Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
Segui la storia  |       
Autore: Jacqueline    07/03/2006    1 recensioni
Le luci delle strade inglobano le pelli spettrali di coloro che guardano.
La penombra della stanza rinchiude i più semplici desideri.
Luce ed ombra non possono fondersi,se non per uccidersi...
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Premette le labbra sul bordo della tazza bollente,scostando con la sinistra una ciocca ribelle che le cadeva davanti agli occhi. La notte ormai stava per cedere il passo all’alba,quell’alba che tempo prima aveva imparato ad odiare. L’alba che la separava da Adrien. Scosse appena il capo,come a cacciar dalla mente tutti i pensieri negativi.
Sorseggiando il proprio caffè, aspettò che la sveglia si accendesse, esattamente alle 7. Si alzò, aprendo l’acqua calda della doccia. Mentre appoggiava la schiena contro il muro, solo un pensiero la fece restar lucida e sveglia.
“..lui…verrà a cercarmi..”

Alba. Le membra pesanti, gli occhi…no,non doveva chiudere gli occhi. Lentamente, si trascinò fino al letto a baldacchino, dopo aver chiuso le persiane della piccola e stretta finestra, cercando il comodo giaciglio fra le spire del buio. Solo dopo aver trovato la tenebra, chiuse gli occhi scorrendo fra i pensieri che lo avevano sommerso quella notte, vedendo il volto della ragazza che lo fissava, sorpresa ed incredula.
Si maledisse, mentre il torpore lo avvolgeva, carezzandogli il volto, sussurrandogli parole venute da lontano.
“Qual è…come ti chiami…?”
La guardò, quasi non avesse afferrato il concetto di quello che gli stava chiedendo.
“..Perdonami ?”
“Sì, il..” aveva guardato fuori dalla finestra, cercando le parole adatte, forse pensando che lui si sarebbe arrabbiato. In fondo,allora era così imprevedibile.
“il tuo nome. Qual è?” aveva mantenuto lo sguardo sulle stelle brillanti che spezzavano l’oscurità, aspettando una risposta.
“Mm. Il mio nome. Come vorresti chiamarmi ?” palesemente, si stava prendendo gioco di lei.
“Come.. come ti chiamava tua madre.”
Era stato solo un sussurro, niente di più. Flebile, velato da qualcosa che appariva nostalgia. O forse era semplicemente un tremito dovuto all’aria fredda.
“Mia madre…mia madre era solita chiamarmi Adrien.” Ogni nota ilare era scomparsa,ora. Si limitava a rispondere, osservando il suo viso in penombra. Leonora si era voltata, sorridendo appena. Un sorriso tanto dolce ed allo stesso tempo triste. Qualcosa che, se fosse stato umano, gli avrebbe provocato una stretta al cuore.
“Va bene” aveva mormorato nuovamente “ Adrien.”

“Portami.
Portami via, portami altrove.
Dove tutto è tranquillo e sereno, dove nessuno può impedirmi di vederti, toccarti, stringerti.
Portami via.”
Fuoco. Fiamme che lambiscono un cielo troppo azzurro per essere vero.
Un altro sogno. O forse era il flebile riflesso delle emozioni che erano in fondo alla sua anima.
Fuoco che intaglia la più fragile figura...la più instancabile, la più ardua da guardare…
Appare come una bambola di cera, che va sciogliendosi al tocco.
“ Perché, sei così fragile ? Perché non fai altro che romperti, spezzarti all’infinito, per poi semplicemente essere rigenerato ? Essere umano...così. .patetico nel tuo intenso vivere, nel tuo perenne cercare ciò che si definisce comunemente serenità…appagamento dei sensi..
Quando la morte ti aspetta ,lieve, seguendoti passo dopo passo, attimo dopo attimo, respiro dopo respiro, gemito dopo gemito.”
“Per questo, portami via.”
“ Via..Dove ? Il mondo è sempre questo...mischiata alla gente, dovrai camminare.. sarò solo la tua bambola di notte, al calar del sole..”
“Non fa nulla..sono tanto stanca. Portami via. Portami altrove.”
