Naturalmente, tutto quello che leggerete è scritto con il
massimo rispetto per Orlando Bloom, il suo lavoro e la sua vita privata. Questa
è un opera di pura fantasia, che serve solo per avvicinare ognuna di noi
all'oggetto dei nostri sogni. Chiedo scusa a tutti coloro che non la pensassero
così.
NOTA:
Non ho la
minima idea se Orlando abbia una sorella, nel caso ne avesse una non ho idea di
come si chiami, perciò il nome me lo sono inventato di sana pianta unendo i
nomi di due famose scrittrici. Nel caso voi foste a conoscenza dei fatti che io
ignoro, fatemelo presente che sono pure disposta a correggere il testo.
Divertitevi
Sara
1.
I consigli della mamma
Spiluccava
i rimasugli dei biscotti che avevano accompagnato il the, con lo sguardo perso
nei disegni della tovaglia, mentre sentiva la sua voce alle spalle e la musica
uscire bassa dalla radio messa sul banco della cucina; non sapeva se era
arrabbiato, o contento di essere di nuovo lì, in quella stanza.
"Insomma,
poi non è mica la prima ragazza che ti molla..." Disse; era chiaro il
rumore delle tazze che venivano messe nel lavandino. "O forse, stavolta,
eri innamorato davvero?" Domandò poi; il ragazzo alzò gli occhi al
soffitto, roteandoli, poi fece una smorfia e girandosi si trovò la sua faccia
davanti. "Eri innamorato." Sentenziò, poi prese il piatto dove
stavano i biscotti e tornò in cucina. "Non devi mica pensare che, perché
ora sei famoso, una ragazza non si debba sentire autorizzata a piantarti."
Continuò; lui stava entrando in uno stato d’agitazione, sapeva essere così
definitiva. Sbuffò.
"Non
lo penso." Dichiarò scocciato; era vero, però questo non toglieva che si
sentisse tanto di merda da essere scappato da Los Angeles con la coda tra le
gambe.
"Non
devi montarti troppo la testa..." Dopo questa frase il ragazzo si appoggiò
sospirando contro la dura spalliera della sedia, rilasciando le braccia.
"Sei
stata tu a spingermi verso il mondo dello spettacolo, mamma!" Sbottò
infine; lei spuntò dalla cucina, pulendosi le mani con uno straccio.
"Orlando,
tesoro, io non dico che tu non debba diventare ancora più famoso, solo che non
ti devi montare la testa." Spiegò con la solita calma; il figlio sbuffò
ancora, socchiudendo gli occhi, li riaprì solo quando sentì la sua mano sul
proprio viso. "Non prendi droghe, vero?" Chiese la madre guardandolo
fisso negl'occhi.
"Cazzo,
certo che no!" Esclamò lui offeso. "Ammetto che ogni tanto fumo una
sigaretta e alzò un po' il gomito, ma la droga no!" Aggiunse rimettendosi
dritto; la mamma annuì e tornò in cucina. Orlando poté tornare a crogiolarsi
nella sua sconfitta.
"Sono
a casa!" Annunciò una voce familiare; poco dopo Giny entrò in soggiorno,
aveva ancora la divisa della scuola. "Ahhhh!" Gridò spalancando gli
occhi e indicando il ragazzo. "Che diavolo ci fa lui qui?!" Urlò poi.
"E'
casa mia." Rispose lui, tranquillamente, incrociando le braccia.
"No
davvero!" Sbottò la sorella.
"Virginia Emily Bloom." Intervenne la madre, spuntata da
chissà dove. "Saluta tuo fratello in maniera più educata." Le disse.
"Non
ci penso nemmeno!" Esclamò la ragazza dai grandi occhi scuri che stava di
fronte ad Orlando. "Avere un fratello famoso è deleterio per la mia vita
sociale." Dichiarò poi, appollaiandosi sulla sedia davanti alla sua.
"Sappi,
mia cara Giny, che a causa di queste parole potresti essere esclusa dal mio
testamento." Annunciò l'attore con un'occhiata sarcastica.
