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Autore: Stella94    08/08/2011    4 recensioni
Dal primo capitolo:
"La vita può cambiare.
Da un momento all'altro può portarti ad essere diversa, a vivere in modo diverso.
Perchè la vita non è un continuo fluire di giorni monotoni già prescritti.
La vita è scelta.
La vita è rinuncia".
Spero vi piaccia è un JinxLili.
Mi raccomando recensite! Buona lettura!
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Emily Rochefort, Jin Kazama, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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primo cap boh                                                                      Changed
 
                                                                                       
 
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Kidnapped

La vita può cambiare.
Da un momento all'altro può portarti ad essere diversa, a vivere in modo diverso. Perché la vita non è un continuo fluire di giorni monotoni e già prescritti.
La vita è scelta.
La vita è rinuncia. Io imparai a rinunciare a tutto e a vivere solo di sentimenti, la vera linfa vitale, il giusto nutrimento per ogni umano.
Non ci credete?
Be' allora dobbiamo proprio partire dagli antipodi. Da quando solo sedicenne e piena di ambiziosi propositi per il futuro, giunsi a Tokyo, con l'areo privato della Rochefort Enterprises, la compagnia di petrolio più famosa al mondo, capitanata da mio padre Alphonse Rochefort.
Non ero mai stata nella capitale del Giappone e onestamente non pensavo di certo che l'avrei trovata tanto magnifica.
C'erano molte cose che non avevo mai visto e la mia incontrollata curiosità mi imponeva di scoprirle tutte.
Ma come tutte le cose belle hanno un inizio e una fine.
E il momento di ritornare a casa fu un'inaspettata sorpresa da digerire.
Era tempo di ritornare a Monaco, nella mia lussuosa villa di periferia. Ricordo bene quella mattina, quasi come se le immagini, ora già sbiadite col tempo, ripassassero veloci, ricomponendosi in fretta per formare un figura chiara e nitida.
Mi svegliai presto quella mattina, come ero solita fare quando dovevo affrontare un lungo viaggio.
Sistemai le mie cose e mi avviai verso la mia limousine.
Ma qualcosa o più precisamente qualcuno, mi afferrò i polsi dietro le mie spalle in una morsa che tutt'ora avverto dolente sul mio corpo.
Cercai di divincolarmi, di urlare, ma fu tutto inutile. L'uomo mi scaraventò con prepotenza nell'auto sistemandosi al mio fianco.
La portiera si chiuse in un tonfo assordante.
<< Sbrigati, forza! >> Lo sentii urlale all'autista in lingua giapponese (che conoscevo alla perfezione) che spinto il piede sull'acceleratore partì a gran velocità.
Cercai di guardare in faccia il mio aggressore, non capivo cosa mi stesse succedendo. Era confusa e impaurita. I suoni, le immagini, le parole, mi giungevano come ronzii fastidiosi.
Non riuscivo a distinguere nulla. Ne il bene ne il male.
<< Cosa volete da me? Chi siete voi? >>
L'uomo aveva il viso nascosto da un passamontagna nero. I suoi occhi a mandorla erano scuri e ricolmi di... rabbia.
I suoi capelli neri scorrevano lunghi sulle sue spalle.  Un olezzo orribile di alcool fuoriusciva dalla sua sudicia bocca.
Senza che io me ne accorgessi rispose alla mia domanda con uno schiaffo che mi sferzò il viso. Finì col sbattere la testa sul finestrino.
<< Sta zitta, mocciosa. Se non vuoi finire la tua corsa qui. >>
La sua voce era rauca e brusca. Cominciai a tremare quando mi toccai il viso. Bruciava più del disinfettante su una ferita aperta.
Non capivo il perché mi stessero facendo una cosa del genere.
Mi ritrovai nel panico quando cominciai a formulare le prime domande da copione.
Dove sto andando? Cosa mi faranno? Cosa vorranno?
Dal finestrino riconobbi il volto dell'autista. Non era il nostro fidato. Era giapponese anche lui.
Più mingherlino e giovane. Ma sembrava lo stesso determinato a compiere la sua folle missione.
Capì che doveva essere furbo e molto sveglio quando si accorse del mio scrutare indagatorio.
<< Ehi, Benkei, non credi che dovremmo bendarla? Questa ragazzina mi sta osservando e la cosa mi da fastidio. >>
<< Non preoccuparti, Hiroschi. >> Disse l'altro seduto al mio fianco << Ora ci penso io. >>
Da quel momento in poi non ricordai più nulla.
Solo il pizzico improvviso e irritante come la puntura di un'ape. Le palpebre terribilmente pesanti dettate dall'esigenza di chiuderle. La stanchezza improvvisa, il buio del sogno che mi lasciò cadere di peso sul sedile.


