PREZZEMOLO, SALVIA, ROSMARINO E
TIMO
Capitolo 6
«Non sono mai stato trattato così! Nemmeno da Dario! Ma chi
si crede di essere, quell’Efestione? Mi ha
deriso! Deriso! E se n’è andato
così…»
Bagoas roteò le pupille mentre lo
asciugava sapientemente con il primo panno che aveva trovato sui suoi passi
incespicanti «In certi casi si vede che sei il figlio di un re.»
«Cosa?»
«Niente, parlavo da solo.»
Il crepuscolo era ormai calato, e dal velo dell’aria serotina che
si stendeva incontaminata sugli alberi leggermente scossi cominciava a
trasparire il verso di qualche animale notturno; versi pacifici e soffusi.
Alessandro appiccò un fuocherello e si strinse nel panno,
maneggiando nervosamente un rametto, scavando violente spirali nel terreno
freddo. Un soffio di vento più prepotente degli altri lo fece
rabbrividire, tuttavia non distolse lo sguardo dalle fiamme che avvampavano vigorose
regalando una luce preoccupantemente obliqua ai suoi occhi.
Bagoas si schiarì rumorosamente la voce. Alessandro spezzò
il rametto sotto il peso della sua mano. «Mi dici chi si crede di
essere?»
«Faresti meglio a mangiare
qualcosa…» azzardò il piccolo eunuco.
Alessandro non si curò del suo amichetto; continuò a
fissare il fuoco e a spezzare rabbiosamente i pezzi del rametto fino a che non
fossero troppo corti.
Bagoas si schiarì nuovamente la voce. «Avresti dovuto
aspettartelo, forse. A lui piacciono solo le donne.» e
chiuse immediatamente gli occhi, aspettandosi una sfuriata.
Alessandro invece rimase perfettamente
immobile, stranamente glaciale; i suoi occhi avrebbero potuto spegnere all’istante
quel fuoco divampante che stavano così
minacciosamente fissando. «E gli eunuchi.»
Bagoas deglutì silenziosamente, oppresso dalla insopportabile
pesantezza in cui quella situazione stava inesorabilmente degenerando, si
alzò timidamente farfugliando un buonanotte
e rientrò silenzioso nella tenda.
Alessandro si coricò sull’erba sottile e levò gli
occhi al cielo. La notte era ormai completamente calata, e il firmamento di
Susa sembrava sorridergli rassicurante come una balia prosperosa, come
trasmettendogli buoni auspici. Per un attimo gli sembrò d’aver
dimenticato l’umiliante episodio di qualche ora prima, ma si
rivelò soltanto un attimo di irrisoria
brevità. Inspirò profondamente e chiuse gli occhi. Addio, Erodione. Addio? …Addio? Addio… a lui? Al servo
più avvenente della corte del Gran Re? Aprì immediatamente gli
occhi e si sollevò di scatto sedendosi sull’erba schiacciata dal
suo peso. «Addio?» gridò, quasi inconsapevolmente. Si
toccò meccanicamente l’orecchino d’oro. Ormai era diventata
una sfida, una pura questione d’orgoglio. Poco importava se non piacesse
a quell’Efestione. Si alzò con un agile movimento delle reni e osservò all’orizzonte
l’ombra troneggiante delle solide mura della reggia di Susa.
Nemmeno il vento che nel frattempo si era fatto sempre più pungente riuscì, seppur fosse seminudo, a scuoterlo
anche solo in un debole tremito.
«Qual è il tuo nome?» e con un dito le fece cenno di
avvicinarsi.
Lei obbedì senza ritrosie e con un mezzo sorriso avanzò
ancheggiando verso di lui, le mani morbidamente adagiate
sui fianchi ad ogni passo accarezzavano la seta che ricopriva ancora la sua
pelle fremente. Lui alzò un sopracciglio osservando i movimenti di quelle
mani sottili, assaggiandoli come fossero un preludio
dei suoi. Lei aprì la bocca, lui la interruppe
con un cenno della mano.
«No, aspetta, non dirmelo. Non
m’interessa. Domani probabilmente non me lo ricorderei..»
Lei sorrise scioccamente e abbassò lo sguardo con falsa
pudicizia, lasciando che la mano di lui
s’insinuasse serpentina sotto la sua veste e andasse a lambire lubrica la
sua natica destra.
«Come sei bella.»
Un altro fastidioso sorrisetto.
La sua voce era insopportabile, però, per Zeus, che corpo. Alta,
quasi come lui, fianchi alti, seno rotondo, lunghi
capelli corvini. Tutto ciò che poteva desiderare.
Aveva la pelle tanto nera che sembrava rimandare riflessi blu; non era
sicuramente persiana, forse etiope.
Decise di non perdersi in ulteriori inutili
contemplazioni e senza ritegno la afferrò per le natiche e la strinse
forte a sé.
