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Autore: loonaty    25/07/2011    3 recensioni
"Eleanor Lizbeth Desdemona Engels.
Diciassette anni.
Italo – germanica, giapponese.
Orfana.
[...]
Si dice che il tre sia il numero perfetto, è composto da tre cifre ognuna delle quali è identica all’altra. Noi tre non eravamo identici, ma ci compensavano a creare il perfetto equilibrio. Ora, da sola sulla bilancia, credo proprio che questo equilibrio si sia spezzato. Ho bisogno di qualcuno che posi un dito sull’altro piatto prima che precipiti nel regno degli inferi. "
Genere: Commedia, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kyoya Ohtori, Nuovo personaggio, Tamaki Suoh, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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OURAN HIG SCHOOL

Dove Eleanor Lizbeth Desdemona Engels incontra Dracula ed una strana creatura brillante.

 
Davvero. Non poteva essere vero. Diedi una testata al finestrino del taxi per essere certa di non stare sognando. O per meglio dire, di non stare incubando. Ne ricavai un ematoma al centro della fronte. Che quel dannato del mio tutore fosse un orrido ficca naso lo sapevo, ma che decidesse di peggiorare ancora di più la mia precaria situazione era un abominio. Sospirai quando  ci fermammo. Diedi la mancia al taxista e, con lo sguardo basso afferrai la mia valigia e ignorai la limousine parcheggiata lì davanti. Mi diressi a passo deciso verso l’ingresso della villa.
-Miss!-
A quanto pareva la mia infallibile tecnica di rendermi invisibile tenendo gli occhi chiusi non aveva funzionato.  Cominciai a chiedermi se  avesse qualche collegamento con il fatto che a nascondino perdevo sempre, persa nei meandri non poi così profondi della mia mente non mi resi conto, anzi, ignorai spudoratamente, il ragazzo alto ed avvenente che in tutta fretta si catapultava fuori dalla sua limousine per raggiungermi in quello che per un personaggio distinto come lui era inteso come “di corsa”. Non mi feci problemi a chiudergli in faccia il cancello automatico senza nemmeno voltarmi.
Ok, lo ammetto, mi voltai a dedicargli una delle mie smorfie meglio riuscite.
-Miss, la prego di mettere da parte questo comportamento infantile e … -
-Non è un comportamento infantile- Dissentii allontanandomi per il viale. –E’ pura ostilità- Ammisi placidamente. Il ragazzo resistette all’impulso di sbracciarsi attraverso le sbarre per afferrare l’orlo della mia gonna e probabilmente sbattere la mia fragile testolina sull’asfalto fino a ridurla ad una gomma da masticare, ma fece un bel respiro e si sistemò la cravatta con un moto scocciato. Ottimo autocontrollo Ootori, un punto a tuo favore.
- Miss, almeno mi stia a sentire!- Mi voltai spazientita. Alberich mi avrebbe uccisa se mi fossi inimicata gli amici di famiglia.
-Bhè? Che vuoi Ootori?-
Il ragazzo, che non era decisamente più un ragazzo, mi rivolse un sorriso soddisfatto ed io aggrottai le sopracciglia. Se voleva dirmi qualcosa che si spicciasse.
-Ho sentito dei suoi genitori-
-Anche io- Lo liquidai con un gesto della mano. Certamente non era lì per porgermi le sue condoglianze.
Probabilmente avvertì il mio tono irritato e si decise ad arrivare al sodo: - Il vostro tutore ha chiamato mio padre e gli ha domandato di prendersi cura di lei prima del suo arrivo. Sta sistemando alcune faccende legali , ma si farà sentire al più presto.-
-Il mio tutore non si fa abbastanza i cazzi suoi- Risposi brusca per poi coprirmi la bocca con una mano al suo sguardo di rimprovero. Con tutto lo scherno di cui ero capace negli occhi mi esibii in un inchino accennato
