Casa Keller - Berlino
20 Ottobre
...
-Ormai è
impossibile tenere i gemelli persino nella loro casa a Los Angeles-
-Perché?-
David
appoggiò i gomiti sulle ginocchia e cinse le mani guardando
in basso, poi alzò
la testa e prendendo un grande respiro comincio a parlare. I suoi occhi
erano
come quelli di un padre: affettuosi, protettivi, quasi come se i
gemelli
fossero diventati per lui una famiglia vera e propria e non soltanto un
lavoro
che vantava di aver venduto sei milioni di dischi in tutto il mondo.
–Sono
costantemente e perennemente con i paparazzi alle calcagna e non ce la
fanno
più-.
Qualcosa non mi
tornava.
-Scusa Dav
ma…
loro lo sapevano che cambiando casa non avrebbero trovato un letto di
petali di
rosa. L.A. è una delle città più
“gossippate”, se così si può
dire, di tutto il
mondo! Non mi sembra che la loro sia stata una mossa tanto saggia
quella di
lasciare la Germania per l’America…-
-E qui allora?- mi
domandò alzando la voce. Aggrottai le sopracciglia e mi
allontanai da David
alzandomi dalla poltrona e andando verso la finestra, pensando che
almeno in
quel modo avrei evitato la brutta piega che la discussione aveva preso. -Secondo te qui sarebbero
stati al sicuro
dopo quello che è successo? Dopo il furto? Dopo le
aggressioni e gli appostamenti?
Dopo le minacce alla madre? È questo ciò che vuoi
per loro?- il tono della sua
voce era letteralmente alterato.
Sbuffò e
seguirono degli attimi di silenzio interminabili dove rimasi a fissare
la neve
che cadeva fuori dal vetro e senza accorgermene mi ero totalmente
mangiata
un’unghia, cosa che non succedeva dal primo liceo!
Ero in preda ad
una crisi isterica e mi sarebbe bastata una goccia soltanto e il vaso
sarebbe
esploso e non semplicemente traboccato.
Detto fatto, la
goccia arrivò prima del previsto.
-Preferiresti
vederli perseguitati, soffocati da orde di giornalisti che per uno
straccio di
foto pagherebbero oro oppure asfissiati da…-
-Da chi? Dalle
loro fan? Dalle groupies o come si chiamano? Dalla vita che si sono
scelti per
conto loro? Da quello David, è quello?- urlai girandomi di
scatto verso di lui
e correndogli dietro mentre cercava di uscire
dall’appartamento. –Bhè, mi
dispiace, chiamami anche falsa amica o quello che ti pare ma non li
aiuterò a
nascondersi da ciò che si sono cercati… non
questa volta!- finii la frase di
fronte a lui rendendomi conto che era più alto di me di
almeno dieci centimetri
e che la mia fronte gli arrivava al mento, ma in quel frangente a tutto
pensavo
tranne a quello che dicevo perché ero talmente accecata
dalla rabbia e dalla
furia omicida che avevo verso i Kaulitz che tutto il resto era
annebbiato.
David si
guardava i piedi senza segno di vita, quasi fosse morto.
Il silenzio era
atroce, la lancetta dell’orologio emetteva un ticchettio
stressante e
ripetitivo che ti entrava in testa come un martello, il respiro
affannato e gli
occhi lucidi di David mi mettevano una tale angoscia impossibile da
descrivere.
-Dav…-
alzò lo
sguardo e capii che non c’era nulla di cui arrabbiarsi,
quindi cercai di
calmarmi e con il tono di voce più calmo possivile gli
chiesi: –Cos’ è
successo… veramente?-
David chiuse gli
occhi, respirò più lentamente, poi li
riaprì sforzandosi non poco.
Mi mise una mano
sulla spalla e mi abbracciò.
-Tu, forse ora
più di tutti, puoi aiutarlo… puoi riportargli il
sorriso e rendergli la vita
più semplice perché non può stare in
queste condizioni a contatto con le
telecamere o con i giornalisti famelici del minimo rumor…-
tutto questo era
strano, ma di che parlava?
Rimasi
abbracciata a lui inconsapevole di poterlo sostenere perché
non riuscivo a
capire di cosa aveva bisogno, cosa era successo.
-Ma, mi vuoi
dire per favore cosa diamine è successo? Mi stai facendo
agitare, non riesco a
seguirti e non posso darti una mano se non mi fai chiara questa
storia… per
favore…- dissi quasi supplichevole.
Sciolse
l’abbraccio ma tenne le sue mani ferme sulle mie spalle, si
schiarì la voce e
provò a parlare ma ciò che gli uscì
dalla bocca fu un sibilo, niente più.
-Come scusa?-
chiesi sottovoce facendomi più vicina a lui.
-Tom…-
-Tom…
cosa?-
-Tom sta
male…-
una scintilla, un fulmine che mi colpì in pieno. Mi
allontanai da David come se
fosse stato lui la causa dello shock che avevo appena ricevuto.
La salivazione
era a zero, i battiti del cuore a mille, un senso di freddezza dentro
al corpo
al centro del petto e tanta debolezza mi circondarono in un millesimo
di
secondo.
Frastornata e in
cerca di un appoggio istantaneo, mi voltai e barcollai fino in salone
dove
cercai di aggrappare il bracciolo di una poltrona ma lo mancai e caddi
in
ginocchio sul tappeto.
Lo sguardo di
David, le sue parole strascicate, il tono della sua voce non lasciavano
intendere nulla di facilmente risolvibile.
La tensione
lasciò posto alla paura che mi bloccò i muscoli e
la capacità di pensiero
razionale, mi distesi completamente sul tappeto e la voglia di piangere
era
tanta, così tanta che non riuscii neanche a tirar fuori una
lacrima.
David si
inginocchiò di fianco a me ma la mia vista era offuscata e
annebbiata dai
ricordi di Tom e Bill da piccoli in giardino che giocavano senza alcun
pensiero, i biscotti di Simone, i Natali passati insieme, poi tutto
così di
fretta: il successo, la fama, i tour…
Ci siamo persi
di vista da anni per tanti motivi ma più che altro per uno
in particolare e
adesso mi ritrovo nuovamente intrecciata alle loro vite…
alla sua vita… come in
un copia e incolla… un cd che già conoscevo
ripetuto centinaia e centinaia di
volte…
Tutto attorno a
me si fece ovattato…
Sempre
più
silenzioso…
Sempre
più buio
e David alla fine parve solo un miraggio lontano…