di quell’Animus, o che cos’era.
Quello che continuavo a chiedermi era perché qualcuno volesse scavare nei ricordi genetici di qualcun altro.
Per un albero genealogico più completo e approfondito?
Non credevo proprio.
Il Templare mi aveva detto che cercavano un vaso. Un vaso forse appartenuto a Didone. Io, fino ad allora, l’avevo considerata nient’altro che un personaggio mitologico.
Invece, adesso, mi scoprivo a cercare qualcosa che la collegasse a me, e a mia sorella.
Ma come poteva essere un vaso tanto importante per i Templari?
La risposta aleggiava nell’aria, ma io mi rifiutavo di coglierla.
Fu allora che individuai un terzo documento. Lo aprii, e Sole emise un sussulto di sorpresa.
Si chiamava ‘Aree di ricerca F.D.E.’.
Era un planisfero del tutto simile a quello proiettato sullo schermo alla parete, ed era diviso in aree diverse. Vicina, una legenda a scorrimento titolava ognuna di esse con la parola sezione ed una lettera dell’alfabeto. Per l’appunto, le sezioni erano esattamente ventisei.
Non appena vidi quella che mi serviva, spostai il cursore a istinto –istinto dettato dalle dimensioni del documento- su di essa. Immediatamente l’area s’ingrandì.
Era parte della costa mediterranea dell’Europa –diciamo fino alla Turchia- e dell’Africa.
Era colorata d’azzurro pallido, e diversi –ma non moltissimi- puntini rossi la facevano sembrare in preda ad una leggera forma di varicella.
Apparve quasi subito una nota che congiungeva tutti i punti evidenziati, e affermava: No results.
“Nessun risultato.”, lesse Sole, chinandosi eccitata sulla mia spalla. “Vedi?”, fece poi, picchiettando con poca grazia un dito sul monitor. “Qui: è Cartagine.”
Mi indicava una piccola penisola nel Nordafrica, vicino a Tunisi.
Feci una smorfia. Mi sembrava tirato, vista la grandezza dell’area. Non ero più neanche certo di aver sentito il nome di Elissa. Scoraggiato, mi voltai verso di lei.
“Come fai ad esserne così sicura?”
Lei sorrise trionfante.
“Perché, Andrés, è lì che si trova il tuo vaso.”
 
 
Guardai per un po’ Sole con aria stralunata, prima di riuscire ad articolare qualche parola.
“Di che cavolo stai parlando?”
Lei sbuffò.
“Devo proprio spiegarti tutto?”
Afferrò una sedia girevole dalla postazione vicina alla mia, si sedette e mi guardò.
Io le feci un cenno con la testa.
“Spara.”
“La leggenda di Didone che tutti conoscono ci viene dall’Eneide di Virgilio.”, partì lei. “Pochi sanno che della storia della regina di Cartagine c’erano altre versioni.”
Si sistemò a gambe incrociate sulla sedia.
“Alcune erano considerate troppo inverosimili... Sì, Andrés, anche più inverosimili della storia della pelle di mucca.”, rispose al mio inarcamento di sopracciglia. “E perciò nel tempo si sono perse. Ma antichi documenti ne conservano alcune trascrizioni, così recentemente –diciamo durante il XIX secolo- sono state riscoperte.”
Annuii, considerando la strana idea che Sole aveva del ‘recente’.
“In particolare, un testo anonimo in latino, di provenienza italiana ma tradotto dall’arabo, e risalente –se non mi sbaglio- al 1300 circa, afferma una versione della vicenda di Didone piuttosto singolare.”
Malgrado le circostanze e l’impazienza, adoravo il suo modo di tendere la tensione. Perché, in quel momento, era come se non fossi a salvare la vita di mia sorella, ma d’estate sotto la veranda di Sole, quando faceva troppo caldo per giocare, e allora l’ascoltavo raccontarmi le sue leggende.
“Secondo questo storico, come si autodefinisce, Didone, sposa di Sicheo, era così addolorata per l’assassinio di suo marito...”
“Aspetta: assassinio?”
“Sì, venne ucciso dal fratello di Didone, Pigmalione, che voleva governare Tiro al suo posto. Poi Sicheo apparve alla sposa in sogno, le raccontò tutto e ovviamente lei fuggì alla volta del regno dei Getuli.”
“Ovviamente.”
“Comunque, Didone era così affranta per la morte del suo sposo che una dea, commossa dal suo dolore, volle farle un dono. E indovina che cosa le donò.”
Aggrottai le sopracciglia.
“Un vaso?”, chiesi poco convinto.
Sole storse le labbra e scosse la testa.
“Non un semplice vaso.”, sorrise. “Un’anfora. Un’anfora consacrata a Giunone, piena d’ambrosia, che avrebbe garantito al suo futuro regno stabilità e la forza di resistere a qualsiasi impero. Per questo, secondo la leggenda, Cartagine riuscì ad opporsi a Roma così a lungo. Lo storico la chiama l’Anfora di Didone*.”
La guardai per qualche istante. Poi mi girai sulla sedia, e digitai un altro codice sulla tastiera. Mi si aprì un nuovo explorer, e scrissi velocemente, nell’apposito spazio, le parole: ‘Anfora’ e ‘Didone.’
Nemmeno un secondo, e la schermata si riempì.
 
