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Autore: GenGhis    12/08/2011    17 recensioni
Questi racconti nascono principalmente da molto tempo libero, uniti ad una notevole capacità di elaborare idiozie e trascriverle su carta. Non mi andava di dover scrivere sempre le stesse cose, quindi non c'è un vero e proprio tema che accomuna queste storie. Solo, appunto, tanto tempo libero e la stessa penna.
Genere: Demenziale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Racconto 2
Sono...?

* * *



-Allora posso andare?
Mi pentii subito di averlo detto. Quei bastardi si attaccavano ad ogni minima emozione per psicanalizzarti; bastava che tu avessi fame per essere bulimico, fretta per essere ossessivo - compulsivo. Se eri giù di corda eri uno schifosissimo depresso, se eri troppo allegro allora eri uno schizofrenico e da lì non uscivi più. Ti volevano vuoto.
La donna si sfilò gli occhiali, e mi guardò come se si fosse resa conto solo in quel momento di essere in compagnia. Non era bella, ma dava un’impressione di raffinatezza, di eleganza. Sembrava una di quelle manager frigide e ricche sfondate dei film americani, che usano la stessa faccia sia per darti un aumento di stipendio sia per informarti del tuo licenziamento.
Solo gli americani possono ideare di personaggi così stereotipati, è uno dei motivi del loro successo.
Lei ancora non parlava; io me la presi comoda, senza darlo a vedere per non passare per disinteressato, quindi malato di disturbo narcisistico. Li conoscevo tutti, i disturbi: li snocciolavo come i bambini ripetono le lettere dell’alfabeto, con la differenza che io sarei potuto andare avanti per ore. Recitare un elenco rilassa, peccato che non si possa fare in pubblico.
A volte, sull’autobus, quando mi annoiavo, ripensavo alla mia cartella clinica e ripetevo tutti i farmaci che mi avevano prescritto: amitriptilina, fenelzina, dopamina, noradrenalina, venlafaxina…
Finivano tutti per “ina”. L’unico che faceva eccezione alla regola era il moclobemide. Mi stava simpatico il moclobemide.
Quando ero agli inizi della cura mi ero convinto che fosse un modo per renderli più amabili agli occhi dei pazienti, un po’ come si fa con i medicinali per i bambini. Aspettavo che un giorno di quelli mi dessero un po’ di serotonina alla ciliegia.
Notavo sempre molte analogie fra i bambini e noi. Era un pensiero allo stesso tempo consolante ed avvilente, ma sicuramente significativo.
Ovviamente non dovevo prenderli tutti in una volta. In realtà l’avrei preferito, passare dieci minuti ad imbottirmi di pastiglie e poi poter trascorrere serenamente la mia giornata. Invece te le dovevi portare appresso, e magari nel bel mezzo di una conversazione tra amici cacciare il tuo bell’antidepressivo alla ciliegia e farti dare qualcosa da bere per mandarlo giù.
Era un modo come un altro per farti ricordare di essere malato. Non potevi nemmeno pensarlo che era merito tuo, che il brutto periodo era passato, perché c’era lo scatolo della ranitidina sul comodino, compresse rivestite blu e rosse, da aprire in un bicchiere d’acqua e farci sciogliere la polverina bianca. Non più di tre volte al giorno, prima dei pasti.
Erano almeno cinque mesi che non uscivo con nessuno, per paura di dover mostrare a tutti che ero un pericoloso malato di mente, affetto dal disturbo maniaco – depressivo.
-Ha fatto degli ottimi miglioramenti in questo periodo – disse la donna – da quando è venuto in cura non ci sono stati più casi di autolesionismo e si sta reintegrando con la società, come le avevo consigliato.
Mi ero immaginato una scena in particolare, che arricchivo ogni giorno con nuovi dettagli.
C ’ero io, seduto su uno sgabello di quelli in pelle dei pub, e c’erano altri uomini, amici. Parlavamo e ridevamo, eravamo tutti dolorosamente felici. Alcuni erano ubriachi, io no.
Ad un certo punto iniziava il telegiornale, e tutti ci zittivamo per ascoltarlo. Io mi fingevo interessato, allungavo il collo verso lo schermo e facevo cenno agli altri di stare in silenzio.
Politica, politica, politica estera, cronaca nera, cronaca nera…
Un giovane uomo, affetto dal disturbo maniaco – depressivo, fermo sull’autostrada a causa di un incidente, ha preso una pistola che la polizia ritiene abbia trovato attraverso un ricettatore e, muovendosi fra le macchine, ha ucciso ben 12 persone, oltre ad essersi sparato un colpo alla…”
Commenti. Insulti. Minacce esplicite, gesti volgari. Il servizio cambia, ora si parla del vincitore del festival di Sanremo, a nessuno interessa più.
-Ha imparato a gestire il suo disturbo bipolare – continuò la donna – e quei suoi attacchi compulsivi. Non si è rivelato refrattario ai farmaci, e questo è già un grande traguardo per la sua terapia.La sveglia del mio telefono suona. Sono le otto di sera, a casa starei per cenare. Devo prendere la mia pillola, se non voglio che mi venga una crisi. Tutti si voltano a guardarmi, capiscono subito che è stato il mio telefono a suonare, e si chiedono il perché.
-Le dirò, sono estremamente soddisfatta da com’è andata la sua cura – confessò la donna – alcune volte capita che i pazienti si fermino ad un punto di stallo, senza andare avanti né retrocedere.
"Scusi, posso avere un bicchiere d’acqua?” chiedo al barista. Mi cavo di tasca la mirtazapina, compressa rivestita gialla e viola, da aprire in un bicchiere d’acqua e farci sciogliere la polverina bianca. Non più di due volte al giorno, prima dei pasti.
-Quindi sì, confermo – concluse la donna – può continuare a prendere i suoi farmaci, se vuole, ovviamente diminuendo il dosaggio. Se sente necessario fare qualche seduta, può continuare a venire qui quando vuole, ha il mio numero. Basta prendere un appuntamento.
"Sì, amici! Io, che sono qui seduto con voi, potrei rimanere fermo nel traffico a causa di un incidente, prendere una pistola e ammazzare 12 persone! Potrei anche ucciderne tredici, questa volta, o magari qualcuna in più. Sono pazzo, pazzo furioso come quello del Tg!”
La donna si alza, mi tende una mano.
“Sono pazzo. Sono pazzo. Sono pazzo…”
La faccio attendere un minuto più del dovuto, mi vengono le lacrime agli occhi e non so se sia perché non sono più in cura o perché ora tutti gli amici del bar stanno realizzando ciò che sono davvero. Forse entrambi.
Mi alzo in piedi anch’io, le stringo una mano. Mi piacerebbe andarmene con una battuta ad effetto, ma temo che lei possa psicanalizzarmi anche quella. Rimango serio.
Penso a cosa farò, una volta uscito dallo studio. Mi immagino svuotarmi le tasche in un cestino della spazzatura, buttare anche i medicinali, e il suo raffinato biglietto da visita.
Sono libero, vivo, pazzo. Sono libero. Sono vivo. Sono pazzo.
  
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