"E
chi se ne frega!" Rispose lei, con sguardo di sfida; ricominciava la loro
lotta mai conclusa.
"Peccato..."
Fece Orlando, girando il capo di lato. "...avevo intenzione di lasciarti
un sacco di soldi..." Si guardò le unghie, in attesa della sua reazione,
che non tardò.
"Allora
potrei ucciderti ora, e prendermi l'eredità..." Replicò Giny, con tono
furbo; si scambiarono un'occhiata di divertito antagonismo.
"Giny,
tesoro." Era di nuovo la mamma, si voltarono entrambi verso di lei.
"Ricorda, il fatto che sia un congiunto consanguineo è un'aggravante, in
un'accusa di omicidio..." Questa sua battuta mise fine alla discussione,
per il momento.
Orlando
non credeva, dopo tanto tempo che mancava, di riconoscere il padre da come
apriva la porta di casa; si affacciò appena dalla porta del salotto,
guardandolo appendere l'impermeabile nell'ingresso e filare dritto in sala da
pranzo. Lo seguì e lo vide osservare incuriosito il tavolo apparecchiato per
quattro.
"Abbiamo
ospiti?" Chiese, rivolto alla cucina; nessuna risposta, forse la moglie
era fuori.
"Ciao
papà." Fece il ragazzo, allora; lui si voltò verso di lui, un po'
sorpreso.
"Orlando?"
Il figlio sorrise, allargando le braccia. "Scusa sai, ma tendo a
dimenticarmi che c'è una parte del mio DNA sparata per il mondo come una
pallina da flipper." Aggiunse ironico, abbracciandolo.
"Fa
nulla, vecchio." Disse l'altro, rispondendo all'abbraccio. "Mi faccio
vivo troppo di rado."
Si
sedettero a tavola, nel frattempo li aveva raggiunti anche Giny che, dopo aver
baciato il padre, si sedette al suo posto di fronte a Orlando; il ragazzo era
contento, erano anni, da quando era partito per la Nuova Zelanda, che non
mangiava così con calma con la sua famiglia.
"E
allora..." Esordì ad un certo punto il padre, guardandolo, "Cosa ti
ha riportato all'ovile?" Gli domandò.
"La
sua ragazza l'ha scaricato, ah ah ah!!" Giny non perse l'occasione per
sfotterlo, ridendo e ballando sulla sedia.
"Stronza."
Sibilò il fratello, lanciandole un pezzo di pane; lei fece la linguaccia e
rispose lanciando una pallina di molliche.
"Ragazzi."
La madre li rimise a posto, cominciando a servire il pranzo.
"Ma
ti ha lasciato davvero?" Domandò sorpreso il padre; Kate gli era sempre
piaciuta, anche se l'aveva incontrata una volta e mezzo, per caso. Orlando
sospirò, cercando le parole giuste.
"La
storia è finita." Dichiarò tranquillo. "E io mi sono preso un periodo
sabbatico." Aggiunse, con aria filosofica; serviva anche a questo essere
un buon attore.
"Periodo
sabbatico?" L'espressione dell'uomo, mentre pronunciava quelle parole, era
scettica.
"Potresti
andare in qualche santuario buddista tibetano..." Suggerì Giny,
disinteressata; per lei l'importante era che non rimanesse troppo lì.
"Viggo
dice..." Tentò d'intervenire Orlando, ma lo interruppe la mamma.
"Quello
mette troppi incensi nel suo studio, dammi retta." Soggiunse in tono
saggio, annuendo.
"Io
non vedo perché dovresti andare in uno di questi posti strani..." Proclamò
il padre, senza guardarlo, ma impegnato con la minestra.
"...oppure
in uno di quei bei resort alle Isole Vergini..." Giny continuava il suo
personale discorso, senza far caso a quello che dicevano gli altri.
"...dove ti danno un'isoletta privata e vengono a portarti le provviste
ogni tre giorni..."
"Cosa?!"
