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Autore: Yuuki_Shinsengumi    07/08/2011    2 recensioni
[Hakuouki Shinsengumi Kitan]
Sapeva che sarebbe accaduto in quel posto, lo aveva visto.
Ed aveva deciso che avrebbe fatto di tutto per salvargli la vita.
Sapeva che suo fratello lo avrebbe raggiunto: aveva ricevuto l'ordine di uccidere tutti i Rasetsu di quel pazzo di Koudou-san.
E lei aveva deciso di seguirlo.
Si erano separati solo per far sì che lei rimanesse al di fuori dello scontro, seduta sul ramo più alto dell'albero più alto, sotto cui sapeva che si sarebbe conclusa la vita di Harada.
Ma lei era intenzionata a cambiarne il destino.
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Anche gli Oni hanno sentimenti umani cap 9
CAPITOLO 11


La ragazza si guardò attorno furtiva, fotografando con un solo colpo d'occhio la situazione dinanzi a lei.
- Merda!
Quella parola pronunciata in tono secco e basso la costrinse a nascondersi silenziosamente dietro l'angolo, mentre con lo sguardo cercava la conferma ai propri timori: Hijikata.
- Heisuke, l'hai vista?
- No. E' sparita nel nulla.
Skiri realizzò in pochi istanti che se fosse rimasta nascosta e quindi scoperta, Hijikata avrebbe trovato conferma ai propri sospetti su di lei. E lo stesso dicasi qualora avesse deciso di palesarsi, cogliendoli di sorpresa.
Restò a studiarne le mosse per alcuni istanti, decidendo poi di aggirare l'edificio dietro cui si era nascosta per arrivare davanti ai due Shinsengumi dalla direzione opposta a quella in cui si trovava, come se si trovasse lì per una passeggiata notturna. Anche se non era certa che Toshizo Hijikata se la sarebbe bevuta.
Non appena si trovò a passare loro davanti, la sorpresa di Heisuke fu evidente.
- Hijikata-san... - richiamò infatti l'attenzione dell'altro con tono incerto.
Skiri si voltò verso il ragazzo, sentendosi trafiggere dagli occhi violetti dell'altro.
- Heisuke... Toshi... buona serata – esclamò allegramente, avvicinandosi al più giovane dei due, mentre Toshi non accennava a smettere di fissarla.
- Che fate fuori a quest'ora, Skiri-chan? - fu la domanda di Hijikata.
Le bastò guardarlo negli occhi per capire che non se l'era bevuta.
- Non riuscivo a dormire – rispose comunque, cercando di dissimulare il nervosismo in cui le occhiate dell'uomo l'avevano gettata.
- E voi? - chiese sorridente ai due uomini.
- Sono di ronda – fu la risposta di Heisuke.
- Troppi pensieri – disse l'altro, scrutandola ancora – Sono venuto a cercarvi nelle vostre stanze e non avendovi trovata mi sono preoccupato per voi – concluse la frase con tono monocorde.
Skiri comprese allora che Toshi non aveva esternato i propri sospetti ad Heisuke.
- Rientriamo? - le chiese il moro, avvicinandolesi e posandole una mano sulla spalla, stringendola lievemente.
Il messaggio era chiaro: “seguimi e niente storie”.
Skiri gli sorrise con le sole labbra, gli occhi inespressivi.
- A domani, Heisuke-kun...
- A domani, Skiri-chan – rispose il giovane, guardando i due con aria interrogativa.
Il ritorno al quartier generale iniziò silenzioso, con la mano dell'uomo lievemente posata sulla vita della ragazza, anche stavolta in un muto messaggio.
- Non ho intenzione di scappare, Hijikata-san
- Toshi – la corresse lui automaticamente, abbassando lo sguardo su di lei, che continuava a guardare dritto dinanzi a sé – mi pareva fossimo d'accordo.
- Credevo che le cose fossero cambiate, dopo stasera.