- Oh, mi dispiace signorino, i vostri raffinati padiglioni auricolari non sono abituati a volgarità simili. Chiedo umilmente venia – Ghignai. – Ora, se non le dispiace gradirei immensamente andare a riposare, domani mi aspetta un’impegnativa giornata di scuola. Arrivederci. – Così detto feci per allontanarmi nuovamente.
- Miss! Il vostro tutore ha previsto questa sua decisione ed ha rinviato l’arrivo dei domestici, sareste completamente sola in questa villa, perché non venite da noi?-
-Perché no Akito!- Digrignai i denti e, pestando i piedi mi trascinai, con il mio unico bagaglio, fino alla porta di casa.
-Io vi ho avvisata, se vorrete le nostre porte saranno sempre aperte. – Si inchinò educatamente. Mi fermai a guardarlo. Quanto mi sarebbe piaciuto, per una volta, che mostrasse almeno un minimo di umanità. Ecco perché detestavo gli Ootori, erano dei pinguini spocchiosi e disonesti. Calcolatori. Scrollai le spalle.
Chiusi la porta con un calcio trascinando la borsa al centro dell’enorme salotto circolare. Respirai la polvere e mi passai una mano tra i capelli con uno sbuffo.
Fine. Era finita. Quella terribile giornata era finita. Forza Eleanor, ora puoi anche piangere, nessuno ti vede, nessuno ti sente.
Mi sedetti sul pavimento gelato.
Dai Eleanor, domani ci sarà il funerale e tu nemmeno sarai presente. Piangi Eleanor.
Mi coprii il volto con le mani sorpresa di trovare le guance perfettamente asciutte. Non mi bruciavano gli occhi, non avevo nodi in gola.
Su Eleanor. Tua madre e tuo padre sono morti. I genitori che amavi, morti, non li vedrai mai più.
Nemmeno calcare la mano sul pensiero servì a molto. Niente, non riuscivo a piangere, il mio corpo si rifiutava. Non ero mai stata una che piangeva spesso, anzi, non avevo quasi mai pianto in vita mia,soprattutto da piccola, mi raccontavano che ero stata un bambina molto cocciuta che raramente si disperava, ma spesso si esibiva in grida isteriche per semplici capricci.
Sollevai la testa verso l’enorme lampadario di cristallo. La luce che filtrava dalle imposte chiuse creava delicati arcobaleni sulle pareti color mughetto rifrangendosi tutt’attorno da quelle gocce trasparenti che ondeggiavano sopra la mia testa.
Era finita.
Pensai con un sospiro. Tutto quello che conoscevo era finito. Mi alzai in piedi e scrollai la polvere dalle mani.
Bene. Sarebbe stato l’inizio.
Dopo ogni fine c’è un nuovo inizio.
Spalancai ogni singola finestra in tutta la casa. Salii nella mia camera e aprii la valigia per poi sistemare i vestiti nell’armadio alla bell’e meglio. Non avevo mai fatto nulla da sola. I servitori si occupavano dei miei vestiti. I cuochi cucinavano e le cameriere pensavano a lavare. Quando arrivavamo in una nuova villa trovavamo già tutto in ordine e non c’era niente da fare se non divertirci e rilassarci. Mi lasciai cadere sul letto. Era settembre ed un venticello fresco mi arruffava i capelli. Era grande la mia stanza, avevo un baldacchino tutto per me e l’alto soffitto color panna era affrescato con motivi floreali. Li aveva dipinti mia madre … Mi voltai su un fianco allungando una mano a prendere il cellulare. Composi il numero di Alberich. Aspettai che squillasse un paio di volte e poi buttai giù. L’importante era che pensasse che l’avevo cercato. Bestardo, farmi fermare dagli Ootori era un colpo basso. Meditando sulle diverse torture medievali dell’inquisizione mi addormentai tra le lenzuola stropicciate trovate in un cassetto ed arrotolate sul materasso come potevo.
 