Lei spalancò la bocca larga e carnosa in un gemito roco quando
sentì le mani forti di lui spingerla avidamente contro il suo turgore, quando
si lasciò spogliare dalla sua furia rocambolesca; si abbandonò
completamente nuda alle mani esigenti di quell’uomo
bellissimo e caldo, ingenuamente fiduciosa, mentre lui le mordeva
bramoso il collo, le spalle, il seno, e ansimava ai lobi delle sue orecchie.
La stese sul letto e fece scorrere i suoi occhi impazienti su quel corpo
statuario, introducendoli lascivamente in quel
meraviglioso fiore pulsante, svergognatamente spalancato davanti a lui, e
all’improvviso, senza un preciso motivo, la sua mente sostituì
all’immagine della donna scura un corpo chiaro e levigato, i capelli neri
divennero aurei, i seni marmorei scomparvero, il ventre si appiattì, e
il meraviglioso fiore appassì.
Scosse la testa in un brivido d’orrore a
pensare all’incontro inaspettato di qualche ora prima. Aveva ancora in
mente gli occhi irritanti e maliziosi di quello strano ragazzo quando gli aveva
esibito sfrontatamente l’orecchino d’oro penzolante. No…
no… cerco di scacciare dalla mente quell’immagine così
scocciante.
Erodione non avrebbe mai preso il posto di una
di quelle splendide fanciulle nel suo letto.
Si affrettò a buttarsi qualcosa addosso
per coprirsi bene e perse qualche attimo ad osservare Bagoas che dormiva
silenzioso, il suo petto che si alzava e si abbassava dolcemente. Gli
dispiaceva averlo trattato così freddamente, e si chinò piano per
donargli un bacio puro e morbido sulla fronte liscia e profumata, ma era ormai
troppo frettoloso ed eccitato per rendersi conto, quando uscì ad ampie falcate
dalla tenda, che il visino tenero dell’eunuco si era rassegnato in un
rilassato sorriso.
Col sorriso già pregustava la vittoria quando
saltò in sella al suo cavallo nero. Quella notte, il
bell’Efestione non avrebbe saputo resistergli: avrebbe sciolto con la sua
passione ogni renitenza, ogni pudore, se mai ci fosse
stato. Gli avrebbe fatto assaggiare la sua carne, e, per Ahura Mazda, era
sicuro che non ne avrebbe più saputo fare a
meno. L’avrebbe cercato, sì, già immaginava le sue mani
toccarlo ovunque, stringerlo a lui, nel respiro del vento già gli pareva di avvertire i suoi ansimi, le sue esplicite richieste,
tutto il suo ardore.
Tutte le difese della sua fortezza sarebbero ineluttabilmente crollate al
dardeggiare della lingua del favorito del Gran Re.
Spronò il cavallo con un rapido colpo di talloni e si diresse
svelto nell’oscurità verso la reggia nera.
Non fu difficile, per un essere agile e discreto come lui, sfuggire
all’attenzione sopita delle sentinelle notturne e confondersi nella notte
come un felino; si permise persino di ridacchiare osservando i due uomini che
presiedevano l’entrata principale che dava al cortile interno russare
rumorosamente addossati alle mura del palazzo. La condizione di pace e
prosperità in cui si crogiolava l’impero persiano ammetteva questo
ed altro.
Quando si trovò dinanzi alla reggia nuda
rimase perplesso. Non aveva la più pallida idea di dove si trovassero le stanze di Efestione. Gettò una rapida
occhiata alle guardie che proteggevano l’accesso all’interno del
palazzo: erano perfettamente sveglie e vigili, e gli pareva che una di loro lo stesse proprio guardando. “Dannazione! Dannazione! Dannazione!” s’infuriò, piantandosi le mani nei
fianchi “Come non ho potuto pensarci?”. Detestava che gli
avvenimenti non andassero per il verso che voleva lui.
A quanto pareva, adesso doveva nuovamente ricorrere all’aiuto di
Bagoas.
Non ebbe il coraggio di svegliare il piccolo eunuco fino all’alba.
Dormiva così saporitamente che l’unica
cosa che aveva avuto il coraggio di fare, una volta tornato irritato dalla
reggia, era stata infilarglisi accanto e osservare il suo sorriso rilassato
come se fosse una benedizione in grado di affievolire la fiamma dolorosa della
delusione. Calma, si era detto, calma. Quel giorno già troppe cose erano
andate storte, per i suoi gusti. Forse avrebbe fatto meglio a lasciar passare
la notte ristoratrice. E così fece, si
addormentò profondamente dopo poco tempo.
Al risveglio, il mondo gli era apparso già diversamente, ed aveva
avuto la presunzione che quella mattina il sole splendesse
solo per lui.
Si stiracchiò un poco per sciogliere le
membra e rivolse un radioso sorriso a Bagoas, il quale intese subito che, per
essere così allegro, il suo amante doveva sicuramente avere in mente
qualcosa.
«Buongiorno, Bagoas. Dormito bene?»
Bagoas ricambiò il sorriso.
«Buongiorno a te, Iskander,
sì, ho dormito bene, spero lo stesso per te.»
«Sì, sì. Facciamo
colazione alla svelta e montiamo sui cavalli, stamattina dobbiamo fare un
viaggetto alla reggia.»
