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Autore: Barsine    08/03/2006    1 recensioni
Voglio tornare ad essere il Gran Re. Anzi, il Gran Re più potente del mondo!
Genere: Commedia, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Alessandro il Grande, Efestione
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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PREZZEMOLO, SALVIA, ROSMARINO E TIMO

PREZZEMOLO, SALVIA, ROSMARINO E TIMO

Capitolo 6

 

 

 

 

 

   «Non sono mai stato trattato così! Nemmeno da Dario! Ma chi si crede di essere, quell’Efestione? Mi ha deriso! Deriso! E se n’è andato così…»

   Bagoas roteò le pupille mentre lo asciugava sapientemente con il primo panno che aveva trovato sui suoi passi incespicanti «In certi casi si vede che sei il figlio di un re.»

«Cosa

«Niente, parlavo da solo.»

   Il crepuscolo era ormai calato, e dal velo dell’aria serotina che si stendeva incontaminata sugli alberi leggermente scossi cominciava a trasparire il verso di qualche animale notturno; versi pacifici e soffusi.

   Alessandro appiccò un fuocherello e si strinse nel panno, maneggiando nervosamente un rametto, scavando violente spirali nel terreno freddo. Un soffio di vento più prepotente degli altri lo fece rabbrividire, tuttavia non distolse lo sguardo dalle fiamme che avvampavano vigorose regalando una luce preoccupantemente obliqua ai suoi occhi.

   Bagoas si schiarì rumorosamente la voce. Alessandro spezzò il rametto sotto il peso della sua mano. «Mi dici chi si crede di essere?»

«Faresti meglio a mangiare qualcosa…» azzardò il piccolo eunuco.

   Alessandro non si curò del suo amichetto; continuò a fissare il fuoco e a spezzare rabbiosamente i pezzi del rametto fino a che non fossero troppo corti.

   Bagoas si schiarì nuovamente la voce. «Avresti dovuto aspettartelo, forse. A lui piacciono solo le donne.» e chiuse immediatamente gli occhi, aspettandosi una sfuriata.

Alessandro invece rimase perfettamente immobile, stranamente glaciale; i suoi occhi avrebbero potuto spegnere all’istante quel fuoco divampante che stavano così minacciosamente fissando. «E gli eunuchi.»

   Bagoas deglutì silenziosamente, oppresso dalla insopportabile pesantezza in cui quella situazione stava inesorabilmente degenerando, si alzò timidamente farfugliando un buonanotte e rientrò silenzioso nella tenda.

   Alessandro si coricò sull’erba sottile e levò gli occhi al cielo. La notte era ormai completamente calata, e il firmamento di Susa sembrava sorridergli rassicurante come una balia prosperosa, come trasmettendogli buoni auspici. Per un attimo gli sembrò d’aver dimenticato l’umiliante episodio di qualche ora prima, ma si rivelò soltanto un attimo di irrisoria brevità. Inspirò profondamente e chiuse gli occhi. Addio, Erodione. Addio? …Addio? Addio… a lui? Al servo più avvenente della corte del Gran Re? Aprì immediatamente gli occhi e si sollevò di scatto sedendosi sull’erba schiacciata dal suo peso. «Addio?» gridò, quasi inconsapevolmente. Si toccò meccanicamente l’orecchino d’oro. Ormai era diventata una sfida, una pura questione d’orgoglio. Poco importava se non piacesse a quell’Efestione. Si alzò con un agile movimento delle reni e osservò all’orizzonte l’ombra troneggiante delle solide mura della reggia di Susa.

   Nemmeno il vento che nel frattempo si era fatto sempre più pungente riuscì, seppur fosse seminudo, a scuoterlo anche solo in un debole tremito.

 

 

   «Qual è il tuo nome?» e con un dito le fece cenno di avvicinarsi.

   Lei obbedì senza ritrosie e con un mezzo sorriso avanzò ancheggiando verso di lui, le mani morbidamente adagiate sui fianchi ad ogni passo accarezzavano la seta che ricopriva ancora la sua pelle fremente. Lui alzò un sopracciglio osservando i movimenti di quelle mani sottili, assaggiandoli come fossero un preludio dei suoi. Lei aprì la bocca, lui la interruppe con un cenno della mano.

«No, aspetta, non dirmelo. Non m’interessa. Domani probabilmente non me lo ricorderei..»

   Lei sorrise scioccamente e abbassò lo sguardo con falsa pudicizia, lasciando che la mano di lui s’insinuasse serpentina sotto la sua veste e andasse a lambire lubrica la sua natica destra.

   «Come sei bella.»

Un altro fastidioso sorrisetto.

   La sua voce era insopportabile, però, per Zeus, che corpo. Alta, quasi come lui, fianchi alti, seno rotondo, lunghi capelli corvini. Tutto ciò che poteva desiderare. Aveva la pelle tanto nera che sembrava rimandare riflessi blu; non era sicuramente persiana, forse etiope.

Decise di non perdersi in ulteriori inutili contemplazioni e senza ritegno la afferrò per le natiche e la strinse forte a sé.   