“ Altrove..Dov’è ? In un mondo che non puoi vedere..qualcosa che agogni e mai sarà tuo. I sogni non esistono bambina. Son solo perenne incubo screziato d’oro e d’argento. “
“Non importa..portami via..semplicemente.”
"Via..Mi stai forse chiedendo di renderti felice..? Oh,ma non lo sai..? Da tempo,ho smesso di creder che lassù,oltre questa coltre d’oscura follia,vi sia il Paradiso.”
Velocemente le parole sfuggirono, guizzando sulla carta, dalla penna a sfera. Inchiostro nero che si fermò quasi tremando, in attesa di ordini precisi che non vennero. Una mano sotto il mento,Leonora fissò la pioggia lieve che scorreva sul vetro della finestra,al di là del quale scorgeva solo buio impenetrabile. Frasi..Gesti..se li avesse intrappolati sulla carta, inchiodandoli..in modo che non sarebbero potuti fuggire altrove..
Già, altrove. Dove avevo chiesto a lui, di condurla. Un luogo..dove cercare serenità,dove trovarla.. Ed ora..in questa città che non dormiva mai..che era perennemente illuminata.. Guardò verso le luci del porto, che si distinguevano appena in lontananza.
“..ho smesso di creder che lassù, oltre questa coltre d’oscura follia, vi sia il Paradiso.”

Ghiaccio che tintinnava lievemente nel bicchiere, immerso nel pallido cocktail.
Posò la fronte sul palmo della destra, socchiudendo gli occhi come se la tenue luce del pub la infastidisse.
“Non ti piacciono le luci al neon ? Penetrano in quell’oscurità che non potrebbe essere scalfita da nulla... Spezzano tutte le nostre concezioni di tenebra.”
Si voltò sussultando appena, le iridi grigie che subito inquadrarono la figura di Ewan schermante con la mano un sorriso ilare.
“Scusami.” Si affrettò questi a dire “Non volevo spaventarti.”
“No, no..” scosse appena il capo, in cenno di diniego. Non l’aveva spaventata. Semplicemente aveva attribuito le sue parole ad un altro volto.
E si era sorpresa nel non trovarlo una volta giratasi,tutto qui. Ma, certo, non gliel’avrebbe mai detto.
“Non mi hai spaventata.” Soggiunse, sorseggiando il proprio drink. Fresco, quasi gelido che scendeva lungo la gola, dissetandola. O forse rendendola ancor più assetata.
“Ti aspettavo.”
“Bene. Come stai ?” si sedette su una poltroncina di fronte a lei,le mani giunte che erano poggiate alle ginocchia.
Si sorprese a guardarlo. Guardo il suo volto nella penombra, riflesso della chiara luce del neon. Il modo in cui sedeva, appena piegato in avanti,i capelli ricci che gli adornavano il volto quasi elegantemente.
Un piccolo Eros.
Per un attimo si ritrovò ad osservarlo senza parole, la mano che stringeva la fredda superficie del bicchiere. Lo mosse, facendo ruotare il ghiaccio che tintinnò contro la parete che lo separava dall’aria, dal vuoto.
“Bene, ma... Ti va di camminare un po’?” chiese, esitando.
Ewan le rispose con un'occhiata sorpresa, poi sorrise, annuendo piano. Aspettò che lei finisse di bere e pagasse, prima di porgerle il cappotto.
Una volta varcata la soglia del locale, si concesse di respirare a fondo l’aria fredda della notte.
Si strinse un attimo nel cappotto, come cercando calore mentre camminava adeguando il proprio passo al suo. Rimasero in silenzio, forse persi entrambi nei loro pensieri,mentre i taxi sfrecciavano lungo le strade illuminate dai lampioni, mentre passavano gli atri degli hotel e gli uomini in livrea.
Passando per un piccolo parco, iniziarono a parlare ; a raccontarsi. Il lavoro, le giornate invernali, le amicizie. L'ambizione di Ewan nel voler diventare un buon avvocato, il motivo che aveva spinto Leonora ad andare così lontano da casa. La ragazza si trovò a ridere alle sue battute, cercando di non lasciarsi invaghire dai suoi occhi chiari. Osservava i piccoli dettagli, il modo che aveva di camminare, come muoveva le mani mentre le spiegava qualcosa, e notò che lui aveva la stessa accortezza nei suoi confronti.
