A Roxanne
Potter e lilylunapotter,
che hanno
iniziato con me quest’assurda sfida.
E a Somochu,
maestra dei Crack Pairings.
Just a moment for you and me.
Fermati e pensa.
Blocca questo battito frenetico.
Sospira e calmati,
se non vuoi che quest’amore
ti uccida.
Entro
in quella stanza illuminata dalla luce del sole primaverile. Migliaia di
oggetti, alcuni di forma estremamente bizzarra, producono ticchettii
fastidiosi, che stonano col rumore ciclico dei miei tacchi sul pavimento in
pietra. Col passare dei secondi, mi avvicino alla scrivania di mogano, sulla
quale l’uomo, che mi ha invitato lì, sta chinato, concentrato su di una serie
di scartoffie. Lo osservo per una manciata di minuti riempire alcuni fogli con
una calligrafia minuta ed ordinata. Completa una riga, tranquillo come al
solito, e poi alza lo sguardo verso di me. Gli occhiali a mezza luna scivolano
sul naso adunco e storto, più di quanto non l’abbiano già fatto, e l’azzurro
chiaro delle sue iridi mi fa perdere un battito.
Cerco
di mantenere un’espressione dai muscoli distesi e rilassati, un’espressione che
non lasci trasparire le assurde ed immonde emozioni che sto provando, ma so già
che le mie gote tradiscono ogni mio tentativo. Lui mi sorride infatti ed è
assurdo che io possa esserne, anche nella maniera più remota, felice.
Mi
stufo presto di attendere una sua parola e dunque prendo io l’iniziativa.
“Perché
mi ha mandato quel gufo?”.
Non
cambia espressione, nonostante il mio tono duro e distaccato. Il suo sorriso
diventa più dolce, nascosto dalla barba candida, che una sua mano sta
accarezzando, ma non abbastanza da sfuggire al mio occhio.
Si
alza in piedi. A passo lento, disegna il virtuale perimetro della sua scrivania
e si avvicina.
“Lo sa
bene, Narcissa”.
Il
significato di quella frase non mi sconvolge. Anzi, il tono tranquillo che ha
adottato mi rassicura.
Siamo
ormai vicini e non smettiamo di fissarci, io con fare quasi morboso, lui pacato
ed impenetrabile.
Allunga
una mano verso il mio viso. Mi accarezza una guancia ed io chiudo gli occhi,
lasciandomi andare ad un brivido. Mi appoggio alla scrivania, mentre lui si
avvicina di più. Le sue dita affusolate, seppur grinzose a causa della
veneranda età, si spostano e sfiorano i miei capelli raccolti in una crocchia
con un bastoncino di legno, sfilando poi quest’ultimo e lasciandoli ricadere
sulle mie spalle. Alzo le palpebre, lasciando che le mie iridi sondino i
lineamenti dell’uomo che ho di fronte.
Sposta
il suo sguardo sul mio collo e torna a sfiorarmi le gote, per poi scendere ed
infine passare alle spalle. Si sofferma sui bottoni del mio tailleur. Il suo
tocco abbandona le mie spalle e prende a slacciare il primo bottone… il
secondo…e poi il terzo… fin quando non sfila via la mia giacca, che rovina a
terra. Mi accarezza l’intero busto, coperto da una camicetta bianca, tutta
pizzi, che lascia intravedere la biancheria nera.
Inclino
leggermente la testa indietro, colta da un fremito, poi le mie mani tremanti gli
tolgono goffamente il mantello, mentre lui libera anche i bottoni della camicia
dalle proprie asole.
Inizia
a baciarmi l’incavo del collo, mentre le mie braccia si cingono attorno alle
sue spalle, e mi perdo nel piacere più assoluto.
Tiro
su la zip della gonna e torno ad indossare le mie scarpe. Non posso credere che
sia accaduto di nuovo. Non posso credere che ci siamo di nuovo lasciati andare.
Sospiro, mentre mi volto a guardarlo, mostrando per la prima volta la mia
preoccupazione con sincerità.
Anche
lui stavolta cerca di rassicurarmi. Glielo leggo negli occhi.
Si
sistema uno strambo cappello sulla testa, per poi tornare ad accomodarsi sulla
sua poltrona.
“E’
assolutamente sbagliato. Lo so, Narcissa”, mi dice
ostentando un’espressione serissima. Quest’ultima dura poco, poiché mi rivolge
subito un sorriso. “Ma se lo vuoi tu, ed anche io, allora non vedo ostacoli”.
Sorrido,
malgrado nella mia mente appaiano gli ostacoli ben nitidi. Mio marito, mio
figlio, il Signore Oscuro ed i suoi Mangiamorte. Gli
ostacoli ci sono eccome.
“Stai
tranquilla”.
Non
distolgo lo sguardo. I miei occhi sono lucidi. Non ho voglia di lasciare quella
stanza, ma devo farlo.
“Arrivederci,
Albus”, sussurro, voltandomi e fuggendo via, onde
evitare ripensamenti.
“A
presto, Narcissa”, lo sento dire, con la voce
ovattata dal suono della porta che si chiude con un rumore sordo.
Mi
smaterializzo ed, una volta a casa, mi accascio sul letto. Le mani mi coprono
gli occhi, bagnati di lacrime calde, mentre penso al destino, che aveva deciso,
nella maniera più sadica, di giocare con i miei sentimenti.
Albus Dumbledore/Narcissa
Malfoy
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