   Lei spalancò la bocca larga e carnosa in un gemito roco quando sentì le mani forti di lui spingerla avidamente contro il suo turgore, quando si lasciò spogliare dalla sua furia rocambolesca; si abbandonò completamente nuda alle mani esigenti di quell’uomo bellissimo e caldo, ingenuamente fiduciosa, mentre lui le mordeva bramoso il collo, le spalle, il seno, e ansimava ai lobi delle sue orecchie.

   La stese sul letto e fece scorrere i suoi occhi impazienti su quel corpo statuario, introducendoli lascivamente in quel meraviglioso fiore pulsante, svergognatamente spalancato davanti a lui, e all’improvviso, senza un preciso motivo, la sua mente sostituì all’immagine della donna scura un corpo chiaro e levigato, i capelli neri divennero aurei, i seni marmorei scomparvero, il ventre si appiattì, e il meraviglioso fiore appassì.

Scosse la testa in un brivido d’orrore a pensare all’incontro inaspettato di qualche ora prima. Aveva ancora in mente gli occhi irritanti e maliziosi di quello strano ragazzo quando gli aveva esibito sfrontatamente l’orecchino d’oro penzolante. No… no… cerco di scacciare dalla mente quell’immagine così scocciante.

   Erodione non avrebbe mai preso il posto di una di quelle splendide fanciulle nel suo letto.

 

 

   Si affrettò a buttarsi qualcosa addosso per coprirsi bene e perse qualche attimo ad osservare Bagoas che dormiva silenzioso, il suo petto che si alzava e si abbassava dolcemente. Gli dispiaceva averlo trattato così freddamente, e si chinò piano per donargli un bacio puro e morbido sulla fronte liscia e profumata, ma era ormai troppo frettoloso ed eccitato per rendersi conto, quando uscì ad ampie falcate dalla tenda, che il visino tenero dell’eunuco si era rassegnato in un rilassato sorriso.

   Col sorriso già pregustava la vittoria quando saltò in sella al suo cavallo nero. Quella notte, il bell’Efestione non avrebbe saputo resistergli: avrebbe sciolto con la sua passione ogni renitenza, ogni pudore, se mai ci fosse stato. Gli avrebbe fatto assaggiare la sua carne, e, per Ahura Mazda, era sicuro che non ne avrebbe più saputo fare a meno. L’avrebbe cercato, sì, già immaginava le sue mani toccarlo ovunque, stringerlo a lui, nel respiro del vento già gli pareva di avvertire i suoi ansimi, le sue esplicite richieste, tutto il suo ardore.

   Tutte le difese della sua fortezza sarebbero ineluttabilmente crollate al dardeggiare della lingua del favorito del Gran Re.

   Spronò il cavallo con un rapido colpo di talloni e si diresse svelto nell’oscurità verso la reggia nera.

 

 

   Non fu difficile, per un essere agile e discreto come lui, sfuggire all’attenzione sopita delle sentinelle notturne e confondersi nella notte come un felino; si permise persino di ridacchiare osservando i due uomini che presiedevano l’entrata principale che dava al cortile interno russare rumorosamente addossati alle mura del palazzo. La condizione di pace e prosperità in cui si crogiolava l’impero persiano ammetteva questo ed altro.

   Quando si trovò dinanzi alla reggia nuda rimase perplesso. Non aveva la più pallida idea di dove si trovassero le stanze di Efestione. Gettò una rapida occhiata alle guardie che proteggevano l’accesso all’interno del palazzo: erano perfettamente sveglie e vigili, e gli pareva che una di loro lo stesse proprio guardando. “Dannazione! Dannazione! Dannazione!” s’infuriò, piantandosi le mani nei fianchi “Come non ho potuto pensarci?”. Detestava che gli avvenimenti non andassero per il verso che voleva lui.

   A quanto pareva, adesso doveva nuovamente ricorrere all’aiuto di Bagoas.

 

 

   Non ebbe il coraggio di svegliare il piccolo eunuco fino all’alba.

Dormiva così saporitamente che l’unica cosa che aveva avuto il coraggio di fare, una volta tornato irritato dalla reggia, era stata infilarglisi accanto e osservare il suo sorriso rilassato come se fosse una benedizione in grado di affievolire la fiamma dolorosa della delusione. Calma, si era detto, calma. Quel giorno già troppe cose erano andate storte, per i suoi gusti. Forse avrebbe fatto meglio a lasciar passare la notte ristoratrice. E così fece, si addormentò profondamente dopo poco tempo.

   Al risveglio, il mondo gli era apparso già diversamente, ed aveva avuto la presunzione che quella mattina il sole splendesse solo per lui.

Si stiracchiò un poco per sciogliere le membra e rivolse un radioso sorriso a Bagoas, il quale intese subito che, per essere così allegro, il suo amante doveva sicuramente avere in mente qualcosa.

   «Buongiorno, Bagoas. Dormito bene?»

Bagoas ricambiò il sorriso. «Buongiorno a te, Iskander, sì, ho dormito bene, spero lo stesso per te.»

