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Autore: Mitsutsuki    05/08/2011    1 recensioni
Non aveva un nome. Credeva che venir delineato da una parola come un’altra non facesse al caso suo. [...] Era per questo che non si presentava in nessuno modo, solo “lui”. Se poi c’era chi lo voleva additare con altri epiteti, libero di farlo. “Lui” rimaneva il suo preferito.
Genere: Comico, Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
Il Pazzo della Sorgente


Odore di patatine fritte s’insinuò nelle narici, facendogli storcere il naso.
Il capo ciondolò verso destra poco prima che la fronte incontrasse l’ostacolo di una fredda superficie liscia.
Zachary socchiuse gli occhi, catalogando così l’informazione di trovarsi contro un vetro. Un successivo sbattere di ciglia e messa a fuoco gli confermò che non si trattava di uno specchio, ma del finestrino di un’autovettura. Osservò interessato la condensa di un fiato raccogliersi in minuscole goccioline bagnate davanti sé e svanire subito dopo, come una fugace visione spettrale.
Spostò più in là lo sguardo dove incontrò il riflesso del conducente sul finestrino. Deglutì, ordinandosi di continuare a respirare. Strinse forte gli occhi in modo da potersi concentrare esclusivamente sull’aria che entrava come ossigeno, godeva di un breve alloggio nei suoi polmoni e veniva congedata con il diploma di anidride carbonica.
— Entra O2 esce CO2. — Mormorò a fior di labbra, come il dottor Ward gli aveva consigliato di fare. Aveva sostenuto l’avrebbe aiutato a regolare la respirazione. Funzionava... a volte.
— Che dici ragazzo? — Sbottò lui, al volante del pick-up giallo senape che Zachary ricordava aver intravisto parcheggiato davanti alla casa dove l’aveva sequestrato. Se avesse avuto la patente, probabilmente quella notte si sarebbe risparmiato il viaggio a piedi.
Lui si mise in bocca una manciata alquanto consistente di patatine, prese da un sacchetto appoggiato tra i due sedili.
Zachary voltò il capo all’improvviso. Non aveva paura, se lui avesse voluto fargli del male gliene avrebbe fatto molto prima, ma proprio per questo la frustrazione di non essere di nuovo padrone della sua esistenza aveva preso il sopravvento.
— Mi lasci andare! —
Lui gli lanciò un’occhiata obliqua, svoltando — Lo chiedi adesso che non sei legato, ragazzo? —
Aveva ragione, ma aprire la portiera e vedere l’asfalto sfrecciare sotto i suoi occhi contribuì soltanto a mozzargli il fiato in gola.
Di nuovo si mise a ripetere: “Entra O2 esce CO2”, come una ninna-nanna, mentre si lasciava andare contro il sedile.