Tiritì tiritì tiritì tiritì.
 
-Mamma! Spegni la sveglia!-
 
Tiritì, tiritì, tiritì tiritì.
 
Ho fatto un brutto sogno stanotte.  Ero venuta in Giappone da sola ed i miei genitori erano morti in un incidente.
 
Tiritì tiritì tiritì tiritì.
 
Aprii un occhio. –Mamma?-
 
Tiritì tiritì tiritì tiritì.
 
Mi misi seduta. Faceva freddo. L’aria della mattina impregnava ogni angolo della casa. Avevo dormito con le finestre aperte.  Mi strinsi il corpo con le braccia strofinando le spalle nude. Dormendo mi ero spogliata. Passai le dita sotto gli occhi e pulii il trucco che dormendo era colato.
Se ve lo starete chiedendo avevo ricordato tutto. L’intontimento da primo risveglio era svanito lasciando un senso di vuoto in fondo allo stomaco. Afferrai il cellulare che continuava a squillare. Le otto del mattino. Perché quest’orario mi metteva ansia?
Risposi alla chiamata alzandomi per chiudere la finestra e cominciando a spogliarmi completamente pronta ad infilarmi sotto la doccia. –‘Giorno Alberich- Esordii in modo più allegro possibile.
-Buongiorno mein frau, il capofamiglia Ootori mi ha informato che avete gentilmente declinato la sua ospitalità … -  Il suo tono che rischiava di sfociare nell’isterico mi fece presupporre che ricordasse perfettamente quali fossero i miei, per così dire, “modi gentili” e come potessi “declinare” un’offerta simile.
Mi posizionai davanti allo specchio con in dosso solo gli slip neri.
-Pensavi davvero che potessi sopravvivere ? –
-Mein frau … -
-Eleanor- Lo corressi. –O al massimo miss, detesto il tedesco. –
- Miss Desdemona … - Sospirai. Non capiva proprio niente. Gettai un’occhiata ai vestiti. Che mi mettevo?
-Parleremo dopo del vostro caratteraccio, adesso entrate pure in classe … -
Rimasi paralizzata al mio posto. –Alberich? A che ora iniziano le lezioni?- Mi parve di sentirlo esitare dall’altro capo della cornetta. –Mei … Miss Desdemona, la prima campanella dovrebbe suonare precisamente … - Fece una pausa. –Ora.-
-Cazzo!- Urlai. Sì, crescere in una famiglia di persone ricchissime, servita e riverita e tenere convention con persone di alto rango non mi esonerava dall’esprimermi come una scaricatrice di porto. Al diavolo la doccia!
Lanciai il cellulare sul letto fiondandomi in bagno a lavarmi faccia e denti. Poi mi fiondai di nuovo in camera. Guardai l’armadio stringendo i denti.
C’è un’altra cosa che bisogna sapere su di me. In terza elementare, per problemi di salute, lasciai la scuola e studiai a casa fino all’anno scorso quando mio padre si scocciò di avermi sempre tra i piedi e mia madre pensò fosse ora che mi trovassi un buon partito. Di conseguenza io non avevo la più pallida idea di come ci si relazionasse con gli altri a parte le poche volte in cui eravamo invitati ai gran gala o gli Ootori ci venivano a trovare.
Parlo spesso degli Ootori? Davvero? Forse perché Akito doveva essere il mio promesso sposo ed io gli ho fatto capire a modo mio che non l’avrei sposato neanche se fosse stato l’ultimo uomo sulla terra. Sarei diventata lesbica, preferivo di gran lunga un paio di tette a quell’essere frigido e rigido. Poi era troppo grande.
Tornando al problema principale. Che indossavo? Come ci si veste in una prestigiosa scuola privata?
Erano le otto e dieci.
Al diavolo!
 
***
 
 
-… E quindi questa equazione si risolve … -
Qualcuno bussò alla porta. Tamaki Suou , il più vicino ad essa voltò il capo lasciando che i morbidi capelli biondi gli ricadessero su un occhio in un ciuffo molto figo  e puntò i suoi grandi occhioni chiari sulla persona che stava per fare la sua entrata.
-Avanti- Proferì leggermente stupita la professoressa.
La porta si aprì. La classe ebbe un sussulto. Sulla soglia, con una mano sullo stipite stava una ragazza vestita completamente di nero. L’abito in stile lolita era gonfio attorno alle ginocchia, ai piedi un paio di scarponi lucidi con le fibbie. Fece un passo avanti in un turbine di profumo D&G che molti fecero fatica a riconoscere nonostante fossero tutti estremamente ferrati in materia. Si posizionò davanti ai compagni ed accennò un sorriso.
Il volto di Tamaki si illuminò di gioia alla vista della nuova principessa. Un angelo in più a portare luce in quella classe. Nonostante il colore tetro non gli sembrava tipo da club di magia nera e quindi era e rimaneva una preziosa recluta per il gli Host. Prima che la professoressa e i capoclasse potessero aprire bocca il biondo scattò in piedi in preda all’euforia e fece un inchino alla nuova venuta che batté un paio di volte le palpebre secondo lui perché ammaliata dalla sua travolgente bellezza.
 