Mi risvegliai confusa. La testa mi girava e una strana nausea mi faceva venire il voltastomaco.
In più c'era quell'odore. Benzina credo. Forte come cicuta mi penetrava a fondo nelle narici e le tenebre mi gettavano in una profonda inquietudine.
Non capivo dove fossi. Nell'attimo in cui cercai di mettermi in piedi capii che non potevo farlo. Avevo entrambi i polsi incatenati ad un albero maestro e le mie caviglie erano state legate rudemente con del nastro adesivo.
Era impossibile sfuggire. Mi colse alla svelta la claustrofobica sensazione di essere come un topo in trappola.
Compresi che sarei stata presto sbranata se non avrei trovato al più presto una soluzione, una via di fuga.
Cominciai col scrutare il circondario alla ricerca di un qualcosa che potesse essermi utile.
Riconobbi poco lontano da me la conformazione di un auto. Ad una prima analisi pareva essere una Lexus vecchio stampo, color amaranto.
C'erano alcuni attrezzi che evidentemente servivano per riparala e molte taniche di benzina.
Con trepidazione mi accorsi che l'unica via d'uscita era una vecchia serranda ammaccata. Compresi allora che mi trovavo in qualche specie di garage.
Ero sola. Di solito odiavo la solitudine, ma cominciai a pensare che a volte non era poi così tanto male.
Cercai in qualche modo di liberarmi dalla mia prigionia, ma fu tutto inutile. Non sarei mai riuscita a spezzare quelle catene.
Sospirai stanca ed impaurita. Temevo il peggio e la crudele sensazione di essere al capolinea mi demoralizzò.
Fino ad allora non avevo mai pensato alla morte. Insomma avevo solo sedici anni e morire era proprio l'ultima delle mie intenzioni. Mi sentii come un malato terminale. La  bislacca sensazione di fare tutto e presto mi trasportò in uno stato catartico. Ed io non potevo fare un bel niente.
Dovevo accontentarmi dei miei ricordi. Dovevo pregare. Cominciai a farlo. Mi sentii stupida ma avevo bisogno di qualcuno che mi ascoltasse. Mi avevano detto che avrei sempre trovato un conforto in Dio.
Ne avevo bisogno.
Pregai per mio padre, per me, per tutte le persone che mi conoscevano, per tutte le persone del mondo.
E parve funzionare quando all'improvviso mi accorsi di avere ancora il cellulare in tasca.
Il tecnologico aggeggio cominciò a squillare, vibrandomi nei jeans. Doveva essere mio padre ed io dovevo rispondere.
Provai un milione di contorsioni, cercai di raggiungere le tasche con la bocca, ma fu tutto inutile.
Mi venne il panico quando la serranda cominciò ad alzarsi.
Intravidi un uomo passarvi di sotto allarmato dal suono trillante. Non era giapponese ma aveva un'aria più crudele degli altri.
Aveva capelli brizzolati, occhi da demone del quale uno rigato di una cicatrice. Il petto segnato da alcuni squarci, sul collo uno strano tatuaggio tribale. Muscoli d'acciaio tenuti in bella vista, più per intimorire che per pavoneggiarsi.
Una fascia rossa legata al braccio destro e l'aria di chi non conosceva rivali.
<< Resta ferma dove sei. >> Mi intimò con una voce profonda e intimidatoria. Lo vidi puntarmi una pistola dritta alla testa. Il sangue mi affluì al cervello prepotentemente. Il mio petto cominciò ad abbassarsi ad ad alzarsi freneticamente.