Esclamò il fratello, guardandola con gli occhi di fuori. "E se mi succede
qualcosa? Vuoi che trovino il mio corpo mangiucchiato dai cormorani?!"
"Esagerato."
Commentò distrattamente la sorella.
"Perché
non vai da zia Clara?" Intervenne la mamma, guardandolo. "Ti ricordi
di lei? Quella mia zia che vive in Scozia..."
"Sì,
mi ricordo di lei..." Annuì il figlio, ma era un po' frastornato.
"Mamma, ha un allevamento di maiali..." Aggiunse preoccupato.
"Non
ti ho mica detto di andare a lavorare nel suo allevamento." Disse lei, con
solito tono pratico e scontato, allargando le mani.
"Anche
se non gli farebbe mica male, al cocchino di mamma..." Intervenne Giny,
acida; il fratello le fece un sorrisino poco divertito.
"Giny."
La rimproverò la madre, poi continuò a parlare. "E' un posto carino, dove
ti puoi rilassare e staccare un po' dalla vita sparata che fai ultimamente,
leggere qualche copione..." Figurati se la mamma si lasciava scappare
l'occasione per metterci di mezzo il lavoro comunque, peggio del suo manager.
"Te la ricordi la fattoria, vero?"
In
effetti se la ricordava, e con piacere, ci aveva passato qualche estate, da
ragazzino; si ricordava tutti i giochi che inventavano, con Giny ed alcuni
ragazzi del posto, ogni giorno era una nuova avventura, una nuova scoperta.
Accettò che la madre chiamasse zia Clara, l'allevatrice di maiali; in fondo,
doveva trovare il modo per togliersi Kate e tutto quello che la riguardava
dalla testa. Perché cercare la pace e la solitudine in qualche posto strano ed
esotico, quando sarebbe bastato un viaggio di alcune ore? Ma, se sospettava che
la fattoria scozzese non fosse cambiata poi così tanto, aveva sottovalutato il
fatto che lui, invece, era cambiato, e molto.
Scese
dal treno in una giornata di sole primaverile; la banchina della stazione non
era molto affollata. Si guardò intorno, non sapeva cosa si aspettasse da quella
sperduta cittadina nelle Highlands occidentali, gli bastava essere lontano da
tutto, per ora.
Vide
un tizio che, con aria smarrita, osservava i pochi passeggeri scesi dal treno
proveniente da Glasgow. Vuoi vedere che questa specie di picchio con la
camicia a quadri cerca me? Si disse. Si avvicinò all'uomo, che aveva una
foto in mano; l'assurdo personaggio lo guardò, poi guardò la foto, e gli
sorrise.
"Sei
l'attore che deve andare alla fattoria di Clara?" Gli chiese, Orlando annuì.
"Bene." Disse ridendo. "Questa foto non ti somiglia per niente,
ma era l'unica che aveva Clara!" Aggiunse, mostrandogli una sua foto col
trucco da Legolas.
"E'
molto lontana la fattoria?" Gli domandò il ragazzo, glissando sulla
fotografia, mentre lo seguiva fuori dalla stazioncina.
"No,
un'oretta..." Cavolo, non ricordava distasse tanto dalla città... "Ti
porto le valige?" Fece poi, allungando le mani sulle borse di Orlando.
"Oh,
no! Sono di Louis Vuitton!" Esclamò il giovane attore.
"Ma
come, non sono tue?" Ad Orlando non schizzarono gli occhi fuori dalla
testa solo perché portava gli occhiali da sole. "Non credevo voi gente
famosa vi doveste far prestare le valige..." Commentò poi, salendo sul suo
scassato furgoncino rosso.
Orlando
rimase per un attimo immobile, indeciso se salire su quel trabiccolo o voltarsi
e prendere il primo treno, ovunque andasse. Ma che diavolo gli era saltato in
mente? Oddiodiodiodio...