***
 
Non’appena misi piede in classe mi parve di morire. Ero vestita di nero. Perché in fondo ero in lutto e per secondo motivo perché il nero mi faceva sentire a mio agio. Mi ero accorta troppo tardi delle uniformi sgargianti ed assolutamente orribili delle altre ragazze. Tutti mi fissavano. Anche la professoressa sembrava considerarmi una strana apparizione. Un fantasma forse. Ironia della sorte, io il giorno prima ero stata tanto impaziente da partire prima dei miei genitori. Se non lo avessi fatto quello sguardo sarebbe stato più che meritato da parte mia.
Tentai un approccio amichevole sorridendo.
Sono in ritardo di venti minuti ed assomiglio a Misa di Death Note.
Ne sono consapevole.
Non feci in tempo ad aprire bocca che il ragazzo davanti a me si alzò in piedi sorridendo e si inchinò. Forse me lo immaginai, ma mi parve di scorgere una nuvola rosa e vagamente appiccicosa sprigionarsi da quel gesto. Qualcosa del tipo … Ehi, scopiamo?
Cavolo, non sapevo esistesse gente capace di spargere ferormoni a quel modo. La mia vita non ha più un senso. Scrutai allibita il ragazzo il cui volto si stagliava su uno sfondo color confetto costellato da lucette accecanti e rose rampicanti. Sperai almeno che pagasse il giardiniere che ogni santa volta che sorrideva gliele appiccicava sullo scenario.
-Benvenuta, principessa!-  Ok, ok, ho capito, è uno scherzo, dove sono le telecamere nascoste? Tiratele fuori, questo è un attore ed io sono su Candid camera.
Squadrai il tipo biondo che pareva fosse stato pucciato di testa in un ammasso di scorie nucleari. Cioè, i suoi capelli rilucevano. Ed avevano anche un aspetto molto … Fluffoso. Volevo toccarli.  Aveva gli occhi troppo grandi per un ragazzo, anche se di lì a poco avrei scoperto che i ragazzi potevano avere gli occhi esageratamente grandi e che definire a prima vista “ragazzo” qualcuno dell’Ouran, era assolutamente sbagliato, ma lo vedremo in seguito. Fatto sta che il tizio capelli montati ed occhi a biglia si sedette tutto soddisfatto come se avesse compiuto l’impresa del secolo e la professoressa si decise a parlare ingoiando contro voglia gli urletti isterici di un gruppo di ragazze nell’ultima fila.
Io mi chiesi che ci facevo lì per la centesima volta da quando avevo varcato il cancello d’ingresso.
-Ragazzi, questa è la principessa Eleanor Lizbeth Desdemona Engels è arrivata qui ieri dall’Italia, tutti la conoscete, ovviamente- Le parole di quell’insegnante mi parvero vagamente minacciose tanto che mi voltai per controllare che non stesse tirando qualche leva che mi avrebbe fatta cadere in un pentolone e cucinata per la mensa. Nulla, si limitava a tenere il gesso sospeso sulla lavagna e a sbirciare il mio nome sul registro aperto sulla cattedra. Rimasi in piedi titubante sul da farsi. La prof risolse i miei problemi con poche ed efficaci parole. –Lei è in ritardo miss, la prego di accomodarsi in corridoio e di andare a ritirare l’uniforme scolastica dal preside appena le sarà possibile.-
Bene. Era così terribile venire sbattuta fuori il primo giorno? Cosa si faceva in questi casi? Mi torturai le mani attraverso la stoffa leggera dei guanti. Non mi mossi limitandomi a spostare il peso da un piede all’altro. Sentivo gli sguardi dei presenti puntati su di me. Ed ora?
-M-mi scusi … Signora … - Diedi le spalle alla classe rivolgendomi a bassa voce alla professoressa.
-Dica miss- Asserì questa inesauribilmente gentile.
-Ecco io … - La soluzione mi apparve davanti materializzatasi da chissà dove. Ero sempre stata impeccabile nell’inventare scuse, ma stavolta mi bastava basarmi sui fatti realmente accaduti e recitare bene la mia parte. – Dovreste essere informati di ciò che è accaduto ieri mentre ero in viaggio per raggiungere questo paese- Asserii seriamente. La professoressa mi guardò titubante e squadrò dall’alto in basso i miei abiti. Poi puntò gli occhi nei miei. Leggermente lucidi, era il massimo che riuscissi a fare.
-Veramente non sono stata informata di nie … Oh … - La professoressa sollevò un documento e si sistemò gli occhiali sul naso per leggere meglio ciò che vi era stato appuntato a margine. Perfetto. Era stata avvisata. Ora non mi restava che trovarmi un posto a sedere, per un po’ ogni mia stranezza o mancanza sarebbe stata giustificata, davvero un peccato non approfittare di ciò. –Sono immensamente dispiaciuta miss-
Scossi la testa benevola. –Non si preoccupi … Dove devo sedermi?-
Mi fu indicato un banco al quale mi accomodai posizionando la cartella davanti a me a creare una sorta di barriera per quegli sguardi indiscreti che continuavano a perforarmi la pelle. Eppure erano tutti ricconi, dovevano per forza sapere che è maleducazione fissare la gente!
L’ora di matematica passò in fretta. Non che la matematica mi piacesse, ma avevo fatto perdere ben dieci minuti all’intera classe, più i venti di ritardo e quelli che passai a dormire e a scarabocchiare il quaderno … Bhè, i conti tornano. Sospirai appoggiando il mento sulla mano. Nella classe si era sollevato un brusio di chiacchiere pari a quello che conoscevo alle elementari, il che in un certo senso era rassicurante. Poi un ombra oscura si proiettò su di me.
 