Ewan le indicò una chiesa, poco più avanti, dicendole che era lì, che aveva preso il diploma.
Si fermarono a sedere sui gradini antecedenti il portone, la gente che camminava loro davanti, senza prestare loro la minima attenzione.
“Leonora... che bel nome.”mormorò Ewan, girando appena il viso a guardarla.
“Sì..lo so, grazie. E tu...Ewan, da dove vieni ?”
“Da dove..? Nato a cresciuto qui,nei quartieri bassi di Manhattan. Solo... porto un nome d’Irlanda, della quale,veramente so ben poco.”
Lì vicino si fermarono dei ragazzi che aprirono delle custodie e tiraron fuori,come se nulla fosse, dei violini. Una dolce melodia si diffuse nell’aria mentre un piccolo cappanello di gente si riuniva attorno ai giovani che non avranno avuto più di venticinque anni.
“Guardali.” Mormorò la ragazza, posando il mento sulle mani mentre,ad occhi socchiusi ascoltava la musica.
”Suonano tanto per divertirsi... come se questo fosse l’unico luogo dove magari nessuno li conosce... Provano puro piacere nel fare ciò che più li aggrada e porta soddisfazione.”
“Cos’è che ti manca?”gli occhi azzurri per un istante fuggevole vennero infranti di verde scuro, mentre si fissavano su lei.
Sorrise appena senza guardarlo,prima di dire pacatamente.
“La mia famiglia, i miei amici..un po’ tutto. Eppure sento che questa città mi piace. Mi piace davvero. Credo mi abituerò, alla fine. Ho solo bisogno di tempo. “
“Abbiamo tutti bisogno di tempo.”le sue parole risultarono appena udibili.
“Tempo...per cercare. Tempo per capire cosa vogliamo.”
Le sorrise lievemente, reclinando il capo verso sinistra ; una mano era posata sulla guancia, a pugno chiuso.
Leonora non potè fare altro che restare a guardarlo, senza dire nulla, come se la melodia dei violini l’avesse incantata.

Una candela. La cui fiamma si muoveva appena, sospinta dalla flebile brezza. Una tenda ondeggiò, frapponendosi per un istante fra la candela e la figura.
“E’ un libro che apparteneva a mio padre.” La voce era bassa,mentre le tendeva il volume di poche pagine,dalla copertina in pelle rosso scura.
Lascive ombre graffiavano i muri verniciati da un tenue color panna ; forse troppo chiaro. Lei sfogliò lentamente le pagine, mentre ne avvertiva il profumo. Dentro vi erano alcuni appunti presi a matita, delle frasi. Un intero atto dell’Amleto, alcuni sonetti di vari poeti.
Lo richiuse, chiedendosi perché lui le avesse mostrato quell’oggetto così privato.
“..il sogno già in se stesso è solo un’ombra.”
Mormorò il ragazzo mentre guardava il cielo color pece nel quale si stagliavano i grattacieli, punteggiati dalla luce che proveniva dalle finestre. Aveva una mano posata sul davanzale a poca distanza dalla candela. Le iridi parevano ancora più chiare, mentre la luce ci si rifletteva con sinistra intensità.
“Non credi sia così ?” si rivolse a lei, dopo alcuni istanti di silenzio.
“..Solo un’ombra... Non saprei. Forse. Un’ombra di qualcosa che già esiste ?”
“Sì..forse.” scrollò un istante le spalle, poi si voltò a guardarla.
“Vuoi un caffè?” chiese incamminandosi verso una stanza, a destra del divano su cui lei era seduta.
“Sì, grazie.” Si alzò,quasi per seguirlo in cucina.
“Secondo te potrei essere una persona falsa ?” Mise su la macchina per il caffè,di quelle italiane,poi accese il fornello. La fiamma azzurrina ebbe un guizzo, poi si stabilizzò.
“Io..ti conosco da troppo poco...per poterlo dire.”
“Oh, questo sì. Ma..dammi solo un’indicazione. Qualcosa di approssimato.”