«Sì, sì. Facciamo colazione alla svelta e montiamo sui cavalli, stamattina dobbiamo fare un viaggetto alla reggia.»

Bagoas roteò le pupille.

 

 

   «Compreso? Tu entrerai nel palazzo come se niente fosse e porterai la colazione nella stanza di Efestione. Una volta dentro, ti affaccerai alla finestra e io vedrò in quale stanza ti troverai. Dopodichè entrerò dalla stessa finestra.»

«Iskander, non sono sicuro che sia una buona idea. Efestione potrebbe non gradire la tua visita e chiamare delle guardie, le quali ti accompagnerebbero da Dario, e»

Alessandro non sembrava voler accettare obiezioni: «…E niente; fa’ quello che ti dico, Bagoas, andrà tutto bene.»

   Bagoas annuì rassegnato ed entrò tranquillamente nel palazzo, mentre Alessandro si teneva nascosto tra i folti cespugli del cortile.

   Dopo qualche tempo, Bagoas continuava a non farsi vedere e Alessandro cominciava a perdere la pazienza. Si mosse cautamente lungo ogni lato del palazzo, timoroso di un’improvvisa comparsa di Dario alle sue spalle, imprecando, cercando di sfuggire agli sguardi dei cortigiani che si sollazzavano mollemente tra i profumi degli iris e dei ciclamini, ma del viso di Bagoas non c’era alcuna traccia.

   Si innervosì poi ulteriormente quando finalmente l’eunuco fece capolino da una finestra del secondo piano con un’espressione strana e una mano che si agitava in un cenno di negazione. Cosa mai avrebbe voluto dire? Aspettò che Bagoas lo raggiungesse.

   «Allora?»

«Iskander, non ti consiglio di entrare, o almeno, non adesso; Efestione non è solo.»

L’istinto di afferrare la prima cosa che gli capitasse sotto mano e schiantarla contro le mura del palazzo era quasi incontrollabile, per Alessandro. Bagoas se ne accorse e indietreggiò. «Non è solo? Non è solo? Cosa vuoi dire? Chi c’è accanto a lui?»

Bagoas non aveva idea di come dirglielo. «C’è… u… una donna nera, Iskander.»

Alessandro strinse gli occhi riducendoli a due fessure sottili e affilate come lame. «Una donna…?»

L’eunuco annuì con un gesto frenetico del capo. Allora Alessandro girò il cavallo cacciando un urlo rabbioso che attirò l’attenzione di tutti i cortigiani presenti nel cortile, dopodichè spronò il cavallo e corse via dal palazzo. Bagoas, terrorizzato dalla reazione del suo compagno e dall’attenzione dei cortigiani – che nel frattempo avevano preso a borbottare concitatamente, preferì imitare Alessandro e sparire al più presto possibile da quel posto.

 

 

   Sedeva ai bordi del laghetto e lanciava bruscamente sassi e ciuffi d’erba nell’acqua, osservando la propria immagine deformata dalle increspature che si allargavano sempre di più fino a dissolversi.

   Il bell’Efestione continuava a preferire le donne; tuttavia il suo orgoglio non poteva tollerare una sconfitta del genere. Ormai era diventata un’ossessione, non avrebbe potuto lasciar perdere; doveva trovare un modo per sedurre quel cocciuto guerriero. Fino a quel momento erano successe già troppe cose che avevano messo a dura prova la sua pazienza; non avrebbe di certo sopportato una sconfitta su quel campo in cui si sentiva più esperto della più esperta delle concubine. Osservò più attentamente la propria immagine fluttuante nello specchio dell’acqua: cosa non andava in lui? Niente, era stato selezionato alla corte del Gran Re tra centinaia di ragazzi provenienti da tutte le parti del mondo. Quell’Efestione evidentemente non aveva la minima idea di quello che si stava perdendo.

   Era così assorto nei suoi pensieri che non si accorse nemmeno dei passi leggeri di Bagoas. Quando l’eunuco gli posò delicatamente la mano sulla spalla, sussultò.

«Iskander…»

Alessandro sospirò, deluso. Si aspettava forse che fosse Efestione? «Ah, sei tu, Bagoas.»

«Mi dispiace molto.»

«Come può preferire l’amore di una donna a quello di un uomo?»

   Bagoas non osava controbattere, non voleva incattivire ulteriormente il suo fragile umore. Si limitò a sederglisi accanto e cercare di riflettere.

   «Tu non immagini cosa questa faccenda stia diventando per me. Io devo conquistarlo.»

Ancora una volta, Bagoas tacque per qualche secondo; poi, con un vocino appena percettibile esordì: «Forse io avrei un’idea che potrebbe risolvere un paio di nostri problemi…»

«Se la tua idea è quella di lasciar perdere, sai già la mia risposta.» fece, tirando un sasso più lontano degli altri.

Bagoas sorrise. «No, no, niente di tutto ciò.» “So come sei fatto”, avrebbe voluto aggiungere, ma non gli sembrò il caso. E si alzò. «Sarebbe meglio che andassimo a fare un giro al prossimo mercato…»

  
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