Toshi l'afferrò per un braccio, fermandosi bruscamente e costringendola a fare altrettanto.
- Cosa ti aspettavi? Che dopo aver scoperto che indaghi su Sannan-san ti lasciassi continuare nelle tue assurde uscite notturne?
Skiri lo guardò incredula.
- Come...?
- E' stato un caso. - le rispose mostrandole un biglietto su cui erano annotate date e luoghi.
- Come?
- Mi è bastato fare due più due. Sono i suoi spostamenti negli ultimi mesi. E sembri saperne molto più di me. Come è possibile tutto ciò?
Skiri si limitò a sondarne lo sguardo per un attimo, abbassando poi la testa sotto il peso del rimprovero che leggeva in quegli occhi violetti. Erano bastati 10 giorni per instaurare tra di loro un rapporto di fiducia, quasi di amicizia. Avevano lavorato gomito a gomito, erano usciti insieme durante le ronde. Si erano persino ubriacati assieme. Ma lei non avrebbe mai potuto rivelargli il segreto per cui era lì, lo stesso per cui teneva d'occhio Sannan-san.
- Skiri, dannazione! - le urlò contro, strattonandola e costringendola con una mano a sollevare gli occhi su di lui.
La ragazza prese un sospiro, preparandosi a rispondere.
- Una volta al quartier generale ti spiegherò tutto, Toshi, te lo prometto. Fidati di me.
- E' proprio per questo che voglio sapere. Perché mi fido di te. Ma mi fido anche di Sannan-san e... - fu la risposta dell'uomo, gli occhi attraversati da qualcosa di strano, disperazione, forse, mentre con il pollice le carezzava la guancia.
- E questo è il motivo per cui sto indagando su di lui. Ti dirò tutto appena arrivati.
Ci fu un momento in cui Skiri, sorpresa, lo vide abbassare gli occhi sulle sue labbra, per poi avvicinare lentamente la testa alla sua.
- T...Toshi?! - sospirò incredula, la voce ridotta ad un soffio, spezzato dall'aspettativa.
L'uomo si immobilizzò con le proprie labbra talmente vicine a quelle di lei tanto che la giovane poteva assaggiarne il respiro caldo.
Poi tutto finì come era iniziato: improvviso.
- Scusami. Ti ho mancato di rispetto. Perdonami. Non accadrà mai più - le disse allontanandosi da lei bruscamente, una mano a massaggiarsi la fronte.
Skiri si sentì abbandonata.
- Andiamo – le ordinò, superandola e lasciando che lo seguisse in silenzio, mentre lei, con le braccia attorno al corpo cercava di scacciare quella sensazione di gelo che l'aveva avvolta.
Quando arrivarono alla base, Toshi si diresse silenziosamente nelle stanze di Skiri, precedendola.
La ragazza continuò ad osservarne le spalle ampie, lo sguardo fisso sulle pieghe che prendeva la giacca sulla sua schiena ad ogni suo passo. Era bello, Toshi. Di una bellezza fine e maschia al contempo. Il volto aveva sempre un'espressione tesa e gli occhi, di un incredibile sfumatura violetta, erano sempre inespressivi. Tranne quando si posavano con affetto sui suoi uomini. E su Chizuru.
Skiri invidiava le attenzioni che il bel Hijikata riservava alla ragazza. Si passò una mano sul volto, stancamente, cercando di scacciare il senso di fastidio che quella consapevolezza le accendeva in corpo ogni volta che si trovava sola con l'uomo per cui, ed ormai vi sie era rassegnata, aveva inevitabilmente iniziato a provare qualcosa.
Era ancora persa nei propri pensieri che non notò Toshi fermarsi all'improvviso, andando così a sbattere contro la sua schiena.
- Scusami.... ero distratta.
Non poteva rivelargli che, in quella assurda situazione in cui si trovavano, lei si perdeva a ripensare al quasi bacio di pochi minuti prima.
- Colpa mia: non avrei dovuto cercare di baciarti – le rispose distaccato, come se parlasse del clima.