Si sporse verso di me, infilò una mano nei miei pantaloni alla ricerca del cellulare. Fremetti appena a quel contatto.
Mi sentivo così dannatamente fragile.
<< E' il caro paparino. >> Ghignò attaccando la telefonata << Ma con lui parleremo più tardi. >>
Mi osservò da capo a piedi come un leone osserva la sua gazzella. Sapevo correre, ma non abbastanza da sfuggire alle sue fauci. Stupida gazzella, mi ritrovai a pensare. Hai corso per una vita e ora perdi l'uso delle gambe proprio nel momento sbagliato. Ma sapevo ancora parlare. Era la mia unica arma e la usai per difendermi.
<< Chi se tu? Perché sono qui? >>
Si accovacciò sui talloni, quel sorriso perennemente stampato sulla faccia << Sei troppo curiosa, Emilie Rochefort. >>
<< Come fai a conoscere il mio nome? >>
<< Tutti conoscono il tuo nome. >> La sua voce era tranquilla. Più pacata di prima, terribilmente pacata << Ed è proprio questo il motivo per cui sei qui. >> Mi puntò un dito contro che sfiorò quasi il mio naso << Tu sei la merce di scambio. >>
In un attimo mi fu tutto più chiaro. Ero una merce ecco tutto. Una merce costosa per mio padre. Non avrebbe badato a spese per riavermi dietro. Fu la prima volta che mi sentii come un inutile oggetto da esposizione.
Identico ad un manichino posto nelle vetrine agghindato con gli abiti preziosi e tremendamente costosi.
Tutti lo osservano ma nessuno fa davvero caso alla sua presenza. Ciò che vedono è solo l'involucro di cui è vestito.
Io ero un manichino ed il mio abito era ricoperto di profumato denaro.
<< Volete un riscatto? >>
<< Allora non sei tanto stupida come pensavo. >> Mi sorrise con fare disgustoso. Avvicinò la mano al mio viso, accarezzandomi una guancia. << Sei proprio carina, lo sai? >>
<< Non mi toccare! >>
Cominciai a dimenarmi come una puledra ribelle. Dovevo scappare, dovevo andare via. Quel posto era una prigione dalle pareti pungenti come aghi di ghiaccio. Peccato che eravamo in pieno inverno e che non si sarebbero sciolti tanto facilmente. Senza pensarci due volte quella mano da gentile divenne accidiosa, dandomi uno schiaffo.
L'urto mi fece girare la testa dal lato opposto. Faceva male, molto più male del precedente.
Lo sentii troppo vicino nel momento in cui respirai il suo respiro.
<< Cerca di fare la brava >> Mi sussurrò sulle labbra << sarebbe un vero peccato rovinare questo bel faccino. >>
<< Bryan? >> una voce giunse alle nostre spalle. Era Benkei, il tizio che mi aveva spinto nella limosine << Vieni immediatamente. Ci sono novità. >>
<< Arrivo subito. >> Mi sembrò all'improvviso tutto così strano. Insomma un uomo grande e grosso come lui che si sottometteva ai comandi di un altro?
Forse mi ero sbagliata sul suo conto. Pensavo che il capo di tutto questo piano criminale fosse lui, ma a quanto vedevo quel Benkei era ancora più potente.
I muscoli non danno la potenza, diceva sempre mio padre. Proprio in quell'istante capii il vero significato di quelle parole.
Mi rivolse un ultimo sguardo << Ci vediamo più tardi, bellezza. >> Mi disse.
Una minaccia? Be' l'avrei capito molto presto.