Una volta spento il motore del pick-up e gettato il sacchetto di patatine ormai vuoto, quella che si presentò a Zachary era la più grande parete rocciosa che avesse mai visto. O forse era solo la prima che ne osservava una così da vicino: alta, altissima, fatta di rocce incastrate ad arte da una divinità naturale, che si era anche curata di spruzzare macchie di erba e muschio sulle pietre più vicine al cielo. Dalla cima, un sottile filo nero si faceva largo sulla superficie biancastra della parete, come un rigagnolo d’inchiostro, fino al suolo, dove si allargava in una fessura triangolare.
Lui la indicò, mettendosi alle spalle del ragazzo — Le regole ti serviranno, lì dentro. —
L’altro non registrò immediatamente l’affermazione come rivolta a lui, né si preoccupò di dove dovesse entrare e di quali regole stesse parlando. Preferì rimanere ancora qualche istante nella silente adorazione del gigante di roccia.
Lo faceva sentire piccolo. E, con lui, tutti i suoi problemi, mentre l’apertura a forma di triangolo alla base della montagna si faceva più grande.
Quando il suo respirò andò perdendosi nell’umido della galleria davanti a sé, Zachary realizzò di essere stato trascinato da un alquanto impaziente lui ai piedi della parete.
Fece un passo indietro, trattenendo il respiro — Che vuole? — Balbettò senza guardarlo, ammaliato suo malgrado dal nero della grotta, ignoto, vasto, pericoloso — Perché io? —
L’uomo schioccò la lingua — Due volte ci siamo incontrati, due volte ti ho chiesto di un lavoro e due volte mi sei caduto tra le braccia. — Storse la bocca in un sorriso più simile ad un ghigno e sbuffò divertito — Io questi li interpreto come segni del destino. —
Zachary pensò seriamente di gridargli addosso che era svenuto per mancanza d’aria e non per l’intervento di un fantomatico - e sadico - destino. Preferì tuttavia porre un’altra domanda, che avrebbe richiesto una risposta con la quale prendere tempo e posticipare ancora di un po’ l’ingresso in quella cavità.
— Ma se era destino e non voleva sequestrarmi, — incrociò il suo sguardo — perché diavolo ero legato? —
Lui si strinse nelle spalle — Mio padre diceva che è il modo migliore per farsi ascoltare. Tu non ricordavi che ti avessi chiesto di lavorare per me quando ti sei svegliato. —
Aveva ragione, più o meno. Ora che ci rifletteva, l’incontro che aveva avuto con l’uomo la prima volta che l’aveva visto era piuttosto confuso, come se fosse stato immagazzinato male dai suoi ricordi. Sapeva soltanto che stava uscendo da un supermercato e che lui gli si era messo davanti, sbucando dal nulla. Si era spaventato e, come spesso gli accadeva, aveva trattenuto il fiato troppo a lungo.
Dopo il “colloquio di lavoro”, come l’uomo si ostinava a chiamarlo, si era sfortunatamente imbattuto in quest’ultimo all’uscita da scuola. Chissà se si era spacciato per un suo parente perché nessuno facesse nulla per aiutarlo.
Con un sbuffo annoiato, il giovane si sentì spingere dentro la parete di roccia.
Non oppose resistenza: lui stava ripetendo a voce alta la prima regola ed era evidente che lo stesse facendo perché la seguisse.

— Entra O2 esce CO2... —
Lui si fermò e, quando si fu voltato, gli puntò contro la pila elettrica.
L’interno della parete rocciosa era paragonabile a quello di una qualsiasi miniera: soffitti bassi irti di stalattiti, umido che entrava nelle ossa, acqua che gocciolava. E buio, tanto buio.
Zachary arrestò il passo, con aria colpevole. Si morse la lingua pensando si fosse arrabbiato per la nenia che ripeteva da quasi due ore.
— Di’, ti ricordi la strada? — Gli chiese invece, sinceramente curioso.
Il ragazzo si aggiustò gli occhiali sul naso, lanciando un’occhiata alle sue spalle. L’entrata non era più visibile da parecchio, tutt’al più che avevano girato molte volte. Ad un certo punto gli era persino parso che stessero tornando indietro o girando in tondo.
Scosse il capo.
Lo vide corrugare la fronte, mentre riprendeva a camminargli davanti.
Se non te lo ricordi, scrivilo. Seconda regola, ragazzo. Mettila in pratica. —
— Perché? Mi sembra che lui la strada la sappia. —
— Non contraddire chi è più vecchio di te. —
Zachary si prese la testa tra le mani e affondò le dita tra i capelli, indeciso se strapparsi quelli o sbattere la fronte contro il muro. Trattenne il fiato carico di rabbia, fino a quando non divenne paonazzo e buttò fuori tutta l’anidride carbonica che gli riuscì di espellere.
Si guardò brevemente attorno, prese un sasso e lo picchiò con violenza sulla parete alla sua destra. Cominciò a segnarla, tracciando una linea bianca mentre camminava.
— Si può sapere almeno dove stiamo andando? —
— Alla sorgente. —
Nonostante tutta la buona volontà che poteva averci messo nel seguire lui, sperando che accondiscendere alle sue richieste gli avrebbe permesso di tornare prima a casa, Zachary si fermò di nuovo.
Aveva appena preso atto di qualcosa che avrebbe preferito ignorare.
— Sei il pazzo della sorgente! — Esclamò, al metà tra il vittorioso e l’inorridito. Stava davvero seguendo un folle!
— Alcuni mi chiamano così. — Replicò lui piattamente — Non per questo dobbiamo entrare in confidenza, ragazzo. —
Zachary non lo stava ascoltando. Prestava più attenzione agli echi di voci lontane, dicerie, sussurri, bisbigli da corridoio: il pazzo della sorgente, un vecchio che credeva nell’esistenza di una fonte magica e che aveva votato una vita intera al suo ritrovamento. Nessuno aveva mai capito cosa stesse a significare l’aggettivo “magica”: vita eterna, ambrosia, latte e miele...
Alcuni dicevano fosse solo una leggenda, altri credevano che il pazzo esistesse, ma che la sorgente fosse solo frutto della sua mente malata.
Zachary faceva parte dell’ultimo partito (come fare altrimenti? Il pazzo l’aveva di fronte).
Stavano soltanto perdendo tempo.
Alzò lo sguardo su lui, poco più avanti. Le rughe sulla sua fronte sembravano tessere il filo di pensieri contrari all’ennesimo contrattempo su un’ipotetica tabella di marcia.
Se proprio dovevano sprecare il loro tempo, che almeno ne sprecassero poco.
Il giovane inspirò a fondo, rimise il sasso sul muro e raggiunse l’uomo. Lo divertì vederlo esitare di fronte ad un sorriso che si domandava se avrebbe dovuto fingere di vedere una sorgente inesistente.
Dopotutto, sarebbe potuta andargli peggio.