***
 
Sapeva del suo arrivo ancora prima che l’aereo partisse.
Conosceva il suo nome completo, il cognome, i suoi familiari, le loro competenze.
Conosceva ogni singolo dettaglio della vita privata di Eleanor Engels.
Si era però sorpreso che suo fratello, anni prima, fosse stato promesso sposo ad una ragazza così piccola, mediocre e insignificante, ma forse era stato una specie di debito da saldare. Dopotutto gli Ootori erano in possesso delle ditte farmaceutiche e degli ospedali più importanti del Giappone e quella ragazzina a suo tempo era sembrata voler lasciare presto questo mondo. Invece, per merito di suo padre, quella figura batteva ancora la superficie del pianeta: ne deduceva che gli Engels e gli Ootori dovevano essere in buoni rapporti tanto che i primi, come ringraziamento, offrirono proprio la mano della figlia ad Akito. Primogenito per primogenito, era così che funzionava.
Poi, quella mattina, aveva casualmente intercettato una discussione del preside Suou con i docenti. I genitori della nuova alunna erano periti in un incidente d’auto mentre essa era in volo per il Giappone.
Una volta in classe si era quindi preparato a sfruttare quanto sapeva per i suoi interessi, dopotutto la società informatica Engels era la più potente in assoluto.
Erano iniziate le lezioni e del suo obbiettivo nemmeno l’ombra. Aveva appuntato sul suo quaderno che la ragazza doveva smaltire il trauma e non si sarebbe fatta vedere per un po’. Messosi comodo aveva seguito attentamente la prima mezz’ora di lezione. Poi la porta si era spalancata lasciandolo gravemente contrariato. Un insulto alla sua concentrazione.
Sulla soglia era sbucato uno strano animale che fece precipitare le sue sopracciglia dietro le lenti sottili degli occhiali. Era una ragazza, realizzò. Sotto quintali di stoffa svolazzante spiccava ben visibile un volto da volpe. *
Si portò accanto alla professoressa in modo impacciato. Nonostante questo suo disagio pareva esporsi in maniera esagerata davanti agli studenti. Di solito le ragazze timide tendono a tentare in ogni modo di passare inosservate.
Prese un altro appunto sul suo quaderno.
Egocentrica (?)
La professoressa, povera donna, certamente non era abituata a simili teatrini, di conseguenza decise di risolvere la situazione salutando gentilmente la nuova arrivata in modo da rompere l’imbarazzo che si era formato nell’aula. Come al solito, però, un certo fesso biondo lo precedette causandogli un eccessivo pulsare di vene sulla tempia. C’era sempre bisogno di tutte queste cerimonie?
Abituato alla reazione disastrosa che il re pareva avere con le nuove ragazze (vedi Haruhi o Renge) si preparò a vedere la nuova arrivata sollevare il banco e schiantarglielo in testa. Dopo pochi attimi di sbalordimento questa parve limitarsi a battere le palpebre stupita e ad estendere leggermente quel suo strano sorriso che il genio del male catalogò come imbarazzato.
Tipi che potrebbero fare per lei:
Tipo regale  V
Da questa deduzione a rapportare Eleanor Engels a qualunque altra oca di buona famiglia il passo era breve. Sarebbe stato semplicissimo farla cadere nel sacco ed ottenere privilegi dalla sua amicizia.
Tamaki, che si era voltato in dietro per sorridere estasiato all’amico, i nuovi arrivi lo mettevano esageratamente di buon umore, fu certo di vedere un aura oscura estendersi alle spalle del ragazzo che sorrideva al suo quaderno in modo fin troppo ambiguo. Si voltò bianco come un cencio. Probabilmente vivendo a stretto contatto con Kyoya Ootori non si doveva più temere l’inferno.
La ragazza venne invitata a lasciare l’aula, ma questa, avvicinatasi alla professoressa, parve convincerla a lasciarla restare. Quando la Engels si voltò Tamaki trovò estremamente commoventi quegli occhioni allungati e lucidi segno evidente di qualche trauma passato e gli si riempì il cuore della voglia di salvare la povera ed indifesa anima di quella fanciulla così fragile che andava a sedersi nell’unico posto libero, quello accanto allo Shadow king dell’Host club.
 