Posò le mani sul ripiano, voltandosi ed appoggiandovisi. Sorrise con fare rassicurante.
“Falsa…No,non credo. Non dai quest’impressione. Ma...mai fidarsi.” Sorrise divertita,mentre osservava i pensili, il lavello sgombro, cosa insolita,il frigo grigio con fogliettini e calamite attaccate. Il ripiano con i bicchieri, bordato di nero, i cassetti, una scatola di cereali lasciata aperta, uno strofinaccio accanto al lavello.
Guardò i suoi pantaloni, semplici jeans neri, la maglietta a righe nere e bianche, in parte celata da un leggero giacchetto grigio, a maniche lunghe.
“Oh,già..” mormorò lui, mentre spegneva il fuoco, prendendo due tazzine e posandole accanto ai fornelli.
”In fondo..quante sere sono, che ci vediamo? Quattro, se non sbaglio. Dai, ti chiedo solo un’impressione generale.” Il tono era pacato,non esprimeva nessuna emozione.
Sembrava quasi distante.
Le porse una delle due tazzine, ora bollente. Rimase a giocherellarci per alcuni secondi, mentre cercava di riordinare le idee.
“Gentile..Pacato..è bello il modo in cui ridi.”
Ridacchiò sorpreso, prima di parlare.
“Davvero..?” Bevve un po’ di caffè nero, lentamente. “Non pensavo.”
“Ah, mi sorprendi... Sei capace di pensare ? Non ci avrei mai creduto.” scosse il capo, il sorriso che si ampliava sulle labbra.
“Se vuoi..” mormorò lui avvicinandosi di qualche passo, fino a sfiorarla
“...posso anche non pensare…”
Veloce. Una mano le alzò di poco il viso, le labbra che arrivarono a sfiorare le sue. Si fermò, guardandola con una punta di malizia.
“..solo se a te va bene…” mormorò.
Leonora lasciò che la mente venisse attraversata da un solo nome che si dileguò in fretta, mentre annuiva appena.
L’aroma del caffè li avvolse, proveniente dalle tazzine abbandonate sul tavolo.
Leonora avvertì il calore delle sue labbra sulla pelle; le sfiorò il collo, poi tracciò una scia sotto l'orecchio, lungo la linea del mento. Chiuse gli occhi, quando sentì il suo respiro sulle proprie labbra. Si accostò a lui, cercando quel tepore. Si divertì a rincorrere i primi baci, veloci, poi più dolci e meno fuggevoli.
Si lasciò sollevare, lasciò che la prendess in braccio, lo sentì ridere, si sorprese ad imitarlo.
La candela sembrò seguire i loro movimenti mentre attraversavano il salotto: ondeggiò mentre il vento aumentava di poco, entrando gelidamente dalla finestra aperta. Poi, dopo un ultimo guizzo, estinguendo il proprio intenso bagliore si spense,lasciando che le forme fossero avvolte da teli d’impenetrabile ombra e silenzio.

Luce. Flebile,che penetrava dalla finestra aperta,superando il velo sottile delle tende. Socchiuse gli occhi osservando i raggi che andavano a colpire i chiari soprammobili. Raggi che avvolgevano il bicchiere pieno d’acqua, sul comodino accanto al letto, trafiggendo il liquido chiaro ed immobile; riflettendosi in luce smerigliata sulle lenzuola coloro panna.
Sospirò appena, chiudendo nuovamente gli occhi mentre le dita accarezzava il tessuto delle lenzuola. Come aveva fatto a trovarsi lì ?
Erano bastate due parole dolci...uno sguardo...così poco.
“Che pessima persona...” mormorò, rivolta a se stessa, mentre un sottile rumore di passi si avvicinava.
“...Pessima persona ? Ti riferisci a me o parli di te ?” la voce di Ewan appariva ovattata, tuttavia ne riusciva a percepire l'ironia.
“Di te, ovviamente. Io sono innocente, fino a prova contraria. Una ragazza dolce e pura che è stata sedotta ed ingannata !”mugugnò, tentando di non ridere, mentre inquadrava il ragazzo accanto al letto, avvolto in un asciugamano di spugna, i capelli ancora bagnati che gli ricadevano sugli occhi. Sorrise appena, chinandosi verso di lei.