Quando la mascella, dedita alla caduta in stile libero verso il suolo, decise di tornare a rispondere ai suoi comandi, Zachary balbettò — Cos’è... cos’è questo? — E indicò davanti a sé.
Il cunicolo che avevano percorso terminava in un’immensa grotta circondata da stalagmiti simili a colonne portanti. Sul pavimento, rigagnoli bagnati convogliavano al centro di quella che il ragazzo intuì trattarsi della sorgente: un flusso d’acqua che scivolava su alcune rocce per tuffarsi nella pozza sottostante.
Ma più di ogni altra cosa, a colpire era la luminosità del luogo, illuminato da una tenue luce azzurrina proveniente dalla fonte stessa e che, percorrendo i filami d’acqua che la circondavano sul pavimento, creava un disegno simile ad un arabesco.
Era la prima volta che Zachary tratteneva il fiato non per paura, ma per l’onore di poter osservare qualcosa di tanto bello.
Lui lo aspettava a pochi passi dal lago, le mani affondante nel gilet imbottito e gli scarponi che dondolavano sulle punte.
— Ragazzo, ti perdi il meglio stando lì. — Lo rimproverò.
C’è dell’altro?” Si domandò il giovane, timoroso che avanzare di un passo avrebbe profanato quel luogo. Forse la magia sarebbe svanita, la luce, qualunque ne fosse l’origine, si sarebbe spenta e sarebbe rimasto solo con lui al buio. Avrebbe potuto annegarlo, se si fosse avvicinato. Possibile. Quello era pazzo.
Avanzò circospetto, senza toccare l’acqua, con una sorta di veneranda attenzione. Cercò di fermarsi rimanendo ad una trentina di centimetri dalla superficie chiara dell’acqua, ma lui gli fece cenno di avvicinarsi ancora.
— Beh? —
— Bevi. —
Zachary sgranò gli occhi. Scosse il capo e portò d’istinto la schiena all’indietro.
Inutile tentare di opporsi: la prima regola aleggiava nell’aria senza bisogno di una lingua dove annidarsi perché se ne sentisse il peso sulle spalle.
Chinandosi verso l’acqua, Zachary assunse l’espressione più schifata del suo repertorio. Portò le mani a coppa alle labbra e mando giù.
Per un momento credette che dovesse esplodergli in bocca o che scendendo lungo la gola tagliasse la giugulare... temeva quanto di più catastrofico e irreparabile il suo cervello fosse in grado di formulare, ma non accade nulla.
Guardò lui, sorpreso — È frizzante! —
— Lo so. — Disse l’uomo — L’ho assaggiata anch’io. —
— Come... sapeva... — Zachary si alzò e indicò allusivo la sorgente.
Lui alzò le spalle — Me ne parlò mio padre, anche se non mi disse mai dove trovarla. — Socchiuse gli occhi, come se stesse scrutando i suoi ricordi da lontano — Mi ci sono voluti anni. —
Il ragazzo ancora non capiva. Perché mostrargliela?
Se proprio la scelta di sequestrarlo, tra tutti, doveva imputarsi ad una fatalità, rimaneva il fatto che, anche venendo a conoscenza dell’esistenza della sorgente, non sapeva cosa lui si aspettasse che facesse.
Accennò ad esporre i propri dubbi a voce alta, quando lui lo precedette, facendo sfoggio del suo intuito — Il tuo compito ora è quello di uscire da questa situazione, ovvero di applicare la terza ed ultima regola. —
Zachary aggrottò la fronte perplesso — Quale situazione? —
— Quella che ti vede decidere se dire a tutti della sorgente e venir tacciato di follia o tenerti il segreto per te. —