Skiri si bloccò sul posto, osservandolo incredula.
Cazzo! Perfetto!
- Adesso, però, vedi di dimenticare tutto e riprenderti: mi devi delle spiegazioni. E che siano convincenti.
Fanculo, stronzo!
L'uomo le afferrò delicatamente un polso, attirandola dentro la sue stessa camera da letto, per poi chiudere lo shoji alle loro spalle.
- Adesso parla: ti ascolto.
Skiri lo guardò negli occhi, cercando di ignorare disperatamente il calore di quelle dita attorno al suo braccio.
Inutilmente.
- Potremmo andare nel salone, Toshi? - chiese speranzosa: la sua stanza non le era mai sembrata così piccola.
L'uomo la scrutò con attenzione, inclinando lievemente la testa di lato, senza lasciar trasparire niente.
- Mi pare di averti detto che non accadrà più.
- Già... ma non è conveniente per un uomo del tuo rango intrattenersi nelle stanze di una donna. - improvvisò.
- Prima di essere donna sei un mio soldato. - fu la risposta atona dell'uomo.
- Però, quando parli con Heisuke non mi sembra tu lo tenga per mano – borbotto lei, contrariata dalla sua risposta ed in imbarazzo per la presa delle dita di Hijikata, intrecciate alle sue.
L'uomo continuò a studiarla in silenzio per alcuni secondi, senza mollare la presa, mentre un sorriso sghembo andava ad increspare le labbra, tirate fino a pochi attimi prima.
- Ho forse frainteso i tuoi desideri? - le chiese sornione, gli occhi ridotti a due fessure, mentre, serrata la presa, se la attirava al petto, lasciandola sbalordita.
- Credevo di aver capito che volessi evitare il ripetersi di quanto è accaduto prima... evidentemente sei contrariata perché mi sono fermato.
Solo quando la vide arrossire realizzò ciò che stava facendo e dicendo, dandosi dello stupido.
La verità era che quella donna gli era entrata nel sangue: la sua bellezza delicata, i lineamenti fini e gli occhi color muschio sempre sorridenti nascondevano una forza di carattere ed una pericolosità incredibili.
Ed adorava vederla arrossire. Gli occhi le si dilatavano, divenendo ancor più lucidi, accesi da strane sfumature dorate; le guance le si imporporavano delicatamente; il suo profumo diveniva più forte e sensuale, eccitandolo.
- Non credo a Chizuru farebbe piacere sapere che ci troviamo qui, da soli...  - gli disse lei, riportandolo con i piedi per terra.
Merda!
Voleva baciarla. Moriva dalla voglia di farlo. Da quella dannata ultima sera in cui si erano ubriacati e l'aveva vista senza giacca, la camicia di cotone bianca a fasciarle il petto e con un paio di bottoni slacciati, tanto da mostrargli la curva generosa del seno.
- Tra me e Chizuru non c'è niente. - le disse, infilandole tra i capelli la mano che non stringeva quella di lei, in cerca del nastro che li teneva legati, per poi scioglierlo una volta trovato.
Skiri si sentiva annegare in quegli occhi viola, smossi da un qualcosa che non vi aveva mai visto.
- Da... da come la... la guardi... non... non si direbbe – balbetto, mentre le dita affusolate dell'uomo le afferravano delicatamente i capelli sulla nuca, costringendola a piegare la testa all'indietro.
- E come la guarderei? - le chiese, la voce bassa, lievemente roca.
- Come... con affetto... - rispose in un sussurro.
- Non come sto guardando te adesso? - le chiese, sprofondando il naso nel collo della giovane.
Skiri sussultò sorpresa dall'audacia di Toshi.
- N...no... come... come i tuoi... Heisuke – furono le sole parole che la ragazza riuscì a mettere assieme.