Bagoas roteò le pupille.
«Compreso? Tu entrerai nel palazzo come se niente fosse e porterai
la colazione nella stanza di Efestione. Una volta
dentro, ti affaccerai alla finestra e io vedrò in quale stanza ti
troverai. Dopodichè entrerò dalla stessa finestra.»
«Iskander,
non sono sicuro che sia una buona idea. Efestione
potrebbe non gradire la tua visita e chiamare delle guardie, le quali ti
accompagnerebbero da Dario, e…»
Alessandro non sembrava voler accettare
obiezioni: «…E niente; fa’
quello che ti dico, Bagoas, andrà tutto bene.»
Bagoas annuì rassegnato ed entrò tranquillamente nel
palazzo, mentre Alessandro si teneva nascosto tra i folti cespugli del cortile.
Dopo qualche tempo, Bagoas continuava a non farsi vedere e Alessandro
cominciava a perdere la pazienza. Si mosse cautamente lungo ogni lato del
palazzo, timoroso di un’improvvisa comparsa di Dario alle sue spalle, imprecando,
cercando di sfuggire agli sguardi dei cortigiani che si sollazzavano mollemente
tra i profumi degli iris e dei ciclamini, ma del viso di Bagoas non c’era
alcuna traccia.
Si innervosì poi ulteriormente quando
finalmente l’eunuco fece capolino da una finestra del secondo piano con
un’espressione strana e una mano che si agitava in un cenno di negazione.
Cosa mai avrebbe voluto dire? Aspettò che
Bagoas lo raggiungesse.
«Allora?»
«Iskander,
non ti consiglio di entrare, o almeno, non adesso; Efestione non è solo.»
L’istinto di afferrare
la prima cosa che gli capitasse sotto mano e schiantarla contro le mura del
palazzo era quasi incontrollabile, per Alessandro. Bagoas se ne accorse e indietreggiò. «Non è solo? Non è solo? Cosa
vuoi dire? Chi c’è accanto a lui?»
Bagoas non aveva idea di come dirglielo.
«C’è… u… una donna nera, Iskander.»
Alessandro strinse gli occhi riducendoli a due
fessure sottili e affilate come lame. «Una donna…?»
L’eunuco annuì con un gesto
frenetico del capo. Allora Alessandro
girò il cavallo cacciando un urlo rabbioso che attirò
l’attenzione di tutti i cortigiani presenti nel cortile, dopodichè
spronò il cavallo e corse via dal palazzo. Bagoas, terrorizzato dalla
reazione del suo compagno e dall’attenzione dei cortigiani – che
nel frattempo avevano preso a borbottare concitatamente, preferì imitare
Alessandro e sparire al più presto possibile da quel posto.
Sedeva ai bordi del laghetto e lanciava bruscamente sassi e ciuffi
d’erba nell’acqua, osservando la propria immagine deformata dalle
increspature che si allargavano sempre di più fino a dissolversi.
Il bell’Efestione continuava a preferire le donne; tuttavia il suo
orgoglio non poteva tollerare una sconfitta del genere. Ormai era diventata
un’ossessione, non avrebbe potuto lasciar perdere;
doveva trovare un modo per sedurre quel cocciuto guerriero. Fino a quel momento
erano successe già troppe cose che avevano messo a dura prova la sua
pazienza; non avrebbe di certo sopportato una sconfitta su quel campo in cui si
sentiva più esperto della più esperta
delle concubine. Osservò più attentamente la propria immagine fluttuante
nello specchio dell’acqua: cosa non andava in lui? Niente, era stato
selezionato alla corte del Gran Re tra centinaia di ragazzi provenienti da
tutte le parti del mondo. Quell’Efestione evidentemente non aveva la
minima idea di quello che si stava perdendo.
Era così assorto nei suoi pensieri che non si accorse
nemmeno dei passi leggeri di Bagoas. Quando
l’eunuco gli posò delicatamente la mano sulla spalla,
sussultò.
«Iskander…»
Alessandro sospirò, deluso. Si
aspettava forse che fosse Efestione? «Ah, sei tu, Bagoas.»
«Mi dispiace molto.»
«Come può preferire l’amore
di una donna a quello di un uomo?»
Bagoas non osava controbattere, non voleva
incattivire ulteriormente il suo fragile umore. Si limitò a sederglisi
accanto e cercare di riflettere.
«Tu non immagini cosa questa faccenda stia diventando per me. Io devo conquistarlo.»
Ancora una volta, Bagoas tacque per qualche
secondo; poi, con un vocino appena percettibile esordì: «Forse io
avrei un’idea che potrebbe risolvere un paio di nostri problemi…»
«Se la tua idea è quella di lasciar perdere, sai già la mia risposta.»
fece, tirando un sasso più lontano degli altri.
Bagoas sorrise. «No, no, niente di tutto
ciò.» “So come sei fatto”, avrebbe voluto aggiungere,
ma non gli sembrò il caso. E
si alzò. «Sarebbe meglio che andassimo a fare un giro al prossimo
mercato…»