Kyoya seguì quella figurina scura sederglisi accanto senza degnarlo di uno sguardo. Rimase allibito quando, con uno scatto, frappose la sua cartelletta tra loro due lasciandola in piedi sull’orlo del banco. L’ultima cosa che scorse sul suo viso fu un’occhiata furtiva che si lanciò tutt’attorno prima di affondare il naso nel quaderno.
Molto studiosa. Le piace la matematica (?)
Tornò indietro mettendo ancora più in forse l’affermazione di egocentrismo di poco prima. Non che poi gliene importasse.
Era certo di aver già capito tutto della sua preda.
 
**
 
Un ragazzo alto e moro stava in piedi accanto al mio banco schiarendosi la voce per richiamare la mia attenzione. Lo guardai dal basso. Dovevo alzarmi in piedi? Presentarmi? Inchinarmi? Quanta formalità andava usata per un ragazzo della mia classe, quindi mio pari in età, ma con un’influenza sociale differente?
-Ciao- Scelsi l’approccio più comune.
Sorrise. Aveva un bellissimo sorriso, decisi. Un po’ falso, un po’ stronzo, ma niente da ridire.
-Fraulein*… - Si inchinò. Roteai gli occhi. Eccone un altro che mi parlava in tedesco. –Sono ai suoi servizi principessa- Si era piegato in modo che il suo volto si trovasse davanti al mio nonostante fossi seduta. Una vacanza ai Caraibi gli avrebbe fatto bene, era così bianco che Dracula lo denunciava per plagio.
Rimasi saggiamente in silenzio. Il moro si rialzò e mi scrutò attentamente. Mi sembrava di essere una scatoletta di tonno sotto il muso di un gatto. Forse era meglio inchinarmi a mia volta …
Un turbine di capelli e gonne lo spinse via e venni prontamente accerchiata da una nuvola di principessine sorridenti tutte risolini e mossette, ma tutte tremendamente carine, con quell’aria kawaii che distingueva quel paese dall’Italia, dalla Germania o qualunque altro luogo. Dove le trovi delle ragazze così carine? Dove? Io, con i miei tratti decisi e spigolosi, il mento appuntito ed il naso forse un po’ troppo affilato, mi sentivo assolutamente fuori luogo. All’improvviso ringraziai di non essere bionda. Non credevo l’avrei mai fatto,ma non è mai tardi per incominciare. Fui sballottata avanti ed in dietro per tutta l’aula.
-Ho sentito dei tuoi genitori, oddio è vero che vivi sola?-
- Dev’essere stato terribile per te!-
-Hai vissuto in Italia? Dove esattamente?-
-Quel vestito è stupendo, mi ricordi tanto il personaggio di un manga –
Poi dalla folla la creatura mitologica del primo banco fece la sua apparizione tra strass e fiori freschi ed essenze afrodisiache di dubbia provenienza. Mi prese le mani e mi ritrovai il suo volto a pochi centimetri, sorrideva come un idiota, ma dovevo ammettere che era un bel vedere.
-Oh mia musa! Pulcherrima fanciulla dalla pelle vellutata, sei nuova in un posto sconosciuto! Qualunque cosa tu abbia bisogno non esitare a fare affidamento su di me, ogni tuo desiderio sarà un ordine. – Il tutto finì in un inchino, di quelli in ginocchio che si fanno per chiedere la mano alla sposa. Un palmo sul cuore e le mie mani ancora strette tra le dita mi fissava con occhioni da cucciolo.
-Stai male?- Mi uscì di un fiato. Non potei fare a meno di chiederglielo. La creatura brillante si smaterializzò  per poi riapparire all’altro lato dell’aula, raggomitolato su se stesso. C’era della muffa sulla parete che prima non avevo notato …
Scossi la testa. Qui le persone non erano affatto normali. Tra la folla di ragazze che mi guardavano ora contrariate per aver rifiutato le avances  del loro idol, scorsi il volto serioso e composto del tipo di poco prima. Quello che aveva cominciato il gioco del “presentiamoci tutti assieme alla nuova arrivata mentalmente minorata a cui sono morti i genitori e che è vestita come una gothic lolita in una scuola di classe”. Fortunatamente il professore, che nel frattempo si era perso, entrò in aula. La lezione ebbe inizio. La creatura luccicante andò ad ammuffire al suo posto e così anche il momentaneamente soprannominato Dracula.
Per oggi ne avevo abbastanza.
Ouran Hig school un corno! Mi avevano mandata in un manicomio altrochè!
 