- Mh... quindi dal momento che non ho mire romantiche su Heisuke... - si interruppe per baciarle la pelle tesa sotto l'orecchio – e che riservo a Chizuru lo stesso trattamento che riservo a lui...- si interruppe ancora, altro bacio, stavolta alla gola – mi pare evidente che tra me e Chizuru non ci sia niente.
Bacio sulla mandibola.
Skiri aveva compreso da tempo che non sarebbe stata in grado di reagire. Neanche lo voleva.
Sollevò la mano libera posandola sul petto dell'uomo, mentre con un sospiro si lasciava andare contro il suo corpo.
- E poi non ho mai desiderato baciarla. Invece, se non bacio te, sento che potrei impazzire... - le disse, senza smettere si sfiorarle il volto con le labbra.
- Toshi...- sospirò lei.
- Posso? - le chiese a fior di labbra, gli occhi violetti sprofondati in quelli verde muschio, che in risposta si chiusero.
Sapevano entrambi che con ogni probabilità il giorno dopo si sarebbero pentiti di ciò che sarebbe avvenuto tra loro di lì a breve, ma in quel momento nessuno dei due ebbe la forza per allontanarsi dall'altro. C'erano troppe cosa in sospeso, troppi segreti taciuti.
Ma quel bacio era diventato vitale, come l'aria per respirare.
E respirarono l'una dell'altro.
Quando l'uomo le sfilò la giacca, lei lo aiutò a fare altrettanto.
Quando la ragazza iniziò a sbottonargli la camicia, lui l'aiutò a toglierla.
Senza mai smettere di baciarsi.
Si ritrovarono sdraiati sul tatami, avvinghiati come due amanti.
Quando le dita fredde di lui le sfiorarono il seno con il chiaro intento di liberarlo dalla costrizione della camicia, Skiri riacquistò un minimo di lucidità.
- Toshi... Sannan-san...
- Domani, Skiri. Domani. - le rispose, riprendendo a baciarla e facendo volare la camicia di lei dietro le sue spalle.
E non ci fu più posto per le parole, ma solo gemiti e sospiri.

***********************************************************

Stavano arrivando alla tempio e fu con un sospiro che Souji si trovò a pensare per l'ennesima volta alla giovane europea.
Aveva trascorso il viaggio di ritorno assistendo divertito ai continui battibecchi fra Saitou e Reiseki, battibecchi dai toni sempre più accesi ma di una comicità unica: vedere l'impassibile ronin stuzzicare la giovane Oni, la quale gli rispondeva per le rime, riuscendo a tenergli testa come solo Hijikata-san sapeva fare, era uno spettacolo più unico che raro. Ma ciò che lo divertita maggiormente era l'evidente tensione sessuale che traspariva da ogni loro atteggiamento. Salito-san aveva sempre vantato un discreto successo con le donne, a cui però era interessato solo come valvola di sfogo, limitandosi a frequentare quelle che dell'amore facevano il proprio lavoro: era solito ripetere di non aver ancora trovato la femmina che lo stimolasse mentalmente, pertanto per il momento si limitava alla compagnia a pagamento.
Souji tornò ad osservare le spalle del compagno d'armi, scuotendo il capo nel sentirlo provocare nuovamente la ragazza, da cui ricevette l'ennesima risposta al vetriolo. Saitou non lo aveva ancora compreso, ma Reiseki era quella femmina che stava cercando, la sola in grado di accendere e smuovere quegli occhi sempre freddi ed impassibili. Reiseki era lo stimolo di Saito.
Per un momento si ritrovò ad invidiare il compagno, esattamente come gli era già accaduto con Sano: Harada-san aveva Gin, Saito-san, sebbene sembrasse non saperlo, aveva Reiseki...e lui?
Due caldi occhi marroni tornarono a tormentarlo.
Io?
Chibi-chan?
Si dette dello stupido. Gli mancavano i loro continui battibeccarsi, non lei.
Bugiardo. Se così fosse, non smanieresti per rivederla.