RICERCA F.D.E.
Anfora dell’Eden – Anfora di Didone
Possibile n°24.
Fonte mitologica. Non confermato.
Sezione B – Sottosezione 9
Ricerche nell’area: 2000-2004
Nessun risultato.
 
Eccolo. Incredibile che tutto fosse come aveva detto Sole; quella ragazza mi spaventava.
I miei occhi indugiarono su ‘fonte mitologica’.
Mi ribollì il sangue, e l’illusione della calma andò in pezzi. Quindi rischiavano la vita di mia sorella per qualcosa che non erano neanche sicuri che esistesse?
In quel momento avevo veramente voglia di assediare l’Abstergo.
E quello che continuavo a ripetermi era che avrei dovuto aspettarmelo. Non c’era niente che i Templari volessero, e niente che non fossero disposti a sacrificare per ottenere quello.
“F.D.E.?”, chiese Sole molto candidamente al mio orecchio.
Neanche valutai la possibilità di parlargliene. Non era come sapere la mia vera identità; c’era molto di più in gioco. E saperlo avrebbe sconvolto il suo mondo o, perlomeno, il suo modo di concepire tutto ciò che era accaduto dall’inizio dei tempi fino a quel giorno.
Per non parlare del Credo: non potevo violare fino a quel punto il terzo principio.
“E’ una storia lunga.”
“Penso di doverlo sapere.”, insistette Sole.
Io non sostenni il suo sguardo.
“Se te lo dicessi, dovrei ucciderti.”
Sole rise.
“Andrés, fa tanto 007, ma di certo non Assassino.”
“No, sul serio.”
Mi voltai verso di lei.
“Dovrei ucciderti.”
Mi fece male quel breve lampo di terrore nei suoi occhi, ma ci passai sopra. Era meglio così anche per lei.
Come se si fosse accorta di avermi fatto dispiacere –io minaccio di ucciderla e lei crede di dover farsi perdonare- disse:
“E ora che facciamo? Mi sto chiedendo da un’ora perché qui non ci sia nessuno che ci aiuti. Adesso dovrai ripetere tutto ai tuoi confratelli.”
“No.”
“Come no?”, fece Sole, confusa.
“Intanto, se qui ci fosse stato qualcuno, non avrei potuto accedere ai file criptati. Secondo, se glielo dico, mi impediranno di andare a cercare Eva.”
“Perché?”
“Manderebbero squadre su squadre a cercare l’Anfora prima che la trovino i Templari. Si metterebbero a combattere, ed Eva verrebbe ammazzata.”
Mi guardava con i suoi grandi occhi spalancati.
“No, non credo che...”
“Tu non lo puoi sapere. La vita di mia sorella, per loro, è meno importante di ciò che c’è in gioco. Salvarla potrebbe compromettere la Confraternita. E non si deve mai compromettere la Confraternita. E’ il terzo principio del nostro Credo.”
“Avete un Credo?”, domandò Sole, senza capire.
“Sì, il Credo dell’Assassino: tre principi, le uniche leggi a cui dobbiamo sottostare. Adesso non c’è tempo per una disquisizione a riguardo.”
Sole tacque per qualche istante. Speravo ricominciasse a parlare in fretta, perché mi ero reso conto di averla trattata male.
“Quindi non hai intenzione di dire niente.”
“Sarò egoista, Sole,”, le risposi più gentilmente, “Ma non riuscirei a lasciare Eva nelle mani dei Templari, anche se questo volesse dire violare il Credo. Farò in modo che non ottengano l’Anfora, ma salvando mia sorella. A costo di andare da solo.”
Sole mi guardò seria per qualche istante. Poi si profuse in una risatina sarcastica.
“Da solo?”
Non lo trovavo granché divertente.
“Tu non farai proprio niente da solo, Andrés, con tutto il rispetto. A malapena hai idea di che cosa stiamo parlando. Io non posso sapere cosa sono quegli F.D.E, forse, ma qui si tratta di trovare reperti archeologici; e sei tu a non saperne nulla.”
“Se so infiltrarmi in qualsiasi sistema informatico riuscirò a scoprire dove si nasconde un vaso.”, risposi seccato.
“Ed è qui che ti sbagli. Non si tratta di codici o di password, è storia. E’ antropologia. E non puoi farcela da solo.”
Afferrai al volo.
“Tu non verrai con me, Sole.”, dissi con forza. “Non ho intenzione di mettere in pericolo anche te.”
“Hai bisogno di me. E non sarò in pericolo, se arriviamo prima. E comunque puoi proteggermi tu.”