“Innocente ? Pura ? Io, ingannatore ? Come potrei mai ! Sei tu, che mi hai sedotto.”
Leonora rise appena, stirando le braccie verso l'alto.
"Va bene, va bene. Rimaniamo comunque pessime persone."
Le sue dita sfiorarono le labbra della ragazza, lievemente, accarezzandole.
“Allora, fammi indovinare. E’ perché sei in questo letto..e secondo una..morale?,o etica, non dovresti esserci, giusto ?”
Una calda sensazione, dolce. Il suo corpo era vivo…vibrante. Scrollò appena le spalle, guardandolo negli occhi.
“Qualcosa del genere, suppongo.” Mosse le labbra contro le dita che vi rimanevano poggiate.
“Ah..qualcosa del genere...come sei vaga.” Il sorriso sul suo viso si ampliò, venendo catturato per un istante dalla luce del sole che lo ferì agli occhi, costringendolo a chiuderli.
“Vaga...Forse.” ammise, alzandosi a sedere,lasciando che le proprie labbra gli sfiorassero i capelli bagnati, profumati di shampoo.
“E comunque... a me avevano insegnato che si salutava con buongiorno... Ma forse si usava troppo tempo fa ?” lo schernì, sorridendo.
“Oh sì,è qualcosa di altamente primitivo. A me hanno insegnato ben altro.” lasciò scorrere le labbra sulla sua guancia, fino a baciarla.
“Mm... sì, immagino.” Si scostò appena.
”Ho fame,schiavo... la colazione è pronta ?!”
Ewan scosse la testa, sbuffando.
“Anche la colazione, ora..non ti bastano le buone maniere!” si voltò,avviandosi fuori dalla stanza,verso la cucina; la luce inondava la sua schiena nuda, dalla carnagione chiara.
Leonora sorrise, raccogliendo le ginocchia al petto e chiedendosi cosa ci fosse di sbagliato,nell’essere lì. Forse nulla..
Scosse la testa, rimandando a dopo quei pensieri, mentre scendeva rapidamente dal letto e si infilava una vestaglia che giaceva inerte su una sedia.
Raggiunse a piedi scalzi la cucina, pregna di un lieve profumo di toast appena fatti.

Mi ami?
Aveva riso, di quella sua risata cristallina e tagliente come il vento che penetrava dalla finestra aperta, gettando la testa all’indietro sul cuscino.
“Amarti..Oh,Leonora. Voi esseri umani siete sempre alla ricerca di questo..Amore...ma cos’è, in fondo ?Un sentimento, come ogni altro, che nasce,vive,muore..e alle volte voi vi lasciate morire per questo.
E' impensabile,avanti. Davvero... buffo.”
Oh, sapeva che era stata ferita da quelle parole. Per questo le aveva sfiorato una guancia con la mano sinistra, posando le dita fredde sulla pelle calda.
“L’Amore..è qualcosa che io non provo, bimba. Qualcosa che ho dimenticato da tempo,che non so definire..Capisci?”
Si era avvicinato a lei, seduta sul bordo del letto, annullando la distanza fra loro.
“..Tu..possiedi qualcosa più grande dell’amore..”
“Ah,davvero..” volutamente amara,la voce, nel superare l’aria e raggiungerlo.
Dapprima aveva scosso la testa, i capelli scuri che come sempre risaltavano in forte contrasto con la carnagione pallida, poi le aveva preso il viso fra le mani, lasciandole la fredda eppur intensa sensazione delle labbra posate sulle sue, in un rapido bacio.
“Tu..possiedi un Vampiro,bimba..”
*
Ad occhi aperti, fissava il soffitto, rigirando quelle immagini fra le mani della mente appena assopita. Accanto a lei, Ewan respirava regolarmente, un braccio che le sfiorava la mano.
Sospirò appena, stando ben attenta a non svegliarlo, cercando di convincersi che Adrien,quella notte, si fosse sbagliato.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri / Vai alla pagina dell'autore: Jacqueline