Nel frattempo, Ginny osservava il proprio riflesso sulle acque del fiume, chiedendosi come avesse mai potuto pensare di riuscire a cambiare sé stessa ed il proprio destino, tornando a darsi della stupida.
Che idiota a credere che un paio di calzoni potessero renderla diversa agli occhi degli altri così come ai suoi.
Era solo ridicola.
Non aveva la forza di Gin. Non l'avrebbe mai avuta.
E quella lettera, arrivatale miracolosamente da suo padre, glielo aveva ricordato con violenza.
Chiuse gli occhi cercando di scacciare il senso di impotenza che le stava attanagliando lo stomaco, provocandole una nausea fortissima.
Il bisogno di rimettere la costrinse a piegarsi su sé stessa, mentre i conati le squassavano l'addome.
Fu così che la trovò Shinpachi, andato a cercarla per annunciarle l'arrivo di Souji, Saitou e Raiseki.
- Ginny, state bene? - le chiese dolcemente, posandole una mano sulla spalla, facendola sussultare.
Gli rispose affermativamente, con un lieve cenno del capo, certa che se avesse aperto la bocca sarebbe scoppiata in lacrime.
- Ginny...?
- Non è niente. Veramente.
L'uomo non si lasciò convincere, ma finse di crederle, cambiando discorso.
- Souji è rientrato con gli altri.
Ginny si irrigidì sul posto, evitando lo sguardo dell'uomo.
- Ginny... siete certa...?
- Andate avanti... io... arrivo subito...
Shinpachi abbassò lo sguardo sulle mani della giovane, strette in maniera convulsa attorno ad una lettera. E fu certo che si trattasse di quella inviatale dal padre.
Si chiese cosa le avesse scritto di tanto grave da renderla strana in quel modo.
Ma non fece domande, limitandosi ad alzarsi per andarsene.
- Fate presto. Souji ha chiesto di voi. - le disse ormai di spalle, costringendosi a non voltarsi quando la sentì mormorare una frase sibillina.
- Come se potesse significare qualcosa. Come se potesse cambiare qualcosa...


Souji, intanto, cercava la ragazza da quando era arrivato al tempio. Non sapeva bene il perché, ma voleva vederla in tutti i modi, il prima possibile.
Quando la vide avanzare verso di sé, mentre rientrava dal fiume, passargli accanto come se niente fosse, degnandolo di un debole ed anonimo saluto, si sentì ferito da tanta indifferenza. Ma si rese conto subito che il tutto era dovuto a qualcosa che non andava.
Era priva della solita vitalità che l'accompagnava in ogni suo gesto, quasi apatica.
- Ehi, Chibi-chan, è così che si saluta? - le chiese con fare strafottente con il chiaro intento di suscitare una qualche reazione.
- Vi chiedo scusa, Okita-san... ma non sono dell'umore – gli disse con tono spento, guardandolo, sì, ma evitando accuratamente di incrociarne lo sguardo, e continuando per la sua strada.
- Souji, sempre più preoccupato, la seguì a ruota, imbattendosi in Gin, che gli annunciò che entro un'ora avrebbero servito la cena.
Il ragazzo decise quindi di abbandonare l'inseguimento e di andare a darsi una lavata alle terme.
Avrebbe parlato con Ginny dopo cena.

***********************************************************

Quando un'ora più tardi Saitou entrò in sala da pranzo si fermò stupito dinanzi a Reiseki, di cui riuscì a scoprire l'improbabile colore dei capelli: lasciati sciolti, lunghi fino alle anche, di un incredibile colore azzurro, davano ancor più risalto agli occhi gialli.
- Che c'è? Non siete ancora avvezzo alle particolarità di noi Oni, umano? - gli chiese la ragazza, sogghignando.
Saitou continuò ad osservarla in silenzio, per poi avvicinarlesi e prendere tra le dita una ciocca di capelli lucidi e morbidi come la seta.
- Sei bellissima, gattina. - le disse senza mai abbandonarne gli occhi, mentre si portava i capelli al volto, sfiorandoli con le labbra.