Capii che era giunta la sera quando anche l'ultimo spiraglio di luce venne inghiottitito dalle tenebre. Avevo da sempre paura del buio. L'oscurità era come una strada senza curve. Non riuscivo mai a capire ne dov'era l'inizio ne la fine.
Era seduta a terra, sporca, affamata, stanca. Le catene ai polsi mi facevano male. Dovevo avere la pelle arrossata e in alcuni parti sanguinate. La sentivo bruciare ed escoriarsi ad ogni minimo movimento.
La serranda si aprì ancora e mostrò di nuovo la figura di Bryan.
<< Allora ti stai divertendo? >>
Non osai neppure guardarlo in faccia. Mi dava un forte senso di nausea e di disprezzo. Disprezzavo qualunque cosa fosse subdola e viscida. E lui lo era.
Strisciava come un serpente a sonagli. Intimidiva tutti con la sua arma e i suoi muscoli, ma egli stesso non sapeva di essere solo una pedina. E che presto la dama si sarebbe cibato di lui.
<< Passeremo la notte insieme, non sei contenta? >>
Digrignai i denti per la rabbia. Avrei tanto voluto dargli un calcio proprio nel mezzo, li dove avrebbe fatto più male e di sicuro lo avrebbe steso.
<< Mio padre presto verrà con la polizia. Loro vi prenderanno e voi passerete il resto della vostra inutile vita in galera. >>
Rise di gusto alle mie parole. L'eco echeggiò per tutto il circondario.
<< Dovresti vedere la tua faccia adesso. >> Altre risa, ancora più di gusto << Sembri che ci credi sul serio. >>
<< Stronzo. >> Gli sputai in faccia, perché potesse sapere che anche una ragazzina come me sapeva usare le parolacce.
Scurrile? In quel momento non desideravo altro.
Peccato che non sapevo chi in realtà fosse Bryan e cosa fosse capace di fare.
In un attimo mi fu addosso << Stai attenta a come parli, mocciosa insolente. >>
Mi afferrò entrambe le mascelle con una mano. Le strinse forte, tanto che con i miei denti mi provocai profonde lacerazione all'interno della bocca.
Era solo l'inizio del suo gioco.
<< Che ne dici se adesso io e te ci divertiamo un poco? >>
Cominciò con leccarmi il collo mentre la sua mano libera finì con stringermi un fianco. Era rivoltante mentre saggiava la mia epidermide immacolata.
Cercai di urlare, ma fu inutile. La mia bocca era serrata nella sua morsa soffocante. Lo sentivo tastare ogni parte del mio corpo. Intrufolarsi sotto la mia camicia, raggiungere un seno e palparlo, fremendo.
Era la fine. Era davvero la fine.
Non riuscivo a vedere la luce, la speranza. Non percepivo più nemmeno la voglia di vivere.
Volevo morire, ora li, per sempre. Prima che il mio corpo fosse violato da un essere tanto spregevole.
Con arroganza e trepidazione, strappò tutti i bottoni della mia camicia con una sola mossa. I miei seni protetti dal reggiseno nero di pizzo, lo eccitarono ulteriormente. Lo vidi emettere un lieve sorriso, prima che le sue fauci addentassero la mia pelle bollente.
Non potevo muovermi, non potevo fuggire. Avevo le mani legate dietro alla schiena, le caviglie bloccate, la bocca serrata. Era tutto dannatamente inutile.
Nonostante questo mi era rimasto quello che molti definivano "l'attaccamento alla vita".
Nel mio piccolo cercavo di sottrarmi da quella violenza ignobile. Ma Bryan era più forte di me. Un macigno, un colosso, un ciclope senza pietà.
<< Sta ferma! Sono sicuro che ti piacerà, vedrai. >>
Scese sulle mie caviglie per liberarmi, in modo da potermi possedere con facilità. Quando le mie gambe furono libere cominciai a scalciare, ma presto mi ritrovai il suo corpo nel mezzo e le sue labbra sulla mia bocca.
Mi baciò senza ritegno, accarezzando la mia lunga con la sua viscida. Per fortuna durò poco.
