“Tomoe..Tomoe..!
Perché...? Perché...? To..mo..e...TOMOE!”
♦♦♦
A volte gli ideali sono i nostri
peggiori nemici.
Si dice che siano loro a portare il progresso, che siano loro a
spingere gli uomini verso la gloria e verso le azioni più
nobili.
Nel mio caso però, non è stato così. I
miei ideali hanno gettato la mia vita in un turbine di morte e
sofferenza che sembra non avere mai fine.
Quando sono nato mi hanno chiamato Shinta, ma di quegli undici anni
segnati da questo nome, ricordo solo la miseria e la sofferenza. Senza
un padre, senza una madre, senza alcun familiare, ho vissuto di stenti
e di fatica, e anche quando il mio nome è cambiato, gli anni
in cui sono stato Shinta hanno segnato il mio animo per sempre.
Volevo un mondo in cui i deboli non fossero più
oppressi.
Volevo un mondo nuovo, libero dalla sofferenza.
Ecco perché ho commesso il più grande errore
della mia vita, abbandonando il maestro, abbandonando il completamento
dell’Hiten Mitsurugi Ryu, per diventare un assassino.
E con quella scelta sono andato incontro al mio destino, incontro a
questa cicatrice che mi sfigura il volto e che mi ha segnato
l’anima.
Tomoe.
Sono stato davvero felice in quella metà di anno in cui
è durato il nostro matrimonio.
Lontano dalle morti, dai complotti e dalla violenza sfrenata, per la
prima volta ho scoperto la felicità delle piccole cose:
avere una casa a cui far ritorno, un pasto caldo da consumare con chi
ami, essere circondato dall’allegria dei bambini…
e soprattutto vedere le persone che conoscono il tuo volto e ti
sorridono rispettosi e amichevoli, senza alcun terrore negli occhi.
Stavo dando a Shinta la
tranquillità che non aveva mai conosciuto, e vedevo il mio
ideale farsi più vicino, nonostante le notizie
all’esterno non fossero confortanti.
Ma io dovevo espiare i miei peccati.
La violenza porta solo altra violenza, non si può portare
pace seminando morte.
E così l’ho persa.
L’unica fonte di gioia che io abbia mai avuto.
L’ho persa a causa mia: io l’ho uccisa due volte,
quando ho assassinato il suo fidanzato e quando l’ho colpita
con la katana, desiderando con tutte le mie forze di proteggerla.
La spada uccide, non c’è altra verità e
non c’è scampo alla sua lama, che tu voglia usarla
per attaccare o per proteggere, la katana saprà solo
seminare morte.
Ed io ho ucciso una volta di troppo.
Ho ucciso lei e ho ucciso me stesso, ho ucciso la nostra
felicità, ho ucciso la pace di Shinta.
Ma i miei ideali sono ancora qua, e continuo a sostenerli.
Ho continuato ad uccidere, anche se
ogni assassinio rendeva la mia ferita suppurante, ogni vita che
toglievo mi bruciava sul volto. Ma io volevo vedere quel mondo senza
soprusi, lo volevo costruire più che mai ora, per Shinta e
per Tomoe, e anche per Kenshin.
Ora porto una katana che non uccide, non voglio più
macchiare le mie mani col sangue delle vittime, non voglio
più togliere la vita e la felicità a qualcuno.
Userò la spada per proteggere, per questo porto con me una
sakabatou, l’unica lama che può proteggere senza
uccidere.
Il mio mondo ideale è ancora lontano, ma non
smetterò mai di volerlo e d’inseguirlo, nonostante
i miei ideali abbiano portato la tragedia nella mia vita, essi sono
ciò che mi rappresenta, insieme a questa cicatrice.
Shinta Kenshin Battosai Himura: ho bruciato la mia vita sul filo della
spada, ma sono ancora qui, pronto ad espiare e a sperare nonostante
tutto.
NDA
Il mio viaggio
con Kenshin continua, e dopo avermi straziato il cuore, non potevo che
dare un piccolo tributo all'anima tormentata di questo piccolo grande
uomo, segnato da un destino crudele. Ringrazio tutti coloro che
leggeranno questo pezzo e chi commenterà, ma soprattutto
ringrazio Iloveworld che condivide con me l'amore
assoluto per questa storia e mi aiuta, per il solo fatto di esserci, ad
amplificare in me le gioie e i dolori post lettura, che mi permettono
di scrivere così di continuo. Grazie mille mia cara ^ ^