Reiseki arrossì improvvisamente, facendolo sorridere dolcemente.
- Siete più umana di quanto vogliate ammettere, Reiseki – le disse.
La reazione della ragazza lo colse di sorpresa: si allontanò bruscamente, senza rispondere alla sua provocazione, gli occhi improvvisamente spenti ed i lineamenti tirati.
- Ma cosa...?
- Con permesso. - lo interruppe, prendendo posto a terra, tra la seduta di Gin e quella di Kazama, ignorandolo bellamente.
Saitou continuò a guardarla per pochi istanti ancora, poi si decise a sedersi accanto ad Okita, entrando pochi attimi prima, seguito a ruota da tutti gli altri.
Lo sguardo di Saitou fu catturato dalla giovane che aveva fatto il suo ingresso abbracciata ad Harada e comprese immediatamente come il compagno potesse essersi innamorato di lei. Ed il fatto che fosse ricambiato era palesato dai sorrisi che la ragazza gli rivolgeva.
Pochi istanti dopo si trovò a guardare stupito Souji che, stranamente silenzioso, non toglieva gli occhi dalla ragazza europea seduta al suo fianco, la quale sembrava persa in un mondo tutto suo.
E bravo Okita!
Aveva già avuto modo di scambiare due chiacchiere con Shiranui e Amagiri, e sapeva che Kazama si sarebbe unito a loro, ma quando lo vide entrare non poté reprimere una sensazione di fastidio.
- Salito-san
- Kazama-san
L'aria si fece elettrica quando l'Oni portò gli occhi sull'europea, Ginny, senza che questa se ne rendesse conto. Ma non fu così per Souji.
- Non osare, Kazama.
- Tranquillo, non te la tocco – gli sorrise sghembo il biondo, sedendosi.
Gin prese prontamente la parola.
- Kaz, piantala. Salito-san, prima mangiamo, poi vi spiegherò tutto.
- Chiamatemi semplicemente Saitou. - le disse, portandosi poi da bere alle labbra nel tentativo di nascondere il sorriso dovuto alla reazione di Kazama, che si era prontamente calmato.
Si chiese se le donne Oni fossero tutte come Gin e Reiseki: belle e risolute.
Il pasto si volse in un clima strano, fatto di scambi di sguardi e silenzi.
Una volta terminata la cena, come promesso Gin mise Saitou al corrente di tutto.
L'uomo continuò ad indossare la maschera di impassibilità fino alla fatidica domanda. Accettate?
- Va contro i miei principi.
- Che intendi, Saitou? - chiese Shinpachi.
L'altro guardò uno per uno i presenti, per poi fissare gli occhi in quelli di Gin.
- Non è mia intenzione offenderti, Gin. Ma sono nato umano ed intendo morire come tale. Mi sono sempre detto contrario ad assumere l'Ochimizu: non volevo trasformarmi in mostro. E, chiedo scusa a tutti voi, ma il divenire un mezzo-Oni o Oni-imperfetto, qualunque sia il nome che gli date, non cambia le cose: sempre mostro è.  Non esiste in natura ed io non lo accetto.
Uno scatto improvviso alla mia destra attirò la mia attenzione: Reiseki si era alzata in piedi e, dopo aver mormorato un flebile “scusate”, aveva infilato lo shoji, abbandonando la stanza.
- Reiseki, aspetta!!! - le grido dietro Gin, alzandosi a sua volta per inseguirla.
- Saitou, non hai mai brillato in tatto, ma stavolta hai esagerato. - furono le parole di Harada, accompagnate da un sospiro, mentre l'altro sentiva lo sguardo di Shiranui trapassarlo da parte a parte.
- Non capisco.
Fu Kazama ad intervenire, ghignando.
- Reiseki è un mezzo Oni per nascita: suo padre è uno di noi, sua madre era umana.
- Merda! - esclamò allora Saitou, alzandosi con un balzo ed inseguendo le due donne fuori dalla stanza.