A lui non importava del sentimentalismo, non si perdeva in simili smancerie.
Voleva solo possedermi e l'avrebbe fatto gustandosi ogni attimo.
Fu sopra di me, tra di me cominciando a rimuovere il bottone dei jeans dall'asola e calarli di poco.
Fu allora che persi il senno. Urlavo forte ma nell'aria la mia voce rimbombava solo come piccoli gridolini metallici.
Smuovevo le gambe, cercavo di ribellarmi, mente Bryan continuava il suo sporco gioco baciandomi qua e la, imbrattandomi la pelle con la sua saliva.
Non volevo, non volevo che finisse così. Non potevo permettere che mi accadesse una cosa del genere.
Avevo sempre visto il sesso come un abbandono. Un lasciarsi completamente trasportare dalla passione e dall'amore che si prova verso l'altro partner. Avevo immaginato la mia priva volta su un letto a baldacchino, tra candele profumate e una dolce musica di sottofondo.
Ed i miei sogni ora si sgretolavano come coaguli di fango. Cominciai a piangere, disperata e perduta della mia triste sorte. Sentì scendere la sua sucida mano sulla mia femminilità. Mi allarmai impaurita.
<< Mi hai proprio scocciato, ragazzina! Vedi di star ferma. >>
Mi afferrò la testa, che io muovevo trepidane e la sbatté con prepotenza verso l'albero maestro a cui ero legata.
Non c'era più dolore, non c'era più un suono da ascoltare, ne un volto da ammirare.
Uno strano ronzio cominciò a rimbombarmi nella testa. La vista cominciò a sbiadirsi, cercai di sbattere la palpebre per schiarirmi l'immagine, ma fu tutto inutile.
Sopraggiunsero le tenebre, alcune voci sembravano chiamarmi. Lili, Lili, Lili, pronunciavano in coro. Io non volli ascoltare. Sentì qualcosa di fresco scorrere sulle mie orecchie. Era appiccicoso e melmoso. Quando sopraggiunse sul mio collo capì che era sangue.
Scorsi Bryan osservarmi con occhi impauriti. Era come se avesse visto la morte in persona. Mi sentii io la morte, quando senza forze accasciai la testa, che si infranse penzolante sulla mia spalla.
Sto per morire, fu il mio ultimo pensiero. Nonostante questo mi giunsero ancora alcuni suoni prima che svenissi del tutto. Erano i miei rapitori. Tutti i miei rapitori. Accusavano Bryan di averla fatta grossa.
Dovevano liberarsi del mio corpo. Dicevano che avrebbero depistato il tutto inviando un messaggio con il mio cellulare a papà.
Percepii qualcuno prendermi in braccio. Poi il vuoto più totale.

CONTINUA...

Mi presento a tutti voi. Sono Stella94, autrice di molte ff su EFP da circa un anno.
Che dire? Adoro la coppia JinxLili. Lili è da sempre il mio personaggio preferito in Tekken, è riuscita addirittura a superare Nina Williams un'istituzione per me se parliamo di Tekken appunto.
Per questo ho deciso di scrivere una storia su di loro con la speranza che vi sia piaciuta.
Il nome del padre di Lili non mì è noto e siccome è una figura che vedremo in seguito e sarà molto importante nella storia, l'ho inventato io.
Nel primo capitolo il nostro eroe giapponese non fa comparsa ma lo troveremo di sicuro nel prossimo, dove l'intera trama sarà più chiara.
Spero che vi abbia incuriosito, mi raccomando lasciate se potete una recensione, perché se non vi interessa io la elimino.
A voi l'ardua sentenza.
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Kiss kiss da

                                                                                                                                                       
Stella94







   
 
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