Alla
fine l'orgoglio fu più forte del terrore, Orlando non poteva tornare zitto
zitto a Londra e fuggire a Ibiza, lo avrebbe saputo sua madre, e soprattutto i
due campioni di sfottò: Virginia Bloom e Dominic Monaghan, il quale, tra
parentesi, aveva perfino scommesso sulla durata della sua storia con Kate,
vincendo, brutto stronzo... E lui che l'aveva pure baciato in bocca.
"Abbiamo
anche il cinema qui." Affermò Tom, il suo accompagnatore, dopo qualche
minuto di viaggio sullo scomodo furgoncino.
"Ah,
sì?" Ribatté il ragazzo, sarcastico, ma dubitò che capisse la sua acida
ironia.
"Non
ho mai visto un tuo film, però." Si rammaricò poi. "Non li danno in
tv?"
"Beh,
è tutta roba recente..." Rispose Orlando, passandosi una mano tra i
capelli; lui sorrise annuendo. Il ragazzo alzò una gamba, posando il piede
contro il cruscotto e guardando fuori. "Tu lavori all'allevamento,
Tom?" Il guidatore lo guardò, sempre sorridendo col suo viso lentigginoso.
"No,
io lavoro al salumificio." Replicò con entusiasmo. "I nostri salumi
sono conosciuti, tutta roba tipica, dai nostri maiali." Aggiunse orgoglioso.
"Mi
fa piacere..."
Arrivarono
alla fattoria dopo più di un'ora di paesaggio sempre uguale: colline, dossi,
cunette, erba e pecore, un sacco di pecore. Avevano attraversato anche il
paese, era quello che si ricordava, non la città; il pensiero non lo rassicurò,
c'era un solo pub e non sembrava per niente invitante.
Tom
lo fece scendere davanti alla porta della casa padronale; la fattoria ed i suoi
dintorni non erano cambiati per niente, come se il tempo si fosse fermato. La
sua memoria, però, aveva cancellato un particolare: l'odore di quel posto. Lo
si sarebbe potuto definire profumo di campagna, Orlando decise che preferiva
chiamarlo tanfo; l'odore di sterco di mucca, fieno, cavalli e... maiali,
riempiva l'aria, togliendogli il fiato.
"Beh,
allora benvenuto!" Gli fece Tom, riportandolo alla realtà, il ragazzo si
voltò verso di lui. "Magari ci rivediamo nei prossimi giorni."
Aggiunse.
"Eh,
magari..." Biascicò Orlando, ancora alla ricerca di un filo d'aria priva
di odori.
"Se
mi ricordo ti porto un bel culatello!" Era incapace di reagire,
preoccupato solo del fatto che i suoi jeans invecchiati ad arte, e proprio per
quello costosissimi, stessero strusciando sulla melma indefinita ai suoi piedi.
"Salutami Clara!" Lo pregò infine l'uomo, prima di salire di nuovo
sul furgone e andare via.
Orlando
si portò le mani sul viso, cercando di non mettersi ad urlare come una
donnicciola solo per il fatto che le sue scarpe erano immerse nel fango;
respirò, cercando di non far caso agli odori che arrivavano, poi riaprì gli
occhi, allarmato e confuso. "Culatello..." Riuscì solo a mormorare,
trattenendo le lacrime.
Il
ragazzo entrò un po' titubante, l'atrio era silenzioso e buio; posò le valige e
si diresse verso una stanza sulla destra, da dove venivano dei rumori, era la
cucina. Si sarebbe aspettato di trovare l'energica zietta, invece c'era una
ragazza che tagliava verdure.
"Buongiorno."
Le disse; lei si voltò.
Era
carina, non proprio magra, ma alta e con un bel viso cordiale; aveva un aspetto
molto scozzese, pelle bianca e capelli biondo rossicci. Gli sorrise. Bel
sorriso.
"Ciao."
Rispose. "Tu sei il nipote di Clara?" Gli chiese poi.
"Sì."
Confermò lui. "Orlando." Si presentò, porgendole la mano; lei la
strinse.
"Non
ti ricordi di me, vero?" Affermò poi, fissandolo.