Calò il silenzio, spezzato dalla voce di Kazama.
- L'ho sempre detto che avrebbero portato solo guai.
- Kaz, piantala – gli disse Amagiri.
Il biondo lo ignorò bellamente, riportando la sua attenzione sull'umana presente nella sala.
- E tu, umana? Hai niente da dire?
- Kazama... - fu la velata minaccia di Souji.
- Ehi, non scaldarti Okita, non ne vale la pena è solo una donnetta insignificante e piagnucolona. L'unica cosa di valore che ha è il suo sangue – concluse leccandosi le labbra.
- Sta lontano da lei – gli sibilò contro Okita, mentre Ginny realizzava la situazione che le si stava creando attorno.
- Calmatevi – intervennero Harada e Shiranui.
- Prova a fermarmi, ronin – lo provocò Kazama, per svanire nel nulla e ricomparire alle spalle di Ginny, pronto a morderla.
Ma tra il collo della ragazza ed il suo era spuntata la lama della katana di Okita, pronto a decapitarlo.
- Ti ho detto di lasciarla in pace – gli sibilò contro, strattonando la ragazza, sollevandola di peso e portandola alle sue spalle.
Ginny si trovò a stringere la camicia di Souji tra le dita, il corpo appiattito contro la schiena dell'uomo.
Kazama, con un movimento improvviso, estrasse la katana, deciso a staccare di netto la testa del suo avversario che, con un movimento rapido si spostò all'indietro, portando con sé Ginny.
Solo l'intervento di Amagiri impedì ai due di portare avanti lo scontro.
Una volta che Kazama si fu allontanato, Souji si voltò verso Ginny per controllare come stesse e se la ritrovò attaccata al collo, tremante.
- Ehi, Chibi-chan, tutto bene?
Ginny si limitò a fare un cenno con la testa, senza staccarsi da lui, rafforzando anzi la stretta attorno ai suoi fianchi e sprofondandogli il volto nel torace.
- Capito. Venite. - le disse dolcemente, trascinandola nella propria stanza.
Non appena si richiuse lo shoji alle spalle, Souji le si rivolse pacatamente.
- State bene?
- Sì- gli rispose, sollevando gli occhi sul volto dell'uomo.
- Ma voi... sanguinate!- esclamò allora, portandogli una mano alla guancia sinistra, dove un graffio sottile si stava già sanando.
- Non è niente.
- Va disinfettato.
- Vi dico che...
- Per una volta... almeno una volta... accontentatemi.
Lui la scrutò per un attimo con espressione seria, poi si sciolse in un sorriso.
- E sia.
Pochi istanti e Ginny era già pronta a medicargli la ferita, ormai delle dimensioni di un graffio.
- Brucerà un po'...
- Ehi! - esclamò Souji, tirandosi indietro nel tentativo di evitare il disinfettante.
- Non fate il bambino – gli rispose lei, riprendendo a medicarlo.
Souji si trovò a trattenere il respiro quando la vide avvicinare il volto al suo, le labbra lievemente arricciare per soffiare sopra la ferita e ridurre il bruciore.
Ginny sollevò gli occhi sul volto dell'uomo, restando intrappolata in quelle meravigliose pozze verde foglia. Souji si spostò verso di lei con il chiaro intento di baciarla. E per un momento Ginny prese in considerazione l'idea di assecondarlo. Ma il ricordo di quella dannata lettera la riportò bruscamente alla realtà.
Si scostò di scatto, tirandosi indietro e balzando in piedi come una molla, per poi dirigersi verso il mobile basso, su cui prese a sistemare l'occorrente per la medicazione.
- Finito. Adesso vado.
Souji ne fissava la schiena sbattendo le palpebre, stordito dal repentino cambiamento di umore.
Quando la vide tremare, la testa incassata nelle spalle, si alzò silenziosamente, andando a mettersi alle sue spalle.