Non appena la campanella di fine lezione suonò scattai fuori dalla porta alla velocità della luce. Riuscii a dribblare un paio di professori ed un buon numero di ragazzi. Qui non eravamo per le strade di città dove qualche ragazzetto poco intelligente ti metteva lo sgambetto facendoti baciare l’asfalto come se fosse un amico che non vedevi da tanto tempo. Per fortuna non indossavo quei mocassini con la suola liscia con cui le principessine parevano pattinare sui pavimenti cerati. Se c’era una cosa che non potevo vantare era un buon equilibrio.
La biblioteca, lì di solito c’era silenzio … Dov’era la biblioteca?
Mi guardai intorno spaesata rendendomi conto di quanto fosse grande quel posto. Sentivo le grida isteriche farsi largo attraverso la mia gola.
-Porca miseria!- Lanciai all’indietro la cartelletta nel corridoio vuoto.
-Wha!- Un tonfo. Rimasi pietrificata.
Ho ucciso qualcuno. Ho-ucciso-qualcuno.
DANNAZIONE HO UCCISO QUALCUNO!
Eppure quando ho visto Pinocchio ho dato dell’idiota a quel burattino dal naso lungo che, lanciando un libro, aveva colpito in testa un suo amico che poi era svenuto.
Nemmeno un libro!
Gli ho lanciato appresso tutta la cartella!
Mi voltai terrorizzata con le mani sulla bocca. Le vetrate illuminate formavano un contrasto con le aule buie ed il lungo corridoio senza anima viva. Seduto a terra, con accanto la mia cartella, stava un ragazzino esile, con gli occhioni castani sgranati.
-Stai bene?- Chiesi di riflesso.
Certo che non sta bene idiota! Gli hai tirato addosso una cartella!
Mi chinai davanti a lui per controllare io stessa che non perdesse sangue da nessuna parte e non rischiasse di svenire da un momento alla altro.
-Sto benissimo- Rispose quello pacato. Aveva la voce da donna. Poteva capitare, certo. Dopotutto era più piccolo e non aveva cambiato la voce … Già.  Si voltò a prendere la cartella e me la porse rialzandosi.
-Mi hai mancato- ammise tutto serio.
-E … Perché sei finita a terra?- Chiesi. Non rispose aspettando che mi accorgessi che avevo usato il femminile senza accorgermene. –Ahehh .. Finito, finitO, perdonami- Ridacchiai afferrando la mia borsa e portandomela al petto.
Sorrise gentilmente, aveva un faccino così carino! I lineamenti efebici, gli occhi che risaltavano sopra tutto di quel castano intenso e corposo mentre morbidi ciuffi scuri gli accarezzavano le guance.
-E’ stata la sorpresa, mi sono spaventato e non ho un gran equilibrio … - Fece vagare un attimo lo sguardo per poi tornare a fissarmi. –Perché lanciavi la cartella nel corridoio?-
Domanda cruciale.
Cominciai ad arricciarmi i capelli con un dito.
-Perché, bhè, mi piace lanciare le cartelle eheh, è divertente … Speri sempre che mettano le ali e si portino via i libri ehehehe … - Mi fissava come se mi fossi bevuta il cervello. Stavo facendo una figura orribile. Però anche lui poteva evitarsi una domanda simile.
-Le cartelle non volano-  Si limitò ad informarmi.
-Ah già … - Grazie di avermi dato questa notizia.
Calò un infausto silenzio  rumoroso, di quelli che ti fanno esplodere la testa per il loro frastuono, eppure in realtà non vi è nessun suono.
Di punto in bianco indicò il mio vestito. –Sei nuova di qui vero? –
Abbassai lo sguardo sul corpetto di velluto. In effetti ero un po’ troppo visibile per i miei gusti. Perché dovevo avere la fissa per i merletti e i nastrini? Era tutto il giorno che continuavo a domandarmi il perché del mio comportamento da decerebrata. Insomma Eleanor! Hai un gran cervello, puoi vantare un’intelligenza superiore alla media, usala! Fai valere la campionessa di scacchi che c’è in te. Che incoraggiamenti inutili. Avevo vinto un torneo, quella volta il campione in carica si sentì male e vomitò tutta la sua colazione , sui miei piedi naturalmente, giusto per dimostrarmi quanto fossi carina.
Per ripagarmi le scarpe mi offrirono il premio.
Certe persone sanno proprio come incrementare l’autostima altrui, mia madre sorrideva e batteva le mani, mio padre invece aveva da ridire sulle mosse dell’alfiere, non che me ne fregasse molto se l’alfiere era in A4 o A5, per me non cambiava nulla, non avevo mai studiato come lui. Mi buttavo a naso.
Che grande intellettuale che ero.
Comunque il ragazzino lì davanti attendeva una risposta, anche se non sembrava scocciato. Più che altro incuriosito.
-Sì, da oggi faccio ufficialmente parte del circo, piacere,sono Eleanor la lanciatrice di borse, con chi ho l’onore di parlare?- Incredibilmente ridacchiò, era carinissimo!
Peccato che fosse un po’ troppo piccolo, era più basso di me ed era anche molto più sottile. Io certo non potevo dire di essere una modella. Sì, ero alta, gentile eredità di mio padre, ma di certo non sottile. Non che fossi grassa, certo. Avevo solo delle ossa abnormi, tanto che anche diventando anoressica sarei pesata cinquanta chili.
-Sai, sei buffa- Schietto il ragazzino.
-Me lo dicono spesso … - Evitai di espandere ulteriormente quel velo di auto compatimento che mi permeava addosso. Meglio partire all’attacco.
-Sai per caso dov’è la biblioteca?- Domandai, una domanda molto innocente che parve però metterlo in difficoltà.
-Quale?-
-Come quale?- Avevano più di una biblioteca? Ma che era? Nemmeno il castello della Bella e la Bestia aveva più di una biblioteca!
Stava per dirmi che ero un’idiota. Sicuro. Poi alle sue spalle due gatti siamesi fecero la loro comparsa ghignando perfidamente.
 