"No,
mi spiace..." Ribatté Orlando, un po' imbarazzato.
"Sono
Amy McDonald, giocavamo insieme da bambini." Spiegò lei, continuando a
sorridere.
"Amy...
Amy, quella con l'apparecchio?" Lei annuì, sempre col sorriso; decisamente
l'apparecchio le era servito, aveva un sorriso da pubblicità. Finalmente
qualcosa per cui era valso il viaggio.
"Hai
fame, vuoi mangiare qualcosa?" Gli domandò poi la ragazza.
"No,
grazie." Rispose lui, negando col capo. "Clara dov'è?"
"Abbiamo
una scrofa che sta per partorire, così è dovuta andare giù
all'allevamento." Gli spiegò Amy, che era tornata ad occuparsi della
verdura.
"Capisco..."
Mormorò il ragazzo un po' deluso, sperava di vederla subito, erano anni che non
la incontrava, ma aveva un buon ricordo di lei.
"Ti
mostro la tua camera?" Gli chiese Amy, dopo aver buttato le verdure
tagliate in pentola.
"Sì,
grazie." Rispose lui.
"Seguimi."
Gli fece la ragazza dal sorriso perenne; e lui le andò dietro, su per le ripide
scale, dopo aver recuperato le sue borse.
In
cima alla rampa c'era un corridoio, finestre da un lato, porte dall'altro,
tutto aveva un'aria vecchia e umida, anche il pavimento con le piastrelle verdi
e bianche; Amy lo precedeva.
"Questo
è il bagno..." Gl'indicò la prima porta sulla destra. "...ce n'è uno
anche di sotto." Continuò a camminare. "Questa è la camera di
Clara..." La terza porta. "E questa è la tua." Aprì la porta in
fondo al corridoio.
Orlando
la seguì dentro, e rimase interdetto. La stanza era stretta e lunga, sulla
parete di fondo c'era una finestra, sulla sinistra un letto singolo, mentre
sulla destra c'era la porta di un armadio a muro ed un vecchio cassettone con
specchio; una sedia era appoggiata al muro, ai piedi del letto. Le pareti erano
tappezzate di una carta di color marroncino, con un disegno tipo vecchio divano
tarlato, che dava alla stanza un'aria malinconica. Sembrava la stanza di ex
carcerato o di un serial killer. Il ragazzo si domandò come uno potesse
dimenticare le pene d'amore in un posto simile...
"Che
c'è?" Gli chiese Amy, forse accorgendosi della sua espressione. "Non
ti piace la carta da parati?" Aggiunse poi, con un filo di sarcasmo; lui
non sapeva che risponderle, e finì per dire la cosa più stupida.
"E'
piccola..." Mormorò.
"Ma
calda." Replicò lei; Orlando sperò non si riferisse all'atmosfera.
"E...
la tv?" Chiese allora lui, cercando un appiglio.
"Oh,
ne abbiamo una giù, in salotto." Rispose Amy tranquilla. "Ora disfai
le valigie, ti chiamo quando arriva Clara." Continuò, uscendo dalla
stanza.
"Hey,
Amy!" La richiamò il ragazzo, raggiungendola, per poco non si scontrarono.
"Avete l'antenna satellitare?" Gli sembrava il minimo, in un posto
isolato come quello.
"No."
Rispose sorpresa la ragazza, poi si allontanò, lasciandolo solo.
Orlando
si voltò di nuovo verso l'interno della camera; la luce che veniva dall'esterno
la rendeva leggermente meno triste, ma non riusciva a farlo sentire meglio. Si
gettò sul letto, che scricchiolò sofferente sotto il suo peso. Eccolo qua,
ragazzo stupido e viziato, ficcato in un buco di culo del mondo, disperso nella
brughiera, solo ed esclusivamente per non voler ammettere che essere mollato
gli aveva fatto male, davvero troppo male. Le pecore belavano, da qualche
parte, fuori dalla finestra; si mise il cuscino sulla testa.
CONTINUA...