“E qui sei tu che non sai di cosa parli. Non sai quante volte sono stato così vicino a morire che ho salutato il mondo...”
“Magari se me ne avessi parlato...”
“E me la sono cavata per semplice fortuna.”, andai avanti, ignorandola. “Non voglio che tu ti trovi nella stessa situazione, Sole, è da pazzi.”
“Beh, noi non siamo mai stati tanto normali. E tutta questa situazione è da pazzi, Andrés, un po’ di follia in più un guasterà.”, sorrise. “Sai che ti posso aiutare. Anzi, probabilmente sai bene che ti devo aiutare, se vuoi combinare qualcosa. Anch’io voglio bene ad Eva.”
Non riesco mai a ribattere quando ostenta quella sicurezza.
Così mi limitavo a scuotere la testa con disapprovazione, mentre pensavo che Sole sarebbe stata un ottimo avvocato. E anche un’ottima Assassina, quanto meno per quella parte del lavoro che riguardava l’estorcere informazioni.
A quel punto, lei fece una smorfia.
“Sai almeno dove andare?”, mi chiese passando al sarcasmo.
Detti un rapido sguardo alla cartina ancora aperta sul monitor.
“Sezione B, sottosezione 9.”, affermai. “Cartagine.”, aggiunsi poi un po’ titubante.
Sole continuava a sorridere e a guardarmi con sufficienza.
“Sì, e fino qui ci siamo. Ma, sai, tutto ciò che rimane di Cartagine sono quattro colonne e qualche strada lastricata, e visto che dubito che l’Anfora sia appoggiata su un bel piedistallo al centro del sito, bisognerà cercare.”
“Posso seguire gli agenti dell’Abstergo quando entreranno.”
“Credevo volessi arrivare prima.”
Stetti zitto.
Non era facile, non era per niente facile decidere se mettere in pericolo la vita di Sole per salvare quella di Eva. Ma Sole la potevo ancora proteggere, Eva no.
Feci un gesto d’esasperazione, e mi passai una mano tra i capelli. 
“D’accordo.”, decisi infine, cupo. “Ma non partecipi, hai capito? Mi dici solo dov’è, e io la vado a prendere. Mentre tu stai a debita distanza, dietro un muro di cinta, con le braccia conserte e un giubbotto di kevlar. Sono stato chiaro?”
Sole annuì, cercando di rimanere seria.
“Cristallino.”
“Bene.”
Detto questo, chiusi tutto e cancellai ogni traccia del mio passaggio dal computer. Poi mi alzai.
“Adesso dove andiamo?”, mi chiese Sole, recuperando il cappotto.
Io rimisi la sua sedia dove l’aveva presa.
“Da un amico. Ci procurerà passaporti falsi e tutta l’attrezzatura.”
Sole si mise la giacca, seguendomi verso l’uscita.
“Non sono cose che fate all’interno della Confraternita?”
“In teoria sì. Ma ognuno ha i suoi contatti.”
“Perché ho bisogno di un documento falso?”
“Non voglio che i Templari scoprano chi sei. Se mi riconoscono e ti notano, almeno dovranno faticare un po’ per trovarti, e intanto io potrò nasconderti.”
“Va bene.”
Eravamo di nuovo al parcheggio.
Misi il casco, e così fece Sole. Salii sulla moto e l’accesi, e lei montò dietro di me.
Quando mi cinse la vita con le braccia, mi parve di sentirla tremare.  

____________________________


(*) Anche se ne ho letto, non sono sicura delle mie fonti: il manoscritto me lo sono inventato. Perciò evitate di scriverlo in un compito in classe xD.

Eccomi, stavolta puntuale :) Questo capitolo è lungo rispetto ai precedenti, ma non mi andava di dividerlo. Il brodo si sarebbe allungato troppo. Vi prego, non lasciatevi scoraggiare dal fatto che vi siete addormentati cinque volte durante la lettura: vi assicuro che tutto -ma proprio tutto- ha un senso nello svolgersi della storia. E nel prossimo si parte alla volta di Cartagine, e sarà meno noioso, prometto!
Non pubblicherò il prossimo di domenica, ma in mezzo alla settimana, perché sabato parto e sto via fino al 26 di luglio. Torno a casa l'8, per un giorno, e cercherò con tutte le mie forze di pubblicarne uno. Se volete, questa settimana ne pubblico due di seguito. :) Ditemi voi. Dimenticavo, ho cambiato il nome delle sedi degli Assassini in giro per il mondo: da Basi a Dimore. Penso che suoni meglio, no?
A presto!
Josie

  
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