**
 
-Haruhi, Kyoya ci ha mandati a cercarti-
-Dice che se non arrivi al club entro cinque minuti il tuo debito salirà di un milione … -
Haruhi provò uno dei suoi rari raptus omicidi nei confronti del re dell’ombra, poi riportò la sua attenzione sulla ragazza stramba che aveva tentato di ucciderla un attimo prima e che ora alternava, come impazzita, il suo sguardo tra Hikaru e Kaoru, che appena si furono accorti di lei si illuminarono come i fanali di un autobus.
-Salve principessa!-
-Ci scusiamo, ma se volesse essere intrattenuta dai qui presenti …-
-Deve seguirci nell’aula riservata all’Host club-
Li guardò spaesata. Quando i gemelli si mangiavano le parole sapevano essere molto irritanti, però anche lei, che sembrava sempre riflettere accuratamente su ciò che stava per dire … Faceva pensare a qualcuno che mentiva sempre. Eppure non le pareva il tipo.
-C’è un Host club? – Domandò come risvegliatasi da una specie di trans. I gemelli si fissarono negli occhi.
Un’altra ingenua preda per il loro triangolo amoroso? Oppure una dolce sirena per il lord? Una donatrice di torte per Honey? Un cucciolo per Mori? Una vittima di Kyoya? Un’amica per Haruhi?
La passarono allo scanner. Capelli. Oddio.
Vestiti. Neanche a parlarne.
Era alta quanto loro e la cosa era inquietante.
Haruhi lesse la cattive intenzioni in quei due prima ancora che entrassero in azione.
Kaoru afferrò la ragazza per un braccio mentre Hikaru quasi sollevava di peso Haruhi e le trascinarono entrambe verso l’inizio dei sogni di qualunque ragazza.
 
Nell'ala sud della prestigiosa Accademia Ouran, all'ultimo piano, alla fine del corridoio c'è un'aula di musica, inutilizzata. Apri la porta e trovi...




* Il paragone di Kyoya si riferisce al fatto che le ragazze giapponesi si classificano in due gruppi a seconda della forma del viso:
da procione (Haruhi) con il volto rotondo e da volpe, come in questo caso Eleanor, ovvero con il volto allungato e triangolare.
*Fraulein= signorina in tedesco
   
 
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