A conti fatti, il pazzo della sorgente aveva deciso di andare in pensione, ma prima aveva pensato di lasciar in eredità il suo ruolo a chiunque egli fosse riuscito a trascinare fino all’acqua.
E ora Zachary era messo nella condizione di dover scegliere se prendersi il titolo o fingere che nulla fosse successo.
Osservò lo scorrere dell’acqua lungo la roccia e le minuscole bollicine che salivano in superficie. Era bellissima, luminosa, fresca... dava un senso di pace che avrebbe saputo rasserenare l’animo più inquieto.
Sospirò, abbassando il capo. Non era giusto che solo loro ne fossero a conoscenza e il resto del mondo ritenesse una tale meraviglia una mera leggenda.
Poi fu come folgorato da un’idea: sul momento gli parve banale, ma era probabile che lui non ci avesse pensato. Aveva l’aria di chi agisce senza prendere in considerazione la possibilità che esistano modi più facili per giungere ad un medesimo risultato: caricava a testa bassa e partiva. Riflettere? Una futilità.
— Scusa, — Zachary soffocò una risata — non sarebbe stato più facile portare un bicchiere d’acqua fuori di qui? Voglio dire, invece che sequestrare me e chiedermi se volevo diventare il nuovo pazzo della sorgente? —
Aveva fatto centro. Lui non ci aveva pensato.
Schiuse le labbra sottili e rimase muto nel proprio stupore.
Suo padre gli aveva raccontato dell’esistenza di una sorgente da cui sgorgava acqua magica, ma non si era mai preoccupato di farlo sapere ad altri se non al suo erede. Aveva creduto fosse un segreto di famiglia da tramandare di generazione in generazione, anche se poi non aveva esitato a dire la verità a chi gli aveva chiesto cosa cercasse tutto il giorno a bordo del suo pick-up. Sapeva che non gli avrebbero creduto. Un segreto a cui nessuno dà credito rimane ancora segreto, solo che non ne rimane segreto il contenuto, quanto il fatto che sia vero.
Quando finalmente aveva trovato l’acqua si era solo rammaricato di non avere un erede a cui tramandare l’esistenza della sorgente. Dopotutto, non gli era mai importato che la gente lo chiamasse pazzo.
Lui si schiarì la gola, portando le nocche alla bocca. Ricambiò lo sguardo di palese divertimento di Zachary con un’ostentazione d’indifferenza.
— Sapevo che eri intelligente, ragazzo. — Svuotò il contenuto delle sue tasche, consistente nelle chiavi del pick-up, la torcia elettrica e in una caramella — Ma non ho nulla con cui raccoglierla. Hai forse un bicchiere con te? —
Zachary scosse il capo e disse — Uscire da qualunque situazione sempre e comunque. Troveremo qualcosa. —

Levigarono una pietra a mo’ di ciotola, presero dell’acqua e si avviarono verso l’uscita.
Forse, dopo, non li avrebbero appellati come i pazzi della sorgente.



RE - Recensioni

Angiericcio: grazie mille per aver rinnovato i complimenti, la mia poca-autostima ne giova sempre. Per ciò che si vede senza occhiali… non ho proprio niente di meglio da fare la notte che meditare su come descrivere la vista di un miope, ma sono contenta sia risultata realistica. Sinceramente ho cercato di evitare il classico "contorni sfocati", che secondo me non rende troppo l'idea. Grazie ancora.
  
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