- Se è quello che volete, non oserò mai più provare a baciarvi ma adesso voglio sapere cosa avete. E' da quando sono arrivato che vi vedo strana.
- Niente – rispose lei con un filo di voce.
- Niente... allora dov'è il vostro spirito? Che fine ha fatto? Quando sono partito eravate un tripudio di vitalità. Adesso siete smorta.
Ginny lo ignorò bellamente, fissando gli occhi sul tavolinetto alla sua destra, su cui la katana dell'uomo faceva bella mostra.
- Sto aspettando...
- Fa... male...?
- Cosa? - le chiese Souji, dopo un attimo di smarrimento.
- Morire...
- Che diavolo state dicendo? - le chiese l'uomo allarmato, afferrandola per le spalle e costringendola a voltarsi verso di lui.
- Forse fa meno male che non morire dentro a poco a poco... - mormorò lei mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
- Cosa state farneticando? - le sibilò in volto, mentre le affondava le dita nelle spalle, cercandone gli occhi, che ostinatamente lo sfuggivano.
- Devo tornare a casa.
- E questo che c'entra con il morire?
Ginny sollevò la testa a guardarlo, sorridendogli tristemente, per poi portare le proprie mani sul petto dell'uomo e scostarlo da sé con dolcezza.
- Grazie, Okita-san. Di tutto.
Souji la lasciò andare, troppo stupito per reagire. Ne osservò la schiena dritta, immobile, nonostante le lacrime ne bagnassero il volto.
- Chibi-chan?
Non ottenne risposta e la guardò uscire e richiudersi lo shoji alle spalle.
Okita rimase nella stanza, smarrito, frastornato dall'atteggiamento della giovane, fino a che gli occhi non incapparono nel foglio bianco dinanzi ai suoi piedi.
Si chinò a prenderlo e quando vi vide scritto il nome della giovane europea pensò di restituirglielo. Ma qualcosa lo spinse a leggere.
Era del padre di lei, stranamente scritto in giapponese; forse per evitare accuse di tradimento e/o cospirazione.
Quando arrivò alla fine della lettera, comprese: l'atteggiamento di lei, la sua domanda sul morire dentro, le lacrime.
Accartocciò la lettera nel pugno, correndo fuori dalla stanza come se avesse il diavolo alle calcagna, in cerca della giovane, trovandola poco dopo, nella sua stanza.
- Okita-san?
- E' per questa, vero? - l'aggredì, mostrandole la lettera.
- Io...
- Da quanto... da quanto lo sapevate?
- Da sempre, forse. E' stato così anche per mia madre. Ma forse... forse speravo che per me fosse diverso. Invece... - si portò le mani al volto, cercando di nascondere le lacrime all'uomo, incapace di sostenerne lo sguardo verde, adombrato.
Quando Souji la prese tra le braccia, stringendosela contro, Ginny scoppiò in lacrime, cercando di soffocare i singhiozzi contro il suo torace.
- Non sappiamo come andrà la guerra... forse non potrete più tornare a casa.
- Il fatto è che non voglio tornarci. Voglio restare qui.
- Ginny...
- Non... non voglio sposarmi con un uomo che non amo, che potrebbe essermi nonno. Voglio stare qui. Voglio stare qui, con te.
Souji, colpito da quelle parole, serrò la stretta, cercando il modo migliore per dirle che non poteva, che la sua vita era altrove.
Aprì bocca per farlo, ma non vi riuscì. Non fu in grado di mentire: non a lei, non a sé stesso.
Ne inspirò il profumo dei capelli, infilandovi una mano, alla base della nuca, cercando nuovamente il coraggio per farlo.
Ma le parole che uscirono dalle sue labbra furono altre.
- Non posso prometterti niente. Sono un soldato. Non sono neanche più umano. Ho un pessimo carattere: sono strafottente, arrogante e sarcastico. Sono privo di scrupoli. Non posso garantirti che cambierò: ti mentirei. Ma sei vuoi stare qui con noi... con me.... non tornare indietro. Resta.
   
 
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